Consiglio di Stato, Sentenza 2 novembre 2020, n. 6715.
Il procedimento attivato dall’interessato con l’istanza, volta al riconoscimento dell’infermità da causa di servizio, si articola in varie fasi, durante le quali è richiesta l’acquisizione del parere del Comitato di verifica, il quale può anche non condividere le risultanze del parere della Commissione medica ospedaliera, sulla base di considerazioni che rendono vincolato il provvedimento finale del procedimento.
Sentenza 2 novembre 2020, n. 6715
Data udienza 30 ottobre 2020
Tag – parola chiave: Infermità – Causa di servizio – Riconoscimento – Istanza – Procedimento – Fasi – Comitato di verifica – Commissione medica – Competenze
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 5782 del 2014, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Al. Ri. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in (omissis), via (…);
contro
Il Ministero della Giustizia – Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, alla via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sezione VII, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 30 ottobre 2020 il pres. Luigi Maruotti;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso n. -OMISSIS- (proposto al TAR per la Campania, Sede di Napoli), l’appellante – assistente della polizia penitenziaria – ha impugnato l’atto di data 21 novembre 2013, con cui il Ministero della giustizia ha respinto la sua istanza, volta ad ottenere la dichiarazione della dipendenza da causa di servizio di alcune infermità (-OMISSIS-).
2. Il TAR, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese del giudizio.
3. Con l’appello in esame, l’interessato ha impugnato la sentenza del TAR ed ha chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia accolto.
Il Ministero appellato si è costituito in giudizio ed ha chiesto che l’appello sia respinto.
Con l’ordinanza n. -OMISSIS-, la Sezione ha respinto la domanda incidentale, formulata dall’appellante.
Con una memoria depositata in data 21 ottobre 2020, l’appellante ha illustrato le questioni controverse ed ha insistito nelle già formulate conclusioni.
4. L’atto d’appello si compone di 23 pagine e contiene molteplici specifiche censure avverso la sentenza appellata e l’atto impugnato in primo grado, non aventi una distinta numerazione.
L’esame delle censure deve pertanto avere luogo, individuandole nella loro elaborata esposizione.
5. Le doglianze dell’interessato sono state rubricate col richiamo a vari profili di eccesso di potere (per erroneità nei presupposti, contraddittorietà, illogicità, insufficienza della motivazione sia della sentenza del TAR che del provvedimento impugnato), nonché di violazione del d.P.R. n. 461 del 2001 e degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
6. Con un primo ordine di argomentazioni (v. pp. 4-6), è lamentato che l’impugnato diniego di data 21 novembre 2013 sarebbe illegittimo, perché emesso in violazione della normativa sulla durata massima del procedimento: ad avviso dell’appellante, i termini previsti dagli articoli 11 e 14 del d.P.R. del 2001 sarebbero perentori e la loro violazione renderebbe annullabile il tardivo diniego.
7. Le deduzioni così riassunte vanno respinte, perché infondate.
Come ha evidenziato la sentenza impugnata, la violazione dei termini, riguardanti la durata del procedimento in questione, non incide sulla legittimità del tardivo diniego dell’accertamento della dipendenza di una infermità da causa di servizio.
Il superamento del termine finale di durata del procedimento – in assenza di una qualsiasi disposizione che preveda il silenzio assenso – consente all’interessato di contestare in sede giurisdizionale il silenzio dell’Amministrazione, costringendola in tal modo ad emanare il provvedimento finale.
8. A p. 7, è lamentato che vi sarebbe un contrasto riguardante la data della richiesta di parere, che non coinciderebbe tra quanto indicato nell’atto impugnato e nel parere del Comitato di verifica.
9. Ritiene il Collegio che una tale eventuale discrasia (neppure precisata nel motivo con specifico richiamo alle date che sarebbero in contrasto) è comunque di per sé irrilevante e non ha comportato alcun pregiudizio alle esigenze della difesa dell’appellante.
10. Da p. 7 a p. 10, l’appellante ha lamentato che, in violazione degli articoli 5 e 7 del d.P.R. n. 461 del 2001, nel corso del procedimento non sarebbero stati acquisiti tutti gli atti rilevanti concernenti la sua carriera, con conseguente difetto di istruttoria.
In particolare, non sarebbe stata acquisita dal Comitato di verifica tutta la documentazione acquisita dalla Commissione medica ospedaliera, come si desumerebbe dall’esito di una istanza di accesso di data 9 dicembre 2013, riscontrata dall’Amministrazione: se fosse stata valutata tale documentazione (e in particolare quella riguardante il periodo settembre 2001-ottobre 2002, durante il quale l’interessato ha prestato servizio presso il complesso penitenziario di (omissis)), il Comitato di verifica sarebbe potuto giungere ad opposte conclusioni.
8, Ritiene il Collegio che vada confermata la statuizione del TAR, secondo cui in sede amministrativa sia stato valutato ‘ogni atto rilevantè .
In questa sede, si sarebbe potuta favorevolmente prendere in considerazione la deduzione sull’esigenza di ulteriori accertamenti istruttori, qualora fossero stata evidenziata la verificazione di fatti specifici di per sé rilevanti (quale ad es. uno specifico accadimento comportante un infortunio): in assenza di specifici richiami a fatti che sarebbero stati meritevoli di approfondimento (in sede amministrativa o giurisdizionale), va respinta la doglianza contenuta a pp. 6-10 e non sussistono i presupposti per disporre ulteriori accertamenti.
9. A pp. 10-11, sono dedotti profili di eccesso di potere, poiché il parere del Comitato di verifica si sarebbe illegittimamente discostato dal parere della Commissione medica ospedaliera, sulla dipendenza delle infermità da causa di servizio.
10. La censura va respinta.
Per la pacifica giurisprudenza, la Commissione medica si deve pronunciare sulla sussistenza delle infermità, mentre spetta esclusivamente al Comitato di verifica la valutazione sulla loro dipendenza o meno da causa di servizio
Come ha più volte evidenziato questo Consiglio, il procedimento attivato dall’interessato con l’istanza, volta al riconoscimento dell’infermità da causa di servizio, si articola in varie fasi, durante le quali è richiesta l’acquisizione del parere del Comitato di verifica, il quale può anche non condividere le risultanze del parere della Commissione medica ospedaliera, sulla base di considerazioni che rendono vincolato il provvedimento finale del procedimento (Cons. Stato, Sez. IV, nn. 5573, 3917 e 142 del 2020; nn. 6650, 5067 e 4160 del 2018; Sez. III, n. 1212 del 2018 e n. 6175 del 2017).
In presenza del parere favorevole della Commissione medica ospedaliera, neppure si può ravvisare un affidamento giuridicamente rilevante, poiché la legge attribuisce portata decisiva alle valutazioni del Comitato di verifica.
11. A pp. 11-23, l’appellante ha in sostanza contestato la logicità e la ragionevolezza della valutazione negativa del Comitato di verifica.
Richiamando alcuni principi pacifici in giurisprudenza, sui limiti entro i quali il giudice amministrativo può sindacare la valutazione del Comitato di verifica, l’interessato ha dedotto che le infermità in questione sarebbero la conseguenza delle sue attività di servizio e delle responsabilità che queste hanno imposto.
Nel richiamare l’andamento della sua carriera, egli ha dedotto che “all’atto dell’arruolamento, godeva di ottima salute sia fisica che mentalè e che la sua attività è stata caratterizzata dalla consumazione dei pasti nelle mense degli istituti in tempi ristretti, o anche col’sacchetto” sulla postazione di servizio, nonché dalle peculiari situazioni che caratterizzano gli stabilimenti carcerari.
Egli inoltre ha aggiunto che vi sarebbero state varie azioni di mobbing verticale, descritte in una relazione del 7 febbraio 2011, e che lo stress che ha caratterizzato la propria attività (anche per il notorio sovraffollamento delle fatiscenti strutture carcerarie), con le relative “difficoltà ambientala”, avrebbe dovuto indurre il Comitato di verifica ad esprimersi sulla sussistenza del nesso di dipendenza delle infermità da causa di servizio, viceversa esclusa con una motivazione inadeguata.
12. Così riassunte le deduzioni dell’interessato, esse risultano infondate e vanno respinte.
E’ decisivo considerare, in primo luogo, che le contestazioni riguardano il merito del parere espresso dal Comitato, secondo il quale non sussistono i presupposti per riconoscere la dipendenza della causa di servizio delle infermità lamentate, pur se esse sono state riconosciute dal parere della Commissione medica ospedaliera.
Come ha correttamente evidenziato la sentenza impugnata tenendo conto di quanto esposto nel ricorso di primo grado, non sono emerse, né sono state dedotte, specifiche circostanze tali da poter indurre a considerare sussistente il prospettato nesso di causalità .
Le modalità dello svolgimento dell’attività lavorativa, rappresentate dapprima al Comitato di verifica e poi nelle censure proposte in sede giurisdizionale, sono di per sé riferibili allo status e non evidenziano circostanze od eventi specifici, di per sé idonei a far insorgere la malattie in questione: la coincidenza cronologica tra l’insorgere delle infermità e la prestazione dell’attività lavorativa non integra la prova di un nesso causale, non avendo il legislatore previsto in materia né una presunzione legale, né una presunzione semplice, neppure quando l’attività lavorativa sia svolta da agenti della polizia penitenziaria.
D’altra parte, contrariamente a quanto è stato dedotto con l’atto d’appello, la motivazione del parere del Comitato risulta sufficiente e logicamente coerente, poiché in base alle comuni conoscenze ed esperienze in questa materia è ragionevole ritenere che le patologie in questione possano insorgere nel tempo con la progressione dell’età (per analoghe considerazioni, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 23 ottobre 2020, n. 6405; Sez. IV, 24 settembre 2020, n. 5576).
In secondo luogo, quanto al richiamo di p. 11 alla relazione di data 4 febbraio 2011, osserva il Collegio che esso risulta di per sé generico, poiché non sono state specificamente indicate le relative circostanze e neppure è stato dedotto come esse abbiano in ipotesi potuto incidere sotto il profilo causale.
L’appello è invece incentrato sulla seguente considerazione, intorno alla quale hanno ruotato le altre diffuse deduzioni: ‘il sovraffollamento delle strutture carcerarie, sempre più vecchie e fatiscenti, e la scarsità di personale penitenziario, causa un forte ed elevato affaticamento all’operatore penitenziario che trascorre intere giornate a contatto diretto con una popolazione detenuta sempre più sofferente e violentà .
Tale genericità non si può ritenere superata col successivo richiamo alla sopravvenuta sentenza del TAR per la Campania, Sede di Napoli, n. -OMISSIS-.
13. Per le ragioni che precedono, l’appello risulta infondato e va respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta respinge l’appello n. 5782 del 2014.
Compensa tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità dell’appellante, nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare il suo stato di salute.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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