Qualora il giudice verifichi che l’uso della cosa comune sia avvenuto nell’esercizio dei poteri

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 aprile 2023| n. 10477.

Qualora il giudice verifichi che l’uso della cosa comune sia avvenuto nell’esercizio dei poteri


In tema di condominio, qualora il giudice verifichi che l’uso della cosa comune sia avvenuto nell’esercizio dei poteri e nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c. a tutela degli altri comproprietari, deve ritenersi legittima l’opera realizzata senza il rispetto delle norme sulle distanze tra proprietà contigue, applicabili, di regola, anche in ambito condominiale, purché la relativa osservanza sia compatibile con la particolare struttura dell’edificio condominiale. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte di appello che, ritenendo applicabili le norme sulle distanze a discapito dell’art. 1102 c.c., aveva ordinato la rimozione di una passerella appoggiata al muro perimetrale comune, costituente un nuovo accesso all’appartamento di un condomino, senza verificare l’esistenza di un concreto pregiudizio all’appartamento sottostante).

Ordinanza|19 aprile 2023| n. 10477. Qualora il giudice verifichi che l’uso della cosa comune sia avvenuto nell’esercizio dei poteri

Data udienza 5 dicembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave COMUNIONE E CONDOMINIO – COMUNIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8267/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avv.ti (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
Avv. (OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina n. 862/2017, pubblicata l’08 Agosto 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre 2022 dal Consigliere Milena Falaschi.

Qualora il giudice verifichi che l’uso della cosa comune sia avvenuto nell’esercizio dei poteri

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:
– (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con atto di citazione notificato il 07.12.2001, evocavano, dinanzi al Tribunale di Messina, (OMISSIS) e (OMISSIS), al fine di sentirli condannare alla demolizione e rimessione in pristino delle opere da questi ultimi realizzate in violazione dell’accordo di divisione della proprieta’ comune stipulato in data 25.07.1964, oltre al risarcimento danni. Premettevano gli attori di essere proprietari pro quota di un fabbricato a due elevazioni fuori terra, con annesso terreno e pozzo, sito in (OMISSIS), che il proprio genitore, (OMISSIS), deceduto nel (OMISSIS), aveva acquistato, unitamente a (OMISSIS), da (OMISSIS), procedendo poi alla divisione delle rispettive quote con atto notarile del 1964, con il quale a (OMISSIS) veniva attribuito il piano terra della villa, adibito a ristorante, e a (OMISSIS), dante causa degli odierni convenuti ( (OMISSIS)- (OMISSIS)), il primo piano, adibito ad abitazione. Nello stesso atto veniva espressamente stabilito che il pozzo e la relativa attrezzatura per il sollevamento dell’acqua rimaneva in comproprieta’ al 50% e veniva, inoltre, costituita apposita servitu’ di passaggio in favore di (OMISSIS) per l’accesso allo stesso. In particolare, i (OMISSIS) precisavano che con l’atto pubblico di divisone del 1964 le parti avevano stabilito che restava in proprieta’ comune con (OMISSIS) il pozzo sito nel terreno assegnato a quest’ultimo, nonche’ tutta l’attrezzatura per il sollevamento dell’acqua, compreso il filtro e il depuratore, allo stato situato nel garage assegnato ad esso (OMISSIS). Aggiungevano che “sul muretto di divisione, posto nella parte retrostante l’edificio”, i condividenti avevano stabilito di aprire un piccolo varco, chiuso con porta che consentiva l’accesso dalla quota assegnata al (OMISSIS) alla quota assegnata al (OMISSIS) onde raggiungere il pozzo e i relativi impianti; le chiavi di detta porta sarebbero state tenute dal Fiumara e la servitu’ di passaggio avrebbe dovuto essere esercitata solo per gli usi del pozzo. Diversamente (OMISSIS) aveva realizzato, nella porzione a lui attribuita, un vano cucina nella cui parete, confinante con la proprieta’ (OMISSIS), aveva aperto una porta in modo da potere accedere al pozzo comune e ai relativi impianti.
Inoltre gli aventi causa del (OMISSIS), in data prossima all’atto di citazione, avevano realizzato, un muro di fabbrica di loro esclusiva proprieta’ alla distanza di circa 50 cm dalla porta realizzata da (OMISSIS), cosi’ impedendo l’accesso al pozzo comune, oltre a rialzare di circa un metro il piano di calpestio sul quale insisteva il pozzo comune, realizzando una passerella in cemento armato nel loro terreno, al confine con il fabbricato, che ostruiva due finestre, privandole del diritto alla luce e all’aria, esistenti fin dalla originaria costruzione; inoltre, detta passerella, che correva sul muro perimetrale, arrecava danno ai fregi architettonici;

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– instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei (OMISSIS)- (OMISSIS), i quali svolgevano anche domanda riconvenzionale per la regolarizzazione delle luci realizzate dagli attori, la rimozione della canna fumaria ancorata al loro terrazzo e della scaletta con contatore del gas, oltre ai danni per le infiltrazioni, il giudice adito, disposta la riunione del giudizio n. 3838/08 R.G. a quello in oggetto (n. 4000/01) per ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, accoglieva la domanda attorea e per lo effetto condannava i convenuti all’esecuzione di quanto previsto dal c.t.u., tra cui il ripristino dell’accesso al pozzo, il ripristino delle caratteristiche della facciata, comprese le luci site sul cortile ovest, oltre al risarcimento dei danni liquidati in Euro 24.000,00; accoglieva, altresi’, la riconvenzionale e conseguentemente condannava i (OMISSIS) all’esecuzione di quanto previsto dal c.t.u. alle pagg. 48-49, punto 4.5, della relazione tecnica, ad eccezione del punto relativo al quesito 4e, nonche’ alla regolarizzazione delle luci irregolari di cui in parte motiva secondo i dettami dell’articolo 901 c.c.; ancora condannava i (OMISSIS) al risarcimento del danno subito dai (OMISSIS)- (OMISSIS) che veniva liquidato in complessivi Euro 5.000,00, oltre interessi compensativi a far data dalla domanda. Rigettava per il resto le domande dei (OMISSIS), con compensazione delle spese di lite poste quelle di c.t.u. a carico di entrambe le parti;
– in virtu’ di gravame interposto dai (OMISSIS)- (OMISSIS), la Corte di appello di Messina, nella resistenza dei (OMISSIS), i quali proponevano anche appello incidentale, con sentenza n. 862 del 2017, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda dei (OMISSIS) volta alla eliminazione della c.d. passerella realizzata dagli appellanti principali e la domanda di risarcimento del danno, con conseguente obbligo dei (OMISSIS) alla restituzione della somma di Euro 30.692,82 gia’ corrisposta oltre ad accessori; confermava per il resto la condanna degli appellanti principali alla esecuzione delle opere di ripristino dell’accesso al pozzo, secondo le prescrizioni del c.t.u.; e dandosi atto che andavano considerate vedute le due aperture esistenti sul lato nord del fabbricato, nella porzione di proprieta’ dei (OMISSIS), rigettava, ogni altro motivo di appello incidentale, in particolare quanto alla copertura della terrazza (OMISSIS) “non rilevera’ la sua preesistenza in quanto mai vantato alcun acquisto per usucapione del diritto di limitare l’altrui veduta con riferimento alla pregressa conformazione”;
– per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Messina hanno proposto ricorso, fondato su due motivi, i (OMISSIS), cui hanno resistito i (OMISSIS)- (OMISSIS) con controricorso;
– in prossimita’ dell’ordinanza camerale entrambe le parti hanno curato il deposito delle memorie ex articolo 380 bis.1 c.p.c..

Qualora il giudice verifichi che l’uso della cosa comune sia avvenuto nell’esercizio dei poteri

Atteso che:
– con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 907 c.c. in luogo dell’articolo 1102 c.c., l’erronea pronunzia in ordine alla riforma della sentenza di primo grado di condanna degli originari convenuti alla demolizione della passerella in cemento armato per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti con ripristino delle caratteristiche della facciata e delle condizioni “d’illuminamento” delle aperture del cortile ovest.
Ad avviso dei ricorrenti la riforma della sentenza di primo grado sarebbe frutto di un’erronea interpretazione delle norme che regolano la fattispecie, in quanto nella fattispecie verrebbe in considerazione non gia’ l’articolo 907 c.c. sulle distanze, ma l’articolo 1102 c.c. in materia di uso della cosa comune, tale essendo la facciata dell’edificio in questione.
l ricorrenti lamentano che nel capo della sentenza impugnato si sia omesso totalmente di considerare che detta passerella costituisce un nuovo ed autonomo ingresso al primo piano dello stabile con impedimento all’illuminazione diretta per un fronte di m. 4,71, oltre ad essere stata realizzata sopra e a copertura del cortile dove ricade il pozzo comune con conseguente violazione dei diritti del comunista, al quale doveva essere riconosciuto il risarcimento del danno.
Il motivo e’ fondato.
Il Collegio osserva che nella giurisprudenza di legittimita’ si rinviene tanto un orientamento che tende a garantire il rispetto della disciplina sulle distanze anche in ambito condominiale (Cass. n. 955 del 2013; Cass. n. 7269 del 2014) quanto un orientamento che, in tale ambito, tende ad attribuire prevalenza alla disciplina dell’uso delle parti comuni del fabbricato (Cass. n. 6546 del 2010 in tema di balconi; Cass. n. 14096 del 2012 e Cass. n. 10852 del 2014 in tema di ascensori; Cass. n. 1989 del 2016 in tema di tubazioni; da ultimo, in un caso di realizzazione di tettoia in appoggio al muro perimetrale del fabbricato, Cass. n. 30528 del 2017).
Anche nell’ambito di questo secondo orientamento, tuttavia, si afferma che la concreta valutazione della compatibilita’ tra la disciplina delle distanze e le caratteristiche del fabbricato condominiale compete al giudice di merito (si veda, al riguardo, Cass. n. 6546 del 2010, ove si afferma che “Le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purche’ siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni”; analoga affermazione si rinviene in Cass. n. 1989/2016 cit. e, con massima chiarezza, in Cass. n. 30528 del 2017, nella cui motivazione si legge: “Piu’ in generale, nell’applicare in materia di condominio le norme sulle distanze legali – nella specie con riferimento al diritto di veduta -, spetta al giudice di merito, con apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimita’ se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tener conto in concreto della struttura dell’edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facolta’ spettanti ai singoli condomini, verificando, nel singolo caso, come fatto dalla Corte di Milano, la compatibilita’ dei rispettivi diritti dei condomini. Cosi’ come la realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprieta’ esclusiva…in aderenza alla facciata dell’edificio quale pertinenza del rispettivo appartamento, ai fini dell’utilizzo delle parti comuni, rimane sottoposta, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune, nonche’ a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto; ma l’accertamento se l’opera del singolo condomino, mirante ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, sia conforme o meno alla destinazione della cosa comune, e’ compito del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato e la Corte d’appello ha ben spiegato a pagina 4 della sentenza le ragioni per cui la realizzazione della serra potesse essere considerata esplicazione del normale uso della cosa comune)”.
Tanto premesso, nel caso di specie la Corte territoriale ha osservato che la causale di illegittimita’ dell’opera in contestazione, sotto il profilo della riduzione di aria e luce per le due finestre Fiumara, non possiede presupposto normativo atteso che non si e’ denunciata, ne’ tantomeno accertata, una violazione del disposto dell’articolo 907 c.c. quale distanza che la nuova costruzione deve osservare dalle vedute.
Dunque, secondo la Corte di merito, lo stato dei luoghi poteva anche non essere ostativo all’applicazione della norma sulla distanza legale a tutela dell’asserito diritto di veduta, ma difettava la denuncia del dato normativo per accertarne in concreto la violazione. Ne ha quindi tratto la conclusione che, poiche’ il preteso diritto non poteva essere accertato come sussistente sulla base della denuncia, la domanda andava rigettata.
Il ragionamento cosi’ seguito dalla Corte territoriale non puo’ essere condiviso, cosi’ facendo la Corte di merito si e’ posta in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, e in particolare con quello per cui le norme sulle distanze legali, rivolte fondamentalmente a regolare rapporti fra proprieta’ contigue e separate, sono applicabili anche nei rapporti tra partecipati alla comunione ovvero tra condomini di un edificio condominiale quando siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative alle cose comuni (articolo 1102 c.c.), cioe’ quando l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto prevalgono le norme sulle cose comuni con la conseguente inapplicabilita’ di quelle relative alle distanze legali che nel condominio degli edifici e nei rapporti fra singolo condomino e condominio sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime (Cass., n. 7044 del 2004; Cass., n. 8978 del 2003; Cass., n. 15394 del 2000).
In considerazione della peculiarita’ del condominio degli edifici – nella specie di fatto venutasi a creare al momento dello scioglimento della comunione – caratterizzato dalla coesistenza di una comunione forzosa e di proprieta’ esclusive, il godimento dei beni, degli impianti e dei servizi comuni e’ in funzione del diritto individuale sui singoli piani in cui e’ diviso il fabbricato, dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a ragioni di solidarieta’ si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, dovendo verificarsi – necessariamente alla stregua delle norme che disciplinano la comunione – che l’uso del bene comune da parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli altri (Cass. 8808 del 2003). Trova percio’ applicazione la disciplina che, regolando in modo particolare e specifico il godimento e l’utilizzazione dei beni comuni, ha natura speciale rispetto alla normativa che, nell’ambito dei rapporti di vicinato, stabilisce le limitazioni legali fra proprieta’ confinanti, che sono imposte con carattere di reciprocita’ indipendentemente dalla verifica di un pregiudizio derivante dalla loro inosservanza.
Al riguardo occorre fare riferimento quindi all’articolo 1102 c.c. – applicabile, ai sensi dell’articolo 1139 c.c. – al condominio che, nello stabilire i poteri e i limiti di ciascun partecipante nell’uso dei beni comuni, fissa al tempo stesso le condizioni di liceita’ della condotta del comunista.
Con riferimento al condominio la norma consente, infatti, la piu’ intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprieta’ esclusiva, purche’ il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l’altrui pari uso.
In definitiva l’estensione del diritto di ciascun comunista trova il limite nella necessita’ di non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti (Cass. 10453 del 2001). Pertanto, qualora – attraverso la valutazione delle esigenze e dei diritti degli altri partecipanti alla comunione – il giudice verifichi che l’uso della cosa comune sia avvenuto nell’esercizio dei poteri e nel rispetto dei limiti stabiliti dall’articolo 1102 c.c. a tutela degli altri comproprietari, deve ritenersi legittima l’opera seppure realizzata senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti fra proprieta’ contigue e che trovano applicazione nel condominio, sempreche’ la relativa osservanza sia compatibile con la struttura dell’edificio condominiale, in cui le singole proprieta’ coesistono in unico edificio. In considerazione del rapporto strumentale di cui si e’ detto fra l’uso del bene comune e la proprieta’ esclusiva, che caratterizza il condominio, non sembra quindi corretto l’operato della Corte distrettuale che sul presupposto di mancata denuncia della norma violata, non ha valutato l’incidenza e la ricaduta della passerella realizzata dagli originari convenuti sulla parte comune del fabbricato, quale e’ la facciata.
Risulta dunque evidente l’errore in cui e’ incorsa la Corte d’appello, in quanto ha ritenuto applicabili, a discapito dell’articolo 1102 c.c., le norme sulle distanze anziche’ verificare, come aveva gia’ fatto il Tribunale, se l’uso del bene comune – la facciata dell’edificio utilizzata per la realizzazione della passerella in cemento armato – non ledesse il pari uso dei proprietari dell’unita’ immobiliare sottostante. L’indagine avrebbe dovuto incentrarsi sull’accertamento dell’esistenza (o meno) di un pregiudizio per l’immobile di proprieta’ dei (OMISSIS), sottostante il loro, che, a causa e per effetto della realizzazione di detto nuovo accesso all’appartamento posto al primo piano attraverso una passerella appoggiata sul muro perimetrale comune, avesse subito il danneggiamento dei fregi architettonici oltre a una diminuzione di aria e luce in relazione alla veduta esercitata dalle finestre.
Il primo motivo di ricorso va quindi per tale profilo accolto;
– con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 907 c.c., con riferimento alla copertura della terrazza e al danno conseguente e ancora la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1158 e 2697 c.c., e articolo 115 c.p.c..
I ricorrenti affermano di avere, con l’appello incidentale, ritualmente formulato nella comparsa di costituzione, che la copertura della terrazza e’ da sempre esistente e che la variazione accertata dal c.t.u. nelle altezze e’ talmente modesta da poter essere considerata irrilevante (circa 20 cm), conseguentemente hanno chiesto rigettarsi la domanda di rimozione formulata dai resistenti o, in subordine, l’abbassamento dell’esistente tettoia nella parte centrale di cm 20, lasciando la chiusura frontale che e’ sempre esistita. Osservano che nessuna contestazione e’ stata mossa sul punto dai (OMISSIS)- (OMISSIS) negli atti del giudizio.
A dire dei ricorrenti, nel 1989 e’ stato realizzato il balcone dei (OMISSIS)- (OMISSIS), con modifica della facciata e prospetto della villa mediante realizzazione di una terrazza in luogo della preesistente copertura a tegole. Anche sul punto i ricorrenti affermano che nessuna contestazione e’ pervenuta dai (OMISSIS)- (OMISSIS) con conseguente valutazione ex articolo 115 c.p.c..
In relazione alla domanda subordinata di abbassamento dell’esistente tettoia nella parte centrale di 20 cm con mantenimento della chiusura frontale che non ostacola la veduta, la Corte di appello ha omesso totalmente la motivazione, ragione per cui nessun danno puo’ essere riconosciuto ai resistenti per detta causale. Ne deriva, a dire dei ricorrenti, che la Corte di appello ha erroneamente applicato le norme di cui all’articolo 1158 c.p.c., articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c., in relazione a detto capo della sentenza.
Infine, secondo i ricorrenti la sentenza va riformata, affermando il loro diritto a mantenere la copertura della terrazza nella originaria conformazione ed in subordine, ad abbassare di 20 cm la parte centrale mantenendo la chiusura frontale e riformare inoltre il capo della sentenza relativa al risarcimento del danno disposto a favore di (OMISSIS)- (OMISSIS) in quanto non dovuto perche’ privo di causa.
La seconda censura e’ priva di pregio.
La Corte di appello ha accertato che il manufatto in questione, costituito da una tettoia, “non rilevera’ la sua preesistenza (…), in quanto mai vantato alcun acquisto per usucapione del diritto di limitare l’altrui veduta con riferimento alla pregressa conformazione” e che “in ambito civile non importera’ la sua legittimita’ urbanistico/amministrative, bensi’ l’accertata interferenza e parziale limitazione della veduta dall’immobile (OMISSIS)- (OMISSIS)”.
Come questa Corte ha piu’ volte affermato, ai fini delle prescrizioni di cui all’articolo 873 c.c. costituisce “costruzione” anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria, come, appunto, nel caso di una tettoia, tutte le volte in cui, com’e’ risultato nel caso di specie, abbia i caratteri della stabilita’, della consistenza e dell’immobilizzazione al suolo (Cass. n. 28784 del 2005; Cass. n. 5934 del 2011). Quanto al resto, la Corte distrettuale ha accertato, in fatto, l’interferenza di siffatta opera nella limitazione della veduta dall’immobile posto al piano superiore. Ed e’ noto che la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attivita’ riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). In effetti, non e’ compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual e’ reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.), come, in effetti, e’ accaduto nel caso in esame.
Per le considerazioni svolte, va accolto il primo motivo, rigettato il secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, che nel decidere la controversia si atterra’ ai principi di diritto sopra illustrati.
Ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 3, il giudice di rinvio provvedera’ altresi’ sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, respinto il secondo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

 

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