Quando il manufatto può essere considerato una pertinenza

Consiglio di Stato, Sentenza|11 gennaio 2021| n. 351.

Ai fini edilizi, il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto “carico urbanistico” proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale.

Sentenza|11 gennaio 2021| n. 351

Data udienza 11 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Pertinenza edilizia – Natura – Caratteristiche – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 409 del 2020, proposto da “La Re. di Sa. Ma. di An. Ro. S.p.A.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ip. Ma. e Fo. Ma. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 1728 del 2019, resa tra le parti, concernente CILA per la realizzazione e il montaggio di una struttura di raffreddamento presso un opificio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020, il Cons. Giuseppa Carluccio.

FATTO e DIRITTO

1. La società “La Re. di Sa. Ma. di An. Ro. S.p.A.”, titolare di una industria per la trasformazione del pomodoro, ha presentato al Comune di (omissis) una C.I.L.A. (prot. n. 16269 del 26 marzo 2018) per la realizzazione di un impianto di raffreddamento dell’acqua utilizzata nell’ambito del processo produttivo da reimmettere in circolo, funzionale alla riduzione del consumo idrico e dello smaltimento delle acque reflue.
2. Il Comune (nota prot. n. 21887 del 20 aprile 2018) ha disposto l'”annullamento” della istanza C.I.L.A. ai sensi dell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, “in quanto non costituisce titolo abilitativo all’esecuzione dell’intervento”, diffidando la società a non installare l’impianto in questione, pena l’adozione di successivi provvedimenti repressivo-sanzionatori.
2.1. Il provvedimento del Comune si fonda su tre argomentazioni:
a) l’intervento proposto, che prevede la realizzazione della struttura di sostegno, del piano di appoggio e delle torri di raffreddamento, non è assentibile per contrasto con l’art. 5 delle NTA allegate al P.R.G. vigente;
b) sull’area nella disponibilità della società ricorrente pende un’istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, avente ad oggetto opere abusive realizzate;
c) non sono state rispettate le prescrizioni dettate dalla normativa di settore, tra le quali la trasmissione del progetto degli impianti tecnici, ai sensi del d.m. n. 37 del 2008.
3. Il T.a.r. – previo espletamento della verificazione – ha rigetto il ricorso proposto dalla società avverso il suddetto provvedimento.
4. L’originaria società ricorrente ha proposto appello, articolato in tre motivi, esplicati da memoria.
4.1. Il Comune si è costituito instando per il rigetto.
5. All’udienza pubblica dell’11 novembre 2020, ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta dal Collegio in decisione.
6. La questione centrale e controversa nella causa consiste nello stabilire se l’intervento oggetto di C.I.L.A. sia inquadrabile o meno nell’ambito degli interventi di nuova costruzione, che necessitano di titolo abilitativo ai sensi dell’art. 3 del t.un. edil., con conseguente assoggettamento all’art. 5 delle NTA del Comune.
6.1. Tale questione costituisce il perno della decisione di rigetto del primo giudice ed è stata investita dal nucleo centrale dell’appello della società ricorrente.
6.2. Invece, le altre ragioni poste a base dell’atto impugnato (cfr § 2, lett. b) e c), non esaminate dal primo giudice perché assorbite dal rigetto, non sono comunque state riproposte dal Comune.
6.2.1. Solo per completezza, può aggiungersi che: – emerge dagli atti di causa (verificazione) che, a conclusione di quel procedimento di sanatoria la cui pendenza era stata ritenuta ostativa, è intervenuto il permesso di costruire n. 24 del 31 luglio 2019, e che l’intervento oggetto della C.I.L.A. è su area libera, diversa da quella della pratica che era in itinere; – il richiamo al d.m. n. 37 del 2008 è palesemente non conferente, concernendo impianti all’interno degli edifici, mentre la fattispecie ha per oggetto un impianto esterno.
7. E’ opportuno premettere la descrizione delle caratteristiche dell’impianto oggetto della C.I.L.A., quali risultano dagli atti di causa, compresa la verificazione, oramai non controverse tra le parti.
7.1. L’impianto di raffreddamento, esterno all’opificio e realizzato in area libera dello stesso insediamento produttivo, è costituito: – da una piastra in conglomerato cementizio, non fuoriuscente dal suolo, sulla quale sono ancorati otto pilastri di profilati metallici posizionati su due file, alti m. 9,5, distanti dal confine 5,15; – sui suddetti pilastri è fissata una piattaforma metallica più ampia, mq 66,50, distante dal confine meno di m. 5, con distanza variabile da un minimo di m. 3,38 ad un massimo di m. 4,06; – sulla suddetta piattaforma devono essere collocati i monoblocchi di refrigerazione, cd. “torri di raffreddamento”, distanti dal confine meno di m. 5, con distanza variabile da un minimo di m. 4,16 ad un massimo di m.4,75.
8. L’art. 5 delle NTA del vigente PRG del Comune, al comma 4, così dispone: “La distanza degli edifici dai confini di proprietà e di zona dovrà essere pari alla metà dell’altezza dei fabbricati prospicienti i confini stessi, con un minimo assoluto di ml 5,00…”.
9. Il primo giudice ha ritenuto, come il Comune, che all’intervento descritto sia applicabile l’art. 5 NTA, in riferimento alle distanze (da un solo lato) dell’impianto tecnico dal confine, che non può essere inferiore a ml. 5.
9.1. Il rigetto del ricorso da parte del T.a.r. è fondato sulle essenziali argomentazioni che seguono:
a) nella fattispecie concreta è configurabile una “nuova costruzione”, considerando unitariamente l’intervento, composto di colonne alte m. 9,5, di una piattaforma di mq 66,50 posizionata sulle colonne e di monoblocchi o torrette (i refrigeratori veri e propri) collocati sulla piattaforma, nonché l’altezza e la estensione, stante l’evidente complementarità tra le torri di raffreddamento e la struttura che le supporta;
a1) non potendosi distinguere, come sostiene la ricorrente, i pilastri metallici – che rispettano il limite – dal resto dell’impianto, in quanto impianto tecnico, per escludere che si tratti di edificio di nuova costruzione;
a2) né potendosi distinguere – come sostiene il verificatore senza che fosse oggetto del quesito – tra “edifici” cioè “fabbricati” cui sarebbe applicabile l’art. 5 delle NTA, e manufatto cui sarebbe applicabile la distanza minima di m. 3 dell’art. 873 c.c.
b) tanto sulla base dell’art. 3 comma 1 lett. e), e1) ed e3) del t.un. edil., dove i termini “costruzione”, “edificio” ovvero “manufatto”, costituiscono sinonimi che identificano gli interventi di nuova costruzione tutte le volte in cui, per le caratteristiche strutturali e dimensionali, sono idonei a determinare una trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio; a questi si aggiungono infrastrutture e impianti che comportino la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
b1) considerando l’impianto nella sua complessiva consistenza, per le caratteristiche dimensionali e strutturali, lo stesso risulta idoneo ad alterare in modo permanente la porzione di area inedificata accessiva allo stabilimento industriale, con conseguente aggravio del carico urbanistico;
c) proprio questi dati di natura strutturale e dimensionale escludono la possibilità di considerare l’impianto alla stregua di un mero “vano tecnico” di pertinenza dello stabilimento produttivo, trattandosi piuttosto di un vero e proprio “intervento di nuova costruzione”, ex art. 3, comma 1, lett. e.3) cit., rispetto al quale il Comune ha correttamente verificato gli indici edilizi di piano, tra cui quello delle distanze dal confine;
c1) tanto, in conformità con la giurisprudenza amministrativa secondo cui “a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto “carico urbanistico” proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale”;
d) in ragione della natura giuridica della C.I.L.A., il provvedimento impugnato – al di là dell’erroneo riferimento all’art. 21-nonies cit.- costituisce esercizio, non di un potere di annullamento in autotutela, ma del potere di vigilanza edilizia vincolato all’accertamento del contrasto rispetto alla disciplina urbanistico-edilizia; con la conseguenza che non hanno pregio le censure concernenti l’illegittimo esercizio del potere di annullamento.
10. La tesi principale dell’appellante può sintetizzarsi nei seguenti punti essenziali:
a) erra il primo giudice, dando rilievo alla trasformazione urbanistico edilizia e ad un “incomprensibile” carico urbanistico, nell’assimilare a nuova costruzione quello che non è altro che un “macchinario industriale” di raffreddamento al servizio dello stabilimento;
b) così come erra nel non riconoscere all’impianto le caratteristiche che, ordinariamente, la giurisprudenza riconosce al locale tecnico, rispetto ad opere edilizie prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in presenza di opere destinare a contenere impianti serventi rispetto alla costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali della stessa.
10.1. L’appellante ha dedotto anche:
a) la violazione del principio del chiesto/pronunciato ex art. 112 c.p.c. per aver fondato il rigetto sull’asserita riconducibilità della struttura metallica e dell’impianto di raffreddamento alla nozione di “nuova costruzione” mai sostenuta dal Comune;
b) l’erroneità del rigetto della tesi del verificatore circa la riconducibilità all’art. 5 delle NTA solo dei pilastri metallici e non anche del restante impianto, cui si applicherebbe la regola dei 3 metri dell’art. 873 c.c.;
c) comunque, il mancato rispetto delle regole (21-nonies, l. n. 241 del 1990) dell’esercizio dell’annullamento in autotutela, a garanzia dei destinatari.
11. Ritiene il Collegio che l’appello è fondato e va accolto sulla base delle assorbenti considerazioni che seguono.
11.1. L’interpretazione delle disposizioni del t.un. edil sostenuta dal primo giudice non può condividersi rispetto alla fattispecie concreta per plurime ragioni.
11.2. Date le caratteristiche descritte (cfr. § 7.1. e 9.1. lett. a) del macchinario industriale (le cd. torrette di raffreddamento) e della struttura metallica che le supporta (colonne metalliche fissate su piastra in conglomerato cementizio, non fuoriuscente dal suolo, e piattaforma sulle colonne) appare difficilmente ravvisabile un carico urbanistico; così come appare difficilmente ravvisabile una trasformazione permanente del suolo inedificato, non essendo di certo sufficiente il semplice ancoraggio al suolo delle colonne metalliche.
11.3. Al contrario, la specificità della fattispecie emerge nella circostanza che la permanenza della struttura tecnica, proprio in ragione del collegamento funzionale con l’attività produttiva dell’opificio, è legata all’evoluzione della tecnologia del settore del raffreddamento dell’acqua e alla stessa possibilità che del raffreddamento, in ipotesi, non si abbia più bisogno per l’attività produttiva. Tutti elementi che vanno in direzione contraria a quella del carico urbanistico e della trasformazione permanente del suolo.
11.4. Sotto un diverso, ma complementare profilo, rileva ai fini dell’accoglimento l’erronea applicazione che il primo giudice ha fatto della giurisprudenza amministrativa in tema di “pertinenza” ai fini edilizi. Infatti, se è vero che, ai fini edilizi, il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto “carico urbanistico” proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale” (Cons. Stato sez. II,, n. 5130 del 2019; n. 4586 del 2019); certamente, nella fattispecie – per quanto si è detto – non può configurarsi un carico urbanistico, né, tantomeno può ritenersi ragionevolmente che l’opera realizzata abbia un autonomo valore di mercato se considerato al di fuori dell’opificio cui è funzionale, diverso dal costo suscettibile di naturale deprezzamento per uso e obsolescenza tecnologica.
11.5. A supporto delle tesi esposte, valgono le stesse disposizioni dell’art. 3 del t.un. edil.
11.5.1. Infatti, appare evidente che l’opera tecnica che la società intendeva realizzare non è linearmente riconducibile alle sottopartizioni della lett. e) dell’art. 3 cit., che considerano “comunque” nuova costruzione “la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato” (e.3) perché questa disposizione considera infrastrutture e impianti autonomi e rilevanti di per sé che comportino trasformazione permanente.
11.5.2. Nella stessa direzione escludente, della fattispecie da quelle pertinenze che si considerano nuove costruzioni, vanno altre sottopartizioni della lett. e).
Infatti, la lett. e.1), nel ricomprendere i “manufatti edilizi” tra le nuove costruzioni, fa salva la regolamentazione delle pertinenze di cui alla lett. e.6); la lett. e. 6) delimita molto le pertinenze da qualificare come “nuove costruzioni”; sono quelle che dalla regolamentazione urbanistica e in riferimento alla zonizzazione si trovano in zone rilevanti per il paesaggio o l’ambiente, e quelle che abbiano un volume superiore del 20% rispetto all’edificio principale. All’evidenza, la fattispecie in esame non rientra in nessuna di queste categorie di pertinenze che costituirebbero nuove costruzioni.
11.5.3. Infine, assume rilievo la lett. e.7), secondo la quale costituisce nuova costruzione “la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”. Questa disposizione, che appare la più appropriata a regolare la fattispecie in esame, non può trovare applicazione proprio in ragione della non configurabilità di una trasformazione permanente del suolo, della quale si è detto.
12. L’accoglimento dell’appello per le suesposte ragioni, determina l’assorbimento per difetto di interesse alla pronuncia delle ulteriori censure proposte dall’appellante (sintetizzate sub § 10.1.), stante l’effetto dell’accoglimento del ricorso di primo grado.
13. In ragione della specificità della controversia nelle sue caratteristiche fattuali e per la complessa riconducibilità alle previsioni normative del t.un. edil, che l’art. 5 delle NTA presuppone, sussistono giusti motivi per la integrale compensazione delle spese processuali del doppio grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma totale della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto dinanzi al Tar.
Compensa integralmente le spese processuali del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato, in collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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