Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 12 settembre 2018, n. 5350.
La massima estrapolata:
Qualora la costituzione di un rapporto di impiego sia stata ritardata a causa dell’illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, ai fini economici, non può riconoscersi il diritto alla corresponsione delle retribuzioni relative al periodo di ritardo nell’assunzione, in quanto manca il necessario requisito dell’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio. La pronuncia dell’illegittimità del provvedimento che ha ritardato l’assunzione all’impiego, infatti, non comporta un automatico diritto al risarcimento del danno, non potendo il danno identificarsi direttamente nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione al dipendente, perché queste comunque presuppongono l’avvenuto espletamento della prestazione lavorativa, trattandosi di emolumento che, sinallagmaticamente, presuppone l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio.
Sentenza 12 settembre 2018, n. 5350
Data udienza 19 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3409 del 2012, proposto dal signor Au. Ia., rappresentato e difeso dall’avv. Gi. Ca. Pa., presso il cui studio elettivamente domiciliato in Roma, alla via (…);
contro
Ministero della giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma alla via (…);
per la riforma
della sentenza del T.a.r per il Lazio – Roma, Sezione I, n. 4812 del 30 maggio 2011, resa inter partes, concernente esclusione dall’assunzione nel Corpo della Polizia Penitenziaria per superamento limiti d’età e risarcimento del danno.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria;
Vista la memoria difensiva della parte appellata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 luglio 2018 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, l’avvocato Mo., in dichiarata delega di Pa., e l’Avvocato dello Stato Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con tre distinti ricorsi, tutti proposti davanti al T.a.r. per il Lazio – Roma, Sezione I, il signor Au. Ia. ha formulato le seguenti istanze:
a) annullamento del provvedimento di esclusione dalla graduatoria per l’assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria ai sensi del decreto legge n. 479 del 1996, per superamento del limite di età di 28 anni (atto impugnato con il ricorso r.g. n. 3616/2000);
b) risarcimento dei danni di natura patrimoniale, morale e biologica discendenti dalla predetta esclusione, con conseguente condanna dell’Amministrazione al relativo pagamento (azione proposta con il ricorso r.g. n. 8476/2001);
c) annullamento del provvedimento con cui è stato disposto il suo inquadramento nel Corpo di Polizia Penitenziaria con decorrenza 12 maggio 2001 con conseguente diritto alla ricostruzione della carriera (azione proposta con il ricorso r.g. n. 8778/2001).
2. Il Tribunale, nella resistenza dell’Amministrazione, con la sentenza in epigrafe (n. 4812 del 30 maggio 2011) ha così deciso:
i) ha riunito i ricorsi ai fini della loro trattazione unitaria (questo capo della sentenza non è stato impugnato ed è pertanto passato in giudicato);
ii) ha accolto il primo ricorso e quindi annullato il provvedimento di esclusione impugnato rilevando che il limite d’età previsto dal bando va elevato “per un periodo corrispondente a quello dell’effettivo servizio prestato nell’Esercito Italiano” (anche questo capo non è stato impugnato);
iii) ha respinto il secondo ricorso e quindi la domanda di risarcimento del danno;
iv) ha respinto il terzo ricorso e quindi la domanda di annullamento del provvedimento di inquadramento ed il conseguente diritto alla ricostruzione della carriera;
v) ha compensato le spese di giudizio.
3. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– il provvedimento di esclusione è stato sospeso con ordinanza cautelare del Tribunale in modo da far venir meno gli effetti lesivi derivanti dallo stesso;
– soltanto genericamente il ricorrente ha imputato il ritardo della propria immissione in ruolo al provvedimento di sua esclusione dalla graduatoria e “l’inserimento nella graduatoria non determina automaticamente il diritto alla immissione in ruolo, essendo la stessa subordinata all’espletamento di ulteriori adempimenti, tra cui la verifica del possesso dei richiesti requisiti di idoneità “.
4. Avverso tale pronuncia, limitatamente alle statuizioni di segno sfavorevole con le quali il Tribunale ha respinto le domande sub b) e c), il signor Ia. ha proposto appello, ritualmente notificato il 26 aprile 2012 e depositato il 9 maggio 2012, articolando un unico complesso motivo di gravame nei termini di seguito sintetizzati:
– il Tribunale non ha considerato che l’appellante è stato assunto con oltre tre anni di ritardo rispetto ai colleghi regolarmente selezionati nell’ambito della stessa procedura;
– se non fosse stato escluso illegittimamente l’appellante sarebbe stato avviato al corso di formazione a dicembre 1997 e quindi sarebbe stato ammesso al servizio permanente ad aprile 1998;
– si afferma quindi il diritto alla restitutio in integrum spettando all’appellante il diritto alla medesima decorrenza giuridica attribuita a quanti siano stati nella medesima procedura tempestivamente nominati;
– sussistono inoltre tutti gli elementi costitutivi per configurare la responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione in ordine sia al danno patrimoniale che non patrimoniale.
5. In data 28 giugno 2012 la difesa erariale ha presentato memoria al fine di resistere al gravame di controparte.
6. In data 17 luglio 2012 l’Avvocatura Generale dello Stato si è formalmente costituita con atto di stile.
7. In vista della trattazione di merito le parti non hanno presentato difese scritte.
8. L’appello, discusso alla pubblica udienza del 19 luglio 2018, merita parziale accoglimento.
8.1. Le critiche dell’appellante, come sintetizzato in narrativa, sono indirizzate ai soli capi della impugnata pronuncia coi quali il Tribunale, rilevata l’illegittimità del provvedimento di esclusione dalla graduatoria per l’assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria, ha disatteso le domande di risarcimento del danno e di ricostruzione della carriera.
8.2. Non è fondato l’appello nella parte in cui si insta avverso il capo della sentenza che ha respinto la domanda, proposta con il ricorso di primo grado n. 8476/2001, di risarcimento dei danni di natura patrimoniale, morale e biologica discendenti dall’illegittima esclusione dell’odierno appellante dall’arruolamento nel Corpo di Polizia Penitenziaria.
8.3. La Sezione ritiene di condividere le osservazioni rese dal Tribunale a sostegno della disposta reiezione della domanda per difetto di prova in ordine ai presupposti costitutivi della pretesa responsabilità dell’Amministrazione penitenziaria secondo il paradigma dell’art. 2043 c.c..
E’ il caso di confermare anche in questa sede che qualora la costituzione di un rapporto di impiego sia stata ritardata a causa dell’illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, ai fini economici, non può riconoscersi il diritto alla corresponsione delle retribuzioni relative al periodo di ritardo nell’assunzione, in quanto manca il necessario requisito dell’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio. Così questo Consiglio ha affermato che “La pronuncia dell’illegittimità del provvedimento che ha ritardato l’assunzione all’impiego non comporta un automatico diritto al risarcimento del danno, non potendo il danno identificarsi direttamente nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione al dipendente, perché queste comunque presuppongono l’avvenuto espletamento della prestazione lavorativa, trattandosi di emolumento che, sinallagmaticamente, presuppone l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 gennaio 2017, n. 370; sez. III, 28 dicembre 2016, n. 5514). All’interessato, come pure è precisato in sede pretoria, è comunque concessa una forma di tutela, consistente nella possibilità di chiedere, in presenza dei presupposti di legge di cui all’art. 2043 c.c., il risarcimento del danno ingiusto patito in conseguenza delle illegittimità risalenti agli atti o ai comportamenti dell’Amministrazione (Cons. Stato, sez. III, 25 gennaio 2018, n. 510). Cionondimeno la mera illegittimità dell’attività provvedimentale non può costituire presupposto sufficiente per l’attribuzione della tutela risarcitoria, ove non accompagnato dalla dimostrazione della sussistenza dell’elemento psicologico dell’illecito. Invero, ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della Pubblica Amministrazione, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessaria la prova del danno subito e la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa. L’inquadramento della domanda risarcitoria nell’alveo dell’art. 2043 c.c. comporta altresì l’applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito, con l’avvertenza che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697 comma 1, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento.
E’ quindi corretto quanto osservato dal Tribunale nel senso che è l’interessato ad essere gravato dall’onere della prova, non potendo il giudice amministrativo supplire alla mancata dimostrazione degli elementi costitutivi dell’affermata responsabilità nell’ambito di un processo informato al criterio distributivo puro, essendo sottesa all’intrapresa di parte una posizione ascrivibile al paradigma del diritto soggettivo.
8.4. Ebbene, tale dimostrazione non si rinviene agli atti del giudizio non potendosi inferire sulla base di mere presunzioni o astratte asserzioni. Ciò vale anche per il danno non patrimoniale, del pari lamentato dall’odierno appellante. La Sezione ha già avuto modo di rilevare infatti che questo “consiste nella lesione di qualsiasi interesse della persona non suscettibile di valutazione economica, ha natura unitaria e omnicomprensiva (nel senso che il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati – danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale – risponde a esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno), e il suo accertamento e la successiva liquidazione costituiscono questioni concrete e non astratte, che non chiedono all’interprete la creazione di astratte tassonomie classificatorie, ma lo obbligano alla ricerca della sussistenza di effettivi pregiudizi” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 dicembre 2016, n. 5497).
9. L’appello è invece fondato nella parte in cui si avversa la statuizione reiettiva della domanda di restitutio in integrum, agli effetti giuridici, previo annullamento del provvedimento del Dipartimento di Polizia Penitenziaria con cui è stato disposto l’inquadramento del ricorrente nel Corpo della Polizia Penitenziaria con decorrenza 12 maggio 2001. Vale al riguardo il principio, consacrato a livello giurisprudenziale, secondo cui in caso di ritardata costituzione di un rapporto di pubblico impiego, conseguente all’illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, spetta all’interessato il riconoscimento della medesima decorrenza giuridica attribuita a quanti siano stati nella medesima procedura nominati tempestivamente (Cons. Stato, sez. IV, 3 ottobre 2005, n. 5261; sez. VI, 4 aprile 2005, n. 1477; sez. VI, 5 agosto 2004, n. 5467; sez. VI, 14 novembre 2003, n. 7292; T.a.r. Lazio – Roma, sez. I, 08 luglio 2013, n. 6675).
9.1. Ebbene, è rinvenibile agli atti del giudizio adeguata dimostrazione del ritardo con il quale l’appellante è stato inquadrato alla luce della nota prot. n. GDAP-0123310-2012 del 27 marzo 2012, avendo con questo il Ministero riconosciuto che “tutti gli aspiranti posizionatisi in prossimità della posizione del Signor Ia. sono stati nominati agenti in prova ed agenti nel ruolo degli agenti ed assistenti del Corpo di polizia penitenziaria con decorrenza, rispettivamente, 15 dicembre 1997 e 1° aprile 1998”. Ritiene il Collegio che trattasi di documento, in quanto formato successivamente alla sentenza impugnata e pertanto non producibile in primo grado, senz’altro acquisibile agli atti del giudizio; non va per giunta trascurato il suo carattere decisivo ai fini della soluzione della controversia per essere in grado di comprovare la fondatezza della domanda in esame sulla base peraltro di elementi di fatto provenienti dalla stessa Amministrazione resistente. Trova quindi applicazione quanto statuito dall’art. 104 comma 2 c.p.a., a mente del quale “nel giudizio di appello non possono essere prodotti nuovi mezzi di prova e neppure nuovi documenti, a meno che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero la parte dimostri di non averli potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”.
9.2. Non osta al consequenziale diritto alla restitutio in integrum, per gli effetti giuridici, nei termini anzidetti il fatto che, come evidenziato dal Tribunale, il provvedimento di esclusione impugnato in prime cure risalga soltanto al 15 dicembre 1999, in quanto, come documentato in atti esso è stato emesso solo su sollecitazione dell’appellante, a seguito della sua nota del 27 ottobre 1999, con la quale ha lamentato di non avere ricevuto comunicazione alcuna circa l’esito della propria domanda di partecipazione. La carriera dell’appellante deve essere pertanto del tutto equiparata a quella dei candidati collocati in posizione analoga così come indicato nella nota su menzionata e segnatamente dal15 dicembre 1997 per la nomina ad agente in prova e dal 1° aprile 1998 per la nomina ad agente nel ruolo degli agenti ed assistenti del Corpo di Polizia Penitenziaria. E’ opportuno precisare che l’accordata restitutio in integrum non riguarda il diritto alla retribuzione che, in virtù del principio di sinallagmaticità, è subordinato al concreto svolgimento della prestazione lavorativa (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2018, n. 3657).
10. In conclusione, l’appello è fondato limitatamente al § 9 e pertanto, in parziale riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado r.g. n. 8778/2001 e, per l’effetto, previo annullamento del provvedimento con cui è stato disposto l’inquadramento del signor Ia. nel Corpo di Polizia Penitenziaria con decorrenza 12 maggio 2001, va accertato il suo diritto alla ricostruzione della carriera.
11. La soccombenza parziale e reciproca giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 3409/2012), lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, accoglie il ricorso di primo grado r.g. n. 8778/2001 e, previo annullamento del provvedimento con cui è stato disposto l’inquadramento dell’appellante nel Corpo di Polizia Penitenziaria con decorrenza 12 maggio 2001, accerta il suo diritto alla ricostruzione della carriera.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere
Carlo Schilardi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
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