Qualora l’Amministrazione esprima una volontà contraria alla repressione dell’illecito edilizio

Consiglio di Stato, Sentenza|28 aprile 2021| n. 3430.

Qualora l’Amministrazione esprima una volontà contraria alla repressione dell’illecito edilizio, nel reputare, applicabile l’istituto dell’accertamento di conformità, deve ritenersi espressa implicitamente la decisione amministrativa sulla diffida presentata a procedere in danno in relazione ad alcune opere ritenute abusive; in tal caso, infatti, risulta l’univoca volontà dell’Amministrazione, pur non avendo adottato essa formalmente un provvedimento (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5887, Cons. Stato, Sez. V, n. 589 del 2019, Ad. Plen., 20 gennaio 2020, n. 3).

Sentenza|28 aprile 2021| n. 3430

Data udienza 11 febbraio 2021

Integrale
Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Poteri repressivi – Silenzio significativo – Silenzio inadempimento – Azione – Condizioni di legittimità – Individuazione – Artt. 2, legge n. 241 del 1990 e art. 31 e 117 c.p.a.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7994 del 2020, proposto da
No. Ge., rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
As. Ie. e Pa. Ba., rappresentati e difesi dagli avvocati Al. Ca. e Lu. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Ottava n. 04335/2020, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), di As. Ie. e di Pa. Ba.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2021 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Lu. Ad., Gi. Co. e Lu. Pe. in collegamento da remoto, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.”, sensi dell’art. 4, comma 1 del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25 Decreto Legge n. 137 del 2020, conv. dalla L. n. 176 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, la Sig.ra Ge. appella la sentenza n. 4335 dell’8.10.2020, con cui il Tar Campania, Napoli, ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso n. r.g. 2142/20 proposto avverso la condotta asseritamente inerte imputata al Comune di (omissis).
In particolare, secondo quanto dedotto in appello:
– a seguito di un esposto dell’odierna appellante, il Comune di (omissis) ha adottato un’ordinanza n. 33/18 di demolizione di tutte le opere eseguite dai controinteressati in difformità rispetto alla C.E. n. 54 e n. 14/06, descritte nel riquadro “Descrizione delle opere abusive” della relazione tecnica di sopralluogo del 20.9.2019, da cui si evinceva la presenza di muri di recinzione, della pavimentazione del giardino e di una struttura esagonale, oltre ad altri manufatti abusivi;
– i controinteressati, astenendosi dall’impugnazione dell’ordinanza di demolizione, hanno presentato due richieste di sanatoria n. 24 e n. 25 del 2019, entrambe rigettate con provvedimenti nn. 3725 e 3726 del 7.5.2019; una terza istanza riferita al sottotetto, invece, è stata accolta dal Comune con il rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 14 del 25.8.2020;
– i controinteressati, dunque, all’esito del rigetto delle istanze di sanatoria, hanno presentato una SCIA “demolitoria” il 4.6.2019, n. 4572 (n. 19/19), per lavori consistenti in opere esecutive dell’ordinanza di demolizione n. 33/18 cit.;
– l’odierna appellante, rilevato che, alla stregua di quanto emergente dalla comunicazione fine lavori del 2.9.2019, i controinteressati avevano demolito soltanto parte delle opere oggetto dell’ordinanza n. 33/18 cit. – residuando muri di recinzione e perimetrali alti 3 mt., sotto servizi, pavimentazione e un manufatto -, ha presentato all’Amministrazione un atto di diffida del 28.2.2020, con cui ha chiesto allo stesso Comune di procedere in danno;
– il Comune avrebbe riscontrato la diffida in “maniera evasiva e interlocutoria” con note dell’1.4.2020 e del 14.5.2020;
– la Sig.ra Ge. ha, quindi, proposto un nuovo ricorso dinnanzi al Tar Campania, Napoli, per la declaratoria del silenzio inadempimento ascrivibile all’Amministrazione comunale in relazione al proprio atto di diffida;
– il Comune, costituendosi in giudizio, ha depositato una “nota interlocutoria endoprocedimentale senza valore provvedimentale del 04/12/2019 e la risposta dei destinatari del 23/06/2020 con la quale si rifiutavano di ottemperare a quanto dedotto dal Comune, che adombrava in fieri un articolo 37 T.U. Edilizia per le opere non demolite, art 37 mai emesso”;
– a definizione del giudizio, il Tar ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso, ritenendo, in relazione agli abusi non sanati, che si fosse formato un silenzio assenso su una SCIA definitiva “in sanatoria”, di cui, tuttavia, non venivano indicati in sentenza neanche gli estremi.
2. In particolare, il Tar, prescindendo dalle deduzioni circa la nullità della notifica del ricorso agli eredi presso l’ultima residenza del de cuius e chiarito in via preliminare ed assorbente che sul piano sostanziale il giudizio sul “silenzio” si collega al dovere delle Amministrazioni pubbliche, preposte alla cura dell’interesse pubblico, di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso, ha ritenuto nella fattispecie di dichiarare l’improcedibilità del ricorso per avvenuto riscontro in data 1/4/2020 della diffida in epigrafe e successivo rilascio ai controinteressati in data 25/8/2020 di Permesso in sanatoria n. 14/2020 prot. n. 6696, suscettibile di formare oggetto di separata impugnazione per eventuali profili di illegittimità .
Lo stesso Tar, con riguardo alle altre opere oggetto di contestazione in quanto risultanti dai lavori di demolizione – pavimentazioni, ornamenti e muri di cinta – come oggetto di comunicazione di fine lavori del 2/9/2019, ha ritenuto si fosse formato, giusta la previsione degli artt.22 e 37 del DPR n. 380/2001, il titolo abilitativo per silenzio-assenso a seguito di SCIA in sanatoria presentata da parte ricorrente.
3. La ricorrente in prime cure ha proposto appello avverso la sentenza pronunciata dal Tar, chiedendone l’annullamento e la riforma per ” error in iudicando ed error in procedendo sull’esistenza di una SCIA in sanatoria”.
4. Con memoria del 23.10.2020 i Sig.ri Ie. e Ba. si sono costituiti in giudizio in resistenza all’appello, riproponendo le eccezioni di rito assorbite in prime cure, aventi ad oggetto la nullità della notifica del ricorso di primo grado agli eredi presso l’ultima residenza del de cuius, nonché l’inammissibilità e/o l’infondatezza del ricorso di primo grado per omessa notifica dell’ordinanza di demolizione nei confronti degli eredi di uno dei relativi destinatari, circostanza ritenuta idonea ad impedire la produzione dell’effetto acquisitivo al patrimonio comunale delle opere oggetto dell’ordine di demolizione, con conseguente insussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere sollecitato dal ricorrente con all’atto di diffida asseritamente non riscontrato dall’Amministrazione intimata.
I Sig.ri Ie. e Ba. hanno depositato, altresì, memoria difensiva in data 20.1.2021, argomentando in controdeduzione alle censure impugnatorie.
5. Il Comune di (omissis), parimenti, si è costituito in giudizio, in resistenza all’appello, con memoria difensiva depositata in data 21.1.2021, recante le argomentazioni controdeduttive rispetto alle avverse censure.
6. La parte appellante ha ulteriormente argomentato a sostegno dell’appello con memoria del 25 gennaio 2021, tenuto conto, altresì, delle difese svolte dalle controparti processuali.
7. L’appellante, nonché i Sig.ri Ie. e Ba. hanno pure depositato memoria di replica.
8. La causa è stata trattenuta in decisione nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2021.
9. Con un unico motivo di impugnazione la parte ricorrente deduce l’erroneità della sentenza gravata, tenuto conto che il Tar avrebbe definito la controversia riscontrando una SCIA in sanatoria in realtà non esistente.
Difatti, la SCIA n. 19/19 presentata dalla parte controinteressata atterrebbe alla sola demolizione, come risultante dal suo tenore letterale, avendo le parti dichiarato di volere ottemperare all’ordinanza di demolizione n. 33/18 senza riserve.
L’omessa demolizione di tutte le opere dichiarate nella SCIA non avrebbe potuto trasformare una SCIA demolitoria in SCIA in sanatoria e, comunque, a tali fini sarebbe stato pur sempre necessario, ai sensi degli artt. 36 e 37 DPRA n. 380/01, un provvedimento esplicito assunto in merito dall’Amministrazione procedente.
Nella specie, per l’effetto, attraverso una SCIA demolitoria si sarebbero sanati in via giurisprudenziale abusi edilizi oggetto di un’ordinanza di demolizione cui la parte aveva prestato acquiescenza proprio mediante la presentazione della relativa SCIA; con conseguente emersione di una fattispecie di atomizzazione dell’abuso con effetto sanante giurisprudenziale non conosciuta dall’ordinamento giuridico.
10. L’infondatezza dell’appello, in ragione dell’assenza di una condotta inerte contestabile al Comune di (omissis), esime il Collegio dall’esaminare le eccezioni di rito riproposte nel presente grado di giudizio dai controinteressati in prime cure, tenuto conto che dal loro accoglimento non potrebbe derivare -sul piano sostanziale- in capo alle parti eccipienti un’utilità maggiore rispetto a quella ritraibile dal rigetto dell’appello.
11. L’odierno appellante ha proposto in prime cure un’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. volta ad ottenere l’accertamento di una fattispecie di silenzio inadempimento, con conseguente condanna dell’Amministrazione al rilascio del provvedimento sollecitato con l’atto di diffida asseritamente non riscontrato.
L’azione avverso il silenzio assume una natura giuridica mista, tendendo ad ottenere sia l’accertamento dell’obbligo di definire il procedimento nel termine prescritto dalla disciplina legislativa o regolamentare ai sensi dell’art. 2 Legge n. 241 del 1990, sia la condanna della stessa Amministrazione inadempiente all’adozione di un provvedimento esplicito (con possibilità, altresì, di formulare in sede giurisdizionale un giudizio di spettanza del bene della vita agognato dal ricorrente, qualora si controverta in tema di azione vincolata ed emerga la fondatezza sostanziale della pretesa azionata in giudizio).
Affinché possa configurarsi il silenzio inadempimento contestabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 L. n. 241 del 1990, 31 c.p.a. e 117 c.p.a., occorre che sussista un obbligo di provvedere e che, decorso il termine di conclusione del procedimento, non sia stato assunto alcun provvedimento espresso, avendo tenuto l’Amministrazione procedente una condotta inerte.
In particolare, la giurisprudenza di questo Consiglio ha ritenuto che un obbligo di provvedere sussista in tutte le fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano all’Amministrazione l’adozione di un provvedimento e, quindi, tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione pubblica (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12 settembre 2018, n. 05344).
Ogniqualvolta la realizzazione della pretesa sostanziale vantata dal privato dipenda dall’intermediazione del pubblico potere, l’Amministrazione, dunque, è tenuta ad assumere una decisione espressa, anche qualora si faccia questione di procedimenti ad istanza di parte e l’organo procedente ravvisi ragioni ostative alla valutazione, nel merito, della relativa domanda: l’attuale formulazione dell’art. 2, comma 1, L. n. 241 del 1990, pure in caso di “manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità … della domanda”, impone l’adozione di un provvedimento espresso, consentendosi in tali ipotesi soltanto una sua redazione in forma semplificata, ma non giustificandosi una condotta meramente inerte.
Il silenzio inadempimento non può, invece, configurarsi in presenza di posizioni giuridiche di diritto soggettivo, aventi ad oggetto un’utilità giuridico economica attribuita direttamente dal dato positivo, non necessitante dell’intermediazione amministrativa per la sua acquisizione al patrimonio giuridico individuale della parte ricorrente.
In particolare, l’azione avverso il silenzio “presuppone la sussistenza di posizioni d interesse legittimo (da tutelare dall’inerzia dell’amministrazione) e non già di diritto soggettivo. Tantomeno il procedimento avverso il silenzio può essere attivato per ottenere la tutela di diritti di credito nei confronti della Pubblica Amministrazione” (Consiglio di Stato, sez. IV, 27 marzo 2018, n. 1904).
Come precisato da questo Consiglio, “”la fattispecie del del c.d. “silenzio-inadempimento” riguarda le ipotesi in cui, di fronte alla formale richiesta di un provvedimento da parte di un privato, costituente atto iniziale di una procedura amministrativa normativamente prevista per l’emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte, l’Amministrazione, titolare della relativa competenza, omette di provvedere entro i termini stabiliti dalla legge; di conseguenza, l’omissione dell’adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussisteva un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando un procedimento amministrativo in funzione dell’adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico; presupposto per l’azione avverso il silenzio è, dunque, l’esistenza di uno specifico obbligo (e non di una generica facoltà o di una mera potestà ) in capo all’amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente” (così, ex multis, IV Sezione, sentenza n. 5417/2019).
I presupposti per l’attivazione del rito sono dunque sia l’esistenza di uno specifico obbligo di provvedere in capo all’amministrazione, sia la natura provvedimentale dell’attività oggetto della sollecitazione: il rito previsto dagli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo rappresenta infatti sul piano processuale lo strumento rimediale per la violazione della regola dell’obbligo di agire in via provvedimentale sancita dall’art. 2 della L. n. 241 del 1990″ (Consiglio di Stato Sez. III, 1 luglio 2020, n. 4204).
L’obbligo di provvedere, peraltro, non può considerarsi assolto mediante l’adozione di atti meramente interlocutori, finalizzati a stimolare il contraddittorio infraprocedimentale, per propria natura non idonei a manifestare la volontà dispositiva dell’ente procedente e, dunque, a configurare una decisione provvedimentale sulle questioni oggetto del procedimento (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 16 ottobre 2013, n. 5040).
L’insussistenza di un obbligo di provvedere o l’avvenuta conclusione del procedimento con un atto espresso ostano, dunque, all’accoglimento del ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a.
12. Alla stregua delle considerazioni svolte, occorre verificare se sussistessero nella specie i presupposti di accoglimento dell’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a., da individuare nell’obbligo giuridico di provvedere e nella condotta inerte tenuta, una volta scaduto il termine di conclusione del relativo procedimento, dall’Amministrazione intimata.
Sotto il primo profilo, peraltro non oggetto di contestazione tra le parti (ma comunque afferente ad una questione di ammissibilità rilevabile d’ufficio), non può dubitarsi della sussistenza dell’obbligo comunale di provvedere sull’istanza di repressione di abusi edilizi, presentata dal proprietario dell’area confinante a quella di realizzazione delle opere abusive, “il quale, appunto per tal aspetto che s’invera nel concetto di vicinitas, gode d’una legittimazione differenziata rispetto alla collettività subendo gli effetti (nocivi) immediati e diretti della commissione dell’eventuale illecito edilizio non represso nell’area limitrofa alla sua proprietà (arg. ex Cons. St., IV, 29 aprile 2014 n. 2228), onde egli è titolare d’un interesse legittimo all’esercizio di tali poteri di vigilanza e, quindi, può proporre l’azione a seguito del silenzio ai sensi dell’art. 31 c.p.a. (cfr. così Cons. St., IV, 2 febbraio 2011 n. 744; id., VI, 17 gennaio 2014 n. 233), che segue il rito di cui ai successivi artt. 112 e ss.” (Consiglio di Stato, sez. IV, 9 novembre 2015, n. 5087).
Sotto il secondo profilo, invece, non sussiste nella specie un’inerzia amministrativa, avendo il Comune comunque concluso il procedimento amministrativo di repressione degli abusi edilizi, sollecitato dall’odierno ricorrente, manifestando una volontà dispositiva ostativa alla demolizione delle opere allo stato residuanti nell’area di proprietà dei controinteressati, ritenute dall’Amministrazione assentite da titoli in sanatoria.
13. Al riguardo, non sussistendo alcuna fattispecie di silenzio inadempimento ascrivibile all’Amministrazione comunale, la sentenza pronunciata dal Tar merita di essere confermata, seppure all’esito di un percorso argomentativo parzialmente differente; il che, tuttavia, non influisce sull’esito dell’odierna vertenza.
Difatti, in ragione dell’effetto devolutivo proprio dell’appello, l’erronea motivazione di una decisione corretta nel dispositivo, non determina l’annullamento con rinvio della sentenza gravata (non ricorrendo alcuna delle fattispecie di rimessione al primo giudice ex art. 105 c.p.a.), né comporta la riforma della pronuncia di prime cure, ammissibile soltanto ove si giunga ad un diverso esito controversia; bensì comporta la conferma della sentenza, seppure con diversa motivazione.
14 Avuto riguardo alla documentazione in atti, emerge che il Comune, “in riscontro all’Atto di diffida, trasmesso a mezzo pec, acquisito al protocollo generale dell’Ente n. 2054 del 02.03.2020”, ha rappresentato all’odierno appellante con nota n. 2476 dell’1.4.2020 che:
– all’esito dell’ordine di demolizione n. 33 del 2018 i Sig.ri Ba. e Ie. avevano presentato tre istanze di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01, di cui una (relativa al recupero abitativo del sottotetto) accolta con nota n. 6465 del 7.8.2019 e le rimanenti oggetto di comunicazione ostativa;
– per le opere non sanate gli interessati avevano presentato una SCIA n. 19/19, acquisita al protocollo comunale n. 4572 del 4.6.2019, finalizzata alla demolizione delle stesse;
– il Comune, con riferimento a tale SCIA, aveva chiesto integrazioni con nota prot. n. 5477 del 2.7.2019;
– tali integrazioni risultavano prodotte in data 12.7.2019, n. 5882;
– in data 2.9.2019 era pervenuta la comunicazione di fine lavori delle opere di demolizione, alla quale aveva fatto seguito il riscontro del Comune con nota n. 9950 del 4.12.2019;
– gli abusi di cui all’ordinanza di demolizione non ricadevano in zona paesaggisticamente vincolata.
– all’atto di diffida non risultava allegata la relazione tecnica di sopralluogo e verifica d’ufficio del 30.7.2018, né la relazione tecnica indicata a pag. 3 dell’atto medesimo.
L’odierno appellante:
– con nota dell’1.4.2020 ha allegato la relazione tecnica del 20.9.2019, insistendo “per la verifica della non ottemperanza all’Ordine di demolizione e emissione dei provvedimenti di acquisizione dei suoli e dell’area di sedime”, nonché ha chiesto copia della nota del 04/12/2019 prot. n. 9950 indicata ma non allegata al riscontro dell’1.4.2020.
– con nota dell’11 maggio 2020, ritenendo la pratica ancora non conclusa, ne ha sollecitato l’evasione;
Il Comune:
– con nota n. 3844 del 14.5.2020 si è limitato a rappresentare che ai sensi dell’art. 37 D.L. n. 23/2020 era stata prevista la proroga dal 15.4.2020 al 15.5.2020 del termine previsto dai commi 1 e 5 dell’art. 103 D.L. n. 18/2020;
– con nota n. 5267 del 2.7.2020 ha fatto riferimento alla precedente nota dell’Ufficio n. 2476/2020, ha trasmesso al difensore della ricorrente la documentazione richiesta a mezzo pec dell’1.4.2020 “ovvero copia della nota di questo Ufficio del 04.12.2019 protocollo 9950”, nonché ha rappresentato che “in data 23.06.2020, protocollo n. 4970, è pervenuta documentazione tecnico-amministrativa in riscontro alla predetta nota protocollo n. 9950/2019”.
Soffermando l’attenzione sui documenti richiamati nelle note n. 2476/2020 e n. 5267/2020 risulta, inoltre, che:
– la SCIA n. 19/19 è stata presentata per la “demolizione di opere in esecuzione della ordinanza n. 33 del 10/10/2018 emessa dal Responsabile del Settore Tecnico del Comune di (omissis) secondo l’allegato cronoprogramma”;
– con nota n. 5477 del 2.7.2019 l’Amministrazione comunale ha chiesto la trasmissione della documentazione di cui all’art. 5 L.R. n. 20/2013 e della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del professionista sottoscrittore degli elaborati progettuali attestante il pagamento delle correlate spettanze da parte del committente, ai sensi dell’art. 3 L.R. n. 59/19;
– la documentazione richiesta dal Comune è stata presentata dal segnalante con nota acquisita al protocollo comunale n. 5852 del 12.7.2019;
– con comunicazione del 2.9.2019 è stata comunicata l’ultimazione dei lavori di demolizione delle opere abusive in ottemperanza all’ordinanza n. 33 del 10.10.2018;
– l’Ufficio comunale con nota n. 9950 del 4.12.2019 ha rappresentato che “con riferimento all’oggetto [riferito alla “S.C.I.A. N° 19/19 prot. 4572 del 04.06.2019 per demolizione di opere site in (omissis), alla via (omissis) in ottemperanza all’ordinanza n. 33 del 10.10.2018 (Foglio (omissis) p.lla (omissis)) – Riscontro alla nota prot. n. 6918/2019”] si comunica che la SCIA n. 19/19, per quanto attiene le opere derivate dalla demolizione degli immobili, individuabili attraverso la documentazione fotografica allegata alla comunicazione di fine lavori protocollo n. 6918 del 02.09.2019, nonché per quanto riportato nell’elaborato grafico, nella sezione denominata “situazione dopo le demolizioni” produce gli effetti di cui all’art. 37 del D.P.R. 380/2001 e ss.mm.ii., pertanto la pratica deve essere necessariamente integrata con la documentazione di seguito elencata: a) Attestazione di versamento della sanzione pecuniaria (importo minimo Euro 516,00) di cui all’art. 37 del DPR 380/2001 e ss.mm.ii., da versare in unica soluzione, mediante versamento su conto corrente postale n. … intestato a Tesoreria del Comune di (omissis), indicando come causale “Sanzione pecuniaria SCIA n. 19/19″ ed il codice fiscale del soggetto che versa; b) Autorizzazione sismica”;
– con nota acquisita al protocollo comunale n. 4970 del 23.6.2020 è stata presentata dai controinteressati una relazione, riferita “al procedimento di accertamento di conformità di opere eseguite in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 e ss.mm.ii., finalizzato alla regolarizzazione della situazione successiva alla demolizione di opere abusive eseguita in ottemperanza all’ordinanza n. 33 del 10.10.2018”, in cui si operava una descrizione dello stato dei luoghi risultante all’esito dei lavori di demolizione; con la stessa nota n. 4970/2020 sono state prodotte, altresì, la relazione sull’insussistenza della necessità di procedere alla richiesta di autorizzazione sismica in sanatoria e la prova del pagamento dell’importo di Euro 516,00 richiesto dall’Amministrazione comunale.
15. Alla stregua della documentazione in atti, assume particolare rilievo la nota n. 9950/19, con cui il Comune ha espressamente disposto che “la SCIA n. 19/19, per quanto attiene le opere derivate dalla demolizione degli immobili,…, produce gli effetti di cui all’art. 37 del D.P.R. 380/2001 e ss.mm.ii.”.
Al riguardo, giova rilevare che l’art. 37 DPR n. 380/01, come emergente anche dalla rubrica dell’articolo (“Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità “) disciplina:
– sia le conseguenze derivanti dalla “realizzazione di interventi edilizi di cui all’articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività “, in cui l’effetto sanzionatorio è ricondotto, anziché alla presentazione della SCIA (costituente di per sé attività lecita, preordinata alla formazione di un titolo edilizio), alla commissione di un abuso edilizio, tradottosi nella realizzazione di un intervento in assenza o in difformità da una SCIA eventualmente esistente (al riguardo, distinguendosi anche in ragione della natura delle opere realizzate in assenza di SCIA, della tipologia dei beni oggetto dell’intervento abusivo, nonché della presentazione della SCIA a fronte di un intervento ancora in corso di esecuzione);
– sia la possibilità, al ricorrere dei presupposti delineati dall’art. 37, comma 4, DPR n. 380/01, di “ottenere la sanatoria dell’intervento versando la somma, non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all’aumento di valore dell’immobile valutato dall’agenzia del territorio”.
Il Comune, con la nota n. 9950/19, come osservato, non ha contestato la realizzazione di lavori in assenza o in difformità da una precedente SCIA, ma ha specificato gli effetti riconducibili alla presentazione della SCIA n. 19/19, intendendo in tale modo riferirsi agli effetti sananti, regolati dall’art. 37 cit., ritenuti associabili (anziché alla commissione di un illecito edilizio) alla presentazione dell’atto di parte; il Comune, nel reputare, dunque, applicabile l’istituto dell’accertamento di conformità, ha comunque richiesto un’integrazione della documentazione con la prova del pagamento della sanzione di Euro 516,00 e con l’autorizzazione sismica; documenti, come dato atto dalla stessa Amministrazione con nota n. 5267/20, prodotti dagli interessati in data 23.6.2020.
Il riferimento del Comune agli effetti sananti ex art. 37 DPR n. 380/01 trova, inoltre, conferma nella documentazione integrativa prodotta dai controinteressati in data 23.6.2020, recante altresì una relazione, riferita “al procedimento di accertamento di conformità di opere eseguite in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 e ss.mm.ii., finalizzato alla regolarizzazione della situazione successiva alla demolizione di opere abusive eseguita in ottemperanza all’ordinanza n. 33 del 10.10.2018”.
La documentazione, per come acquisita agli atti comunali, non soltanto non è stata contestata dal Comune, ma è stata considerata dall’Amministrazione locale quale “documentazione tecnico-amministrativa in riscontro alla predetta nota protocollo n. 9950/2019”, come comunicato all’odierno ricorrente con nota n. 5267/2020; a dimostrazione di come il Comune ritenesse riscontrata la propria precedente comunicazione mediante un atto appositamente riferito all’art. 37 DPR n. 380/01, ai fini della sanatoria delle opere residuanti dai lavori di demolizione all’uopo svolti.
16. La documentazione acquisita al primo grado di giudizio evidenzia che il riscontro comunale, fornito con nota n. 5267/2020 all’odierno ricorrente, osta alla configurazione del silenzio inadempimento.
Al riguardo, deve rilevarsi che il nomen iuris impiegato nello svolgimento dell’attività giuridica, di regola, non vincola l’interprete, occorrendo procedere alla qualificazione dei relativi atti avendo riguardo al loro specifico contenuto.
Trattasi di principio generale applicabile anche in ambito amministrativo, essendosi precisato che “ai fini della di una corretta qualificazione della sua natura l’atto amministrativo va interpretato non solo in base al tenore letterale, ma soprattutto in base al suo specifico contenuto e risalendo al potere concretamente esercitato dall’amministrazione, prescindendo dal nomen iuris che gli è stato assegnato” (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV, 5 giugno 2020, n. 3552).
La decisione amministrativa, inoltre, può essere espressa anche implicitamente, tenuto conto che “Nel campo del diritto amministrativo, come è noto, è ammessa la sussistenza del provvedimento implicito quando l’Amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell’organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5887 e, di recente, Cons. Stato, Sez. V, n. 589 del 2019)” (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 20 gennaio 2020, n. 3).
Alla stregua di tali principi di diritto, risulta che con la nota n. 5267 l’Amministrazione ha inteso concludere il procedimento di repressione di abusi edilizi all’uopo contestati dall’odierna appellante, richiamando la propria precedente nota n. 2476/20 e trasmettendo alla ricorrente la nota n. 9950/19, manifestando in tale modo (implicitamente) una volontà dispositiva ostativa alla demolizione delle opere rimanenti nell’area di proprietà dei controinteressati.
Difatti:
– con la nota n. 5267/20 il Comune ha riscontrato l’atto di sollecito dell’odierna ricorrente, senza riservarsi di svolgere ulteriori attività repressive in danno dei controinteressati – come invece richiesto dalla ricorrente-, ma riferendosi a quanto già rappresentato con nota n. 2476/20 e trasmettendo la nota n. 9950/19, al fine di porre il destinatario in condizione di percepire il contenuto delle decisioni all’uopo assunte dall’Amministrazione;
– la nota n. 2476/20 dava già atto che alcune delle opere abusive erano state sanate con il permesso di costruire n. 6465/19, mentre per le opere rimanenti i controinteressati avevano svolto lavori di demolizione, all’esito presentando una comunicazione del 2.9.2019, riscontrata dal Comune con nota n. 9950/19;
– come osservato, con nota n. 9950/19 il Comune aveva ritenuto di associare alla presentazione della SCIA n. 19/19 gli effetti sananti previsti dall’art. 37 DPR n. 380/01 in relazione alle opere residuanti dalla demolizione, chiedendo comunque un’integrazione della documentazione,
– il Comune ha rappresentato alla ricorrente che i controinteressati avevano provveduto all’integrazione della documentazione in data 23.6.2020.
Emerge, dunque, che, riscontrando la diffida della Sig.ra Ge., il Comune con nota n. 5267/20 ha (implicitamente) assunto una decisione incompatibile con la demolizione delle opere residuanti sull’area degli odierni controinteressati.
L’archiviazione del procedimento di repressione degli abusi edilizi costituisce infatti l’unica conseguenza possibile della condotta amministrativa.
In particolare, rappresentando all’odierno appellante che, in relazione alle opere oggetto della precedente ordinanza di demolizione n. 33/18, l’Amministrazione aveva, per talune di esse, rilasciato un titolo in sanatoria, per talaltre, residuanti dalla demolizione, ritenuto di associare alla presentazione della SCIA n. 19/19 gli effetti sananti di cui all’art. 37 DPR n. 380/01 (nota n. 9950/19 messa a disposizione dell’odierna ricorrente) – previa integrazione della documentazione nei fatti avvenuta in data 23.6.2020-, il Comune ha implicitamente assunto un provvedimento di archiviazione del procedimento di repressione degli abusi edilizi commessi dai controinteressati in primo grado, risultando una tale volontà dispositiva l’unica compatibile con la supposta sanatoria delle rimanenti opere edilizie, ormai ritenute sorrette da titoli edilizi ostativi alla loro demolizione o acquisizione al patrimonio comunale.
17. L’esistenza di un provvedimento di archiviazione osta, dunque, alla configurazione del silenzio amministrativo, avendo concluso l’Amministrazione il procedimento repressivo con l’adozione di apposita decisione, suscettibile di essere espressa anche in forma implicita.
La possibilità che una tale decisione sia illegittima, in quanto (nella prospettazione attorea) nella specie non sussisterebbero i presupposti per associare alla presentazione della SCIA n. 19/19 un effetto sanante -perché si farebbe questione di una inammissibile demolizione parziale di opere suscettibili di valutazione unitaria ovvero per l’asserita possibilità di sanare, ai sensi dell’art. 37 DPR n. 380/01, le opere risultanti dalla demolizione soltanto con l’adozione di un provvedimento espresso, non essendo ammissibile la formazione di un titolo per silentium – non rileva nella presente sede processuale, in cui, discorrendosi di azione avverso il silenzio, occorre soltanto verificare l’esistenza di una condotta inerte ascrivibile alla parte resistente.
Pertanto, una volta esclusa l’inerzia amministrativa in ragione della presenza di una decisione conclusiva del procedimento, ferma rimanendo la possibilità di censurare l’illegittimità di una tale decisione di archiviazione con la proposizione di una diversa azione giudiziaria (avente come causa petendi, anziché il silenzio, l’illegittimità provvedimentale), non può pervenirsi all’accoglimento dell’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a.
18. Alla stregua delle considerazioni svolte, dunque, l’appello non risulta meritevole di favorevole apprezzamento.
Nella specie non è, infatti, riscontrabile una condotta inerte ascrivibile all’Amministrazione intimata, avendo il Comune comunque assunto una decisione discendente – anziché dall’avvenuta formazione di un titolo per silentium (come motivato dal Tar), costituente una questione, in ipotesi, suscettibile di essere accertata nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto il presunto titolo tacito -, dalla comunicazione di cui alla nota n. 5267/2020, con cui il Comune, rappresentando all’odierno ricorrente – anche mediante il rinvio a precedenti atti (ammesso ex art. 3 L. n. 241/90) -l’avvenuta formazione di titoli in sanatoria in relazione alle opere residue sull’area di proprietà dei controinteressati -a prescindere dalla correttezza di un tale rilievo, non rilevante nel presente giudizio, in quanto non afferente alla materia del silenzio amministrativo-, ha manifestato una volontà incompatibile con la repressione degli abusi edilizi denunciati dall’odierna ricorrente, facendosi questione di opere ritenute ormai assentite, come tali non più demolibili o acquisibili al patrimonio comunale.
In tale modo, il Comune è pervenuto all’archiviazione del relativo procedimento amministrativo, assumendo una decisione censurabile con un’azione impugnatoria, ma non con il rimedio di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. oggetto dell’odierno giudizio.
Trattandosi di una decisione desumibile dalla nota del 2.7.2020, assunta successivamente alla proposizione del ricorso (notificato in data 1.7.2020), il Tar ha correttamente dichiarato l’improcedibilità del ricorso avverso il silenzio, essendo sopravvenuta una decisione emessa a conclusione del procedimento, di segno contrario rispetto a quanto richiesto dal denunciante, come tale inidonea a consentire la piena realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso alla proposizione del ricorso; circostanza apprezzabile, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., ai fini della declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
19. La particolarità della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del grado di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma con diversa motivazione la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese processuali del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

 

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