Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 14 febbraio 2020, n. 5927
Massima estrapolata:
Ai fini del riconoscimento o dell’esclusione del fatto di lieve entità ex articolo 73, comma 5, del Dpr n. 309 del 1990, è necessaria la valutazione complessiva degli indici elencati dalla disposizione. Solo poi all’esito della “valutazione globale” di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entità, è poi possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri (come argomentato dalle sezioni Unite, 27 settembre 2018, Murolo). A tal riguardo, non è revocabile in dubbio che lo svolgimento dell’attività di spaccio in forma organizzata non sia di per sé ostativo alla qualificazione del fatto come di lieve entità, giusta l’espressa previsione dell’articolo 74, comma 6, del Dpr n. 309 del 1990, nella parte in cui riconosce (e sanziona con una pena più mite) la figura dell’associazione finalizzata al narcotraffico di lieve entità. Ciò nondimeno, tale assunto è valevole solo allorché si tratti comunque di un’attività di spaccio che sia suscettibile di essere ricondotta nell’alveo dell’ipotesi meno grave, alla luce dei parametri fissati al comma 5 del citato articolo 73 unitariamente valutati secondo le indicazioni delle sezioni Unite (proprio da queste premesse, la Corte ha ritenuto corretto il diniego del fatto lieve motivato non solo in ragione della professionalità e della sistematicità dello spaccio – in effetti astrattamente compatibili con l’ipotesi lieve -, ma ponendo soprattutto in risalto una serie di elementi non irragionevolmente considerati non conciliabili con la fattispecie attenuta: l’uso di un apposito locale destinato all’attività di spaccio; il rinvenimento di materiale atto al confezionamento della droga; la presenza di cosiddetti “pizzini” con l’annotazione della contabilità della clientela e dei relativi numeri di telefono; la contestuale detenzione di materiale drogante di diverso tipo; e, soprattutto, il rilevante dato ponderale delle sostanze detenute a fini di spaccio; elementi tutti deponenti per un rischio elevato di diffusività delle sostanze stupefacenti).
Sentenza 14 febbraio 2020, n. 5927
Data udienza 27 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente
Dott. TRONCI Andrea – Consigliere
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. BASSI Alessand – rel. Consigliere
Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/02/2019 della Corte d’appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere BASSI Alessandra;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Lori Perla, che ha concluso chiedendo che la sentenza sia annullata con rinvio per la rideterminazione della pena.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Bari, ha confermato la sentenza del 27 marzo 2018, con cui il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari ha condannato (OMISSIS), all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa, per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, commi 1 e 4, (per avere detenuto a fini di spaccio, all’interno di un locale posto nella sua esclusiva disponibilita’, occultati in un borsone e in due buste di plastica, complessivi 4,556 chili di marijuana, 284 grammi di hashish e 64 grammi di cocaina, il tutto suddiviso in dosi funzionali alla vendita.
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, (OMISSIS) chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge ed erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5 e vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello omesso di dare risposta alle specifiche censure dedotte con l’atto d’appello, a sostegno della sollecitata derubricazione del fatto nell’ipotesi c.d. della lieve entita’. La difesa evidenzia come, con il gravame, si fossero posti in rilievo: il modesto dato ponderale della cocaina in rapporto a quello della droga c.d. leggera (marijuana e hashish), la mancanza di una consulenza tecnica e la rudimentalita’ dell’attivita’ illecita. Sotto altro profilo, il ricorrente rileva come il provvedimento impugnato sia sorretto da una motivazione illogica o comunque errata, la’ dove – nel valorizzare la professionalita’, l’abitualita’ e la sistematicita’ dell’attivita’ di spaccio – si e’ trascurato di considerare che, di per se’, detti elementi, giusta l’espressa previsione del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 4, non ostano alla configurazione della ipotesi c.d. lieve.
2.2. Violazione di legge ed inosservanza degli articoli 3 e 27 Cost., per avere i Giudici di merito applicato una pena illegale in quanto determinata senza tenere conto della declaratoria d’incostituzionalita’ del minimo edittale del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, con la sentenza n. 40 del 26 gennaio 2019 della Corte costituzionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo concernente l’omessa derubricazione del fatto nell’ipotesi c.d. della lieve entita’, il ricorrente reitera una doglianza gia’ dedotta in appello e non si confronta con la compiuta e lineare motivazione svolta dai Giudici della cognizione, con cio’ omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838). Per altro verso, nel sottoporre al vaglio di questa Corte elementi stimati dimostrativi della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, nella sostanza, sollecita una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa Sede (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
2. Ad ogni buon conto, la Corte territoriale ha bene argomentato le ragioni per le quali abbia ritenuto non configurabile nella specie la fattispecie invocata.
2.1. Mette conto di rammentare come, secondo il chiaro enunciato normativo del citato articolo 73, comma 5, il giudice possa ritenere integrata l’ipotesi de qua, allorche’ il fatto risulti di lieve entita’ considerati “i mezzi, le modalita’ o le circostanze dell’azione” e “la qualita’ e quantita’ delle sostanze”.
Si tratta di dati sintomatici che il decidente e’ tenuto a valutare unitariamente alla luce del suo prudente apprezzamento, potendo ravvisare la fattispecie incriminatrice in oggetto soltanto in ipotesi di minima offensivita’ penale della condotta, che si connette al rischio di diffusivita’ delle sostanze stupefacenti (Sez. 6, n. 29132 del 09/05/2017, Merli, Rv. 270562; Sez. U., n. 35737 del 24/06/2010, P.G. in proc. Rico, Rv. 247911; Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera e altri, Rv. 216668). Il principio e’ stato di recente riaffermato da questo Giudice di legittimita’ riunito nel suo piu’ ampio consesso, la’ dove si e’ affermato che, ai fini della configurabilita’ del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, “e’ necessario procedere ad una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al fine di determinare la lieve entita’ del fatto” (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo). Nella motivazione della pronuncia si e’ condivisibilmente notato come “all’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entita’, e’ poi possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioe’ che la sua intrinseca espressivita’ sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o piu’ degli altri, come per l’appunto affermato nei precedenti arresti delle Sezioni Unite. Ma per l’appunto necessario che una tale statuizione costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entita’ alla luce dei criteri normativizzati e non gia’ il suo presupposto”.
3.2. D’altra parte, non e’ revocabile in dubbio che lo svolgimento dell’attivita’ in forma organizzata non sia di per se’ ostativo alla qualificazione del fatto nell’alveo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, giusta l’espressa previsione dell’articolo 74, comma 6, stessa legge, nella parte in cui riconosce (e sanziona con una pena piu’ mite) la figura dell’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico di lieve entita’. Cio’ nondimeno, deve trattarsi di attivita’ di spaccio che sia suscettibile di essere ricondotta nell’alveo dell’ipotesi meno grave, alla luce dei parametri fissati dal legislatore all’articolo 73, comma 5, unitariamente valutati secondo le indicazioni delle Sezioni Unite.
3.3. Di tali condivisibili regulae iuris ha fatto buon governo la Corte leccese la’ dove, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, non si e’ limitata a rilevare la professionalita’ e la sistematicita’ dello spaccio – in effetti astrattamente compatibili con l’ipotesi lieve -, ma ha posto in risalto una serie di elementi che, con considerazioni non irragionevoli, ha stimato non conciliabili con l’invocata fattispecie, segnatamente: l’uso di un apposito locale destinato all’attivita’ di spaccio; il rinvenimento di materiale atto al confezionamento della droga; la presenza di c.d. pizzini con l’annotazione della contabilita’ della clientela e dei relativi numeri di telefono; la contestuale detenzione di materiale drogante di diverso tipo (cocaina, hashish e marijuana) e, soprattutto, il rilevante dato ponderale delle sostanze detenute a fini di spaccio (oltre quattro chili di marijuana, quasi tre etti di hashish e 64 grammi di cocaina). Elementi tutti soprattutto quello quali – quantitativo – all’evidenza non compatibili con il delitto ex articolo 73, comma 5, che, come sopra chiarito, si giustifica soltanto in caso di minima offesa al bene giuridico protetto dalla norma, non ravvisabile allorche’ sussista – come nella specie – un rischio elevato di diffusivita’ delle sostanze stupefacenti.
4. Coglie di contro nel segno il secondo motivo, col quale il ricorrente ha eccepito l’illegalita’ della pena inflitta quanto alla detenzione della cocaina.
4.1. Giova rammentare come – con la sentenza del 23 gennaio 2019, n. 40 -, la Corte Costituzionale abbia dichiarato l’illegittimita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziche’ di sei anni.
Il trattamento sanzionatorio applicato al ricorrente in relazione alla condotta concernente la droga c.d. pesante risulta pertanto illegale, essendo stata la pena detentiva base commisurata tenuto conto del minimo edittale di otto anni di reclusione, dichiarato appunto incostituzionale.
4.2. Stante l’illegalita’ della pena inflitta, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuova determinazione della pena, non potendo questa Corte azionare il potere previsto dall’articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera I). Nel caso sub iudice, la commisurazione della risposta sanzionatoria – vista anche la detenzione di sostanze di tipologie diverse – implica una rivalutazione dei parametri di cui all’articolo 133 c.p., pertanto, un giudizio di merito avulso dallo scrutinio di legittimita’.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena detentiva relativamente al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 13, comma 1, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Dichiara definitivo l’accertamento di responsabilita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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