Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 settembre 2024| n. 25417.
Giudizio di revocazione dei crediti ammessi allo stato passivo
Nel giudizio di revocazione dei crediti ammessi allo stato passivo, il giudice, in ragione del carattere di necessaria pregiudizialità logico-giuridica della fase rescindente rispetto alla fase rescissoria, soltanto dopo aver accertato l’effettiva sussistenza del vizio dedotto, come il rinvenimento di documenti decisivi prima ignorati, ed aver pronunciato la revocazione del provvedimento impugnato, può e deve procedere, alla luce delle nuove e decisive prove documentali acquisite, al nuovo giudizio di merito in ordine all’esistenza o al contenuto del diritto, sul quale la pronuncia impugnata aveva a suo tempo giudicato.
Ordinanza|23 settembre 2024| n. 25417. Giudizio di revocazione dei crediti ammessi allo stato passivo
Data udienza 11 settembre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Impugnazioni civili – Revocazione (giudizio di) – In genere revocazione di crediti ammessi allo stato passivo – Rinvenimento di documenti decisivi prima ignorati – Fase rescindente – Fase rescissoria – Rapporto di pregiudizialità – Rispettivi contenuti.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
composta dai Magistrati:
Dott. TERRUSI Francesco – Presidente
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10699-2017 proposto da:
FA.AN. Spa, rappresentato e difeso dagli Avvocati GI.PA. e AR.DE. per procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AM.AS. Spa (già denominata S.G. Spa), rappresentata e difesa dapprima dall’Avvocato LU.PE., per procura in calce al controricorso, e poi dall’Avvocato PI.SA., per procura dell’11/5/2022 in atti;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA N. 182/2017 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 14/1/2017;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO nell’adunanza in camera di consiglio dell’11/9/2024;
Giudizio di revocazione dei crediti ammessi allo stato passivo
FATTI DI CAUSA
1.1. Il Tribunale di Frosinone, previa riunione dei relativi giudizi, ha, con sentenza in data 4/11/2011: a) accolto l’opposizione proposta a norma dell’art. 98 L. Fall. dalla S.G. Spa, quale cessionaria dei crediti del Ba.Di. Spa, ammettendo la stessa allo stato passivo del FA.AN. Spa, dichiarato con sentenza del 26/8/1999, per l’ulteriore somma di Euro 1.492.581,00 in collocazione ipotecaria; b) rigettato la domanda con la quale il FA.AN. Spa aveva chiesto a norma dell’art. 102 L. Fall. la revocazione dei crediti del Ba.Di. già ammessi al passivo per Lire. 12.077.548.018 in collocazione chirografaria, per Lire 18.482.899.569 in collocazione ipotecaria e per Lire 3.800.000 in prededuzione.
1.2. La S.G. Spa ha proposto appello principale avverso tale sentenza, chiedendo l’ammissione al passivo del Fallimento per l’ulteriore somma di Euro 2.642.931,39 in collocazione ipotecaria.
1.3. Il FA.AN. Spa, dal suo canto, “tempestivamente costituitosi” in giudizio, ha resistito all’appello, chiedendone il rigetto, e, a sua volta, ha proposto appello incidentale, invocando l’accoglimento delle conclusioni rese in primo grado, e cioè: – “in via rescindente, disporre la revoca del provvedimento con il quale in data 6.4.2001 il Ba.Di. Spa è stato ammesso al passivo del fallimento” per l’importo di Lire 12.077.548.018 in chirografo, di Lire 18.482.899.569 in privilegio e Lire 3.800.000 in prededuzione; – “in via rescissoria, accertata la carenza di titolo degli intervenuti finanziamenti, nonché del rilascio delle relative garanzie, escludere dallo stato passivo, e comunque dal privilegio, i crediti azionati dal Ba.Di….”.
Giudizio di revocazione dei crediti ammessi allo stato passivo
1.4. La Corte d’Appello, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello principale della S.G. Spa, ammettendo l’opponente al passivo del Fa.An. Spa per l’ulteriore somma di Euro 2.642.931,39 in collocazione ipotecaria, ed ha respinto l’appello incidentale proposto dal Fallimento.
1.5. La Corte, in particolare, ha ritenuto: – innanzitutto, la fondatezza dell’appello principale proposto dalla banca sul rilievo, tra l’altro, che dalla lettura della relazione del consulente tecnico d’ufficio emerge che “l’ulteriore complessivo importo da ammettere per i vari mutui… risulta pari ad Euro 2.642.931,39”; – in secondo luogo, l’infondatezza dell’appello incidentale con il quale il Fallimento aveva chiesto “la esclusione dallo stato passivo del credito del Ba.Di. già ammesso per mut(u)i ipotecari assumendo che solo nel 2002, dopo la dichiarazione di esecutività dello stato passivo, grazie alla individuazione di nuova documentazione contabile della società, aveva potuto verificare l’insussistenza della pretesa creditoria del Ba.Di.” sul rilievo che “gli atti di erogazione di credito dovevano intendersi affetti da nullità ex art. 1343 c.c. (causa illecita) e 1345 c.c. (motivo illecito comune ad entrambe le parti) per difetto di causa meritevole di tutela” trattandosi di “credito… abusivamente erogato a favore di soggetto già decotto…”.
1.6. La Corte, sul punto, dopo aver rilevato che: – la sentenza appellata aveva ritenuto che difettava la prova che i documenti ritenuti rilevanti non fossero già conosciuti dal curatore, che in ogni caso mancava la prova della decisività di tali documenti al fine di stabilire che la società poi fallita difettasse di “merito creditizio”, che, pur a voler ammettere che nel caso in esame ricorrevano tutti i presupposti di cui all’art. 102 L. Fall., era, comunque, “dubbio che, oltre all’eventuale profilo risarcitorio, che però in questa sede non rileva, possa configurarsi una ipotesi di nullità degli atti di erogazione de(l) credito per mancanza di causa meritevole di tutela”, ed, in ogni caso, che il Fallimento era privo dell’interesse a far valere la nullità dei contratti di mutuo “visto che… deriverebbero comunque obblighi restitutori per cui la banca avrebbe comunque diritto di insinuarsi al passivo fallimentare per recuperare quanto erogato”; – il Fallimento aveva censurato tale pronuncia deducendo, per un verso, l’erroneità della statuizione d’insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 102, comma 1, L. Fall., e, per altro verso, la nullità dei contratti di mutuo per “difetto di causa” concreta, con la conseguente esclusione dei relativi crediti, sul rilievo che “lo scopo pratico dei mutui, ossia la funzione economico-individuale delle singole e specifiche operazioni, era non quello di creare nuova finanza… ma quello di procedere ad una acquisizione nell’ultima ora di garanzie reali, per di più di sproporzionato ammontare rispetto al credito garantito” e che tale nullità, rilevabile anche d’ufficio, era tale d’assorbire, in ragione dell'”immeritevolezza del fine perseguito in via negoziale”, ogni altra considerazione, venendo, dunque, in rilievo non “il ristoro dal pregiudizio della società finanziata” ma un “pregiudizio” che, “per la indebita concessione di credito”, “riguarda la collettività nel suo insieme”, con la conseguente “nullità dei contratti di mutuo costituenti” il “titolo della intervenuta ammissione dei crediti del Ba.Di.” e, dunque, l’esclusione dell’istituto finanziatore dalla massa passiva del fallimento; ha ritenuto, in dichiarata applicazione del “principio della ragione più liquida” (che consente di decidere la causa “sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre”), che l’appello incidentale proposto dal Fallimento era infondato “per non essere affetti da nullità i mutui in forza dei quali il Ba.Di. è stato ammesso al passivo del fallimento”.
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1.7. La Corte d’Appello, in particolare, dopo aver evidenziato come l’iniziativa del Fallimento fosse diretta non già ad un’azione risarcitoria ma piuttosto “a far valere la nullità dei contratti di mutuo costituenti titolo della intervenuta ammissione dei crediti del Ba.Di. all’attivo fallimentare al fine di escludere dalla massa passiva del fallimento l’istituto finanziatore”, ha, in sostanza, escluso che, a fronte dello specifico rimedio costituito dall’inefficacia relativa dell’atto compiuto in violazione della par condicio e dell’interesse degli altri creditori, possa essere ritenuto affetto da nullità il “mutuo ipotecario stipulato a ridosso della declaratoria di fallimento al fine di garantire il privilegio alla banca finanziatrice”, evidenziando che: – in assenza di una norma che vieti, in via generale, di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito, sicché la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alla parti, apprestando l’ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, rimedi speciali che comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione dell’inefficacia; – il motivo illecito che, se comune e determinante, determina la nullità del contratto, s’identifica con una finalità vietata dall’ordinamento perché contraria a norma imperativa, ai principi dell’ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché diretta ad eludere, mediante detta stipulazione, una norma imperativa, per cui l’intento delle parti di recare pregiudizio ad altri (quale quello di attuare una frode ai creditori, di vanificare un’aspettativa giuridica tutelata o di impedire l’esercizio di un diritto) non è illecito, ove non sia riconducibile ad una di tali fattispecie, non rinvenendosi nell’ordinamento una norma che sancisca in via generale, come per il contratto in frode alla legge, l’invalidità del contratto in frode dei terzi, per il quale, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che gli stessi possano risentire dall’altrui attività negoziale; – la violazione di una norma imperativa, come quella prevista dall’art. 216, comma 3, L. Fall., non dà luogo alla nullità del contratto ma costituisce il presupposto per la revoca degli atti lesivi della par condicio creditorum.
1.8. La Corte d’Appello, quindi, ha accolto l’appello principale della S.G. Spa, ammettendo l’opponente al passivo del Fallimento per l’ulteriore somma di Euro. 2.642.931,39 in collocazione ipotecaria, ed ha respinto l’appello incidentale proposto dal Fallimento.
1.9. Il FA.AN. Spa, con ricorso notificato il 20/4/2017, poi illustrato da memoria, ha chiesto, per sei motivi, la cassazione della sentenza della Corte d’Appello, assumendone l’avvenuta notifica in data 27/2/2017.
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1.10. L’AM.AS. Spa (già denominata S.G. Spa) ha resistito con controricorso, poi illustrato da memoria.
2.1. La Corte rileva che il ricorso è tempestivo e, quindi, ammissibile soltanto nei limiti in cui i motivi esposti investono le statuizioni assunte dalla Corte d’Appello in ordine alla domanda di revocazione proposta dal Fallimento. Il ricorso per cassazione è, per contro, tardivo e, quindi, inammissibile nella parte in cui contiene motivi che investono la decisione che la Corte d’Appello ha assunto in ordine all’opposizione allo stato passivo proposta dalla S.G. Spa
2.2. Il provvedimento di riunione di più cause connesse lascia, infatti, immutata l’autonomia dei singoli giudizi e delle posizioni delle parti in ciascuno di essi, con la conseguenza che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunzie quante sono le cause decise, ciascuna delle quali rimane assoggettata al rispettivo regime di impugnazione.
2.3. Il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che, nel regime giuridico applicabile al Fallimento in questione (e cioè, a fronte di una sentenza dichiarativa del 26/8/1999, quello previsto per le decisioni sullo stato passivo dalla legge fallimentare nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 5/2006, come espressamente previsto dall’art. 150 di tale decreto: cfr. Cass. n. 28885 del 2011), decide sull’opposizione allo stato passivo a norma dell’art. 98 L. Fall., nel testo in vigore ratione temporis, dev’essere, pertanto, proposto, in forza di quanto previsto dall’art. 99, comma 5, L. Fall., nel medesimo testo, in un termine (perentorio: art. 326, comma 1, c.p.c.) che, essendo “ridotto alla metà”, è pari, in relazione a quanto stabilito in via ordinaria dall’art. 325, comma 2, c.p.c., a trenta giorni, anche se il relativo giudizio è stato, come nel caso in esame, riunito ad un giudizio, come quello relativo alla revocazione di crediti ammessi, per il quale, così come disciplinato dall’art. 102 L. Fall. nel testo in vigore in relazione al Fallimento in questione, tale norma non trova, in effetti, applicazione (cfr. Cass. n. 4605 del 1996).
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2.4. Nel giudizio di revocazione di crediti ammessi al passivo fallimentare, regolato dall’art. 102 cit., infatti, le norme che disciplinano il procedimento di opposizione allo stato a passivo previste negli artt. 98 e 99 della stessa legge, avendo carattere speciale, non trovano applicazione, con la conseguenza che, in tale giudizio, il termine (breve) per proporre il ricorso per cassazione non è quello abbreviato (di trenta giorni) di cui all’art. 99, comma 5, cit. ma quello ordinario (di sessanta giorni) previsto, in generale, dall’art. 325, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 7178 del 2002; Cass. n. 3868 del 1975).
2.5. La norma prevista dall’art. 99, comma 5, L. Fall., nel testo applicabile al giudizio in esame, lì dove stabilisce che il termine per appellare avverso la sentenza pronunziata in sede di opposizione allo stato passivo è di quindici giorni mentre quello per il ricorso per cassazione è ridotto alla metà, non è, infatti, richiamata con riguardo agli altri rimedi impugnatori dello stato passivo, come l’art. 102 L. Fall., che ne regola la revocazione.
2.6. Si tratta, in effetti, di una norma di natura speciale che, per la sola materia disciplinata, crea un microcosmo compiuto ed esauriente e che, per tale sua natura, in assenza di espresso rinvio alla sua disciplina, non può essere applicata in via analogica alle ipotesi sopra riferite: “laddove il legislatore crei un corpus normativo autonomo e specifico che altera l’uniformità del sistema processuale generale, non residua spazio applicativo oltre l’espressa e tipica previsione normativa, ostandovi il principio sancito nell’art. 14 delle preleggi che vieta l’estensione in via interpretativa delle norme che regolando casi particolari li disciplinano in modo speciale e differente dalla regola generale” con la conseguente affermazione del principio per cui “in materia di revocazione i termini per proporre impugnazione avverso le pronunzie di primo e secondo grado non sono quelli previsti per il giudizio di opposizione ma quelli ordinari previsti dal codice di rito” (Cass. n. 7178 del 2002, in motiv., la quale ha anche aggiunto che “le esigenze di celerità e speditezza che improntano il giudizio di opposizione e che fondano la ratio giustificatrice dell’accelerazione data ai termini processuali rispetto al sistema ordinario, non si coniugano con le caratteristiche del giudizio di revocazione che neppure presuppone termini per la sua proposizione, a differenza della stessa revocazione ordinaria prevista dall’art. 395 c.p.c., né preclude, per espressa previsione normativa ex art. 102 ultimo comma, e non già in via esegetica, la definizione della procedura fallimentare potendo il giudizio proseguire ove non sia stato ancora definito”).
Giudizio di revocazione dei crediti ammessi allo stato passivo
2.7. Nel caso in esame, pertanto, il ricorso per cassazione proposto dal Fallimento avverso la sentenza della Corte d’Appello: – in relazione alla causa di revocazione dei crediti ammessi, è assoggettato all’ordinario termine di sessanta giorni previsto dall’art. 325, comma 2, c.p.c. sicché, in quanto proposto il 20/4/2017, a fronte di una sentenza notificata (come da relazione in atti) il 27/2/2017, lo stesso risulta, evidentemente, tempestivo; – in relazione alla causa d’opposizione allo stato passivo proposta ai sensi dell’art. 98 L. Fall., nel testo in vigore ratione temporis, è assoggettato, invece, al termine di trenta giorni previsto dall’art. 99, comma 5, L. Fall. (Cass. n. 4605 del 1996; Cass. n. 190 del 1979; Cass. n. 3016 del 1974), con la conseguenza che, in quanto proposto (come detto) il 20/4/2017, a fronte di una sentenza notificata il 27/2/2017, lo stesso risulta, evidentemente, tardivo.
3.1. Con il primo motivo, il Fallimento ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 102 L. Fall. e 277 c.p.c. e la falsa applicazione dell’art. 111, comma 2, Cost., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello, facendo dichiaratamente applicazione del “principio della ragione più liquida”, ha rigettato la domanda di revocazione proposta dal curatore a norma dell’art. 102 L. Fall. sul rilievo che i contratti di mutuo in forza dei quali il Ba.Di. era stato ammesso al passivo, non erano affetti dalla invocata nullità, omettendo, tuttavia, di considerare che: – nel giudizio di revocazione regolato dall’art. 102 L. Fall., destinato a svolgersi in due fasi, e cioè quelle rescindente e quella rescissoria, non è possibile omettere gli incombenti di necessario espletamento attinenti alla prima fase; – “il giudizio di merito non può essere”, pertanto, “reso a prescindere delle risultanze della fase rescindente, fermo essendo che, ove risulti la decisività” dei documenti rinvenuti, “è solo il più ampio contesto probatorio e sostanziale, derivante dall’acquisizione degli elementi all’epoca non conosciuti, a costituire, senza possibilità di alternative, la base sulla quale tale giudizio, positivo o negativo che esso sia, deve necessariamente fondarsi”; – in un procedimento bifasico, come quello di revocazione, “le questioni attinenti alla fase rescissoria” non possono essere, quindi, trattate e definite “prescindendo dal preventivo accertamento dei presupposti contemplati dalla norma” dell’art. 102 L. Fall., che costituisce la “chiave d’ingresso” al giudizio di merito, da operare sulla base delle risultanze acquisite.
3.2. Con il secondo motivo, il Fallimento ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello, facendo dichiaratamente applicazione del “principio della ragione più liquida”, ha rigettato la domanda di revocazione che il curatore aveva proposto a norma dell’art. 102 L. Fall. sul rilievo che i contratti di mutuo in forza dei quali il Ba.Di. era stato a suo tempo ammesso allo stato passivo non erano affetti dalla dedotta nullità, senza, tuttavia, svolgere alcuna verifica in ordine alla decisività della documentazione acquista e all’idoneità della stessa a dimostrare, a fronte dell’esposizione debitoria della società poi fallita nei confronti delle banche, la nullità dei mutui progressivamente concessi a quest’ultima dal Ba.Di., a partire dal mutuo ipotecario di Lire 21.000.000.000.
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3.3. Con il terzo motivo, il Fallimento ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello ha escluso la nullità degli atti di concessione di credito posti in essere dal Ba.Di. che il curatore, sulla base della documentazione successivamente acquisita, aveva invocato in ragione dell’assoluto difetto di causa idonea a giustificarli, omettendo, tuttavia, di pronunciarsi sulla domanda che l’appellante incidentale aveva proposto e di farsi realmente carico delle ragioni fatte valere dal curatore a fondamento della stessa, lì dove quest’ultimo, “lungi dall’instare… per la revoca di garanzie a copertura di concessioni fatte all’ultimora”, come ha ritenuto la Corte d’Appello, aveva, al contrario, inteso “denunciare il disvalore degli atti negoziali che il Ba.Di. risulta avere compiuto”, chiedendo che ne fosse dichiarata la nullità in ragione dell’interesse derivante dalla necessità di evitare l’ammissione al passivo in chirografo e in privilegio di crediti carenti di titolo giustificativo.
3.4. Con il quarto motivo, il Fallimento ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 1322, comma 2, c.c., 1343, 1345 e 1418 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello ha escluso la nullità dei contratti di mutuo in forza dei quali il Ba.Di. era stato ammesso al passivo, omettendo, tuttavia, di considerare che: – la banca, come emerge dalla documentazione successivamente acquisita dal curatore, approfittando della situazione di dissesto in cui versava la società poi fallita, aveva ottenuto dalla stessa la concessione di un’ipoteca in suo favore su beni immobili per un valore di cinquantadue miliardi e cinquecento milioni di lire, a garanzia dell’erogazione di una somma, pari a ventuno miliardi di lire, che lo stesso istituto ha poi ripreso, a distanza di pochi giorni, per convertire scoperti di conto ed altri affidamenti; – il contratto di mutuo, “insuscettibile di produrre in capo al mutuatario… percettore di una somma di ben ventuno miliardi di Lire… un risultato sostanziale… apprezzabile sia sul piano economico sia su quello finanziario”, è, in realtà, privo di “causa giustificatrice”, essendosi tradotto “nell’accredito (puramente formale) di tale somma, operato su un conto corrente intestato alla Società al solo scopo di farlo seguire da un immediato prelievo per riciclare le preesistenti esposizioni debitorie nei confronti dello stesso mutuante” “non garantite”, ed è, quindi, come tale, del tutto inidoneo a superare il giudizio di meritevolezza al quale sono assoggettati tutti gli atti che, a prescindere dalla loro configurazione codicistica, presentino carattere di atipicità nel loro nucleo essenziale.
3.5. Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente, sono fondati, con assorbimento del terzo e del quarto.
3.6. Non v’è dubbio che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il principio della “ragione più liquida” risulta “desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 cod. proc. civ.” (tra le molte, Cass. n. 9309 del 2020, in motiv.).
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3.7. Tale principio, tuttavia, nel giudizio di revocazione (tanto in quello previsto dall’art. 102 L. Fall. cit., quanto, e più in generale, in quello disciplinato dagli artt. 395 ss. c.p.c.), non consente al giudice investito di tale impugnazione di respingerla (in nome, appunto, della ragione più liquida) sul rilevo che la domanda (o, come nella specie, l’eccezione) che sarebbe stata esaminata nella fase rescissoria, era, comunque, a suo dire, infondata.
3.8. Il giudizio di revocazione previsto dall’art. 102 L. Fall., in effetti, si articola (al pari di quello regolato dagli artt. 395 ss. c.p.c.) necessariamente in due fasi: una (iniziale e necessaria) fase rescindente ed una (successiva ed eventuale) fase rescissoria: – la fase rescindente, che ha per oggetto l’accertamento del denunciato vizio del decreto d’ammissione del credito allo stato passivo impugnato dal Fallimento (in ragione dei “documenti decisivi prima ignorati”), riguarda, evidentemente, la fondatezza di tale impugnazione in ragione della ritenuta sussistenza di uno dei relativi presupposti (e cioè, nel caso in esame, l’effettivo rinvenimento di “documenti decisivi prima ignorati”) ed ha, quindi, carattere di necessaria pregiudizialità logico-giuridica rispetto alla fase rescissoria; – la quale, nel solo caso in cui l’impugnazione per revocazione è ritenuta fondata per l’effettiva sussistenza dei presupposti a tal fine previsti (e cioè il dimostrato rinvenimento di documenti, prima ignorati, a carattere decisivo, e cioè astrattamente idonei, una volta acquisiti agli atti del giudizio, a formare, in ragione dei fatti costitutivi ovvero modificativi, impeditivi o estintivi ivi rappresentati, un diverso convincimento del giudice rispetto alla decisione in precedenza assunta circa la fondatezza o l’infondatezza della domanda proposta), consente, appunto, di rinnovare, una volta rimosso l’errore di fatto in cui (alla luce delle nuove e, appunto, decisive prove documentali acquisite) era caduto il precedente giudice, il giudizio di merito in ordine all’esistenza e/o al contenuto del diritto di credito sul quale la pronuncia impugnata aveva a suo tempo giudicato: come inequivocamente dimostrato dal fatto che, a norma dell’art. 402, comma 1, c.p.c., “il giudice decide il merito della causa” soltanto dopo aver pronunciato “la revocazione” e, dunque, la caducazione della sentenza (o, come bel caso in esame, il decreto di ammissione) oggetto dell’impugnazione.
3.9. La revocazione, infatti, travolge completamente i capi della decisione che sono frutto (come si assume nel caso in esame) di errore di fatto (conseguente alla prospettata lacuna probatoria in ordine alla sussistenza di fatti decisivi per il giudizio circa l’an e/o il quantum del credito già ammesso), sicché il giudice della fase rescissoria, chiamato nuovamente a decidere (avendo riguardo, però, proprio ai nuovi documenti decisivi prima ignorati), deve procedere ad un nuovo esame della questione precedentemente decisa senza considerare le rationes decidendi sottostanti alla decisione revocata, procedendo, ai sensi dell’art. 402 c.p.c., ad un giudizio che, in ordine alle predette questioni, non costituisce la mera correzione sul piano logico-giuridico di quello precedente ma, in ragione della rimozione dell’errore di fatto che inficiava quest’ultimo, è del tutto nuovo e autonomo (Cass. n. 12215 del 2017; Cass. n. 2181 del 2001).
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3.10. La Corte d’Appello, invece, in dichiarata applicazione del “principio della ragione più liquida”, ha ritenuto di rigettare l’appello incidentale proposto dal Fallimento sul rilievo, concernente il giudizio rescissorio, che “i mutui in forza dei quali il Ba.Di. è stato ammesso al passivo del fallimento” non erano affetti dalla denunciata (eccezione di) nullità, senza, tuttavia, valutare, con la dovuta priorità, la questione, concernente il giudizio rescindente, della sussistenza, negata dal Tribunale e riproposta con l’appello (incidentale), dei presupposti previsti dall’art. 102, comma 1, L. Fall., nel testo in vigore ratione temporis, e cioè, nel caso in esame, il dedotto rinvenimento da parte del Fallimento di “documenti… prima ignorati” e “decisivi” (e, come tali, doverosamente esaminati) ai fini di un diverso convincimento da parte del giudice (rispetto a quello anche implicitamente espresso nel decreto impugnato) circa la validità (o l’invalidità) dei contratti mutuo posti a fondamento del credito in precedenza ammesso.
3.11. La sentenza impugnata, avendo pronunciato in senso diametralmente contrario ai principi in precedenza esposti, presta, come tale, il fianco alle censure svolte sul punto dal Fallimento ricorrente: specie se si considera che dei documenti (in ipotesi) decisivi neppure risulta l’esame e l’utilizzo da parte della Corte d’Appello lì dove ha ritenuto di (ri)affermare la validità dei suddetti contratti.
3.12. Il quinto ed il sesto motivo, con i quali il Fallimento ricorrente ha censurato la statuizione di accoglimento da parte della Corte d’Appello dell’opposizione allo stato passivo proposto dalla banca a norma dell’art. 98 L. Fall., sono, invece, tardivi, in ragione di quanto evidenziato ai punti 2.1. ss, e, come tali, inammissibili.
Giudizio di revocazione dei crediti ammessi allo stato passivo
4. Il ricorso, nei limiti esposti, dev’essere, quindi, accolto: e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla Corte d’Appello di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio attenendosi al seguente principio di diritto: “nel giudizio di revocazione dei crediti ammessi allo stato passivo, il giudice, in ragione del carattere di necessaria pregiudizialità logico-giuridica della fase rescindente rispetto alla fase rescissoria, soltanto dopo aver accertato l’effettiva sussistenza del vizio dedotto, come il rinvenimento di documenti decisivi prima ignorati, e, dunque, pronunciato la revocazione del provvedimento impugnato, può e deve procedere, alla luce delle nuove e decisive prove documentali acquisite, al nuovo giudizio di merito in ordine all’esistenza e/o al contenuto del diritto sul quale la pronuncia impugnata aveva a suo tempo giudicato”.
P.Q.M.
La Corte così provvede: accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il terzo ed il quarto e l’inammissibilità del quinto e del sesto; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla Corte d’Appello di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio attenendosi al principio di diritto esposto in motivazione.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, l’11 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 23 settembre 2024.
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Giudizio di revocazione dei crediti ammessi allo stato passivo
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