Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 15 maggio 2020, n. 15206.
Massima estrapolata:
Con specifico riferimento ad attivita’ sessuali eseguite nei “prives” di un locale, abbia ritenuto che integra il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, qualsivoglia attivita’ sessuale posta in essere dietro corrispettivo di denaro, con la possibilita’, per il cliente, di interagire sulle attivita’ compiute dalla prostituta, chiarendo che integra il delitto de quo la condotta, nella specie sussistente, diretta a favorire e sfruttare prestazioni che oggettivamente siano tali da stimolare l’istinto sessuale, con la conseguenza che risponde di favoreggiamento o agevolazione dell’altrui prostituzione colui che organizzi o promuova o presti la sua opera a qualsiasi tipo di attivita’ sessuale posta in essere dietro corrispettivo di denaro.
Sentenza 15 maggio 2020, n. 15206
Data udienza 21 novembre 2019
Tag – parola chiave: Prostituzione – Favoreggiamento e sfruttamento – Mezzi di ricerca della prova – Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Utilizzazione – Intercettazioni disposte anche sulla base di informazioni confidenziali – Utilizzabilità – Ammissibilità – Condizioni – Necessità di ulteriori elementi a supporto degli indizi di reato – Sussistenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24-10-2018 della Corte d’appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione del Consigliere Dr. Vito Di Nicola;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Filippi Paola che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
uditi per i ricorrenti gli avvocati (OMISSIS), quale sostituto processuale dell’avv. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. E’ impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza emessa dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Aosta, appellata dal Procuratore della Repubblica di Aosta, ha dichiarato, per quanto qui interessa, (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del reato loro ascritto e, ritenute le circostanze attenuanti generiche per entrambi gli imputati, valutate in misura equivalente all’aggravante contestata, ha condannato il primo alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione e Euro 5.000 di multa e il secondo alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione e Euro 2.500 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
Agli imputati era stato contestato il reato di cui agli articoli 81 cpv. e 110 c.p., articolo 112 c.p., comma 1, n. 2 e L. 20 febbraio 1958, n. 75, articolo 3, comma 1, nn. 4 e 8 (prima e seconda parte), e articolo 4, n. 6, perche’
– in concorso tra loro, precisamente: (OMISSIS) quale promotore ed organizzatore della cooperazione nei reati di agevolazione, sfruttamento e favoreggiamento dell’altrui prostituzione, gestendo i proventi della prostituzione e versando alle prostitute le quote di loro spettanza nonche’ quale coordinatore dell’attivita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) (giudicato separatamente); (OMISSIS) (giudicato separatamente); (OMISSIS) Mario quale collaboratore di (OMISSIS) e (OMISSIS) anche con funzioni di supplenza dei predetti quanto all’incasso dei corrispettivi delle altrui prestazioni sessuali nonche’ con le funzioni di garantire la sicurezza delle ragazze dedite al meretricio all’interno dei prives;
– con piu’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso
– (a) all’interno del circolo privato “(OMISSIS)” posto ne(piano interrato del ristorante pizzeria “(OMISSIS)”, agevolavano (fornendo loro una sistemazione logistica ed un servizio taxi, nonche’ mettendo a loro disposizione alcuni locali prive’ ove erogare prestazioni sessuali a pagamento), favorivano (procurando alle stesse i clienti, fornendo loro i preservativi, mettendo a loro disposizione locali riservati ove erogare la prestazione sessuale a pagamento, stabilendo e concordano con il cliente il corrispettivo della prestazione sessuale e la durata della stessa) e sfruttavano (facendosi consegnare dai clienti la,somme date a titolo di corrispettivo della prestazione sessuale erogata dalle ragazze, sia in danaro contante che attraverso “pos” nonche’ facendosi consegnare dalle ragazze le somme loro versate dai clienti a conclusione della prestazione sessuale a pagamento) la prostituzione (consistita nel compiere atti sessuali a favore di numerosi clienti quali rapporti sessuali completi, rapporti orali completi, masturbazioni nonche’ nel farsi toccare nelle zone intime, verso corrispettivo in danaro) di dodici ragazze, specificamente indicate nel capo d’accusa, di altre non compiutamente identificate
– (b) agevolavano (fornendo un servizio taxi per raggiungere il luogo ove erogare la prestazione sessuale a pagamento), favorivano (procurando i clienti, fornendo i preservativi, stabilendo e concordando preventivamente con il cliente il corrispettivo della prestazione sessuale e la durata della stessa) e sfruttavano (facendosi consegnare dai clienti la somme date a titolo di corrispettivo della prestazione sessuale erogata dalle ragazze, sia in danaro contante che attraverso “pos” nonche’ facendosi consegnare dalle ragazze le somme loro versate dai clienti a conclusione della prestazione sessuale a pagamento) la prostituzione (consistita nel compiere atti sessuali a favore di numerosi clienti quali rapporti sessuali completi, rapporti orali completi, masturbazioni nonche’ nel farsi toccare nelle zone intime, verso corrispettivo in danaro) delle ragazze specificamente indicate nel capo d’accusa, erogate a domicilio, all’esterno del circolo privato “(OMISSIS)” posto nel piano interrato del ristorante pizzeria “(OMISSIS)”:
Con l’aggravante di cui alla L. 20 febbraio 1958, n. 7, articolo 4, n. 7 per aver commessi i fatti in danno di dodici persone ed in (OMISSIS).
2. I ricorrenti, tramite i rispettivi difensori di fiducia, affidano l’impugnazione ai seguenti motivi.
2.1. (OMISSIS) solleva otto motivi.
2.1.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilita’ (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), con riferimento all’articolo 581 c.p.p., lettera a) e c), e articolo 591 c.p.p., lettera c).
Assume che erroneamente la Corte distrettuale ha disatteso l’eccezione di inammissibilita’ dell’appello del Pubblico Ministero sostenendo che, fermo restando il principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte Suprema, secondo il quale l’appello (al pari del ricorso per cassazione) e’ inammissibile per difetto di specificita’ dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata, il suddetto principio possa trovare applicazione quando il giudice di primo grado abbia ben esplicitato, circostanza nella specie non sussistente, le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata.
Secondo il ricorrente, in tal modo, la Corte subalpina avrebbe di fatto enunciato un inedito principio di diritto, in virtu’ del quale, a fronte di una sentenza illogica e priva di motivazione, sarebbe lecito un atto di impugnazione del pari illogico o, quanto meno, svincolato da una critica specifica del provvedimento impugnato.
Osserva il ricorrente come innanzitutto non sia in alcun modo possibile asserire che la sentenza del Tribunale fosse priva di ragioni di fatto e di diritto poste a sostegno della decisione.
Al contrario, la sentenza del Tribunale si era estrinsecata (ed il ricorrente ne riporta i passi salienti) in una disamina sintetica, ma esaustiva, della vicenda processuale, con la conseguenza che la sentenza di primo grado, lungi dal non avere ben esplicitato la ragioni di fatto e di diritto poste a sostegno della decisione, si era fondata su un elementare, ma non per questo meno fondamentale, elemento che deve essere posto alla base di ogni pronuncia giurisdizionale: ove anche sia accertata la sussistenza materiale di un fatto, occorre verificare se l’imputato lo abbia effettivamente commesso e se la sua condotta sia stata connotata dal necessario elemento soggettivo.
A fronte di cio’ l’appello del pubblico ministero aveva del tutto genericamente contestato il malgoverno delle prove da parte del primo giudice, risolvendosi, per il resto, l’atto di impugnazione nella mera riproposizione del contenuto della richiesta della misura cautelare, senza alcuno specifico riferimento al testo della sentenza e agli argomenti in virtu’ dei quali il primo Giudice aveva ritenuto di assolvere l’imputato.
Ne discende, ad avviso del ricorrente, l’inammissibilita’ dell’appello, ove si consideri che l’impugnazione deve essere proposta con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che lo ha emesso, e sono enunciati: a) i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione; b) le richieste; c) i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Nella dichiarazione di appello del Pubblico Ministero, non si trova, infatti, traccia dell’indicazione dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione ovvero dei motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Pur nella liberta’ della loro formulazione, i motivi d’impugnazione devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione l’oggetto dell’impugnazione stessa onde evitare impugnazioni generiche o dilatorie.
Ad avviso del ricorrente, tutti gli elementi sopra indicati difetterebbero nell’atto di appello del pubblico ministero, con conseguente inammissibilita’ del medesimo.
2.1.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), sul rilievo che egli e’ stato assolto in primo grado all’esito di giudizio abbreviato non condizionato; successivamente, senza che siano state assunte innanzi alla Corte di merito prove orali, il ricorrente e’ stato ritenuto responsabile dei reati contestati.
Sostiene che un semplice esame della sentenza di condanna consente di ritenere che la stessa si fonda non soltanto su una “complessa attivita’ di captazione tecnica” ma anche su verbali di P.G.) e sulle dichiarazioni rese da clienti del locale con particolare riferimento al racconto di (OMISSIS), il quale raccontava le trattative per poter consumare un rapporto sessuale con una delle ragazze all’esterno del circolo privato.
Obietta il ricorrente come Corte di merito non abbia ritenuto necessario, tuttavia, sentire i predetti clienti e neppure il Sig. (OMISSIS), cosi’ contravvenendo all’insegnamento nomofilattico, secondo il quale l’avvenuta “costituzionalizzazione del giusto processo” induce a configurare il giudizio di appello che abbia ribaltato una sentenza assolutoria, pur se a seguito del rito abbreviato, un “nuovo” giudizio, con la conseguenza che, in tali casi, debba procedersi alla rinnovazione dell’istruzione in appello mediante acquisizione ex novo della prova dichiarativa.
In definitiva, quindi, la Corte di merito, al fine di addivenire ad una sentenza di condanna, avrebbe dovuto provvedere all’esame dei soggetti, sentiti quali persone informate sui fatti nel corso delle indagini e le cui dichiarazioni sono state ritenute rilevanti ai fini del giudizio (quanto meno (OMISSIS) con riferimento alla posizione del ricorrente).
Non essendo cio’ avvenuto, ne consegue, ad avviso del ricorrente, l’annullamento dell’impugnata sentenza per vizio di motivazione.
2.1.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilita’ (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), con riferimento agli articoli 191, 203, 267 e 271 c.p.p..
Si afferma che la Procura della Repubblica, sulla scorta di una notizia qualificabile come confidenziale secondo la quale un avventore del locale aveva riferito di aver avuto all’interno del locale stesso un rapporto intimo con una ballerina, aveva avanzato, in data (OMISSIS), richiesta di intercettazione dell’utenza mobile intestata a (OMISSIS) e di ascolto e registrazione di tutte le conversazioni che sarebbero intercorse tra le persone presenti all’interno del circolo privato (OMISSIS), in particolare nei locali prives e nelle altre stanze, autorizzata dal GIP in data 30 gennaio 2012.
Ma gli operanti non avevano provveduto ad escutere a sommarie informazioni il soggetto in esame con la conseguenza dell’inutilizzabilita’ di tutte le operazioni di intercettazione ambientale eseguite, proprio perche’ la fonte dei ritenuti gravi indizi di reato, in riferimento alle prime intercettazioni, era costituita da fonte confidenziale non escussa a sommarie informazioni e nemmeno identificata. Si sarebbe pertanto concretizzata la violazione dell’articolo 203 c.p.p., comma 1 bis, che pone un divieto tassativo di utilizzabilita’ delle notizie confidenzialmente ricevute dalla polizia giudiziaria, qualora gli informatori non siano stati interrogati o assunti a sommarie informazioni.
Essendo le medesime informazioni poste alla base della comunicazione della notizia di reato alla luce della quale la Procura aveva avanzato ed ottenuto l’autorizzazione a disporre intercettazioni telefoniche sulle utenze telefoniche e delle conversazioni e comunicazioni tra presenti all’interno del circolo privato limitatamente ai locali prives ove si sarebbe svolta la prostituzione e alle stanze nelle quali il ricorrente interagiva con le ballerine ed i clienti, le disposte intercettazioni, con le conseguenti proroghe, sarebbero affette da inutilizzabilita’ assoluta.
2.1.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta vizio della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), sul rilievo che la Corte di merito sarebbe, analogamente, incorsa in errore nel momento in cui ha disatteso l’eccezione, sollevata dalla difesa, in relazione ai filmati registrati dall’Autorita’ Giudiziaria all’interno dei camerini prives.
Secondo il ricorrente, l’impugnata sentenza ha affermato che tali filmati possono essere legittimamente utilizzati in quanto registrati da telecamere private; di conseguenza, i filmati medesimi costituirebbero prove documentali, non necessitanti della previa autorizzazione dell’autorita’ giudiziaria.
Tuttavia la Corte territoriale sarebbe incorsa in un gravissimo errore, posto che, nel caso di specie, le prove su cui si e’ fondata la decisione censurata erano costituite non gia’ da filmati di un inesistente sistema di sicurezza interno del locale, ma dalle risultanze di telecamere installate dalla stessa Polizia Giudiziaria.
Come si evince dagli atti (nel ricorso si richiama l’annotazione di P.G. datata 11 marzo 2012 – pagina 39 e ss. del fascicolo e dagli allegati, nonche’ dallo stesso appello del Pubblico Ministero, laddove si fa cenno a supporti magnetici contenenti le video – registrazioni relative a comportamenti comunicativi e non comunicativi, eseguite nel prive’ del locale notturno, nella zona spogliatoio del locale notturno nelle zone ingresso ed uscita del locale notturno…), tutte le video registrazioni sono state eseguite non gia’ da telecamere private, ma da videocamere installate dalla Polizia Giudiziaria.
Ne consegue l’evidente travisamento dei fatti in cui e’ caduta la Corte di merito, ritenendo di per se’ legittima l’acquisizione di tali videoregistrazi ni sulla base di un erroneo presupposto.
2.1.5. Con il quinto motivo il ricorrente, sotto ulteriore profilo, denuncia l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilita’, (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), con riferimento agli articoli 191, 203, 267 e 271 c.p.p..
Premette il ricorrente che la richiesta del pubblico ministero e la relativa autorizzazione del GIP si limitavano, rispettivamente, a chiedere e a consentire le intercettazioni audio di conversazioni e comunicazioni tra presenti, con esclusione delle riprese video di comportamenti non comunicativi, tanto sul presupposto dell’utilizzabilita’ delle video registrazioni di comportamenti non comunicativi se avvenuti in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico.
Ma tale non poteva essere ritenuto il prive’ di un locale, che per sua stessa definizione non e’ pubblico o aperto al pubblico, intendendosi con tale concetto quello al quale chiunque puo’ accedere a determinate condizioni, oppure quello frequentabile da un’intera categoria di persone o comunque da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilita’ giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi sul luogo esercita un potere di fatto o di diritto.
Ne discende la palese illegittimita’ delle videoriprese eseguite in tutto il locale, in quanto poste in essere senza previa richiesta ad opera del pubblico ministero e senza autorizzazione ad opera del Giudice per le indagini preliminari.
A maggior ragione, ad avviso del ricorrente, le riprese video all’interno dei camerini c.d. prive’ devono ritenersi illegittime per due ordini di motivi: in primo luogo, in quanto l’intera operazione che ha condotto all’installazione di videocamere e di microfoni e’ stata illegittima, poiche’ posta in essere sulla base non gia’ di prove legittimamente raccolte, ma di una fonte confidenziale non meglio determinata, mai sentita quale persona informata sui fatti e neppure identificata; in secondo luogo, in quanto l’autorizzazione del Giudice, pure illegittima, si riferiva unicamente alla captazione delle conversazioni e non gia’ alle videoriprese che, come tali, non potevano avvenire all’interno dei prives.
2.1.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta vizio della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), sul rilievo che l’impugnata sentenza non soltanto si sarebbe pronunciata su un appello inammissibile, utilizzando prove o inesistenti (quali quelle derivanti un ipotetico e in verita’ insussistente sistema di videoripresa privato) o illegittimamente acquisite, ma, a differenza del Tribunale di Aosta, si sarebbe fondata su argomenti palesemente contraddittori e illogici.
Dopo aver riportato i passaggi motivazionali risultanti dal tesito della sentenza impugnata, il ricorrente sostiene che la Corte d’appello sarebbe incorsa in una serie di illogicita’.
Innanzitutto, il fatto che il ricorrente fosse il Presidente del Circolo Privato sarebbe un dato di per se’ neutro, posto che all’interno del circolo si svolgeva un’attivita’ in se’ e per se’ lecita, quale lo svolgimento di spettacoli di lap dance.
Conseguentemente, appare con evidenza il carattere del tutto lecito dell’ulteriore attivita’ che il Presidente del Circolo svolgeva (selezione delle ballerine, organizzazione delle medesime dal punto di vista logistico, gestione degli incassi dell’attivita’ e simili) e che, in modo del tutto illogico, e’ stata posta dalla Corte d’Appello a fondamento della sentenza di condanna.
Analoghe considerazioni varrebbero con riferimento alla pretesa “organizzazione logistica” delle ballerine.
Come osservato dal G.U.P., le ballerine medesime venivano reclutate in varie parti d’Italia e dovevano lavorare per qualche settimana in (OMISSIS), in un paese di altra montagna ((OMISSIS)); di conseguenza, alle stesse venivano garantiti vitto (nel ristorante soprastante il circolo “(OMISSIS)”) e alloggio (in un appartamento affittato dalla Societa’ di cui era legale rappresentante la moglie del ricorrente, pacificamente estranea alla vicenda).
Ne consegue che la mera assistenza logistica alle predette non costituisce in alcun modo un indizio a carico del ricorrente, essendo del tutto logico che un albergo o un’impresa offra ai suoi dipendenti in trasferta una sistemazione abitativa e un servizio mensa.
In tale ottica devono essere inquadrate le conversazioni nn. 66 (pagina 748 del fascicolo, in cui si parla di sistemazione logistica delle ballerine e non certo di prostituzione, ove si consideri che il ricorrente comunicava a (OMISSIS): “Te le gestisci tu con le valigie…”) e 76 del 6 marzo 2012 (pagina 754), 147 del 7 marzo 2012 (pagina 763 del fascicolo, attinente sempre a problematiche legate alla convivenza fra le ballerine, che dovevano pernottare in due in ciascuna stanza), e 326 del 19 marzo 2012 (pagina 795 e s. del fascicolo, in cui il ricorrente e il Lyabet si confrontavano, invece, sull’opportunita’ di assumere nuove ballerine).
In altri termini, se e’ vero, come si legge nell’impugnata sentenza, che il ricorrente esercitava un costante controllo “su tutti gli aspetti dell’attivita’ delle giovani”, e’ altrettanto vero che non si occupava in alcun modo della pretesa prostituzione delle medesime, per il semplice fatto che non era al corrente di attivita’ illecite praticate presso il suo locale.
Ne consegue che la Corte di merito ha attribuito un decisivo rilievo, ai fini del decidere, a circostanze prive di qualsivoglia valenza probatoria o, a ben vedere, indicative della buona fede del ricorrente (il quale, all’atto del reclutamento della ballerine, non si preoccupava minimamente di verificare la loro disponibilita’ o meno al meretricio), a differenza del Tribunale che, con ragionamento privo di vizi di carattere logico – giuridico, aveva indicato i motivi in virtu’ dei quali non era possibile ritenere raggiunta la prova della colpevolezza del ricorrente, al di la’ di ogni ragionevole dubbio.
2.1.7. Con il settimo motivo il ricorrente prospetta l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonche’ la mancanza, la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), con riferimento alla L. 20 febbraio 1958, n. 75, articoli 3 e 4.
Afferma che gli stessi elementi indicati nel precedente motivo rilevano anche sotto il profilo della violazione delle norme incriminatrici che si assumono violate.
Parte dal presupposto di essere stato ritenuto promotore e organizzatore di un’attivita’ di agevolazione, sfruttamento e favoreggiamento dell’altrui prostituzione, gestendone i proventi e versando alle prostitute le quote di loro spettanza e coordinando le condotte dei correi.
Tale attivita’ sarebbe consistita nel fornire alle prostitute operanti all’interno del circolo privato posto al piano interrato del ristorante “(OMISSIS)” una sistemazione logistica, un servizio taxi e mettendo a loro disposizione alcuni locali prives ove erogare le prestazioni a pagamento, procurando alle stesse i clienti, fornendo loro preservativi, stabilendo e concordando con il cliente il corrispettivo della prestazione sessuale e la durata della stessa e facendosi consegnare i proventi dell’attivita’.
L’attivita’ di prostituzione sarebbe avvenuta sia all’interno del locale che all’esterno del medesimo. La Corte di merito lo ha tuttavia condannato sulla base di elementi che non costituiscono in alcun modo attivita’ di favoreggiamento ovvero di sfruttamento della prostituzione, senza porsi il quesito relativo alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei delitti contestati, se non per concludere che il ricorrente non poteva non essere a conoscenza di quanto stava accadendo davanti ai suoi occhi, senza tuttavia precisare che cosa, effettivamente, accadesse alla sua presenza e davanti ai suoi occhi.
Posto allora che non v’e’ prova che davanti al ricorrente si siano mai verificate attivita’ qualificabili come meretricio, l’impugnata sentenza sarebbe incorsa nel vizi di violazione di legge e di motivazione denunciati.
2.1.8. Con l’ottavo motivo il ricorrente si duole dell’erronea applicazione della legge penale con riferimento agli L. 20 febbraio 1958, n. 75, articoli 3 e 4 e articolo 133 c.p. (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b).
Sostiene che, in punto pena, la Corte di merito ha concesso a entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche, valutate in misura equivalente all’aggravante contestata, tenuto conto del numero di ragazze coinvolte nell’attivita’ di meretricio e dell’intensita’ di esso.
Osserva che nel capo di imputazione e’ stata, tra l’altro, contestata l’aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, articolo 4, n. 6, laddove e’ censurata la condotta posta in essere da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, senza che il ricorrente rivestisse tale qualifica giuridica soggettiva.
Aggiunge poi che l’ulteriore aspetto dell’aggravante contestata ossia lo stesso elemento (commissione del fatto ai danni di piu’ persone) e’ stato utilizzato sia per il giudizio di equivalenza fra circostanze attenuanti e aggravante contestata, sia per la determinazione della pena ex articolo 133 c.p., cosi’ attribuendo una doppia valenza negativa alla stessa circostanza, il che appare al ricorrente di per se’ illegittimo.
Rileva inoltre come la Corte subalpina sia partita da una pena base prossima al massimo edittale previsto dalla norma incriminatrice (tenuto conto dell’equivalenza fra l’aggravante contestata e le attenuanti generiche), senza considerare che il ricorrente non altro non era che il gestore di un locale dove ballerine, senza costrizione alcuna, potevano decidere o meno se concedere a pagamento i propri favori agli avventori del locale medesimo, con la conseguenza che il trattamento sanzionatorio, regolato in maniera immotivatamente severa, deve essere rivisto in maniera piu’ contenuta, tenuto conto delle circostanze attenuanti generiche con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena a favore del ricorrente, sostanzialmente incensurato.
2.2. (OMISSIS) parimenti impugna con otto motivi.
2.2.1. Il primo, il terzo ed il quinto motivo sono omologhi rispettivamente al primo, al terzo e al quinto motivo del ricorso (OMISSIS).
2.2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c).
Sostiene di aver eccepito l’inattendibilita’ tecnica delle immagini video registrate per il malfunzionamento delle telecamere, come rilevato dalla stessa PG operante.
Ed invero le immagini riportate dalle telecamere posizionate all’interno dei prive’ non restituivano immagini chiare, atteso che la numero 3 restituiva immagini a volte disturbate e la n. 5 immagini oscurate a causa dell’assenza di luce, circostanza rilevata anche dalla polizia giudiziaria operante.
La Corte di appello di Torino ha ritenuto di respingere la sollevata eccezione e sul rilievo che, a tutto concedere, siffatte risultanze avrebbero potuto influire sulla rilevanza probatoria delle stesse. Obietta il ricorrente come fosse stata sollevata questione circa l’inattendibilita’ tecnica delle riprese, cosicche’ non vi sarebbe dubbio alcuno che le medesime, frutto delle telecamere di video sorveglianza, proprio per l’obiettiva ed indiscutibile circostanza del non corretto funzionamento, non erano in condizione di fornire alcun supporto alla Corte distrettuale per giustificare le conclusioni censurate e poste a fondamento dell’impugnata sentenza di condanna.
2.2.3. Con il quarto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per la mancanza, la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
Assume che la Corte di Appello ha tratto ulteriori conferme della colpevolezza del ricorrente dalle dichiarazioni rese nel corso delle indagini dai clienti del circolo privato.
In riferimento alla sua posizione, la Corte di merito avrebbe fatto riferimento alle dichiarazioni rese da (OMISSIS) cosicche’, per effetto della reformatio in peius della sentenza assolutoria resa dal GUP presso il Tribunale di Aosta, incombeva a suo carico l’onere di procedere, anche d’ufficio ai sensi dell’articolo 603 c.p.p., comma 3, , a rinnovare la prova dichiarativa.
Rileva infatti come, affinche’ possa addivenirsi alla riforma in appello di una assoluzione deliberata in primo grado, non sia sufficiente prospettare una ricostruzione dei fatti connotata da uguale plausibilita’ rispetto a quella operata dal primo giudice, essendo necessario che la ricostruzione destinata a legittimare la sentenza di condanna sia dotata di una forza persuasiva superiore, tale da far cadere ogni ragionevole dubbio, in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto, ricordando come la condanna presupponga la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza.
Poiche’ tale omissione integra, a suo avviso, un vizio di motivazione della sentenza di appello, per mancato rispetto del canone di giudizio “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” di cui all’articolo 533 c.p.p., comma 1, la sentenza impugnata, per tale motivo, sarebbe incorsa nel vizio di motivazione denunciato.
2.2.4. Con il sesto motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo a) dell’imputazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e).
Premette di essere stato dichiarato responsabile delle fattispecie delittuose allo stesso attribuite in virtu’ dell’attivita’ di dipendente del (OMISSIS), posto che e’ indiscutibile che egli fosse cameriere sia del ristorante pizzeria “(OMISSIS)”, sia, dopo la chiusura del ristorante, del circolo privato “(OMISSIS)” situato al piano interrato del medesimo ristorante.
Da tale dato di partenza la Corte di appello ha elaborato il proprio convincimento, omettendo pero’ di valutare compiutamente la condotta gestoria asseritamente tenuta dal ricorrente nei confronti delle ragazze.
Ed invero la Corte di appello si sarebbe limitata a riconoscere la responsabilita’ del ricorrente, in quanto avrebbe sporadicamente sostituito il signor (OMISSIS) (giudicato separatamente) nella contrattazione con i clienti, accettando altresi’ i relativi pagamenti, controllando la durata di ciascun incontro a pagamento, respingendo – in una sola occasione – un cliente che aveva molestato una ballerina e, infine, ricevendo dalle mani di una delle ragazze, appartata con tale (OMISSIS), il denaro da quest’ultimo ricevuto per poi passarlo, a sua volta, a (OMISSIS).
Siffatta condotta, ad avviso del ricorrente, non pare essere idonea ad integrare le fattispecie delittuose di cui al capo di imputazione.
La Corte di appello di Torino avrebbe, dunque, omesso di compiere l’accertamento di fatto sulla offensivita’ o meno della specifica condotta attribuita al ricorrente, avendo basato la motivazione, contrariamente all’indirizzo giurisprudenziale di legittimita’ citato nel ricorso, solo sul criterio relativo alla finalita’ dell’agevolazione, incorrendo, comunque, in errore posto che alcuna agevolazione concreta era stata messa in atto dall’imputato.
Tanto e’ vero che la Corte di appello non ha accennato ad alcuna condotta volta al reclutamento delle ballerine, ne’ ad agevolare o favorire il meretricio o a predisporre i locali, ne’ di altra attivita’ volta allo sfruttamento o all’agevolazione del meretricio.
La Corte di merito, per supportare il giudizio di colpevolezza, ha ritenuto significative le dichiarazioni rese da (OMISSIS) e (OMISSIS) che avrebbero dovuto essere escussi ai sensi dell’articolo 603c.p.p., comma 3, in ordine alla circostanza che il ricorrente avrebbe annunciato la fine della prestazione sessuale alla scadenza del tempo stabilito ovvero avrebbe consultato a tale fine il registro tenuto da (OMISSIS), elementi che, semmai, confermavano il suo ruolo di dipendente della (OMISSIS) con il solo compito di eseguire le direttive impartite dal datore di lavoro.
Infatti, ad avviso del ricorrente, non puo’ ritenersi sussistente la fattispecie di cui alla L. 75 del 1958, articolo 3, comma 1, n. 8 in quanto lo stesso ha sempre percepito solo la retribuzione come cameriere, senza beneficiare di alcun provento economico dall’attivita’ contestata.
Pertanto, di alcun rilievo, in ordine al favoreggiamento del reato di meretricio, deve ritenersi la condotta di dipendente del ricorrente, condotta che deve essere legata, trattandosi di un reato a forma libera, all’evento da un nesso causale penalmente rilevante. Poiche’ l’evento non e’ la prostituzione, ma l’aiuto alla prostituzione, ad avviso del ricorrente, esula il reato ove la condotta dell’agente non abbia cagionato un effettivo ausilio per il meretricio, nel senso che questo sarebbe stato esercitato ugualmente in condizioni equivalenti. Egli era un mero dipendente e si limitava ad eseguire gli ordini, di conseguenza la di lui condotta alcun apporto causale avrebbe conferito al reato contestato.
La sentenza impugnata, infatti, avrebbe omesso di compiere la valutazione globale delle deduzioni difensive e delle risultanze emerse, omettendo di spiegare in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento, non avendo dimostrato di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, disattendendo sic et simpliciter le deduzioni difensive.
Essendo percio’ emerso il disarticolante contrasto tra le emergenze processuali e il ragionamento seguito dalla Corte di appello, la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di motivazione denunciato.
2.2.5. Con il settimo il ricorrente censura l’impugnata sentenza per vizio di motivazione in relazione al capo b) dell’imputazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
Nonostante la sentenza impugnata rechi a pagina 4 e 5 indicazione delle condotte contestate al capo b), osserva il ricorrente come, sul punto, alcuna motivazione sia stata rinvenuta nella sentenza impugnata che si sarebbe limitata a dare conto dello sfruttamento della prostituzione all’interno del circolo privato (OMISSIS) posto al piano seminterrato del ristorante (OMISSIS) (capo a).
Sostiene di aver preso posizione su entrambi i capi di imputazione facendo riferimento all’obiettiva circostanza che nessun elemento era emerso in ordine all’avere egli concertato le modalita’ relative all’uscita delle ragazze dal locale con i clienti (capo b), con la conseguenza che nessun elemento specifico era emerso a suo carico circa il ruolo nella gestione dell’attivita’ contestata.
Di conseguenza la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di motivazione denunciato in ordine alla capo b) della rubrica, posto che il ricorrente e’ stato condannato, all’evidenza, per entrambi i capi contestati.
2.2.6. Con l’ottavo motivo il ricorrente denunzia la manifesta illogicita’ della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
Sostiene che la Corte territoriale non avrebbe tenuto cono della insussistenza di alcune aggravanti contestate (assenza della qualita’ di pubblico ufficiale e mancanza di prova circa il coordinamento o la direzione della condotta dei correi), laddove e’ invece ampiamente risultato come il ricorrente fosse un mero dipendente che eseguiva gli ordini del proprio datore di lavoro, compiendo condotte che dovevano essere ampiamente scriminante, circostanze che, in ultima analisi, comporterebbero la riduzione della pena inflitta, la quale ben potrebbe attestarsi sui minimi edittali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, in parte anche inammissibili, non sono fondati.
2. Il primo motivo di entrambi i ricorsi e’ manifestamente infondato.
I ricorrenti lamentano il fatto che il pubblico ministero, non osservando il principio di specificita’ dell’impugnazione, ha appellato la sentenza assolutoria di primo grado rifacendosi interamente al contenuto della richiesta della misura cautelare.
La doglianza non ha alcun fondamento perche’ – in disparte il fatto che il pubblico ministero ha, nell’esordio dell’atto di appello, puntualmente precisato il contenuto dell’error in iudicando attribuito al primo giudice con specifico riferimento ad entrambi i ricorrenti – non vi e’, da un lato, piena sovrapponibilita’ tra atto processuale utilizzato e atto di gravame e, dall’altro, l’appellante ha indicato i punti di dissenso rispetto alla valutazione del quadro probatorio eseguita dal Tribunale, rimproverando al primo giudice di aver pretermesso elementi decisivi per la soluzione della regiudicanda, che l’appellante ha riportato, riproducendo altri atti del processo.
Peraltro, come correttamente osservato dalla Corte d’appello, il Tribunale, nel caso di specie, aveva pacificamente ritenuto che, all’interno del circolo privato le ragazze, oltre a ballare, compissero prestazioni sessuali a pagamento in favore dei clienti paganti, ma aveva fornito un’interpretazione personale del ruolo degli imputati, del tutto svincolata dalle risultanze delle indagini preliminari, giungendo ad escludere la loro responsabilita’ per il reato ascritto, senza aver esplicitato le ragioni di fatto e di diritto nei confronti delle quali fosse stato possibile sollevare una critica specifica, con la conseguenza che non si poteva muovere all’appello un’accusa di genericita’ dei motivi di impugnazione.
La giurisprudenza di legittimita’ ha affermato che l’onere di specificita’ – a carico dell’impugnante ossia l’onere incombente a suo carico di muovere specifici rilievi critici nei confronti delle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento del provvedimento impugnato – deve ritenersi direttamente proporzionale alla specificita’ con cui le ragioni della decisione sono state esposte nella pronuncia gravata (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 – 01).
In ogni caso, la specificita’, che deve caratterizzare i motivi di appello, va valutata alla luce del principio del “favor impugnationis”, fermo restando che l’atto di appello, per non incorrere nel vizio di aspecificita’, deve essere corredato da motivi che indichino con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione, pur nella liberta’ della loro formulazione, l’oggetto del gravame.
Nel caso in esame, l’appellante non si e’ sottratto a tale compito, avendo indicato le ragioni sulla cui base l’attivita’ di (OMISSIS) potesse essere valutata in termini di agevolazione e favoreggiamento della prostituzione e le ragioni per le quali il quadro probatorio fosse univocamente concludente nel senso di una consapevole e fattiva cooperazione di (OMISSIS) all’attivita’ criminosa contestata, richiamando il contenuto di specifici atti processuali che il primo giudice avrebbe dovuto valutare, posto che il processo si era svolto nelle forme del giudizio abbreviato.
3. Il secondo motivo del ricorso (OMISSIS) ed il quarto motivo del ricorso (OMISSIS) possono essere congiuntamente esaminati essendo tra loro sostanzialmente sovrapponibili.
Con essi i ricorrenti lamentano il fatto che il giudice d’appello ha ribaltato l’esito del primo giudizio facendo leva su dichiarazioni testimoniali senza pero’ procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, disponendo l’esame delle prove dichiarative valutate ai fini dell’affermazione di responsabilita’.
Il rilievo non e’ fondato.
Le Sezioni Unite hanno affermato che e’ affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio “al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilita’ dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all’esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785 – 01).
Tuttavia, nel caso in esame, la Corte d’appello non ha fondato la propria decisione operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive ma ha valutato prove dichiarative esistenti agli atti del processo e del tutto obliterare dal primo giudice.
Neppure la Corte d’appello ha rovesciato il primo giudizio sulla ba diverso apprezzamento dell’attendibilita’ di una prova dichiarativa decisiva.
A prescindere dal fondamentale rilievo per il quale entrambi i ricorrenti hanno omesso di specificare quale fosse, nell’economia della decis one, la decisivita’ delle prove orali valutate dalla Corte d’appello, diversamente dal Tribunale, per ribaltare il primo giudizio, essendosi essi limitati ad indicare soltanto (OMISSIS) (il (OMISSIS)) e (OMISSIS) (lo (OMISSIS)) in presenza, come sara’ piu’ chiaro in seguito, di una mole ulteriore di elementi di prova ampiamente sufficienti a giustificare il rovesciamento del primo giudizio, va chiarito che il giudice d’appello che intenda procedere alla “reformatio in peius” di una sentenza assolutoria di primo grado, emessa all’esito di giudizio ordinario o abbreviato, non ha l’obbligo di rinnovare la prova dichiarativa decisiva qualora emerga che la lettura della prova compiuta dal primo giudice sia stata travisata per omissione, invenzione o falsificazione (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, cit., Rv. 269786 – 01).
Il altri termini, tanto per il giudizio ordinario quanto per quello abbreviato, il giudice d’appello – che, in riforma di una sentenza assolutoria affermi invece la responsabilita’ dell’imputato – ha l’obbligo di procedere alla rinnovazione delle prove dichiarative ritenute decisive e diversamente valutate rispetto al primo giudizio, soltanto nei casi in cui effettivamente vi sia stata una differente “valutazione” del significato della prova dichiarativa, con la conseguenza che una differente valutazione deve escludersi quando il documento, che la prova dichiarativa incorpora, risulti semplicemente “travisato”, quando, cioe’, emerga che la lettura della prova sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita’ cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato) e, percio’, non puo’ sorgere alcuna esigenza di rivalutazione di tale contenuto attraverso una nuova audizione del dichiarante (v. Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, cit., in motiv.).
La sentenza del Tribunale, nella sua estrema stringatezza, non aveva fatto leva su alcuna prova dichiarativa, decisiva o non decisiva che fosse, ad evidente dimostrazione del fatto che il primo Giudice aveva del tutto omesso qualsiasi valutazione in proposito, incorrendo pertanto in un errore revocatorio per omissione, in quanto aveva dato per inesistenti fatti, oggetto di prove dichiarative ed estromessi dal perimetro cognitivo della deisione, incontrovertibilmente esistenti agli atti del processo.
4. Manifestamente infondato e’ anche il terzo motivo di entrambi i ricorsi, con il quale i ricorrenti eccepiscono l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni perche’ disposte sulla base di notizia ricevuta da fonte confidenziale in violazione dell’articolo 203 c.p.p..
Occorre in premessa precisare, trattandosi di questione che rileva anche in relazione a successive doglianze che saranno di seguito esaminate e con le quali e’ stata parimenti eccepita l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni e/o delle videoriprese, che, in tema di ricorso per cassazione, e’ onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilita’ di atti processuali indicare, pena l’inammissibilita’ del ricorso per genericita’ del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi’ la incidenza sul complessivo compendio indiziario gia’ valutato, si’ da potersene inferire la decisivita’ in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 – 01).
Tanto premesso, posto che nel caso in esame tale onere e’ stato completamente inosservato da entrambi i ricorrenti, la Corte d’appello, nel respingere analoga censura, ha affermato come le notizie di reato, sulla cui base i decreti di intercettazioni furono emessi, fondassero sull’attivita’ di osservazione diretta da parte della polizia giudiziaria.
Sul punto la giurisprudenza di legittimita’ e’ ferma nel ritenere che i risultati delle intercettazioni di conversazioni disposte sulla base di fonti confidenziali o anonime acquisite dalla polizia giudiziaria sono utilizzabili a condizione che queste ultime non siano gli unici elementi posti a supporto della valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di reato e che le operazioni siano state autorizzate anche sulla base di altri elementi emersi che le integrino (Sez. 6, n. 42845 del 26/06/2013, Bonanno, Rv. 257295 – 01; Sez. 6, n. 10051 del 03/12/2007, dep. 2008, Ortiz, Rv. 239458 – 01).
Ne consegue che la fonte confidenziale ben puo’ costituire il punto di partenza dell’attivita’ investigativa, purche’ la stessa si sviluppi poi autonomamente, come indubbiamente avvenuto nel caso di specie, circostanza evincibile sulla base della lettura degli atti processuali cui la Corte ha accesso attesa la natura processuale del vizio denunciato.
Infatti, i decreti autorizzativi fanno esplicito riferimento alle annotazioni di polizia giudiziaria ed al fatto che gli operatori di polizia giudiziaria avevano constatato de visu che nei locali si svolgesse l’attivita’ di prostituzione, con la conseguenza che, nel caso di specie, l’informazione assunta dal confidente anonimo ha costituito un mero dato storico dal quale hanno preso avvio indagini d’iniziativa della polizia giudiziaria, che hanno portato autonomamente ad acquisire ulteriori elementi valutati nella motivazione del decreto di autorizzazione.
5. Il secondo motivo del ricorso (OMISSIS), il quarto motivo del ricorso (OMISSIS) ed il quinto motivo di entrambi i ricorsi possono essere congiuntamente esaminati.
5.1. Con essi si eccepisce il malfunzionamento dei sistemi di videoripresa con conseguente scarsa visibilita’ delle immagini nonche’ l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni e delle videoriprese in relazione ai filmati registrati dall’Autorita’ Giudiziaria all’interno dei camerini prives.
Secondo i ricorrenti, l’impugnata sentenza avrebbe erroneamente affermato la legittima utilizzazione dei filmati in quanto registrati da telecamere private e, costituendo pertanto prove documentali, non necessitavano della previa autorizzazione dell’autorita’ giudiziaria, laddove, invece, le prove su cui si era fondata la decisione erano costituite non gia’ da filmati di un inesistente sistema di sicurezza interno del locale, ma dalle risultanze di telecamere installate dalla stessa Polizia Giudiziaria.
Sostengono poi che la richiesta del pubblico ministero e la relativa autorizzazione del GIP si limitavano, rispettivamente, a chiedere e a consentire le intercettazioni audio di conversazioni e comunicazioni tra presenti, con esclusione delle riprese video di comportamenti non comunicativi, tanto sul presupposto dell’utilizzabilita’ delle video registrazioni di comportamenti non comunicativi se avvenuti in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico.
Ma tale non poteva essere ritenuto il prive’ di un locale, che per sua stessa definizione non e’ pubblico o aperto al pubblico, intendendosi con tale concetto quello al quale chiunque puo’ accedere a determinate condizioni, oppure quello frequentabile da un’intera categoria di persone o comunque da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilita’ giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi sul luogo esercita un potere di fatto o di diritto.
5.2. Cio’ posto, la Corte territoriale ha chiarito come, in relazione ai filmati registrati dalle telecamere del circuito di video sorveglianza, interno al circolo, la qualita’ delle immagini non potesse costituire motivo di inutilizzabilita’, influendo al massimo sulla loro rilevanza probatoria, e come i filmati costituissero, in quanto registrati da telecamere private, prove documentali, non necessitanti della previa autorizzazione dell’autorita’ giudiziaria.
La motivazione e’ ineccepibile per le videoriprese eseguite in luoghi diversi dai prives mentre, quanto a questi ultimi, la Corte d’appello non ha preso alcuna posizione al riguardo, essendosi limitata ad affermare come, nel corso delle indagini, la polizia giudiziaria avesse proceduto all’identificazione delle ragazze, dopo averne osservato le gesta nei filmati ripresi dalle telecamere installate nel corso delle intercettazioni ambientali o di quelle facenti parte del circuite interno di videosorveglianza.
Le Sezioni unite Prisco hanno affermato che le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei “documenti” di cui all’articolo 234 c.p.p., mentre le medesime videoregistrazioni eseguite dalla polizia giudiziaria, anche d’iniziativa, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’articolo 189 c.p.p. (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234267 – 01).
E’ stato anche affermato, con la medesima pronuncia (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, cit., Rv. 234270 – 01), che le riprese video di comportamenti “non comunicativi” non possono essere eseguite all’interno del “domicilio”, in quanto lesive dell’articolo 14 Cost., con la conseguenza che ne e’ vietata la loro acquisizione ed utilizzazione e, in quanto prova illecita, non puo’ trovare applicazione la disciplina dettata dall’articolo 189 c.p.p. (si veda, anche, Corte Cost. n. 135 del 2001).
E’ stato anche precisato che le videoregistrazioni eseguite in ambienti in cui e’ garantita l’intimita’ e la riservatezza, non riconducibili alla nozione di “domicilio”, sono prove atipiche, soggette ad autorizzazione motivata dell’A.G. e alla disciplina dettata dall’articolo 189 c.p.p..
E’ stato pertanto chiarito che i c.d. prive’ di un locale notturno non possono essere considerati “domicilio”, neppure nel tempo in cui sono occupati da persone, in quanto il concetto di domicilio individua un particolare rapporto con il luogo in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre la persona da ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, cit., Rv. 234269 – 01).
Il diritto alla riservatezza o piu’ in generale il diritto al rispetto della vita privata ha infatti un riconoscimento costituzionale nell’articolo 2 Cost., arricchito dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dall’articolo 11 del patto Internazionale sui diritti civili e politici.
Nondimeno, sul piano costituzionale, il diritto alla riservatezza non gode di tutela analoga a quella apprestata dall’articolo 14 Cost. per il domicilio, sicche’, anche in mancanza di una disciplina specifica, le riprese visive che lo sacrificano devono ritenersi consentite e suscettibili di utilizzazione probatoria a norma dell’articolo 189 c.p.p. ma devono essere eseguite, se’dirette a captare comportamenti non comunicativi, sulla base di un provvedimento motivato dell’autorita’ giudiziaria, sia essa il pubblico ministero o il giudice; provvedimento che non puo’ mancare perche’ e’ necessario che la limitazione del diritto alla riservatezza venga disposto con decreto motivato dell’autorita’ giudiziaria, mentre se dirette a captare comportamenti comunicativi Segue le regole stabilite per l’esecuzione delle operazioni di intercettazione ambientale (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, cit., in motiv.).
Su questa scia, la giurisprudenza di legittimita’ ha anche chiarito (e nuovamente a proposito dei prives di locali notturni) come il concetto di domicilio individui un rapporto tra la persona e un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolge la vita privata, in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli, quindi, la riservatezza; ma il rapporto tra la persona e il luogo deve essere stabile, cioe’ tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona sia assente. In altre parole, la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, fa si’ che il domicilio diventi un luogo che esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne abbia la titolarita’, perche’ il luogo stesso rimane connotato dalla personalita’ del titolare. Diversamente, nel caso dei prives dei locali notturni, il luogo in quanto tale non riceve alcuna tutela, perche’ manca il requisito della stabilita’, potendovi entrare chiunque: il cliente, infatti, vi si apparta con la ragazza per un periodo di tempo limitato e, generalmente, sotto il controllo vigile del personale. Ne consegue che l’esecuzione di videoriprese da parte della polizia giudiziaria all’interno di tale luogo non e’ vietata, anche se deve essere previamente autorizzata dall’autorita’ giudiziaria (Sez. 3, n. 35725 del 18/05/2011, M., Rv. 251279 e in motiv.).
Da quanto si e’ detto, appare evidente come, in tema di videoriprese eseguite in ambiente privato, occorra distinguere i comportamenti “comunicativi” da quelli “non comunicativi”.
Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale, per comportamenti “comunicativi”, intercettabili solo previa autorizzazione del giudice e, quindi, secondo le regole dettate dall’articolo 266 c.p.p. segg., si intendono quelli finalizzati a trasmettere il contenuto di un pensiero mediante la parola, i gesti, le espressioni fisiognomiche o altri atteggiamenti idonei a manifestarlo (Sez. 6, n. 52595 del 04/11/2016, F., Rv. 268936 – 01), mentre la nozione di comportamenti “non comunicativi” va desunta in controluce, essendo tali tutti i comportamenti diversi da quelli comunicativi, ossia quelli che non consistono nello scambio di messaggi fra piu’ soggetti, in qualsiasi modo realizzati (attraverso un colloquio orale oppure anche gestuale), cosicche’ l’attivita’ di intercettazione non e’ diretta a captare “messaggi”, ma esclusivamente ad acquisire immagini relative alla mera presenza di cose o persone o ai loro movimenti, senza alcun nesso funzionale con la captazione di messaggi intenzionalmente trasmessi da un soggetto ad un altro.
Nel primo caso, ossia in tema di comportamenti “comunicativi”, la giurisprudenza di legittimita’, nella composizione piu’ autorevole, ha percio’ ritenuto che le videoriprese siano legittime alle stesse condizioni in cui possono essere legittimamente disposte le intercettazioni ambientali; nel caso, invece, di comportamenti “non comunicativi”, consegue l’illegittimita’ delle operazioni captative e l’inutilizzabilita’ dei relativi esiti, in mancanza di un congruo provvedimento giustificativo (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, cit., in motiv.)
Con orientamento che il Collegio condivide ed al quale occorre dare continuita’, la giurisprudenza di legittimita’ ha pure ritenuto che, in tema di videoriprese in ambiente privato, il fatto che si tratti di riprese di comportamenti “comunicativi” ovvero “non comunicativi” vada apprezzato con criterio prognostico ex ante, tenuto cioe’ conto del momento in cui le operazioni sono state autorizzate dall’autorita’ giudiziaria, prescindendo dagli esiti delle operazioni stesse, con la conseguenza che devono ritenersi legittimi e utilizzabili gli esiti delle videoriprese, se legittimamente autorizzate (secondo una valutazione da effettuare ex ante del relativo provvedimento), per apprendere – in uno eventualmente con le intercettazioni ambientali sonore – eventuali comunicazioni gestuali di interesse a fini investigativi, pur se – ex post – rivelatesi solo rappresentative di condotte materiali non comunicative (Sez. 4, n. 12362 del 12/02/2008, Fera Andali, non mass.).
Conclusivamente – stabilito che il regime delle videoregistrazioni di comportamenti “comunicativi” replica il sistema previsto per le intercettazioni ambientali – occorre operare, quanto invece alle videoregistrazioni di comportamenti “non comunicativi”, una diversificazione in relazione al luogo in cui l’attivita’ di captazione e’ svolta, nel senso che le videoriprese: a) se sono eseguite in luoghi pubblici, ovvero aperti o esposti al pubblico, possono essere effettuate dalla polizia giudiziaria, anche d’iniziativa (senza che occorra un provvedimento motivato dell’Autorita’ Giudiziaria) ed esse rientrano nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’articolo 189 c.p.p.; b) se sono eseguite in ambienti non riconducibili alla nozione di “domicilio” ma nei quali debba essere garantita l’intimita’ e la riservatezza, rientrano nell’ambito delle prove atipiche, soggette percio’ alla disciplina dettata dall’articolo 189 c.p.p. ma necessitano dell’autorizzazione motivata dell’Autorita’ Giudiziaria (anche con riferimento allo scopo perseguito ovvero agli elementi probatori suscettibili di essere acquisiti attraverso l’atto intrusivo) e devono essere giustificate in modo congruo rispetto alla invasivita’ dell’atto e alle esigenze dell’indagine; c) se sono eseguite all’interno del domicilio, vanno qualificate come prove illecite in quanto lesive dell’articolo 14 della Cost., mancando una normativa ordinaria conforme alla disposizione costituzionale, con la conseguenza che e’ vietata acquisizione ed utilizzazione; ne’ puo’ trovare applicazione la disciplinala loro dettata dall’articolo 189 c.p.p. in materia di prove atipiche, non potendo includersi nella categoria delle prove “non disciplinate dalla legge” quelle fondate su un’attivita’ che e’, invece, vietata dalla legge.
5.3. Nel caso in esame, dagli atti del procedimento che la Corte e’ abilitata a consultare in considerazione della natura processuale del vizio denunciato, risulta che le videoriprese sono state eseguite in cinque luoghi: 1) prive’ del locale notturno, 2) zona cassa del locale notturno, 3) zona spogliatoio del locale notturno, 4) zona ingresso e 5) zona d’uscita dal locale notturno.
Quanto alle videoriprese effettuate nella zona ingresso ed uscita dal locale notturno, nonche’ effettuate nella zona cassa del locale notturno, trattandosi di luoghi aperti ed esposti al pubblico, le videoriprese potevano essere effettuate dalla Polizia Giudiziaria, anche d’iniziativa, con la conseguenza che le predette riprese visive debbono ritenersi pacificamente utilizzabili come prove (atipiche) nel giudizio abbreviato celebrato nel presente procedimento.
Quanto alle riprese visive nei camerini in cui avvenivano gli incontri, i c.d. prives del locale notturno, risulta (peraltro dagli stessi atti allegati ai ricorsi) che il giudice per le indagini preliminari, analizzando la richiesta del pubblico ministero del (OMISSIS) (dove era specificatamente indicato lo scopo della richiesta di autorizzazione con specifica indicazione degli elementi probatori suscettibili di essere acquisiti attraverso l’atto intrusivo: individuazione della ragazze che esercitavano il meretricio nei prives; individuazione dei clienti; individuazione delle modalita’ di pagamento della prestazione sessuale) e dando atto del contenuto dell’annotazione di polizia giudiziaria del 21 gennaio 2012, ha emesso il decreto di intercettazione 30 gennaio 2012, autorizzando il pubblico ministero a disporre le operazione di intercettazione di conversazioni e di comunicazioni tra presenti all’interno del circolo privato “(OMISSIS)” limitatamente ai locali prives dove si svolgeva la prostituzione e alle altre stanze nelle quali l’indagato interagiva con le ballerine ed i clienti.
E’ di tutta evidenza come un provvedimento del genere sia idoneo a coprire certamente le videoriprese aventi ad oggetto comportamenti comunicativi, con la conseguenza che i risultati delle intercettazioni effettuate con videocamera all’interno di un luogo privato sono utilizzabili nella parte in cui attengono a dati oggetto di comunicazioni, comprendendo tale locuzione non soltanto l’esposizione del proprio pensiero mediante l’uso di linguaggio, quale e’ la conversazione, ma nella accezione di comunicazione con altri anche mediante linguaggio non convenzionale, quale e’ quello gestuale, il quale puo’ essere intercettato solo attraverso la captazione di immagini.
Infatti il vigente codice di rito autorizza l’intercettazione delle comunicazioni tra presenti e non delle sole conversazioni tra presenti, mentre non regola ogni altra captazione di immagini non avente natura di messaggio intenzionalmente trasmesso da un soggetto a un altro (Sez. 4, n. 11181 del 19/01/2005, Besnik, Rv. 231047 – 01; Sez. 1, n. 16965 del 29/01/2003, Augugliaro, Rv. 224240 01).
Cio’ posto, proprio dalla richiesta del pubblico ministero e dal provvedimento autorizzativo del Gip emerge come l’intercettazione fosse finalizzata ex ante a captare comportamenti anche non comunicativi che, pertanto, necessitavano ab origine di apposita autorizzazione che, nella specie, manca.
Di conseguenza, a ragione, i ricorrenti eccepiscono l’inutilizzabilita’ dei risultati della captazione, avvenuta nei luoghi privati, dei comportamenti non comunicativi e, a torto, l’inutilizzabilita’ invece dei risultati ottenuti con riferimento ai comportamenti comunicativi e alla documentazione acquisita nei luoghi aperti o esposti al pubblico.
5.4. Tuttavia, non risulta che la Corte d’appello abbia fondato, come sara’ piu’ chiaro inseguito, il verdetto di condanna sulla base dei risultati delle intercettazioni censurate.
Al netto dei passaggi argomentativi, citati a pagina 10 della sentenza impugnata dove si fa riferimento alla circostanza che “nel corso delle indagini, poi, la P.G. procedeva all’identificazione delle ragazze, secondo le generalita’ indicate nel capo di imputazione, dopo averne osservato le gesta nei filmati ripresi dalle telecamere installate nel corso delle intercettazioni ambientali o di quelle facenti parte del circuito interno di videosorveglianza” e a pagina 8 secondo cui “le risultanze dell’attivita’ di captazione tecnica erano compendiate dalla P.G. nell’annotazione dell’11.3.2012, nella quale si dava atto dei numerosi incontri di carattere sessuale tra i clienti e le ragazze, registrati nel periodo di tempo autorizzato. A titolo esemplificativo, si vedano i fotogrammi del 4.3.2012 riproducenti rapporti sessuali tra clienti e ballerine all’interno dei prives”, il giudizio di colpevolezza e’ stato fondato sulla base degli atti di indagine, sulle prove documentali e dichiarative e sulle intercettazioni debitamente autorizzate.
Allora, per destrutturare l’esito decisorio, i ricorrenti erano onerati, pena l’inammissibilita’ del ricorso per genericita’ del motivo, di indicare gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi’ la incidenza sul complessivo compendio indiziario gia’ valutato, si’ da potersene inferire la decisivita’ in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 – 01), onere del tutto disatteso.
Su questa scia, la giurisprudenza di legittimita’ ha infatti precisato, con orientamento che il Collegio condivide ed al quale occorre dare continuita’, come sia inammissibile per genericita’ del motivo il ricorso per cassazione con cui la parte eccepisce l’inutilizzabilita’ di videoriprese ad oggetto comportamenti di tipo non comunicativo omettendo di indicare quali sarebbero gli elementi probatori ricavati dalle stesse effettivamente utilizzati per adottare la sentenza impugnata (Sez. 6, n. 35149 del 11/05/2010, Trapani, Rv. 249367 – 01).
Sulla base di queste ultime considerazioni i motivi di ricorso devono pertanto ritenersi inammissibili.
6. Il sesto ed il settimo motivo di entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati e presentati nei casi non consentiti,
6.1. Con congrua motivazione, priva di vizi di manifesta illogicita’ e, pertanto, insuscettibile di essere sindacata in sede di giudizio di legittimita’, la Corte d’appello ha premesso come la vicenda processuale traesse origine da circostanze apprese direttamente dagli operanti all’interno del circolo privato (OMISSIS), a partire dal gennaio del 2012. In particolare, gli operanti si avvedevano che alcuni clienti si appartavano con le ragazze, che lavoravano nel circolo, dopo aver corrisposto del denaro a (OMISSIS), coimputato, giudicato separatamente.
A cio’ si aggiungeva una conversazione, carpita all’esterno del locale, nel corso della quale un cliente si vantava con un amico di aver avuto un rapporto sessuale con una ballerina di nome (OMISSIS), in corrispettivo di 100 Euro.
Nel marzo del 2012, previa autorizzazione del GIP di Aosta, prendeva avvio l’attivita’ di intercettazione telefonica relativa all’utenza in uso a (OMISSIS) e di intercettazione ambientale all’interno di due dei quattro prives, di cui il circolo era dotato, nonche’ nei pressi della zona cassa e dello spogliatoio.
Si delineava inoltre il ruolo dei vari personaggi interessati economicamente al meretricio, tra cui quello dei ricorrenti.
In particolare, (OMISSIS) risultava essere il presidente del circolo privato. Ne veniva accertata la presenza costante all’interno dello stesso e la collaborazione con (OMISSIS) nella gestione delle ragazze (cfr. verbali degli accertamenti eseguiti in data 5 – 8 marzo 2012; verbali di ascolto e registrazione del 2, 3, 4 e 6 marzo 2012).
(OMISSIS), in qualita’ di dipendente, si occupava di riscuotere i pagamenti dai clienti, ne controllava l’ingresso e l’uscita dai prives. (cfr. verbale di ascolto e registrazione del 7 marzo 2012).
Alla luce di tali emergenze, il GIP autorizzava l’intercettazione telefonica delle utenze in uso agli odierni imputati.
Dalla complessiva attivita’ di captazione tecnica traeva conferma il coinvolgimento degli stessi imputati nell’attivita’ di prostituzione delle ragazze che lavoravano alle dipendenze di (OMISSIS).
Alla presenza di quest’ultimo, infatti, avveniva, prima, la scelta delle ragazze da parte dei clienti e, poi, la contrattazione tra questi ultimi e, principalmente, il coimputato (OMISSIS).
A titolo esemplificativo, la sentenza impugnata cita il verbale di accertamenti del 14/15 marzo 2012, nel quale si da’ atto dei numerosi incontri a carattere sessuale avvenuti durante quella notte, dei quali il (OMISSIS) riscuoteva il pagamento, presente (OMISSIS).
In quello stesso atto di indagine, peraltro, si dava atto del fatto che, ad un certo punto della serata, (OMISSIS) avesse preso il posto di (OMISSIS) nella contrattazione con i clienti.
Analoghe circostanze sono state desunte dal verbale di P.G. del 18/19 marzo 2012, nel quale si legge della presenza di (OMISSIS) allo scambio di denaro tra il cliente e (OMISSIS), nonche’ di diversi pagamenti fatti dai clienti nelle mani di (OMISSIS).
A proposito del ruolo di (OMISSIS), la Corte territoriale ha reputato significativo anche il verbale di P.G. del 23/24 marzo 2012, nel quale si dava atto che l’imputato giungeva presso il locale portando un sacchetto, contenente calze e scarpe, che consegnava ad una delle ragazze.
Sempre quella sera si acquisivano ulteriori riscontri alla funzione di (OMISSIS), dato che era rilevato come lo stesso, su indicazione di (OMISSIS), controllasse che non vi fossero sforamenti nei tempi delle singole prestazioni sessuali.
Che (OMISSIS) facesse le veci di (OMISSIS), in assenza di questo, nel riscuotere il denaro dai clienti e controllare la durata di ciascun incontro a pagamento, emergeva dai seguenti verbali di P.G.: 14/15 marzo 2012; 15/16 marzo 2012; 16/17 marzo 2012; 18/19 marzo 2012; 21/22 marzo 2012; 22/23 marzo 2012; 25/26 marzo 2012.
Da tutto cio’, ossia prevalentemente da atti di indagine diversi dalla captazione di comportamenti non comunicativi, il giudice di secondo grado ha tratto I convincimento che (OMISSIS) fosse presente nei locali del circolo privato; nello stesso si susseguivano, ogni sera, rapporti sessuali a pagamento tra le ragazze e i clienti; (OMISSIS) era principalmente preposto a riscuotere i pagamenti, ma spesso era sostituito da (OMISSIS), il quale, assiduamente presente anch’egli, si occupava, tra l’altro, di vigilare sul corretto svolgimento degli incontri e di respingere i clienti molesti.
A tale ultimo proposito, la Corte distrettuale cita il verbale, gia’ richiamato, del 15/16 marzo 2012, nel quale si dava atto dell’allontanamento di un cliente da 25 parte di (OMISSIS) e del fatto che costui si preoccupasse, poi, di consolare la ragazza molestata.
(OMISSIS) si occupava di ingaggiare le ragazze, le quali si esibivano nel circolo privato quali ballerine di (OMISSIS) e, all’occorrenza, come prostitute e, a tal proposito, sono state ritenute rilevanti le conversazioni nn. 7 del 19 marzo 2012 e 288 del 18 marzo 2012.
Nella prima (OMISSIS) e (OMISSIS) si confrontavano sulla bellezza delle aspiranti ballerine; nella seconda, (OMISSIS) contattava (OMISSIS) per saggiarne il grado di soddisfazione e l’intenzione di assumere o meno alcune ragazze.
Rilevanti sono state ritenute la conversazione n. 287 del 18.3.2012, dalla quale emerge come, su indicazione di (OMISSIS), le ragazze inviassero i curricula e le foto all’indirizzo mail di (OMISSIS), nella speranza di essere assunte.
I rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) erano delineati anche dalle conversazioni nn. 326 del 19 marzo 2012; 66 e 76 del 6 marzo 2012; 147 del 7 marzo 2012, con riferimento alle quali trovano conferma il ruolo di organizzatore di (OMISSIS) nell’impartire direttive a (OMISSIS) circa la gestione delle ragazze e di costante controllo dell’imputato su tutti gli aspetti dell’attivita’ delle giovani.
Ulteriori conferme della colpevolezza dei ricorrenti sono state poi tratte dalle dichiarazioni rese nel corso delle indagini dai clienti del circolo privato.
Si fa riferimento in particolare al racconto di (OMISSIS), il quale raccontava le trattative per poter consumare un rapporto sessuale con una delle ragazze, di nome (OMISSIS), all’esterno del circolo privato.
L’uomo riferiva che la ragazza gli aveva detto che avrebbe dovuto discutere la cosa con (OMISSIS), il quale gli chiese 100 Euro per poter portare con se’ la ragazza.
La P.G. osservava direttamente le trattative tra i tre, che riportava nel verbale di accertamenti del 4 marzo 2012. Veniva osservato dapprima il dialogo tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Poi, la conversazione tra quest’ultimo e (OMISSIS); la consegna di denaro da parte di (OMISSIS) a (OMISSIS); poi l’uscita della ragazza e del cliente ed il ritorno al circolo, dopo la consumazione del rapporto sessuale in un albergo vicino.
Significative altresi’ sono state ritenute le dichiarazioni rese da (OMISSIS), il quale faceva riferimento a (OMISSIS) come colui che, oltre a servire ai tavoli, annunciava la fine della prestazione sessuale alla scadenza del tempo consentito.
In tal senso riferiva anche (OMISSIS), cosi’ come accertava direttamente la P.G. nel corso dei servizi dell'(OMISSIS). Nel primo caso, la P.G. descriveva l’incontro tra (OMISSIS) e la ragazza e l’intervento di (OMISSIS), quando questi, consultando l’apposito registro sul quale (OMISSIS) annotava tutti gli incontri, si avvedeva della fine del convegno.
Nella seconda occasione, gli operanti osservavano (OMISSIS), il quale’, dopo aver consegnato i soldi a (OMISSIS) e consumato un primo rapporto nel prive’, non pago, dava altri soldi direttamente alla ragazza, la quale li passava a (OMISSIS) e, da questi, giungevano a (OMISSIS).
Alla luce di tutti gli elementi sopra descritti, tratti sulla base degli accertamenti di polizia giudiziaria, di prove dichiarative e di intercettazioni legittimante eseguite, la Corte d’appello ha ritenuto che non vi fossero dubbi in merito alla colpevolezza dei ricorrenti, essendo risultato, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, come, all’interno del circolo privato (OMISSIS), vi fossero incontri sessuali a pagamento tra i clienti e le ragazze, come fosse emerso altrettanto incontestabilmente che le giovani fossero ingaggiate dall’imputato (OMISSIS), il quale ne riceveva i curricula e le assumeva alle proprie dipendenze ove ritenute sufficientemente avvenenti. Dal testo della sentenza impugnata emerge che il ricorrente si preoccupava della sistemazione delle ragazze, dando, anche in questo senso, direttive al piu’ stretto collaboratore (OMISSIS).
(OMISSIS), a giudizio della Corte d’appello, era perfettamente consapevole che le ragazze intrattenessero i clienti anche sessualmente, essendo spesso presente all’interno del circolo ed assistendo alle trattative tra i clienti e (OMISSIS) e al passaggio di denaro dai primi al secondo.
A proposito di (OMISSIS), la Corte territoriale ha segnalato come non potesse mettersi in dubbio che lo stesso, oltre a servire ai tavoli e a fare le veci di (OMISSIS) in assenza di questo, fosse preposto al controllo della durata degli incontri sessuali, avvertendo i clienti che il tempo era scaduto, noncurante di cio’ che era in corso all’interno del prive’.
Sulla base di tale precisa ricostruzione, la Corte di appello ha ritenuto che il (OMISSIS) fosse perfettamente consapevole della reale attivita’ delle ragazze, visto che era costantemente presente nel locale e che tutto si svolgeva sotto i suoi occhi, dopo che lo stesso le aveva ingaggiate e nonostante ricevesse dalle giovani parte dei compensi.
Altrettanto falsata e’ apparsa l’interpretazione del ruolo svolto da (OMISSIS) in termini di mera protezione nei confronti delle ragazze, essendo emerso incontestabilmente come questo, in realta’, si preoccupasse che i clienti si soffermassero all’interno dei prives per il tempo strettamente necessario, ovvero fosse preposto a fare le veci di (OMISSIS) in mancanza di questo.
6.2. Nel conseguire tali approdi, la Corte di appello ha fatto leva su elementi di prova legittimamente acquisiti al processo e neppure specificamente contestati dai ricorrenti che, rispetto al logico e congruo apparato motivazionale, si sono riparati dietro una generica ed indiscriminata inutilizzabilita’ dei risultati probatori ed hanno sollevato censure generiche e assertive, come tali tipicamente fattuali e, quindi, non consentite.
A questo proposito, e’ il caso di ricordare che, in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione e’ normativamente preclusa la possibilita’ di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi.
Cio’ vale anche a seguito della modifica dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per effetto della L. n. 46 del 2006, restando precluse al giudice di legittimita’ la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di diversi parametri di ricostruzione dei fatti stessi, con la conseguenza che il riferimento, contenuto nel nuovo testo dalla norma citata, agli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” non vale a mutare la natura del giudizio di legittimita’, al quale rimane estraneo il controllo sulla congruita’ della motivazione in rapporto ai dati processuali (Sez. 5, n. 19855 del 22/03/2006, Blandino, Rv. 234095).
Rimanendo allora nell’ambito dell’indagine sul testo della sentenza impugnata, resta da considerare che le doglianze sollevate si risolvono, nella sostanza, in rilievi che, sollecitando una diversa lettura del materiale probatorio, attingono il merito della regiudicanda, opzione non consentita nel giudizio di legittimita’ in quanto, secondo gli insegnamenti in proposito impartiti dalle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, il vizio di motivazione, che risulti dal testo del provvedimento impugnato o (a seguito della novella apportata all’articolo 606 c.p.p., lettera e) dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8) da altri atti del processo specificamente indicati nel ricorso, in tanto Sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621).
Infatti, come piu’ volte affermato dalla Corte regolatrice, l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato al giudice di legittimita’ essere limitato – per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al gi dice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944), con la specificazione che l’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ le ragioni del convincimento siano spiegate in modo logico e adeguato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
Ne consegue che, al cospetto di una compiuta valutazione sulla responsabilita’ degli imputati, l’apparato logico della decisione impugnata appare corredato da una motivazione adeguata e priva di vizi di manifesta illogicita’ sui temi di prova, oggetto dei motivi di ricorso, i quali – tralasciando di considerare dati probatoriamente rilevanti enunciati nella sentenza impugnata e neppure specificamente confrontandosi con essi, parcellizzando impropriamente le risultanze processuali e trincerandosi dietro le formali figure rivestite (di Presidente del circolo e di cameriere), ampiamente superate dalla motivazione della sentenza impugnata – si connotano per essere, oltre che manifestamente infondati, anche estranei al perimetro disegnato per il giudizio di legittimita’.
6.3. Tantomeno sono fondati i rilievi circa la qualificazione giuridica data dalla Corte d’appello ai fatti contestati e ritenuti in sentenza.
Va detto, con riferimento alle censure sollevate da entrambi i ricorrenti, come la giurisprudenza di legittimita’, con specifico riferimento ad attivita’ sessuali eseguite nei “prives” di un locale, abbia ritenuto che integra il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, qualsivoglia attivita’ sessuale posta in essere dietro corrispettivo di denaro, con la possibilita’, per il cliente, di interagire sulle attivita’ compiute dalla prostituta (Sez. 3, n. 37188 del 22/06/2010, S., Rv. 248559 – 01), chiarendo che integra il delitto de quo la condotta, nella specie sussistente, diretta a favorire e sfruttare prestazioni che oggettivamente siano tali da stimolare l’istinto sessuale (Sez. 3, n. 13039 del 12/02/2003, Centenaro, Rv. 224116 – 01), con la conseguenza che risponde di favoreggiamento o agevolazione dell’altrui prostituzione colui che organizzi o promuova ((OMISSIS)) o presti la sua opera ( (OMISSIS)) a qualsiasi tipo di attivita’ sessuale posta in essere dietro corrispettivo di denaro.
Nel sussumere le condotte nell’ambito delle fattispecie incriminatrici contestate, la Corte d’appello ha ampiamente chiarito come fosse pienamente integrato l’elemento soggettivo a carico del (OMISSIS) e come le condotte dello (OMISSIS) fossero casualmente orientate alla realizzazione degli eventi dei reati, che sono stati contestati in un unico capo, sebbene sdoppiato in relazione alle prestazioni sessuali erogate all’interno o all’esterno del circolo, tant’e’ che non e’ stato operato alcun aumento per la continuazione, neppure con riferimento alle condotte di favoreggiamento e sfruttamento, i cui diversi titoli di reato sono tra loro indubbiamente concorrenti (Sez. 3, n. 40539 del 27/09/2007, Pietrobelli, Rv. 238005 – 01).
7. Manifestamente infondate sono anche le doglianze circa il trattamento sanzionatorio (ottavo motivo di entrambi i ricorsi).
La Corte d’appello ha tenuto conto dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. ed ha concesso ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche, valutate in misura equivalente all’unica aggravante ritenuta (numero delle persone).
Nel determinare la pena per il reato base, diversificando la posizione del (OMISSIS) (ritenuta piu’ grave) dalla posizione dello (OMISSIS) (ritenuta meno grave), la Corte territoriale ha poi tenuto conto del numero di ragazze (dodici) coinvolte nell’attivita’ di meretricio e dell’intensa attivita’ rilevata, erogando le pene ritenute di Giustizia.
Esposte le ragioni per le quali il Giudice di merito ha ritenuto di determinare la pena base al di sopra della media edittale, la motivazione, avendo considerato il disvalore penale dei fatti (numero delle ragazze attinte) e l’atteggiamento soggettivo (l’intensita’ delle condotte delittuose), non si presta a censure di inadeguatezza ed illogicita’.
Peraltro, le aggravanti (pacifica quella del numero delle persone la cui prostituzione e’ stata organizzata, agevolata, favorita e sfruttata) sono state sterilizzate dalle attenuanti generiche, benevolmente concesse, dovendosi poi considerare che il giudice puo’ tenere conto di un elemento, che aggravi la pena ma che sia stato sterilizzato dal giudizio di comparazione tra circostanze, e puo’ assegnargli preminente rilievo allorquando abbia anche l’attitudine (nella specie stimata con riferimento alle modalita’ di commissione del fatto e alla gravita’ della condotta) a influire, per la sua polivalenza, sulla determinazione della pena.
8. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere rigettati, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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