Corte di Cassazione, penale, Sentenza|9 agosto 2021| n. 31171.
Reati concernenti le armi e la mera coabitazione con l’illegittimo detentore.
In tema di reati concernenti le armi, la mera coabitazione con l’illegittimo detentore dell’arma non è sufficiente a configurare un concorso nella detenzione abusiva. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la responsabilità della moglie per il reato di detenzione abusiva di armi da parte del marito reputando non desumibile la condotta di codetenzione dalla semplice conoscenza della presenza dell’arma nell’abitazione). (Conf. n. 7101 del 1988, Rv. 178626-01).
Sentenza|9 agosto 2021| n. 31171. Reati concernenti le armi e la mera coabitazione con l’illegittimo detentore
Data udienza 2 aprile 2021
Integrale
Tag – parola: Detenzione illegale di armi da fuoco – Conoscenza della presenza delle armi all’interno dell’abitazione da parte del coniuge dell’imputato – Esclusione della penale responsabilità – Insussistenza del requisito della detenzione – Annullamento senza rinvio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TARDIO Angela – Presidente
Dott. BIANCHI Michele – Consigliere
Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Consigliere
Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere
Dott. CAIRO Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/04/2019 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere CAIRO ANTONIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ELISABETTA CENICCOLA;
Il PG conclude chiedendo siano dichiarati inammissibili entrami i ricorsi.
udito il difensore:
L’avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
Uditi: la Dott.ssa Ceniccola Elisabetta, sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
La difesa, in sostituzione dell’avvocato (OMISSIS), che si e’ riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
Reati concernenti le armi e la mera coabitazione con l’illegittimo detentore
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 18 aprile 2019, in riforma della decisione del Tribunale di Rieti del 23 giugno 2017- appellata da (OMISSIS) e (OMISSIS)- eliminava dalle imputazioni ascritte ai capi A ed E il riferimento all’arma clandestina, di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, articolo 23 e dalle imputazioni sub B e F il riferimento alla L. 2 ottobre 1967, n. 895, articolo 7. Dichiarava il reato ascritto al capo C assorbito in quello di cui al capo A ed eliminava la pena relativa.
Rideterminava la sanzione, previa declaratoria d’estinzione per prescrizione della contravvenzione di cui al capo D:
– per (OMISSIS) in quella di anni due mesi sei di reclusione ed Euro 7500 di multa;
– per (OMISSIS) in quella di un anno e tre mesi di reclusione ed Euro 2500 di multa.
Confermava, nel resto, la sentenza impugnata e ordinava la confisca dell’arma e della munizione in sequestro, con versamento alla competente direzione di artiglieria.
1.1. La polizia giudiziaria, il 18 giugno 2014, rinveniva presso l’abitazione in Fara Sabina (in provincia di Rieti) – ove vivevano (OMISSIS) e sua moglie (OMISSIS) – un fucile mitragliatore del tipo Kalashnikov AK47, calibro 7,92 per 33. L’arma era illegalmente detenuta; risultava da guerra o di cosiddetto tipo guerra ed era munita di caricatore. Gli operanti repertavano, altresi’, un fucile monocolpo, Martini Henry Mark 2, di calibro 45/577, arma comune da sparo priva di matricola e, pertanto, ritenuta clandestina. Era sottoposta a sequestro anche una munizione del calibro 7,92 per 33 idonea ad essere esplosa dall’AK47.
Riteneva il Tribunale di Rieti che il Kalashnikov e il fucile monocolpo fossero stati illegalmente importati da (OMISSIS) che li aveva introdotti dal Pakistan, come contestatogli ai capi E e F della rubrica.
Reati concernenti le armi e la mera coabitazione con l’illegittimo detentore
Il P.M. aveva disposto una consulenza balistica sul Kalashnikov e sul fucile monocolpo oltre che sulla munizione sequestrata. Il Tribunale, dal suo canto, aveva ordinato una perizia, risultando le armi e la munizione atte all’impiego. Gli imputati si erano difesi, affermando (OMISSIS), funzionario dell’ambasciata italiana all’estero, che i due fucili gli erano stati donati nel 2010 in Pakistan da un notabile del luogo e che, per caso, aveva rinvenuto nello Yemen la munizione sequestrata. Aveva detenuto le armi nella casa familiare in mostra ritenendole non atte all’impiego.
Dichiarazioni analoghe aveva reso la (OMISSIS).
La Corte d’appello riteneva infondate le deduzioni in punto di responsabilita’ degli imputati in ordine ai reati afferenti alle armi da sparo.
Per arma da fuoco, secondo la normativa vigente, osservava, si doveva intendere qualsiasi strumento portatile con canna che espelle o e’ progettato per espellere un colpo, una pallottola o un proiettile con l’azione di una combustione propellente. Sarebbe stato, altresi’, conforme alla definizione anzidetta ogni altro oggetto suscettibile di essere trasformato con la finalita’ suddetta.
Il Tribunale aveva, pertanto, ricondotto i fucili alla nozione di arma da fuoco ed aveva concluso ritenendo che entrambi fossero atti all’impiego.
Tale era l’AK 47 perche’ la consulenza del P.M. e la perizia balistica avevano determinato l’esito positivo della prova eseguita. Il kalashnikov aveva esploso, infatti, la munizione sequestrata. Non era stato possibile sparare “a raffica” per la mancanza di altre munizioni di calibro idoneo e poiche’ il caricatore in sequestro non era adatto all’impiego particolare in quell’arma. Avendo esploso, comunque, un colpo di prova, l’arma era ritenuta idonea all’impiego e risultava, secondo la definizione normativa di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, articolo 1, arma da guerra o tipo guerra. Nessun problema creava l’altro fucile all’esito degli esami disposti.
Si trattava, invero, di arma comune da sparo.
Entrambe erano, pertanto, atte all’impiego e risultavano detenute nell’abitazione di Fara Sabina, senza averne fatto preventiva denuncia all’autorita’.
(OMISSIS), egualmente, per anni aveva consapevolmente e volontariamente contribuito a detenere le armi. Esse erano in vista nel salotto e la donna aveva ammesso di aver spostato il kalashnikov per fare le pulizie.
(OMISSIS), poi, era pacifico che avesse introdotto nel territorio dello Stato le armi, provenienti dal Pakistan. Per il fucile Martini, pur potendo, non aveva chiesto l’apposita licenza. L’arma era priva di numeri di matricola ed era, pertanto, da ritenere clandestina.
Non sarebbe stata applicabile, poi, l’attenuante della L. n. 895 del 1967, articolo 5, che non risultava configurabile per le armi clandestine.
Riteneva la Corte d’appello che la detenzione della munizione non eccedesse la capacita’ di carica del Kalashnikov e, pertanto, la relativa contravvenzione dovesse ritenersi assorbita nel delitto di detenzione illegale del fucile mitragliatore.
Andava poi esclusa la contestazione di arma clandestina, ascritta ai capi A ed E, riferendosi alle sole armi comuni da sparo.
Per i delitti ascritti ai capi B ed F la detenzione dell’arma comune da sparo era, dunque, coperta dalla sola contestazione afferente all’arma clandestina.
La condotta relativa alla detenzione di una zanna d’avorio, tenuta a vista nel salotto, era oramai prescritta, essendo documentata la disponibilita’ gia’ dall’anno 1996.
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), con il ministero del difensore di fiducia Avv. (OMISSIS) e deduce quanto segue.
Reati concernenti le armi e la mera coabitazione con l’illegittimo detentore
2.1 In relazione alla condanna, per l’introduzione e la detenzione nel territorio dello Stato del Kalashnikov, come arma da guerra, si duole della ritenuta attitudine all’impiego (quale arma tipo guerra). La decisione sarebbe stata illogica e contraddittoria, in relazione a quanto indicato nella perizia (OMISSIS) e nella consulenza (OMISSIS).
Si duole, altresi’, il ricorrente del vizio di violazione di legge (L. n. 895 del 1967, articoli 1 e 2, L. n. 110 del 1975, articolo 1 e articoli 42 e 47 c.p.). Lamenta l’attitudine all’impiego dell’arma e al funzionamento automatico per sparo a raffica, caratteristica che connota l’arma da guerra o tipo guerra ai sensi della L. n. 895 del 1967, articolo 1.
Premesse le ricostruzioni peritali, osserva il ricorrente che il fucile AK 47 e’ dotato di un calibro inconsueto (7,92 per 33) che risulta incompatibile con il caricatore rinvenuto, accessorio in dotazione all’AK 47 calibro 7,62 per 39.
La cartuccia rinvenuta era stata, infatti, esplosa attraverso la preventiva carica manuale. Per il tiro a raffica occorreva altro tipo di caricatore. I tentativi di reperire sul mercato l’accessorio erano stati vani e non si era potuto procedere al tiro automatico. Si era, pertanto, concluso che il fucile fosse idoneo all’esplosione di colpo singolo previa carica manuale. Non era stato possibile verificare la funzionalita’ dell’arma per il tiro automatico poiche’ non erano stati reperiti gli accessori necessari (caricatore e relativo munizionamento).
Il consulente (OMISSIS) non era stato in grado di dire se il selettore presente sull’arma, che permetteva il passaggio dal colpo singolo allo sparo a raffica fosse effettivamente funzionante.
La sentenza impugnata rivelava la sua intrinseca contraddittorieta’. Aveva ritenuto, infatti, l’idoneita’ dell’arma al funzionamento in modalita’ di tiro automatico senza che il perito avesse posto un accertamento specifico sul punto.
L’impugnazione aveva devoluto, peraltro, al giudice d’appello la questione sul dolo richiesto dalla norma incriminatrice: se esso dovesse ritenersi esteso anche ai requisiti oggettivi della fattispecie che, nella vicenda in esame, erano rappresentati dalle caratteristiche dell’arma (che ne avrebbero permesso la definizione di arma da guerra o tipo guerra), oltreche’ dalla effettiva attitudine all’impiego.
Rilevavano le dichiarazioni dell’imputato circa la convinzione di aver ricevuto un dono e di detenere un oggetto inidoneo all’impiego, non qualificabile come arma da guerra o tipo guerra. L’errore indicato cadeva sugli elementi materiali della fattispecie e sul fatto costituente reato, cosi’ da rilevare ai sensi dell’articolo 47 c.p..
2.2. Con il secondo motivo di deduce peri capi B ed F, sulla relativa contestazione di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 23, per il fucile Martini Herny, arma comune da sparo, il vizio di motivazione in ordine alle consulenze (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che la violazione della L. n. 110 del 1975, articoli 2 e 23 e articoli 42 e 47 c.p., sull’idoneita’ dell’arma all’impiego.
Il nucleo centrale della questione stava nel fatto che era stata ritenuta provata l’anzidetta attitudine, nonostante non si fosse reperita una cartuccia atta ad essere esplosa dal fucile e, dunque, che si fosse dato per provato cio’ che al contrario si sarebbe dovuto provare. Non era stata eseguita, invero, per questa ragione la “prova di sparo”, attivita’ necessaria per giungere a quella conclusione.
Il fucile apparteneva ad un tipo di arma con calibro obsoleto (risalente alle guerre coloniali) e costituiva quello richiamato indicatore dell’assenza di dolo, che si estendeva a coprire l’attitudine all’impiego, con conseguente errore sul fatto costituente reato, rilevante ai sensi dell’articolo 47 c.p.. Si era cosi’ motivato su un dolo relativo alla sola introduzione dell’arma nel territorio dello Stato, senza soffermarsi sull’attitudine allo sparo del fucile.
2.3. Con il terzo motivo, sviluppato in subordine al primo dei motivi di ricorso, si era censurata la condanna per i capi A ed E in relazione all’introduzione nel territorio dello Stato dell’AK 47, qualificato arma da guerra. Sul tema si era censurata la motivazione, che aveva negato la circostanza attenuante di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 5, del fatto di lieve entita’ e la contraddittorieta’ con gli accertamenti contenuti nella perizia (OMISSIS) e nella consulenza tecnica di parte, (OMISSIS).
La motivazione risultava contraddittoria e non coerente con le risultanze istruttorie degli accertamenti eseguiti. Il Giudice di merito, tra gli altri, aveva richiamato il criterio della elevata capacita’ di fuoco e della elevata pericolosita’ per la vita e l’incolumita’ personale.
La conclusione si poneva in contrasto con l’esito della perizia che non aveva potuto verificare nessuna specifica idoneita’ dell’arma all’impiego.
2.4. Con il quarto motivo, sviluppato in subordine al secondo dei motivi di ricorso, si censura la condanna per il capo F, in relazione all’introduzione nel territorio dello Stato del fucile Martini Henry, qualificato come arma comune da sparo. Sul tema si era criticata la motivazione che aveva negato la circostanza attenuante di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 5, del fatto di lieve entita’ e la contraddittorieta’ con gli accertamenti contenuti nella perizia (OMISSIS) e in subordine si era dedotta l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 5 L. cit. nella parte in cui escludeva l’applicazione della circostanza anzidetta per le armi comuni da sparo rispetto alle armi da guerra o tipo guerra.
Il diniego era stato motivato richiamando la clandestinita’ dell’arma. Essa clandestinita’ caratterizzerebbe le armi da guerra e solo marginalmente quelle comuni da sparo. Escludere l’attenuante per queste ultime e ammetterla per le prime sarebbe, appunto, stato irragionevole.
2.5. Con il quinto motivo si deduce il vizio di motivazione e di violazione di legge sul trattamento sanzionatorio, non essendo specificati, in relazione agli aumenti per la continuazione, le frazioni di pena per i capi F e B. Si era, dunque, proceduto all’aumento in modo immotivato e indistinto oltre che cumulativo, contravvenendo ad un orientamento consolidato di questa Corte di cassazione.
3. Ricorre, ancora, per cassazione (OMISSIS), con il ministero del suo difensore di fiducia, avvocato avv. (OMISSIS) e deduce quanto segue.
3.1. Con il primo, secondo, terzo e quarto motivo propone interamente le deduzioni avanzate nell’interesse di (OMISSIS) e si puo’ per brevita’ operare integrale rinvio a quanto gia’ esplicitato.
Reati concernenti le armi e la mera coabitazione con l’illegittimo detentore
3.2. Con il quinto motivo si duole la ricorrente della violazione dell’articolo 40 c.p., comma 2 e dei requisiti necessari per individuare il concorso di persone nel reato e del dolo, oltre cheti vizio di motivazione.
La (OMISSIS), coniuge dell’imputato, non aveva responsabilita’ concorrente ai sensi dell’articolo 110 c.p., sia in punto materiale che sotto il profilo del dolo. Il suo rapporto con le armi costituiva nient’altro che l’effetto del rapporto di coniugio e di convivenza con (OMISSIS). A costui, infatti, era stata attribuita la condotta di introduzione, nel territorio dello Stato, delle armi ricevute in dono.
La conoscenza e la tolleranza della presenza nel domicilio delle armi non equivaleva a fattiva e attiva collaborazione che dava luogo a compartecipazione criminosa.
3.3. Con separato motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine alla motivazione sulla determinazione del trattamento sanzionatorio, non avendo indicato il Giudice di merito le ragioni che suggerivano di discostarsi dai minimi edittali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di (OMISSIS) e’ fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perche’ non sussistono i fatti di concorso che le sono stati ascritti.
Infondato, contrariamente, e’ il ricorso di (OMISSIS) e va respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La decisione impugnata non analizza, invero, il rapporto esistente tra la condotta di (OMISSIS) (moglie dell’imputato) e quella di (OMISSIS) in relazione al possesso dell’arma oggetto di contestazione. L’articolazione motivazionale si limita a dare conto della conoscenza da parte di (OMISSIS) dell’arma, che era appesa nel soggiorno e a spiegare che la donna l’aveva spolverata.
Da cio’ ha inferito il fatto di partecipazione e il dolo relativo.
Deve, tuttavia, osservarsi che, nel rapporto di convivenza, la semplice “conoscenza” della presenza dell’arma all’interno della abitazione non puo’ dar luogo – ex se – alla penale responsabilita’ per illecita detenzione dell’arma, in capo all’altro convivente. Se e’ vero, infatti, che la nozione di “detenzione” implica una relazione stabile del soggetto con la cosa e, dunque, un “minimo apprezzabile” di autonoma disponibilita’ del bene da parte dell’agente (Sez. F., del 30/08/2012, n. 09, Bedin, rv 253425), cio’ nel caso in esame e’ da escludersi, posto che si versa al cospetto di una condizione di mera tolleranza da parte della (OMISSIS) della detenzione altrui. Resta in ombra, invero, alla luce delle emergenze processuali se si sia al cospetto di un concorso effettivo della donna nella detenzione da ascrivere certamente al marito. La mera coabitazione con l’illegittimo detentore di un’arma non puo’, infatti, far presumere la necessaria codetenzione dell’arma stessa (Sez. 2 del 19.4.1988). Ne’ puo’ ritenersi che la donna omettendo altri comportamenti avesse dato un contributo causale alla condotta altrui abbracciandone con piena e cosciente consapevolezza la tipicita’ del fatto. Cosi’ ragionando, nel caso in esame, il concorso nel delitto si inferirebbe dal solo rapporto di coniugio e dalla condizione obiettiva di coabitazione, a fronte della eventuale decisione di omettere di denunciare l’altrui comportamento, denuncia che la (OMISSIS) avrebbe dovuto assumere nei confronti del marito. Del resto, la nozione di “detenzione” implica un minimo apprezzabile di autonoma disponibilita’ del bene (Sez. 1, n. 16992 del 12/12/2014, dep. 2015, Genovese, Rv. 263311), e non ritiene il Collegio che sia configurabile solo animo.
Non sussiste, pertanto, il concorso ascritto nei confronti di (OMISSIS) e la sentenza impugnata va annullata, per quanto detto, senza rinvio.
2. Diversa e’ la posizione di (OMISSIS).
Reati concernenti le armi e la mera coabitazione con l’illegittimo detentore
2.1 In relazione alla condanna, per l’introduzione e la detenzione nel territorio dello Stato del Kalashnikov come arma da guerra, si e’ visto come il ricorrente censuri la decisione in ordine alla ritenuta attitudine all’impiego (quale arma tipo guerra). Cio’ perche’ essa non avrebbe trovato supporto ne’ nella perizia (OMISSIS), ne’ nella consulenza (OMISSIS), non essendo attestata l’idoneita’ di essa arma allo sparo a raffica, aspetto che ne caratterizzerebbe l’appartenenza alla categoria delle armi da guerra.
Le deduzioni svolte sono infondate.
A parte una serie di accertamenti in fatto richiamati dal ricorrente, si deve annotare come l’arma in questione fosse stata sottoposta ad accertamenti e come essa avesse esploso il colpo singolo, unico, di cui si disponeva.
Cio’ attestava la perfetta funzionalita’ dell’AK 47 e la sua idoneita’ all’impiego.
Tutti i rilievi sul funzionamento della leva di selezione da sparo singolo a sparo a raffica e sulla difficolta’ di reperire un caricatore idoneo all’impiego dell’arma nella sua modalita’ a raffica non colgono nel segno.
Non si tratta, invero, di accertare che tipo di uso avesse in animo (OMISSIS) di operare del Kalashnikov, ma di una caratteristica obiettiva dell’arma, idonea allo sparo se munita delle dotazioni adeguate.
D’altro canto, alcun dubbio puo’ sussistere dalla perizia svolta sul fatto che se attrezzata con le munizioni adeguate e con il caricatore seriale, l’arma avrebbe sparato, come aveva ritenuto il Giudice distrettuale.
Si e’ creata, cioe’, una situazione di difficolta’ in fase di esecuzione della perizia che non ha permesso di procurare munizioni e caricatore. Cio’ non dimostra affatto, tuttavia, come ha correttamente ritenuto la Corte territoriale,che non vi fosse la prova che il fucile sparasse anche a raffica, avendo esploso il colpo singolo, senza alcun problema.
Correttamente la Corte distrettuale ha, poi, ritenuto sussistente il dolo richiesto dalla norma incriminatrice.
Ne’ invertono la lettura dei fatti le dichiarazioni di (OMISSIS) sulla convinzione di aver ricevuto un dono e di detenere un oggetto inidoneo all’impiego, non qualificabile come arma da guerra o tipo guerra, per inferirne una condizione d’errore sugli elementi materiali della fattispecie e sul fatto costituente reato, cosi’ da rilevare ai sensi dell’articolo 47 c.p.. Ipotesi siffatta era esclusa ex se dalla obiettiva presentazione dell’arma che era stata data con caricatore e colpo.
Se erronea percezione v’era, essa si risolveva in un errore sul precetto come tale ininfluente ai fini del dolo.
2.2. Infondato, e per piu’ versi inammissibile, e’ anche il secondo motivo di ricorso. Con esso si e’ dedotta l’insussistenza della contestazione di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 23, per il fucile Martini Herny, non risultando atto all’impiego.
La Corte distrettuale ha, invero, ritenuto che l’attitudine allo sparo sussistesse, nonostante non si fosse reperita una cartuccia atta ad essere esplosa dal fucile. La mancanza della prova di sparo non vale, di per se’, ad escludere la rilevanza penale del fatto, trattandosi di una verifica accidentale ed eventuale che avrebbe permesso quella conclusione solo ad esito positivo dell’accertamento. Contrariamente il mancato rinvenimento della cartuccia che avrebbe dovuto fondare la prova di sparo, non vale ex se a supportare il ragionamento della difesa, in difetto di altri elementi che potessero ancorarlo a dati obiettivi. Al di la’ della vetusta’ del modello di arma, aspetto non risolutivo della questione, il fucile era privo di segni tangibili che potessero attestare un cattivo funzionamento o addirittura l’inidoneita’ allo sparo. Non presentava, infatti dall’esame eseguito mancanza di pezzi essenziali o altre alterazioni che potessero mettere in discussione il suo funzionamento.
Il reato di specie e’ un delitto di pericolo astratto, in cui la valutazione di potenziale offensivita’ e’ eseguita direttamente dalla legge, in funzione del tipo di condotta. In concreto, pertanto, facendo difetto altri elementi che potessero indirizzare a una inidoneita’ dell’arma all’impiego, non vale la mancanza della prova di sparo a mettere in discussione il ragionamento seguito dai giudici territoriali.
Ne’ ricorre un’ipotesi di assenza di dolo, con conseguente errore sul fatto costituente reato, rilevante ai sensi dell’articolo 47 c.p., errore che non si intende da cosa sarebbe stato indotto e non valendo in questa prospettiva, neppure la vetusta’ del modello o la risalenza storica dell’arma.
2.3. Il terzo, quarto e quinto motivo possono essere trattati congiuntamente. Con il terzo motivo si era censurata la condanna per i capi A ed E in relazione all’introduzione nel territorio dello Stato dell’AK 47, qualificato arma da guerra. Sul tema si era censurata la motivazione che aveva negato la circostanza attenuante di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 5 del fatto di lieve entita’.
Il Giudice di merito, tra gli altri, ha, invero, richiamato il criterio della elevata capacita’ di fuoco e della elevata pericolosita’ per la vita e l’incolumita’ personale. La motivazione e’ stata sviluppata non attraverso la specifica idoneita’ dell’arma all’impiego, ma valorizzando, appunto, il tipo di fucile, AK 47, indiscutibilmente arma da guerra.
Quanto al fucile di cui al capo F, in relazione all’introduzione nel territorio dello Stato (Martini Henry), era stata esclusa l’attenuante in questione, di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 5, del fatto di lieve entita’, trattandosi di arma clandestina.
Secondo gli orientamenti piu’ accreditati di questa Corte di legittimita’ anche per l’arma comune da sparo che, per essere dotata di minore potenzialita’ offensiva, sarebbe possibile l’applicazione della circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entita’, di cui alla L. 2 ottobre 1967, n. 895, articolo 5, al porto ed alla detenzione ad essa relativi (Sez. 1, n. 9842 del 01/06/1987, Labate, Rv. 176673).
Si e’ osservato che, in tema di armi, la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entita’, di cui alla L. 2 ottobre 1967, n. 895, articolo 5 e’ applicabile al porto e alla detenzione di una pistola cal. 6,35, in quanto la stessa e’ un’arma comune da sparo dotata di minore potenzialita’ offensiva (Conf. Sez. 1, n. 9842 del 01/06/1987, Labate, Rv. 176673; Sez. 6, n. 7271 del 19/12/2019, dep. 2020, Ulisse, Rv. 278351; Sez. 1, n. 5469 del 19/12/2001, dep. 2002, Vitale, Rv. 221340). Al contrario in materia di armi clandestine, la cui qualita’ dell’arma le attribuisce una portata offensiva maggiore, non e’ possibile riconoscere l’anzidetta circostanza attenuante (Sez. 1, n. 14624 del 06/03/2008, Vespa, Rv. 239905; Sez. 1 n. 43805 del 15/11/2017, dep. 2018, De Stefano, Rv. 274484).
Si intende allora come non ricorra alcun dubbio di costituzionalita’ e come la questione sollevata incidentalmente sia manifestamente infondata. La scelta di prevedere l’esclusione della circostanza in esame per i casi in cui si enuclei una portata lesiva maggiore della condotta di detenzione dell’arma, valorizzando la caratteristica della qualita’ oggettiva e’ legata alla particolarita’ che esse armi esprimono una pericolosita’ maggiore, alla luce dell’impossibilita’ di risalire alla sua provenienza.
Si tratta di un nucleo di disvalore nella tipicita’ del fatto che ben puo’ indurre a negare l’attenuante in questione e che trova giustificazione nella scelta legislativa che si pone sul piano della razionalita’ e non dell’arbitrio.
2.5. Infine, il motivo di ricorso sul trattamento sanzionatorio non si confronta con il particolare che ricorre un solo aumento per continuazione, aspetto che rende il motivo generico e privo del necessario crisma di specificita’.
2.6. Con il quinto motivo di deduce il vizio di motivazione e di violazione di legge sul trattamento sanzionatorio, non essendo specificati, in relazione agii aumenti per la continuazione, le frazioni di pena per i capi F e B. Si era, dunque’, proceduto all’aumento in modo immotivato e indistinto oltre che cumulativo contravvenendo ad un orientamento consolidato di questa Corte di cassazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), perche’ i fatti non sussistono. Rigetta il ricorso proposto da (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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