Riconoscimento del danno da inerzia dell’amministrazione

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 11 gennaio 2019, n. 264.

La massima estrapolata:

Il riconoscimento del danno da inerzia dell’amministrazione non può desumersi semplicemente dal decorso del termine procedimentale, essendo necessario valutare anche il comportamento del presunto danneggiato.

Sentenza 11 gennaio 2019, n. 264

Data udienza 6 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4448 del 2016, proposto dalla società An. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Se. St. e Pi. Am., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Se. St. in Roma, via (…) (Studio Cr. Ho.);
contro
Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. Fa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gr. Pu. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Prima n. 00327/2016, resa tra le parti, concernente risarcimento danno per ritardo relativamente alla autorizzazione unica per la costruzione ed esercizio impianto eolico
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Calabria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2018 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati Se. St. e Gr. Pu. su delega di Pa. Fa..

FATTO e DIRITTO

1.La presente controversia concerne la domanda di risarcimento del danno proposta dalla società An. srl (d’ora in poi società ) per la mancata realizzazione di un impianto eolico denominato “Ti. del Fi.”, nel Comune di (omissis). La domanda è stata prospettata sull’assunto del sopravvenuto difetto di interesse alla realizzazione dell’impianto, a causa del ritardo della Regione Calabria nel provvedere al rilascio della autorizzazione, non essendo stato rispettato il termine perentorio di 180 giorni decorrenti dalla istanza, presentata nel marzo del 2008.
2. La domanda giudiziale per il risarcimento del danno, proposta nell’aprile 2013, e l’impugnazione con i motivi aggiunti, sia della determinazione regionale (del 5 luglio 2013) di indizione della conferenza di servizi, con onere della società di provvedere alla pubblicazione della stessa, sia del diniego di autorizzazione (del 24 dicembre 2013), fondato sulla mancata pubblicazione dell’avviso per la conferenza di servizi, sono state rigettate con la sentenza del T.a.r., specificata in epigrafe.
3. Avverso la suddetta sentenza, la società ha proposto appello affidato a sette motivi (con la precisazione che il settimo viene rubricato come VIII).
3.1. La Regione Calabria si è costituita chiedendo il rigetto dell’appello ed ha depositato memorie.
4. Al fine di rendere più chiara l’esposizione delle questioni in diritto sulle quali si incentra la controversia, è opportuno dare preliminarmente conto della successione cronologia degli atti che ciascuna parte ha posto in essere, quali risultanti dalla documentazione prodotta in giudizio.
4.1. La società presentò (il 17 marzo 2008) istanza volta ad ottenere l’autorizzazione, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, per la costruzione e l’esercizio dell’impianto eolico in argomento.
La Regione, con nota del 23/25 marzo 2011 chiese l’adeguamento dell’istanza alla normativa sopravvenuta relativa alle linee guida del procedimento, di cui al d.m. 10 settembre 2010 e alla delibera della Giunta Regionale n. 871 del 2010, di attuazione del primo.
La società, con nota di risposta (del 1° /8 aprile 2011), richiese 30 giorni per controdedurre in ordine alla applicabilità delle nuove disposizioni alla richiesta di autorizzazione di cui si tratta.
La società, con successiva nota di risposta (del 25/27 maggio 2011), sostenne che il progetto, in forza del punto 18.5 delle linee guida, doveva essere valutato sulla base della normativa preesistente, essendo munito di punto di connessione e di VIA; chiese l’annullamento della precedente richiesta regionale di integrazione ed il rilascio dell’autorizzazione.
La Regione, con successiva nota (del 16 febbraio 2012), comunicò la conclusione della verifica e della istruttoria preliminare, ravvisando carenza di documentazione, che elencò, e stabilì un termine di 90 giorni per l’integrazione, a pena di improcedibilità della domanda.
La società (con nota del 1° marzo 2012) chiese alla Regione il risarcimento del danno per il ritardo nel rilascio dell’autorizzazione, diffidandola all’adempimento. A sostegno dedusse: – la perentorietà del termine 180 giorni previsto dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e la scadenza dello stesso già nel settembre del 2008; – la perdita di interesse alla realizzazione dell’impianto per via delle modifiche legislative recate dall’art. 24 del d.lgs n. 28 del 2011 il quale, per gli impianti eolici che sarebbero entrati in servizio dopo il 31 dicembre 2012, prevedeva un nuovo incerto sistema di incentivazione, che non avrebbe consentito una equa remunerazione dell’investimento, ma avrebbe determinato una diseconomia per la società .
La Regione con nota (del 28 marzo 2012) diffidò la società ad adempiere alla integrazione della documentazione precedentemente richiesta.
Premise il richiamo alla legislazione regionale, che aveva determinato la sospensione dell’esame delle domande di autorizzazione. In particolare, dal giugno al dicembre 2008 era stata disposta la sospensione delle procedure di rilascio di nuove autorizzazioni per effetto delle leggi regionali n. 15 e 38 dello stesso anno. La successiva legge regionale n. 42, sempre del 2008, aveva previsto una nuova disciplina dei limiti massimi di potenza autorizzabile, comprensivi della potenza già autorizzata, con conseguente sospensione dell’esame di tutte le domande al di fuori della potenza massima prevista per il 2009. Aggiunse che, dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 2 della l.r. n. 42 del 2008, con sentenza n. 124 dell’aprile 2010, era stato possibile riprendere l’istruttoria – ai sensi del punto 6, all. sub 1, l.r. 42 del 2008 – delle domande di autorizzazione restate sino a quel momento fuori dai limiti autorizzabili.
La Regione, con determinazione del 30 agosto 2013, indisse la conferenza servizi; richiamò l’assenza della documentazione richiesta e richiamò l’onere della società di provvedere alle pubblicazioni di rito.
La Regione, con determinazione del 24 dicembre 2013, negò l’autorizzazione richiesta, stante la mancata pubblicazione dell’avviso di indizione della Conferenza di servizi.
5. Il T.a.r., con la decisione gravata, ha così statuito.
5.1. Ha esaminato preliminarmente le censure formulate con i motivi aggiunti nei confronti degli atti dell’Amministrazione, sopravvenuti alla domanda giudiziale risarcitoria, con i quali era stata indetta la Conferenza di servizi ed era stata rigettata la richiesta di autorizzazione dell’impianto. Ha giustificato la scelta della priorità della trattazione, non sulla pregiudizialità logico-giuridica, ma sulla considerazione che “in tal modo la decisione sulla domanda di ristoro… ha come riferimento una vicenda procedimentale oramai definita”.
5.1.1. Nel procedere a tale esame preliminare, ha ritenuto:
a) privo di fondamento il dedotto difetto di attribuzione per decadenza del potere in capo all’Amministrazione perché il previsto termine di 180 giorni è perentorio, per finalità di semplificazione e accelerazione e comporta la responsabilità dell’ente e dei suoi funzionari per l’inosservanza, ma non la decadenza del potere dell’Amministrazione di provvedere, essendo lo stesso inesauribile, salvo le ipotesi di silenzio tipizzato, pena la paralisi della funzione amministrativa;
b) inammissibile la censura di eccesso di potere per erronea supposizione di fatto, di illogicità e sviamento, riferita dalla ricorrente ai provvedimenti sopravvenuti nella parte in cui presupponevano l’applicazione alla fattispecie del d.m. del 2010 e delle linee guida regionali, perché irrilevanti rispetto al provvedimento di diniego, fondato solo sulla mancata effettuazione degli adempimenti relativi alla convocazione della Conferenza di servizi.
5.2. Ha rigettato la domanda di risarcimento: a) per l’impossibilità di valutare la spettanza del bene della vita; b) per la non attribuibilità alla Regione della mancata realizzazione dell’iniziativa imprenditoriale.
5.2.1. In particolare, il Tribunale ha così argomentato:
a) la giurisprudenza prevalente nega il riconoscimento del risarcimento del danno da mero ritardo, per il superamento, doloso o colposo del termine legislativamente fissato per provvedere, quale risarcimento indipendente dalla valutazione sul riconoscimento del bene della vita (A.P. n. 7 del 2005);
a1) anche la giurisprudenza più recente esclude la risarcibilità del danno da mero ritardo, ritenendo necessaria la verifica dei presupposti oggettivi (ingiustizia del danno, nesso di causa, prova del pregiudizio subito) e soggettivi, alla stregua della clausola generale di responsabilità di cui all’art. 2043 c.c.;
a2) attualmente la non risarcibilità del danno da mero ritardo è desumibile dall’art. 2-bis, l. n. 241 del 1990, che al comma 1 prevede la risarcibilità dei danni cagionati dalla inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento e, al comma 1-bis, prevede un indennizzo alle condizioni stabilite;
a3) nella specie manca ogni elemento dal quale desumere l’ingiustizia del danno connesso alla spettanza del bene della vita, mentre la tutela risarcitoria degli interessi legittimi presuppone l’effettiva lesione dell’interesse ai beni della vita, quantomeno con giudizio prognostico sulla fondatezza dell’istanza;
a4) infatti, in assenza di qualunque attività procedimentale e dello svolgimento della Conferenza di servizi, nulla è dato sapere in ordine alla autorizzabilità del progetto, e, quindi, in ordine all’effettiva lesione dell’interesse della società ad acquisire il titolo necessario per realizzare e condurre l’impianto;
a5) potrebbe apparire paradossale l’impossibilità di una prognosi per il mancato svolgimento della Conferenza di servizi, visto che la società lamenta proprio l’inerzia dell’amministrazione, ma non lo è ; infatti l’istante non ha attivato alcuno dei rimedi previsti (n. d.r. art. 21-bis l.n. 1034 del 1971 legge T.a.r. ratione temporis vigente) che avrebbero consentito di condurre il procedimento ad un punto tale da consentire una valutazione sulla spettanza bene della vita;
a6) secondo la società la fonte dei danni non è il ritardo, con quel che comporta per maggiori costi e minori introiti, ma la mancata realizzazione dell’intervento che la società non ha più interesse a realizzare per via del sopravvenuto mutamento delle regole. Affinché sia ravvisabile un nesso tra l’inerzia dell’Amministrazione e la mancata realizzazione dell’impianto è necessario che il ritardo abbia determinato l’obiettiva impossibilità o l’evidente eccessiva onerosità o la mancata convenienza della realizzazione dello stesso; altrimenti, la mancata realizzazione dell’impianto potrebbe essere frutto di un mutamento di valutazione dell’interessato. Nella specie, manca proprio la dimostrazione che il mutamento normativo abbia determinato una impossibilità assoluta o relativa per la realizzazione del progetto imprenditoriale. L’unica cosa che è dato sapere è che i decreti ministeriali 6 agosto 2010, 5 maggio 2011 e 5 luglio 2012, adottati sulla base delle previsioni del d.lgs. n. 28/2011, prevedono incentivi meno favorevoli. Mentre, nulla viene specificato riguardo alle modificazioni apportate al quadro normativo in materia e, soprattutto, agli effetti che tali modificazioni hanno determinato in termini di maggiori costi e minori guadagni. Né alcuna indicazione può ricavarsi dalla relazione tecnica di parte (del 7 novembre 2011), che riporta i risultati che si sarebbero potuti conseguire se l’impianto fosse entrato in esercizio entro il 1° gennaio 2010.
a.6.) d’altra parte, l’assenza di interesse dedotta non giustifica l’inerzia della società negli adempimenti richiesti per lo svolgimento della Conferenza di servizi; né può ravvisarsi alcuna regolarità causale tra l’inerzia della Regione e il mutamento delle regole nazionali, non potendo essere considerati conseguenze del ritardo quelle derivanti da eventi del tutto estranei, quali il mutamento delle regole legislative nazionali.
5.3. Infine, e solo per esigenze di completezza, la sentenza ha argomentato in ordine alla ravvisata carenza probatoria sulla dimostrazione del danno, in particolare in riferimento al lucro cessante.
6. La società appellante, attraverso la critica con numerosi motivi alle argomentazioni della sentenza gravata, ripropone integralmente la materia del contendere quale emergente dal ricorso in primo grado.
In estrema sintesi, nel censurare la scelta del primo giudice di affrontare pregiudizialmente il tardivo esito negativo del procedimento autorizzatorio mediante la denuncia della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (primo motivo), la società appellante mette in evidenza: – l’irrilevanza dell’accertamento in ordine alla spettanza, anche solo prognostica, del bene della vita chiesto, rispetto alla specificità della fattispecie caratterizzata dalla perdita di interesse per via del tempo trascorso (secondo motivo); – spende comunque argomentazioni per sostenere che avrebbe avuto diritto alla autorizzazione sulla base dell’applicazione della disciplina previgente al citato d.m. del 2010, senza integrare l’istanza secondo la disciplina sopravvenuta, come invece richiesto dalla Regione (terzo motivo).
6.1. La censura fondamentale – che attraversa più motivi (primo, secondo, in parte terzo, quarto, quinto e in parte sesto) – è incentrata sulla specificità della fattispecie, costituita dal ritardo, in tesi imputabile all’Amministrazione. Questa non avrebbe concluso l’esame dell’istanza di autorizzazione nel termine perentorio previsto dalla legge, e, quindi nello stesso anno della istanza, così causando la perdita di interesse della società a costruire e porre in esercizio l’impianto eolico, stante il sopravvenire dei mutamenti legislativi in tema di incentivi (art. 24 del d.lgs. n. 28 del 2011), che avrebbero reso tale esercizio non più economicamente conveniente, se non realizzato entro il 31 dicembre 2012.
In questa prospettiva, la società appellante insiste sul mancato rispetto del termine di 180 giorni previsto dalla legge, come imputabile alla Amministrazione, quale causa diretta della perdita di interesse ad ottenere l’autorizzazione, fonte del danno lamentato, con conseguente venir meno dei presupposti per attivare i rimedi contro l’inerzia, pure richiamati dal primo giudice.
7. L’appello è infondato e va rigettato.
7.1. Preliminarmente va rilevato che, in ragione della particolarità della fattispecie, rispetto alla quale si potrebbe parlare di “danno puro da mero ritardo”, essendo nella domanda il danno ricondotto alla perdita dell’interesse pretensivo proprio per effetto del ritardo dell’Amministrazione nel pronunciarsi sull’istanza del privato, può prescindersi dall’ottica tradizionale nella giurisprudenza amministrativa che lega strettamente la risarcibilità alla spettanza, anche prognostica, del bene della vita. Nella specie, infatti, il ritardo, in tesi, farebbe venir meno proprio l’interesse ad ottenere il bene prima richiesto.
Da ciò, la fondatezza della critica dell’appellante nella parte in cui lamenta che nella sentenza, partendo dalla prospettiva tradizionale, si sono esaminati preliminarmente i motivi aggiunti per avere un “riferimento a una vicenda procedimentale oramai definita”, trascurando l’oggetto centrale della controversia.
7.2. La fattispecie, allora, va valutata: – da un lato, alla luce dell’art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/1990, il quale, superando per tabulas il diverso orientamento in passato espresso dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 15 settembre 2005, n. 7, ha introdotto la risarcibilità (anche) del c.d. danno da mero ritardo, quale danno da comportamento; – dall’altro, alla luce della regola della non risarcibilità dei danni evitabili e, quindi, dell’incidenza dell’interruzione del nesso causale, tra la violazione di un termine procedimentale e il danno lamentato, determinata dal comportamento del presunto danneggiato; regola prevista dall’art. 1227, co. 2 c.c. e riconosciuta come operante nella giurisprudenza amministrativa anche prima che venisse chiaramente sancita dall’art. 30 co. 3 c.p.a.
Entrambe le prospettive di valutazione hanno avuto riconoscimento da parte dell’Adunanza Plenaria.
7.2.1. Con valenza generale, nell’ambito di una fattispecie nella quale rilevava la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, l’A.P. n. 5 del 2018 ha individuato nel citato art. 2-bis la fonte del riconoscimento che i doveri di correttezza e di lealtà gravano sulla pubblica amministrazione anche quando essa esercita poteri autoritativi sottoposti al regime del procedimento amministrativo, assumendo rilevanza il c.d. danno da mero ritardo che è fattispecie di danno da comportamento e non da provvedimento. Comportamento scorretto dell’amministrazione che genera incertezza e, dunque, interferisce illecitamente sulla libertà negoziale del privato, ledendo il suo diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale, ed eventualmente arrecandogli ingiusti danni patrimoniali. Fermo restando, naturalmente, l’onere del privato di fornire la prova, oltre che del ritardo, dell’elemento soggettivo, del rapporto di causalità materiale esistente tra la violazione del termine del procedimento e la compressione o il condizionamento delle scelte da effettuarsi da parte del privato istante.
7.2.2. La prima prospettiva si intreccia con la seconda sotto il profilo del nesso di causalità, atteso che il comportamento del danneggiato può spiegare un effetto eziologico nella produzione di un danno sino a recidere tale nesso se il danno era evitabile.
In definitiva, il riconoscimento del danno da inerzia dell’amministrazione non può desumersi semplicemente dal decorso del termine procedimentale, essendo necessario valutare anche il comportamento del presunto danneggiato.
L’A.P. n. 3 del 2011, coerentemente con quanto già desumibile dall’art. 1227, c. 2, c.c., ha stabilito che l’art. 30, co. 3 c.p.a. deve interpretarsi nel senso che la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo o la mancata proposizione di un ricorso amministrativo o, ancora, l’omessa attivazione di iniziative volte a sollecitare la rimozione o la modificazione in autotutela del provvedimento lesivo possono essere ritenuti comportamenti contrari a buona fede nell’ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno.
La regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, co. 3, cit., come interpretato dall’organo nomofilattico della giustizia amministrativa, è ricognitiva di principi già evincibili da un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’art. 1227 c.c. e, pertanto, trova applicazione anche per le domande e per i fatti illeciti antecedenti all’entrata in vigore del c.p.a. (cfr. da ultimo, Cons. St., sez. IV, n. 241 del 2018 e n. 5237 del 2017; sez. V,, n. 1649 del 2016).
7.3. Dall’applicazione alla fattispecie dei suddetti principi discende il rigetto dell’appello nella parte in cui ripropone la domanda di risarcimento del danno svolta dinanzi al T.a.r.
7.4. Pur essendo certo il mancato rispetto del termine perentorio di 180 giorni da parte della Regione, applicabile ratione temporis sulla base dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, l’inadempimento rispetto a tale termine non è imputabile per un lungo periodo, in mancanza dell’elemento soggettivo della colpa (Cons. Stato, sez. VI, n. 1649 del 2017).
Come dedotto in giudizio dalla stessa Regione e già esplicitato nei confronti della società (con la nota del 28 marzo 2012), sino all’aprile del 2010, quando intervenne la sentenza della Corte costituzionale che dichiarò illegittimo l’art. 2 della l.r. n. 42 del 2008, la sospensione dell’esame delle istanze di autorizzazione per gli impianti fotovoltaici presentate negli anni precedenti era stata determinata dalle scelte politiche effettuate con le leggi regionali succedutesi nell’anno 2008, vincolanti per l’Amministrazione. Né la società istante ha mai contestato la ricostruzione dell’assetto normativo del periodo.
Conseguente è l’irrilevanza del carattere perentorio del termine, riconosciuta anche dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, n. 2184 del 2014).
7.5. Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 124 del 2010, dichiarativa dell’illegittimità di tali norme, l’inadempimento è astrattamente imputabile alla amministrazione regionale e sicuramente rileva, ed è censurabile, ai sensi del comma 9 dell’art. 2 della l. n. 241 del 1990.
Ma, il nesso di causa tra il ritardo della Regione, sia pure imputabile solo per il suddetto periodo, e la perdita di interesse ad ottenere l’autorizzazione, astrattamente fonte del danno lamentato, è interrotto dal comportamento della società istante.
7.5.1. Dalla documentazione in atti, prima richiamata (§ 4.1), risulta che nel periodo di silenzio imputabile alla Regione, dall’aprile 2010 al marzo 2011 (quando la Regione chiese integrazioni) e nel periodo successivo sino al febbraio 2012 (quando la Regione ha concluso in senso negativo la verifica per via della ritenuta applicabilità del d.m. del 10 settembre del 2010 e delle linee guida di attuazione regionali) la società non ha posto in essere alcun atto, giudiziale o stragiudiziale, a tutela delle proprie ragioni, volto a compulsare in modo espresso ed esplicito il potere dell’amministrazione e non ha mai spiegato un’azione volta all’accertamento del silenzio inadempimento. Azione la cui attivazione avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato il danno attraverso l’ottenimento della definizione della pratica in tempo ancora utile a godere del vecchio regime degli incentivi, sul quale, secondo l’assunto della ricorrente, poggiava l’interesse alla realizzazione dell’impianto. Interesse alla realizzazione che la società ha esplicitato come sussistente ancora nel maggio del 2011, quando aveva sostenuto le proprie ragioni in ordine alla non applicabilità alle istanze presentate nel 2008 della disciplina del 2010 sopra richiamata, senza chiedere giudizialmente l’accertamento dell’inadempimento.
In definitiva, la condotta della società ha integrato la violazione del canone comportamentale cristallizzato dall’art. 1227, comma 2, c.c. (e oggi recepito dall’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo) spiegando un effetto eziologico nella produzione di un preteso danno, altrimenti evitabile. La scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica di agire per l’accertamento del silenzio inadempimento, che avrebbe plausibilmente evitato il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno che sarebbe stato evitabile.
Tanto più che la scelta della società di chiedere direttamente il risarcimento del danno, con la diffida alla Regione del marzo 2012, quando ancora sussisteva in teoria la possibilità di realizzare l’impianto evitando il nuovo regime degli incentivi, lascia presumere che il sopravvenuto difetto di interesse a condurre in porto l’iniziativa sia in realtà ragionevolmente riconducibile a scelte imprenditoriali diverse.
7.6. Dalla mancata spettanza del risarcimento discende l’assorbimento del settimo motivo di appello (rubricato come VIII) che lamenta la mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio.
7.7. Di conseguenza, l’appello avverso la sentenza gravata nella parte in cui ha deciso il ricorso principale dinanzi al T.a.r. va rigettato e la sentenza impugnata confermata con diversa motivazione.
8. Quanto alle censure avanzate dalla società in primo grado con i motivi aggiunti, avverso gli atti dell’Amministrazione (decreto di indizione della conferenza e decreto di rigetto per non aver adempiuto le formalità di pubblicità ) sopravvenuti alla domanda giudiziale risarcitoria, e che l’appellante ripropone – oltre che per censurare l’ordine di esame seguito dal T.a.r., di cui si è detto – soprattutto con il sesto motivo di ricorso, esse sono in parte assorbite e in parte inammissibili.
8.1. Sono assorbite dal rigetto del ricorso principale, nella parte in cui ripropongono e argomentano sul mancato rispetto del termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento;
8.2. Sono inammissibili per difetto di interesse nella parte in cui si impugnano i provvedimenti: – per decadenza del potere dell’amministrazione di emanare il provvedimento conclusivo, nullo per difetto di attribuzione (art. 21-septies l. n. 241 del 1990), o annullabile (21-octies l. n. 241 del 1990); – per sviamento del potere, quale tentativo di offuscare il comportamento illegittimo precedente.
8.2.1. La stessa società infatti ribadisce nell’appello di aver impugnato i suddetti provvedimenti di diniego in via cautelativa e di non avere interesse alla realizzazione dell’impianto, il che spiega la mancata pubblicazione dell’indizione della conferenza; d’altra parte, il diniego della Regione è solo fondato su questa omissione come ragione fondante, restando solo nelle premesse il richiamo alla nota regionale con la quale, nel 2011, era stata richiesta la documentazione integrativa sulla base delle nuove linee guida. Inoltre, nei secondi motivi aggiunti, avverso il decreto di diniego all’autorizzazione, la società precisa di avere interesse all’annullamento “in funzione dell’accoglimento della domanda di risarcimento formulata con il ricorso” principale.
9. In conclusione, l’appello è rigettato.
9.1. Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede:
a) respinge l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;
b) condanna l’appellante al pagamento, in favore della Regione Calabria, delle spese ed onorari, che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre accessori come per legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Raffaele Greco – Consigliere
Fabio Taormina – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere, Estensore

Avv. Renato D’Isa

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