Corte di Cassazione, sezione sesta (terza) civile, Ordinanza 4 marzo 2019, n. 6284.
La massima estrapolata:
La responsabilita’ per i danni causati dalla fauna selvatica e’ disciplinata dalle regole generali di cui all’articolo 2043 c.c. e non dalle regole di cui all’articolo 2052 c.c.; non e’ quindi possibile riconoscere una siffatta responsabilita’ semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui la normativa nazionale e regionale affida in generale il compito di tutela della suddetta fauna, occorrendo la puntuale allegazione e la prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, e della riconducibilita’ dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalita’ omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria
Ordinanza 4 marzo 2019, n. 6284
Data udienza 13 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. CIGNA Mario – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 19392 del ruolo generale dell’anno 2017, proposto da:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));
– ricorrente –
nei confronti di:
REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Presidente della Giunta Regionale, legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza del Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari n. 13/2017, pubblicata in data 13 gennaio 2017;
udita la relazione sulla causa svolta nella Camera di consiglio in data 13 dicembre 2018 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) ha agito in giudizio nei confronti della Regione Autonoma Sardegna per ottenere il risarcimento dei danni subiti in occasione di un sinistro stradale a suo dire provocato dall’improvvisa invasione della carreggiata stradale da parte di un cinghiale.
La domanda e’ stata rigettata dal Tribunale di Sassari.
La Corte di Appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre (OMISSIS), sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso la Regione Autonoma della Sardegna.
E’ stata disposta la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli articoli 375, 376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato.
E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto e’ stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.
Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, L. n. 968 del 1977, Legge Regionale n. 32 del 1978, articolo 1, L. 11 febbraio 1992, n. 157 – ora dal D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, – del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, ex articolo 136, circa un fatto controverso e decisivo del giudizio ex articolo 2043 c.c.; con particolare riferimento anche alla legittimazione passiva in ordine alla domanda risarcitoria”.
Con il secondo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione ex articolo 360 c.p.c., n. 3, articolo 2697 c.c., commi 1 e 2 e dell’articolo 116 c.p.c.”.
Con il terzo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione ex articolo 360 c.p.c., n. 3, articolo 2043 c.c., articolo 2697 c.c., commi 1 e 2 e articolo 116 c.p.c.”.
I primi tre motivi di ricorso sono logicamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente, avendo essi tutti riguardo alla sussistenza di una condotta omissiva colposa da parte della Regione convenuta e del nesso di causa tra tale condotta e i danni subiti dall’attore.
I suddetti motivi sono in parte manifestamente infondati, in parte inammissibili.
Va premesso che, in diritto, la sentenza impugnata risulta del tutto conforme ai principi affermati da questa Corte in tema di responsabilita’ per danni causati dalla fauna selvatica, secondo i quali “la responsabilita’ per i danni causati dalla fauna selvatica e’ disciplinata dalle regole generali di cui all’articolo 2043 c.c. e non dalle regole di cui all’articolo 2052 c.c.; non e’ quindi possibile riconoscere una siffatta responsabilita’ semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui la normativa nazionale e regionale affida in generale il compito di tutela della suddetta fauna, occorrendo la puntuale allegazione e la prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, e della riconducibilita’ dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalita’ omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria” (su tali principi, per tutte, cfr., di recente, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18955 del 31/07/2017, non massimata; Sez. 6-3, Ordinanza n. 22525 del 24/09/2018, Rv. 650493-01).
La corte di appello, correttamente applicando i suddetti principi di diritto, ha ritenuto, in fatto, che non fosse stata adeguatamente allegata e dimostrata dall’attore la sussistenza di una specifica condotta colposa dell’ente regionale, in relazione ai suoi compiti di tutela e gestione della fauna selvatica, alla quale potesse attribuirsi efficienza causale con riguardo all’incidente stradale nel quale egli aveva riportato i danni di cui ha chiesto il risarcimento.
In particolare, ha ritenuto che non spettasse alla Regione convenuta il compito di provvedere all’apposizione di adeguata segnaletica di pericolo sulla strada dove era avvenuto l’incidente (cosi’ come alla realizzazione di altre misure di contenimento e salvaguardia richiedenti interventi diretti sulla carreggiata), trattandosi di una strada provinciale e potendo quindi operare in tal senso esclusivamente l’ente proprietario e gestore della stessa.
Ha poi ritenuto che non fosse stata fornita la prova che il luogo dove era avvenuto l’incidente fosse abitualmente frequentato da animali selvatici (e che quindi fosse necessario predisporre particolari e specifiche misure dirette ad evitare l’invasione della carreggiata stradale da parte della fauna selvatica, proprio in relazione a quel tratto stradale) e comunque che le misure di prevenzione e sicurezza di cui l’attore aveva allegato la colposa omissione da parte della Regione avevano carattere talmente generale che non poteva ritenersi sufficientemente dimostrato che la loro concreta adozione avrebbe effettivamente impedito l’incidente per cui e’ causa.
Le indicate valutazioni, operate dai giudici di merito sulla base dell’esame dei fatti storici principali emergenti dagli atti, risultano sostenute da motivazione adeguata (non apparente ne’ insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede in base all’attuale formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5). In relazione alle stesse, le censure poste a fondamento del ricorso finiscono dunque per risolversi nella contestazione di insindacabili accertamenti di fatto svolti in sede di merito e nella inammissibile richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non e’ consentito nel giudizio di legittimita’.
D’altra parte, le censure di violazione dell’articolo 2697 c.c. e articolo 116 c.p.c., non risultano effettuate con la necessaria specificita’, in conformita’ ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829-01; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192-01, 640193-01 e 640194-01).
Sotto tali aspetti, i motivi di ricorso in esame risultano inammissibili.
Essi risultano inoltre manifestamente infondati sia laddove il ricorrente sostiene che la corte di appello avrebbe di fatto erroneamente negato la sussistenza della legittimazione passiva della Regione per l’azione volta ad ottenere il risarcimento dei danni causati dalla fauna selvatica, in quanto nella decisione impugnata tale legittimazione passiva non e’ affatto negata (i giudici di merito si sono infatti limitati a ritenere la domanda infondata nel merito, senza negare la astratta legittimazione passiva della Regione rispetto alla stessa, nonche’ ad osservare che le misure di prevenzione degli incidenti che richiedono interventi direttamente sulla carreggiata stradale non possono che essere realizzate dagli enti proprietari e/o gestori delle strade interessate), sia laddove questi sostiene che, ai sensi degli articoli 2043 e 2697 c.c., sarebbe stato onere dell’ente convenuto dimostrare di avere adottato tutte le misure necessarie a prevenire gli incidenti stradali causati dalla fauna selvatica, dal momento che, al contrario, in base ai principi di diritto che regolano la fattispecie, piu’ sopra enunciati, e’ vero esattamente il contrario, e cioe’ che e’ il danneggiato a dover allegare e dimostrare la specifica condotta colposa imputabile all’ente preteso danneggiante che abbia avuto efficienza causale in relazione ai danni di cui chiede il risarcimento.
2. Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c. e del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articoli 4 e segg., e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, commi 1 bis e 1 quater, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3”.
Anche questo motivo e’ in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile, per difetto di specificita’.
E’ manifestamente infondato nella parte in cui con esso si assume la violazione dell’articolo 91 c.p.c., dal momento che, essendo stata rigettata la sua domanda, l’attore e’ risultato totalmente soccombente e dunque i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del cd. principio di soccombenza, previsto appunto dall’articolo 91 c.p.c., condannandolo al pagamento delle spese di lite.
E’ inammissibile nella parte in cui con esso si sostiene, in modo del tutto generico, la “abnormita’” della determinazione dell’importo delle spese legali liquidate, in relazione alle attivita’ svolte nel corso del processo: la censura difetta infatti di ogni concreto riferimento a tali attivita’ e ai parametri tariffari che sarebbero stati eventualmente violati.
3. Il ricorso e’ rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilita’ o improcedibilita’ dell’impugnazione) di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimita’ in favore dell’ente controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
Si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilita’ o improcedibilita’ dell’impugnazione) di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
Motivazione semplificata.
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