Ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione per revocazione per ritrovamento di documenti decisivi

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 8 maggio 2019, n. 2996.

La massima estrapolata:

Ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione per revocazione per ritrovamento di documenti decisivi è necessario che la parte si sia trovata nell’impossibilità di produrre tale documento nel giudizio di merito, incombendo su di essa, in quanto attrice nel relativo giudizio, l’onere di dimostrare che l’ignoranza dell’esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava fino al momento dell’assegnazione della causa a sentenza non era dipeso da colpa o negligenza sua, ma dal fatto dell’avversario o da causa di forza maggiore.

Sentenza 8 maggio 2019, n. 2996

Data udienza 14 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8821 del 2018, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Pe., presso il cui studio in Roma, via (…) è elettivamente domiciliata;
contro
il Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliatario in Roma, via (…);
il Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso pubblico e della difesa civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio,
nei confronti
della signora -OMISSIS-, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza della sez. III del Consiglio di Stato n. -OMISSIS- del 19 gennaio 2018, con la quale è stato accolto il ricorso in appello n. -OMISSIS- del 2017 proposto dal Ministero dell’interno ed è stata riformata la sentenza del Tar Lazio, sez. I bis, n. -OMISSIS- del 2017
Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 14 marzo 2019 il Cons. Giulia Ferrari e udito altresì il difensore presente della signora -OMISSIS-, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso notificato in data 30 ottobre 2018 e depositato il successivo 7 novembre la signora -OMISSIS- ha chiesto la revocazione della sentenza della sez. III del Consiglio di Stato n. -OMISSIS- del 19 gennaio 2018, con la quale era stato accolto l’appello proposto dal Ministero dell’interno avverso la sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. I bis, n. -OMISSIS- del 17 marzo 2017, che aveva accolto il ricorso con il quale era chiesto l’annullamento del decreto di esclusione dal concorso indetto con decreto n. -OMISSIS- del 2007, per la stabilizzazione, nella qualifica di Vigile del Fuoco, del personale volontario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
La signora -OMISSIS-, Vigile del Fuoco volontaria, afferma di aver partecipato al concorso pubblico, per titoli ed accertamento dell’idoneità motoria, indetto dal Ministero dell’Interno con d.m. n. -OMISSIS- del 2007, per la stabilizzazione, nella qualifica di Vigile del Fuoco del personale volontario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. Detto concorso, in particolare, è stato riservato al personale volontario del C.N.VV.F. che, alla data del 1 gennaio 2007, fosse risultato iscritto da almeno 3 anni negli appositi elenchi di cui all’art. 6, d.lgs. 8 marzo 2006, n. 139 e avesse effettuato non meno di 120 giorni di servizio.
E’ stata chiamata dall’Amministrazione resistente per effettuare l’ultimo accertamento relativo all’idoneità psico-fisica il 10 ottobre 2016, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 7 agosto 2016, n. 160 (recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio) che ha disposto l’assunzione straordinaria nei ruoli iniziali del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco per l’anno 2016.
Sottoposta alle visite idoneative, è stata ritenuta non idonea ai sensi dell’art. 9, comma 4, del bando di concorso ed esclusa, con provvedimento n. -OMISSIS- dell’11 ottobre 2016, per avere la Commissione medica riscontrato “Deficit di statura (158 cm) d.m. n. 78 dell’11 marzo 2008, art. 1, comma 1; d.P.C.M. 22 luglio 1987, n. 411, art. 3, comma 2”.
Il Tar Lazio, dinanzi al quale la signora -OMISSIS- aveva impugnato il provvedimento di esclusione, con sentenza della sez. I bis, n. -OMISSIS- del 17 marzo 2017 aveva accolto il ricorso sul rilievo che “ai sensi del d.P.R. n. 207 del 2015 attuativo della disciplina di cui alla l. n. 2 del 2015 l’altezza non è più un parametro per l’ammissione ai concorsi nelle Forze di Polizia. La nuova disciplina si applica alle ammissioni successive alla data del 16 gennaio 2016. Nel caso di specie anche il concorso è stato effettuato nel 2008, l’arruolamento della ricorrente è avvenuto in epoca successiva all’entrata in vigore della nuova disciplina e pertanto l’esistenza dei requisiti fisici richiesti deve essere valutata secondo le norme vigenti attualmente”.
Ad esito del predetto giudizio, con provvedimento del Ministero dell’interno n. -OMISSIS- del 29 settembre 2017, la signora -OMISSIS- è stata assunta con riserva nella qualifica di Allievo Vigile del Fuoco del Corpo Nazionale V.V.F..
2. La sentenza del Tar Lazio è stata impugnata dal Ministero dell’interno, sul rilievo che la l. n. 2 del 2015, nel demandare ad un successivo regolamento le modalità di attuazione, stabilisce altresì che “nelle more dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni recanti parametri fisici… continuano ad applicarsi i limiti di altezza previsti dalla vigente normativa”. In realtà, l’abolizione di tali limiti, per espresso dettato normativo, sarebbe condizionata all’entrata in vigore dei criteri sostitutivi che il regolamento previsto dalla legge è chiamato a definire. Detto regolamento è stato emanato con d.P.R. n. 207 del 17 dicembre 2015, che all’art. 5, comma 3, ha stabilito che “le disposizioni recate dal presente regolamento si applicano ai concorsi per il reclutamento… i cui bandi sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data successiva alla sua entrata in vigore”. I parametri a cui si riferisce la l. n. 2 del 2015non si applicherebbero quindi al concorso di cui si tratta, bandito nel 2008. Del tutto correttamente, sarebbe stata quindi verificata l’altezza della ricorrente, mentre non era stato possibile sottoporla ad un controllo del possesso dei requisiti del regolamento citato, che non si applicherebbe alla procedura concorsuale oggetto di causa.
In ogni caso, ha aggiunto il Ministero, la signora -OMISSIS- non aveva l’altezza minima neanche come Vigile del Fuoco volontario. E’ infatti alta cm 158, mentre l’altezza minima per i Vigili del Fuoco volontari è di 162 cm mentre quella per l’inquadramento nei ruoli operativi del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco è di 165 cm.
3. Con sentenza n. -OMISSIS- del 19 gennaio 2018 la sez. III del Consiglio di Stato, dinanzi al quale era stata impugnata dal Ministero dell’interno la decisione del Tar Lazio, ha accolto l’appello, affermando che “non appare dunque revocabile in dubbio che, nella specie, sia stato richiesto giustamente il requisito dell’altezza minima prevista dalla previgente normativa e che l’ammissione non sia avvenuta in base ai nuovi criteri di cui al d.P.R. n. 207 del 17 dicembre 2015, entrato in vigore in data 16 gennaio 2016. In sostanza, è stata ritenuta fondata la tesi secondo cui l’abolizione dei limiti di altezza, per espresso dato normativo, fosse condizionata dall’entrata in vigore di criteri sostitutivi che, nel caso di specie, non avrebbero potuto essere applicati”.
Per effetto della decisione del giudice di appello la signora -OMISSIS-, che nel frattempo aveva portato a termine il corso di formazione, è stata destituita dal servizio con provvedimento n. -OMISSIS- del 22 febbraio 2018.
4. Con il ricorso per revocazione la signora -OMISSIS- afferma che la sentenza n. -OMISSIS- del 19 gennaio 2018 sarebbe inficiata ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 3, c.p.c..
5. Il Ministero del interno si è costituito in giudizio senza espletare attività difensiva.
6. La signora -OMISSIS- non si è costituita in giudizio.
7. All’udienza pubblica del 14 marzo 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Nel caso all’esame del Collegio la ricorrente censura, perché asseritamente affetta da errore revocatorio, la parte della sentenza della Sezione III del Consiglio di Stato n. -OMISSIS- del 19 gennaio 2018, che afferma che “Dal momento che è pacifico che l’appellata ha partecipato alla procedura selettiva di cui al decreto del Capo Dipartimento dei Vigili del Fuoco n. -OMISSIS- del 27 agosto 2007 ed essa è stata sottoposta alla valutazione di idoneità fisica oggetto di causa in quanto ricompresa nella graduatoria di quel concorso, approvata con decreto n. 1196 del 2008, alla quale l’Amministrazione ha ritenuto di dover attingere in virtù del disposto della l. n. 160 del 2016, non appare dunque revocabile in dubbio che, nella specie, sia stato richiesto giustamente il requisito dell’altezza minima prevista dalla previgente normativa e che l’ammissione non sia avvenuta in base ai nuovi criteri di cui al d.P.R. n. 207 del 17 dicembre 2015, entrato in vigore in data 16 gennaio 2016… Già l’art. 1, comma 4, l. n. 2 del 2015, infatti, prevede che “nelle more dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni recanti i parametri fisici per il reclutamento del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, che devono entrare in vigore contemporaneamente, continuano ad applicarsi i limiti di altezza previsti dalla vigente normativa” ed il disposto dell’art. 6, comma 2, d.P.R. n. 207 del 2015, che stabilisce che ‘dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, fermo restando quanto previsto dall’art. 5, comma 3, non è più applicabile, altresì, nessuna disposizione di natura regolamentare o amministrativa, che preveda limiti di altezza in materia di reclutamenti del personale delle Forze armate e per l’accesso ai ruoli del personale delle Forze di polizia a ordinamento militare e civile e del Corpo dei vigili del fuocò va, a parere del Collegio, interpretato nel senso che i limiti di altezza di cui alla previgente normativa non possono considerarsi immediatamente abrogati, con l’entrata in vigore del regolamento, e continuano ad applicarsi sino alla piena operatività dei nuovi criteri previsti dal d.P.R, in quanto, diversamente, si verificherebbe la situazione assurda che ai candidati ricompresi in graduatorie già approvate non potrebbe applicarsi alcun parametro, non quello dell’altezza, in quanto abrogato, e nemmeno quelli sostitutivi, individuati dal nuovo regolamento, il quale, in effetti, dispone soltanto per l’avvenire”.
Afferma la ricorrente che l’orientamento giurisprudenziale è, invece, ormai consolidato nel senso di ritenere che la nuova procedura di assunzione straordinaria – prevista dall’art. 6 bis, comma 1, d.l. n. 113 del 2016, convertito, con modificazioni, nella l. n. 160 del 2016 – ha attinto alla graduatoria degli idonei non vincitori del precedente concorso i cui candidati vanno valutati “con riferimento ai parametri nel frattempo sopravvenuti e, in particolare, con quelli dettati dalla nuova disciplina di cui alla l. n. 2 del 2015 quanto ai limiti di altezza, immediatamente applicabili (Cons. St., sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 855), venendo, altrimenti e peraltro, ad essere frustrata la ratio posta a base della procedura straordinaria di stabilizzazione, di cui al menzionato art. 6 bis, comma 1, d.l. n. 113 del 2016, conv. in l. n. 160 del 2016, ratio che risiede nella necessità di assicurare, in via eccezionale, la piena efficienza organizzativa del dispositivo di soccorso pubblico del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, anche in occasione di situazioni emergenziali, mediante la stabilizzazione di soggetti collocati utilmente nelle graduatorie di precedenti procedure, alla luce, però, dei nuovi parametri fisici contemplati dalla l. n. 2 del 2015 e delle successiva norme regolamentari applicative” (Cons. St., sez. III, n. 1113 del 2018 e n. 4-OMISSIS-7 del 2018).
La disposizione invocata dalla signora -OMISSIS- è quella prevista nel numero 3) del comma 1 dell’art. 395 c.p.c., secondo cui la decisione può essere revocata “se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario”.
Per circoscrivere la portata di tale previsione la giurisprudenza ha chiarito che ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione per revocazione per ritrovamento di documenti decisivi è necessario che la parte si sia trovata nell’impossibilità di produrre tale documento nel giudizio di merito, incombendo su di essa, in quanto attrice nel relativo giudizio, l’onere di dimostrare che l’ignoranza dell’esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava fino al momento dell’assegnazione della causa a sentenza non era dipeso da colpa o negligenza sua, ma dal fatto dell’avversario o da causa di forza maggiore; pertanto, nell’ipotesi di ignoranza dell’esistenza di un documento l’onere della parte è soddisfatto dalla dimostrazione di una situazione di fatto tale da giustificarne la mancata conoscenza, mentre nel caso di ignoranza del luogo di conservazione dello stesso l’ammissibilità dell’impugnazione è subordinata alla prova di una diligente ricerca del documento e, nel caso di un suo pregresso possesso, dell’essersi verificato lo smarrimento per cause eccedenti la possibilità di controllo della parte; pertanto, tale motivo non ricorre ove risulti che con una indagine elementare la parte avrebbe potuto accertare l’esistenza del documento (T.s.p.a. 15 ottobre 2009, n. 156; Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 2004, n. 1814; id. 5 giugno 1993, n. 6322).
Le suddette circostanze non ricorrono nel caso di specie.
La signora -OMISSIS- ha prodotto in atti il referto relativo ad una visita effettuata alla Asl di Bologna presso la quale si era spontaneamente recata il 27 novembre 2017, che attesta la rispondenza dei valori corporei ai parametri stabiliti dal d.P.R. n. 207 del 2015. Detto documento, se esaminato compiutamente e per tempo, avrebbe – ad avviso della ricorrente – potuto spingere il Consiglio di Stato a disporre una verificazione (accertamento mai effettuato) sulla rispondenza ai parametri fisici di cui all’art. 3, comma 1, del citato d.P.R. n. 207 del 2015. La verificazione, a sua volta, sarebbe stata compiuta alla stregua dei nuovi obbligatori parametri sull’altezza e, infine, avrebbe determinato la conferma della sentenza di primo grado.
Si tratta di referto che l’interessata avrebbe potuto procurarsi in pendenza di giudizio, a riprova dei propri assunti difensivi. Afferma infatti di essersi “spontaneamente recata il 27 novembre 2017” presso la Asl, ma ben avrebbe potuto farlo in data antecedente, in tempo utile, cioè, per far valutare il referto dal giudice.
Mancano dunque i presupposti per la revocazione prevista dal n. 3 del comma 1 dell’art. 395 c.p.c., che richiede che il documento preesista alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto produrlo a suo tempo per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario e che sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione (Cons. St., sez. IV, 16 aprile 2019, n. 2465; id., sez. III, 29 novembre 2018, n. 6800). Nel caso in esame non è provato in atti alcuna causa di forza maggiore che ha impedito alla signora -OMISSIS- di farsi dare il certificato in tempo utile quanto meno per l’udienza del 12 dicembre 2017 dinanzi al Consiglio di Stato e, ancora di più, di farsi visitare prima del 27 novembre 2017. Non è ceto una prova in tal senso l’e mail del 7 novembre 2018 (depositata agli atti di causa lo stesso 7 novembre), con la quale la signora -OMISSIS- ha chiesto alla dottoressa -OMISSIS-, che ha stilato il referto asseritamente ricevuto il 23 ottobre 2018 (non potendosi escludere che ne fosse stata data una copia in data anteriore), di sottoscriverlo. Ed invero, ove la visita alla Asl fosse stata effettuata per ottenere una prova spendibile nel giudizio pendente dinanzi al Consiglio di Stato, ben avrebbe potuto l’interessata sollecitarne il rilascio o chiedere un rinvio della trattazione dell’udienza di merito.
Non solo. Rileva il Collegio che tale documento nuovo non può essere utilizzato per far valere il vizio revocatorio ex art. 395, comma 1, n. 3, atteso che parte dall’assunto di fondo – ritenuto non corretto dalla sentenza del Consiglio di Stato oggetto di revocazione – che alla fattispecie sia applicabile il d.P.R. n. 207 del 2015.
Come si è già chiarito, il giudice di appello ha invece affermato che “i limiti di altezza di cui alla previgente normativa non possono considerarsi immediatamente abrogati, con l’entrata in vigore del regolamento, e continuano ad applicarsi sino alla piena operatività dei nuovi criteri previsti dal D.P.R, in quanto, diversamente, si verificherebbe la situazione assurda che ai candidati ricompresi in graduatorie già approvate non potrebbe applicarsi alcun parametro, non quello dell’altezza, in quanto abrogato, e nemmeno quelli sostitutivi, individuati dal nuovo regolamento, il quale, in effetti, dispone soltanto per l’avvenire”.
Il ricorso per revocazione, dunque, mira a ritornare sulla questione di merito sottesa alla controversia, id est la normativa applicabile all’assunzione straordinaria cui ha partecipato la ricorrente, questione già risolta dal giudice di appello nella sentenza n. -OMISSIS- del 19 gennaio 2018 oggetto di impugnazione, senza che possa assumere rilievo la circostanza che, successivamente a tale pronuncia, l’orientamento della Sezione sia mutato.
Tale tentativo si scontra con il principio secondo cui la revocazione è un rimedio straordinario, ammesso solo in casi tassativamente determinati e non può essere utilizzata come un ulteriore grado di giudizio, tanto meno per un generico riesame di questioni già decise.
2. Non costituisce errore revocatorio neanche la contraddittorietà in cui sarebbe incorso il giudice di appello nel respingere il motivo relativo all’impossibilità per la ricorrente di invocare il legittimo affidamento ingenerato dall’essere stata impiegata per quindici anni quale Vigile del Fuoco volontario. La contraddizione sarebbe ravvisabile nel fatto che da un lato esclude che sia configurabile un legittimo affidamento perché “alla signora -OMISSIS- non è stato revocato l’incarico quale vigile del Fuoco volontario, unico caso in cui il principio in questione sarebbe semmai utilmente invocabile, ma è stata disposta l’inidoneità dell’interessata all’accesso al personale permanente”, mentre poi ha dichiarato l’illegittimità del requisito minimo di altezza fissato in m. 1,65, quale condizione necessaria per partecipare al concorso per personale di ruolo presso il corpo dei Vigili del fuoco, “in quanto differente da quello di m. 1,62 previsto per il personale volontario dello stesso corpo stante che il personale c.d. volontario dei VV.FF. non si differenzia da quello di ruolo, quanto a mansioni, modalità operative, responsabilità, etc., laddove l’unica differenza apprezzabile consiste nella temporaneità e precarietà del rapporto d’impiego”.
Anche in questo caso la signora -OMISSIS- contesta la decisione in diritto del giudice di appello, sembrando “ingiusto e contraddittorio” affermare che non ci sia stato legittimo affidamento nella circostanza di essere stata impiegata per quindici anni quale Vigile del Fuoco volontario.
3. Il ricorso per revocazione è dunque inammissibile nella fase rescindente e, conseguentemente, in quella rescissoria.
Resta salva la possibilità per l’interessata di presentare all’Amministrazione dell’interno una motivata domanda di autotutela.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio, non avendo il Ministero dell’interno espletato difese scritte.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando dichiara inammissibile il ricorso per revocazione.
Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 2, d.lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere, Estensore
Raffaello Sestini – Consigliere

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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