Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 30 ottobre 2019, n. 44198.
Massima estrapolata:
Non commette il reato di autoriciclaggio l’amministratore che distrae l’azienda che apparteneva a una società fallita, reimpiegandola nelle attività economiche di un’altra costituita ad hoc.
Sentenza 30 ottobre 2019, n. 44198
Data udienza 4 luglio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Presidente
Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere
Dott. PELLEGRINO Andr – rel. Consigliere
Dott. PARDO Ignazio – Consigliere
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, nel procedimento a carico di (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.r.l., entrambi rappresentati ed assistiti dall’avv. (OMISSIS), di fiducia;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, n. 48/2019, in data 11/03/2019;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Dott. Pellegrino Andrea;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale Dott. Luigi Cuomo che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udita la discussione del difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento in data 08/02/2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo rigettava la richiesta di sequestro preventivo per equivalente di beni per il valore di Euro 9.154.198,00 nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di cui all’articolo 648-ter. 1 c.p. (capo 2), per ritenuta insussistenza del fumus delicti commissi di tale reato, con conseguenziale rigetto della medesima richiesta nei confronti della persona giuridica (OMISSIS) s.r.l. per l’illecito amministrativo di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-octies (capo 4).
2. Secondo l’Accusa, il (OMISSIS), nella qualita’ di amministratore della (OMISSIS) s.r.l., avendo commesso il delitto di cui all’articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 223 in relazione all’articolo 216, comma 1, n. 1, impiegava nelle attivita’ imprenditoriali della predetta societa’ l’azienda distratta in danno della fallita (OMISSIS) s.r.l., in modo concretamente idoneo a celarne la provenienza delittuosa grazie alla conclusione del contratto di affitto di azienda datato 31/10/2013 (in Palermo dal 1 gennaio 2015, con condotta perdurante): in altre parole, al (OMISSIS) viene contestato di aver distratto l’azienda appartenente ad una societa’ fallita e di averla quindi reimpiegata nelle attivita’ economiche di una nuova societa’ appositamente costituita.
3. Avverso detto provvedimento reiettivo, il pubblico ministero proponeva appello avanti al Tribunale di Palermo che, con ordinanza in data 11/03/2019, rigettava il gravame ritenendo in sostanza che la condotta di autoriciclaggio fosse priva di quella concreta idoneita’ dissimulatoria della provenienza delittuosa del bene riciclato, richiesta dalla norma.
4. Avverso detta ordinanza, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo propone ricorso per cassazione, lamentando l’erronea applicazione di legge. In particolare, si assume che, l’articolo 648-ter.1 c.p., nell’utilizzare il predicativo in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa, non abbia voluto fare riferimento ad un connotato esclusivo della condotta di autoriciclaggio in se’ per se’, ma abbia voluto riferirsi al risultato complessivo dell’azione, derivante cioe’ dal combinato della condotta di autoriciclaggio in senso stretto e del delitto presupposto. Se, dunque, gia’ il delitto presupposto ha in se’ l’idoneita’ ad occultare la provenienza delittuosa del bene, non e’ necessario che la successiva condotta di autoriciclaggio sia dotata di ulteriori particolari accorgimenti dissimulatori. Cio’ varrebbe a maggior ragione allorche’ l’ulteriore elemento ingannatorio insito nel delitto presupposto continui a spiegare i propri effetti nel corso della condotta di autoriciclaggio, che di esso si alimenta. Nel caso concreto, la distrazione e’ avvenuta simulando un contratto di affitto di azienda in favore di nuova societa’ formalmente amministrata e partecipata dai familiari degli esponenti della fallita: si tratta di un congegno gia’ di per se’ idoneo a far apparire una situazione di legittimita’ del complesso negoziale, e quindi a far apparire l’azienda come di provenienza non delittuosa. Occorre allora evidenziare che i “titoli” che hanno consentito e “legittimato” l’impiego vero e proprio, sono stati sia il contratto di affitto di azienda che la costituzione della nuova societa’, elementi che hanno “alimentato” la condotta di autoriciclaggio perpetuando l’effetto ingannatorio del delitto presupposto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e, come tale, immeritevole di accoglimento.
2. La valutazione effettuata dal giudice del provvedimento impugnato, in punto assenza di condotta punibile, e’ da ritenersi del tutto condivisibile. Invero, la stipula di un simulato contratto d’affitto dell’azienda datato 31.10.2013 dalla (OMISSIS) s.r.l. (successivamente dichiarata fallita) in favore della (OMISSIS) s.r.l., integrando l’atto distrattivo del patrimonio sociale divenuto punibile a seguito della declaratoria di fallimento del 2015, non integra allo stesso tempo la condotta illecita di autoriciclaggio che per la sua punibilita’ richiede il compimento di ulteriori atti diretti alla dissimulazione dell’oggetto materiale del reato.
Al fine di evitare la doppia punibilita’ della medesima condotta, infatti, il legislatore, con la introduzione della fattispecie di cui all’articolo 648-ter.1 c.p., ha richiesto che a seguito della consumazione del delitto presupposto vengano poste in essere ulteriori condotte aventi natura decettiva, peraltro solo costituite da impiego in attivita’ economiche o finanziarie.
3. Infatti, come si vedra’ nel prosieguo, la sola consumazione del delitto presupposto non integra ex se anche la diversa ipotesi dell’autoriciclaggio e quindi l’atto distrattivo non puo’ integrare allo stesso tempo bancarotta per distrazione e autoriciclaggio.
3.1. Nella fattispecie, poiche’ dalla lettura dell’imputazione del capo 1) dell’incolpazione provvisoria risulta espressamente che viene contestato quale atto distrattivo la concessione in affitto dell’azienda datata 31.10.2013, tale attivita’ non pare idonea anche ad integrare il delitto di autoriciclaggio per la cui configurazione e’ richiesto che l’autore del delitto presupposto dopo la consumazione dello stesso compia condotte di dissimulazione sul bene oggetto del precedente illecito, nel caso di specie non individuate: ritenere che il delitto presupposto abbia in se’ l’idoneita’ ad occultare la provenienza delittuosa del bene e, quindi, non necessiti di ulteriori particolari accorgimenti dissimulatori, altro non significa che confondere ed assimilare – facendole coincidere – l’elemento materiale del reato di bancarotta fraudolenta con quella di autoriciclaggio che, pero’, richiede condotte, logicamente e cronologicamente, differenti rispetto a quella del reato presupposto, oltre che accorgimenti dissimulatori volti ad ostacolare l’identificazione della provenienza dei beni.
3.1.1. Del resto, come evincibile dal dato letterale (e come sostenuto da Sez. 2, n. 33074 del 14/07/2016, Babuleac e altro, Rv. 267459, in motivazione), la norma sull’autoriciclaggio punisce soltanto quelle attivita’ di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilita’ commesse dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano pero’ la caratteristica precipua di essere idonee ad “ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
Il dettato normativo, dunque, induce a ritenere che si tratti di fattispecie di pericolo concreto, dal momento che esso non lascia dubbi circa la necessita’ che il giudice penale sia costretto a valutare l’idoneita’ specifica della condotta posta in essere dall’agente ad impedire l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni. Ne consegue, che per la configurabilita’ del reato di autoriciclaggio, si richiede una condotta dotata di particolare capacita’ dissimulatoria, idonea a provare che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto attuare un impiego finalizzato ad occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto, sicche’ vengono in rilievo tutte le condotte di sostituzione che avvengono attraverso la reimmissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita, finalizzate a conseguire un concreto effetto dissimulatorio che sostanzia il quid pluris o “segmento ulteriore” che differenzia la condotta di godimento personale, insuscettibile di sanzione, dell’occultamento del profitto illecito, penalmente rilevante (cfr., Sez. 2, n. 30401 del 07/06/2018, Ceoldo, Rv. 272970).
3.1.2. La riprova della necessita’ di questo quid pluris si ricava in modo plastico osservando proprio i rapporti tra autoriciclaggio e bancarotta: come gia’ affermato dalla giurisprudenza, il ritenere punibile come autoriciclaggio il mero trasferimento delle somme distratte verso imprese (sul solo presupposto della fisiologica destinazione delle medesime all’operativita’ aziendale di queste ultime), finirebbe per sanzionare penalmente due volte la stessa condotta quando le somme sottratte alla garanzia patrimoniale dei creditori sociali siano dirette verso imprenditori, generando, rispetto a tale situazione specifica, un’ingiustificata sovrapposizione punitiva tra la norma sulla bancarotta e quella di cui all’articolo 648-ter. 1 c.p. (Sez. 5, n. 8851 del 01/02/2019, Petricca, Rv. 275495).
3.2. Sotto altro profilo, va evidenziato come la condotta di autoriciclaggio descritta dal pubblico ministero, oltre a tradursi in una non consentita operazione di duplicazione del reato presupposto, non appare ossequiosa del disposto dell’articolo 2 c.p..
3.2.1. Tale essendo la ricostruzione dei fatti, il reato di autoriciclaggio risulta chiaramente non contestabile nel caso in esame perche’ il fatto risulta essere stato compiuto prima della introduzione della previsione normativa che ha codificato la fattispecie penale di cui all’articolo 648-ter. 1 c.p. introdotta solo con la L. 15 dicembre 2014 n. 186; invero, posto che l’autoriciclaggio e’ reato che si consuma nel momento in cui l’autore del reato presupposto pone in essere le condotte di impiego, sostituzione o trasformazione del denaro o dei beni costituenti oggetto materiale del delitto presupposto ed e’ quindi fattispecie essenzialmente istantanea, nel caso in esame la condotte di impiego dell’azienda oggetto materiale della bancarotta che vengono sempre contestate sotto il profilo dell’articolo 648-ter. 1 c.p., sono state commesse prima dell’1 gennaio 2015.
3.2.2. Questa Suprema Corte, in tema di individuazione del momento consumativo della analoga fattispecie di riciclaggio, ha gia’ avuto modo di affermare che il delitto di riciclaggio si consuma con la realizzazione dell’effetto dissimulatorio conseguente alle condotte tipiche previste dall’articolo 648-bis c.p., comma 1, (sostituzione, trasferimento o altre operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di denaro, beni o altre utilita’), non essendo invece necessario che il compendio “ripulito” sia restituito a chi l’aveva movimentato (Sez. 2, n. 1857 del 16/11/2016, dep. 2017, Ferrari, Rv. 269316).
3.2.3. Nell’affermare tale principio, si e’ fatta sostanziale applicazione delle regole gia’ dettate in relazione alla fattispecie generale dei delitti contro il patrimonio che punisce la movimentazione del profitto illecito derivante dalla consumazione di un delitto presupposto e cioe’ la ricettazione. Anche in tema di ricettazione, infatti, si e’ affermato come il delitto in parola abbia carattere istantaneo e si consumi nel momento in cui l’agente ottenga il possesso della cosa (Sez. 2, n. 19644 del 08/04/2008, Di Gabriele, Rv. 240406).
4. L’applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame comporta affermare che ad ogni operazione di impiego dell’azienda di costruzioni ed appalti pubblici attuata dagli autori del reato presupposto di bancarotta fraudolenta sia conseguita una condotta rientrante nella fattispecie dell’autoriciclaggio; tuttavia, quando tali condotte siano state tutte consumate antecedentemente all’introduzione nel dicembre del 2014 della ipotesi criminosa di cui all’articolo 648-ter. 1 c.p., le stesse non risultano punibili senza che rilevi la durata dei contratti stipulati ovvero l’aggiudicazione di appalti in capo all’azienda fraudolentemente trasferita. Invero, il pagamento del canone di affitto o del prezzo di vendita dell’azienda ceduta non configura una autonoma ipotesi punibile ne’ tanto meno lo e’ l’aggiudicazione degli appalti che sono entrambe condotte rientranti negli effetti del reato gia’ consumato al momento della stipula del contratto con il quale si stabilisce la cessione in affitto od a titolo di vendita. Del resto, anche a voler ritenere che la commissione del reato a monte sia disfunzionale rispetto alla successiva condotta di autoriciclaggio, non puo’ non evidenziarsi che e’ la stessa condotta di autoriciclaggio che si sarebbe consumata a quella data.
Ne’ puo’ ritenersi condivisibile la tesi del pubblico ministero secondo cui il reato di cui all’articolo 648-ter. 1 c.p. “puo’ avere natura di reato eventualmente di durata”, a meno di non voler ritenere che dal momento di entrata in vigore del nuovo reato, ogni attivita’ di impresa precedentemente finanziata mediante proventi di natura illecita, si sarebbe dovuta interrompere: circostanza che, all’evidenza, non e’ in alcun modo realizzabile.
Ne’, infine, a soccorso della tesi del pubblico ministero, puo’ invocarsi l’orientamento giurisprudenziale che ritiene irrilevante ai fini della configurabilita’ del reato di autoriciclaggio l’epoca di realizzazione del reato presupposto. Invero, nella fattispecie, il reato presupposto (bancarotta fraudolenta) risulta successivo al delitto di autoriciclaggio, il che non e’ possibile: infatti, la consumazione del delitto di bancarotta coincide con la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, ancorche’ la condotta, commissiva od omissiva, si sia esaurita anteriormente, in quanto detta sentenza ha natura di elemento costitutivo del reato (cfr., Sez. 5, n. 40477 del 18/05/2018, Alampi, Rv. 273800; Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli e altro).
5. In ogni caso, seppure dovesse ritenersi possibile che le attivita’ distrattive poste in essere da parte dell’imprenditore dichiarato fallito configurino un’ipotesi di concorso dei reati di bancarotta fraudolenta e di autoriciclaggio, allorquando il bene sottratto alla par condicio creditorum venga poi ad essere impiegato nel tessuto economico produttivo con riutilizzazione dell’oggetto materiale del reato presupposto, e’ pero’ sempre necessario che gli atti di cessione in vendita o concessione di affitto siano successivi alla introduzione della norma incriminatrice (1 gennaio 2015) altrimenti non potendosi contestare le condotte se non – come detto – in violazione del fondamentale canone di cui all’articolo 2 c.p..
6. Alla pronuncia non consegue alcuna condanna alle spese e alla sanzione a favore della Cassa delle ammende, attesa la qualita’ di parte pubblica del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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