Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 aprile 2023| n. 10808
La realizzazione dell’opera in modo parzialmente difforme dalle prescrizioni del permesso di costruire
In tema di appalto, la realizzazione dell’opera in modo parzialmente difforme dalle prescrizioni del permesso di costruire non determina la nullità dell’appalto, sicché l’appaltatore che abbia agito quale “nudus minister” del committente, seguendone pedissequamente le direttive e le istruzioni nell’esecuzione del contratto, non può ritenersi responsabile per inadempimento e conserva il diritto al compenso.
Ordinanza | n. 10808. La realizzazione dell’opera in modo parzialmente difforme dalle prescrizioni del permesso di costruire
Data udienza 30 gennaio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: APPALTO PRIVATO – CONTRATTO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28460/2021 R.G., proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), con elezione di domicilio in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.N.C., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), con domicilio in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 480/2021, pubblicata in data 20.8.2021;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30.1.2023 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
La realizzazione dell’opera in modo parzialmente difforme dalle prescrizioni del permesso di costruire
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. (OMISSIS) ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 361/2013, ottenuto dalla (OMISSIS) s.n.c. per il pagamento del prezzo dell’appalto dei lavori di ricostruzione di un immobile sito in (OMISSIS), danneggiato dal sisma del 1997, eccependo che l’immobile era totalmente difforme dalla concessione, avendo l’impresa elevato il tetto di 20 cm., e che il contratto era nullo per violazione delle norme urbanistiche.
Ha chiesto di revocare l’ingiunzione e di condannare l’impresa al risarcimento dei danni.
In contraddittorio con la (OMISSIS) s.n.c. il Tribunale di Spoleto ha respinto l’opposizione, ponendo le spese a carico del (OMISSIS).
La sentenza e’ stata confermata in appello.
Anche la Corte distrettuale ha ritenuto che la difformita’ delle opere fosse solo parziale, trattandosi di un innalzamento modesto del posizionamento di una trave a sostegno del tetto, evidenziando che non era stato superato il limite di tolleranza del 5% rispetto alle misure di progetto e che l’appaltatore aveva operato quale nudus minister, poiche’ l’iniziativa del rialzo del tetto era partita dal committente, che aveva ammesso verbalmente la responsabilita’ in ordine alle variazioni del progetto originario, pur rifiutandosi di sottoscrivere una dichiarazione scritta predisposta a tal fine dal resistente.
Ha posto in rilievo che il procedimento penale per la repressione dell’abuso era stato definito per prescrizione, mentre un giudizio amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione dell’ordine di demolizione era stato dichiarato improcedibile, per cui il giudizio doveva essere definito in base ai soli atti e documenti acquisiti.
La cassazione dell’ordinanza e’ chiesta da (OMISSIS) con ricorso in 4 motivi, illustrati con memoria.
La realizzazione dell’opera in modo parzialmente difforme dalle prescrizioni del permesso di costruire
La (OMISSIS) s.n.c. resiste con controricorso.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver la sentenza escluso la sussistenza di una difformita’ totale delle opere rispetto al progetto, in contrasto con la pronuncia n. 22/2015 del Tar Umbria, che, esaminando anche i motivi aggiuntivi formulati dal ricorrente, aveva dichiarato l’insanabilita’ della violazione.
Il motivo e’ inammissibile.
Sia la sentenza penale di prescrizione del reato per abuso edilizio, che la pronuncia del Tar Umbria, emessa su ricorso del committente volto all’annullamento dell’ordine di demolizione, appaiono esaminate sia in primo grado che in appello, e ritenute non vincolanti nel presente giudizio, definito esclusivamente sui documenti e sulle testimonianze in atti (cfr. sentenza, pag. 5).
Non sussiste comunque l’omesso esame di fatti decisivi.
In disparte il fatto che la sentenza di appello e’ in tutto conforme a quella di primo grado e non e’ censurabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. articoli 348 ter c.p.c., commi 4 e 5), deve ribadirsi che la norma, riformulata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 conv. con L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, per tale dovendo intendersi non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto” in senso storico e normativo, un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 7983/2014; Cass. 17761/2016; Cass. 29883/2017; Cass. 21152/2014; Cass. s.u. 5745/2015; Cass. 5133/2014, n. 5133), non anche le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. 14802/2017; Cass. 21152/2014), o eventuali pronunce non aventi valore di giudicato, che restano liberamente valutabili.
Peraltro, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, resta insanabile sul piano urbanistico anche la difformita’ parziale dell’opera rispetto al progetto, fatta salva la regolarizzazione ottenibile in presenza dei presupposti applicativi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, comma 1 (secondo cui “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformita’ da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attivita’ nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 1, o in difformita’ da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articolo 31, comma 3, articolo 33, comma 1, articolo 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda).
3. Il secondo motivo denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera b) e articolo 31 articoli 1418, 1346 c.c., per aver la Corte d’appello ritenuto sussistente una difformita’ solo parziale del manufatto, essendosi – invece – in presenza di un edificio del tutto diverso da quello progettato.
Il terzo motivo denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 29 sostenendo che anche l’appaltatore era responsabile dell’abuso, a prescindere dal fatto che avesse agito quale nudus minister del resistente, come conferma il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 che pone la responsabilita’ a carico solidale del costruttore, del progettista e del committente.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, lamentando che la sentenza abbia – con motivazione illogica – ritenuto che il ricorrente avesse ordinato la realizzazione del manufatto in maniera difforme dal progetto, valorizzando un documento che questi si era rifiutato di sottoscrivere e che aveva immediatamente distrutto, condotta quest’ultima che escludeva la possibilita’ di ritenere che il committente si fosse assunto la responsabilita’ dell’abuso.
I tre motivi non sono fondati.
L’appaltatore aveva eseguito solo un innalzamento modesto (circa cm. 20) del posizionamento di una trave a sostegno del tetto, al fine di ampliare un’apertura, difformita’ che il giudice di merito ha ritenuto solo parziale rispetto al progetto assentito.
Tale assunto appare conforme a diritto.
In linea generale l’appalto per la costruzione di un immobile totalmente privo di concessione edilizia e’ nullo, ai sensi degli articoli 1346 e 1418 c.c., per violazione di norme imperative in materia urbanistica, con la conseguenza che tale nullita’, una volta verificatasi, impedisce sin dall’origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell’articolo 1423 c.c. (Cass. 4015/2007; Cass. 20301/2012; Cass. 2013/21475; Cass. 21398/2013).
La medesima nullita’ colpisce anche il contratto che abbia ad oggetto immobili da costruire o costruiti in modo difforme dalla concessione edilizia.
Occorre, in particolare, distinguere a seconda che tale difformita’ sia totale o parziale: nel primo caso (L. n. 47 del 1985, articolo 7) l’opera e’ da equiparare a quella costruita in assenza di concessione, con la conseguenza che il relativo contratto di appalto e’ nullo per illiceita’ dell’oggetto e per violazione delle norme imperative in materia urbanistica. Nessuna nullita’ sussiste – invece – nel secondo caso (L. n. 47 del 1985, articolo 12), ove si configuri una difformita’ solo parziale (Cass. 20258/2008; Cass. 2187/2011; Cass. 30703/2018; Cass. 11469/2019).
Il criterio distintivo tra le due ipotesi trova riscontro nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2011, articolo 31 che, riproducendo l’analoga formulazione della L. n. 47 del 1985, articolo 7 dispone che sono interventi eseguiti in totale difformita’ dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso o l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso, con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile, intendendosi per specifica rilevanza un aumento consistente di volumi in relazione alla struttura realizzata ad una valutazione assoluta ed oggettiva, e per autonoma utilizzabilita’ una struttura precisamente individuabile e suscettibile di un uso indipendente anche se l’accesso allo stesso avvenga attraverso lo stabile principale (in tal senso anche Cass. pen. 7559/1994; Cass. pen. 6875/1997).
3.1. Il fatto che l’appaltatore avesse operato come nudus minister non escludeva – in linea generale – la nullita’ dell’appalto quale conseguenza dell’illiceita’ dell’opera per contrasto con norma imperativa.
Tuttavia, esclusa – nella specie – una difformita’ totale ed affermata la validita’ del contratto, l’aver realizzato l’opera secondo le istruzioni e le indicazioni vincolanti della committenza aveva l’effetto di esonerare l’appaltatore da responsabilita’ nei rapporti con il resistente, facendo salvo il diritto al compenso (Cass. 12995/2006; Cass. 1981/2016; Cass. 15732/2018).
A tale principio si e’ attenuta la Corte di merito, evidenziando che “l’iniziativa del rialzo del tetto parti’ dal committente e questi ammise la sua responsabilita’ in ordine alle variazioni del progetto originario, pur rifiutandosi di sottoscrivere la dichiarazione, predisposta dal (OMISSIS), nella quale si assumeva ogni responsabilita’ dell’abuso, strappando il documento, rappresentando comunque e verbalmente, la sua responsabilita’ in merito all’abuso”.
Il rifiuto di sottoscrivere una dichiarazione contenente un’assunzione di responsabilita’ non escludeva che il ricorrente avesse verbalmente esonerato la controparte dalle conseguenze della violazione, quantomeno nell’ambito del rapporto di appalto: non sussiste quindi neppure l’illogicita’ denunciata in ricorso.
Il ricorso e’ quindi respinto, con aggravio delle spese processuali.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2500,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
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