Qualificazione d’ufficio quale vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero quale vendita di “aliud pro alio”

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 marzo 2024| n. 5884.

Qualificazione d’ufficio quale vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero quale vendita di “aliud pro alio”

In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, il giudice, chiamato a pronunciarsi su una domanda di accertamento dei vizi della cosa venduta, ha il compito di qualificare d’ufficio l’azione proposta in termini di vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero, sulla base delle circostanze acquisite al processo a tal fine rilevanti, di vendita di “aliud pro alio”, la quale dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di inadempimento ex art. 1453 cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizioni previsti dall’art. 1495 cod. civ.

 

Ordinanza|5 marzo 2024| n. 5884. Qualificazione d’ufficio quale vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero quale vendita di “aliud pro alio”

Data udienza 28 febbraio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti – Compravendita – Obbligazioni del venditore – Consegna della cosa – Cosa diversa dalla pattuita (“aliud pro alio”) – Poteri del giudice – Qualificazione d’ufficio della domanda quale vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero quale vendita di “aliud pro alio” – Sussistenza

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere-Rel.

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15667/2019 R.G. proposto da:

(…) Srl, elettivamente domiciliata in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato GO. LU. (omissis) rappresentata e difesa dagli avvocati MA. FA. (omissis), PO. AN. (omissis)

-ricorrente-

contro

Bu.Lu., Bu.Ba., Bu.Gi., SOCIETA’ SEMPLICE AGRICOLA, elettivamente domiciliati in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato DI. PI. NI. (omissis) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GI. LU. (omissis)

-controricorrenti-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PERUGIA n. 778/2018 depositata il 02/04/2019 .

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2024 dal Consigliere dr. MAURO MOCCI.

Qualificazione d’ufficio quale vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero quale vendita di “aliud pro alio”

FATTI DI CAUSA

Bu.Lu., Bu.Ba. e Bu.Gi., quali legali rappresentanti della omonima Società Agricola semplice, proposero opposizione avverso il decreto ingiuntivo concesso dal Tribunale di Perugia alla Srl (…), per il pagamento dell’importo di Euro 64.322,16, relativo ad una fornitura di mangime, dal settembre 2008 all’agosto 2009.

Gli opponenti avevano dedotto vizi talmente rilevanti da configurare una vendita di aliud pro alio ed avevano svolto eccezione di inadempimento, giacché la concentrazione di rame in quantità superiori al consentito aveva causato la grave intossicazione e la moria di alcuni animali.

Nella resistenza della società (…), il giudice adito respinse l’opposizione.

Su gravame dei soccombenti, con sentenza n. 778, depositata il 10 novembre 2018, la Corte d’appello di Perugia accolse l’impugnazione.

Il giudice di secondo grado osservò che, negli atti prodotti dagli appellanti, era presente copia dell’elaborato peritale, svoltosi in sede di ATP presso il Tribunale di Grosseto, non contestato ex adverso dal punto di vista del rito. La perizia avrebbe evidenziato che gli ovini presentavano i segni tipici di un’intossicazione cronica da rame, che ne aveva sicuramente determinato la morte, essendo il valore della sostanza chimica pari a cinque volte quello massimo ed essendo state escluse cause alternative d’intossicazione. Le prove testimoniali avrebbero confermato sia la vendita di aliud pro alio, sia la determinazione del danno quantificato dal C.T.U. (Euro 150.890,12).

La Srl (…) ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di sette motivi.

La Società agricola Bu. si è costituita con controricorso, illustrato da successiva memoria ex art. 378 c.p.c.

Qualificazione d’ufficio quale vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero quale vendita di “aliud pro alio”

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con la prima doglianza, la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 115, 116 e 698 c.p.c.

La C.T.U. svolta nell’ambito dell’A.T.P. non avrebbe mai trovato ingresso nel procedimento di opposizione, giacché il giudice di primo grado non ritenne di ammetterla, né controparte ne avrebbe richiesto l’acquisizione in appello. Di conseguenza, non avrebbe potuto essere utilizzata a fini probatori nel giudizio di secondo grado.

1.1) Mediante la seconda censura, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., errata ed omessa valutazione ed esame di un fatto decisivo risultante dagli atti di causa, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

La Corte umbra avrebbe errato nel valutare la predetta C.T.U., che sarebbe stata del tutto inattendibile, inammissibile e svolta senza il rispetto di norme di diritto. Infatti, il consulente d’ufficio avrebbe sottoposto ad analisi una sola consegna, rispetto alle 24 in totale ricevute, sicché mancherebbe la prova che il vizio riguardasse tutte le forniture e che, addirittura il mangime esaminato fosse quello fornito dalla (…) Srl Inoltre, l’A.T.P. avrebbe fatto esclusivo riferimento ad un prodotto non integro, in quanto contenuto in un sacchetto forato. Del resto, il medesimo prodotto sarebbe stato consegnato – nello stesso periodo – anche ad altri clienti, senza ricevere alcuna lamentela. Infine, secondo la normativa di settore, eventuali analisi avrebbero potuto essere effettuate solo sul campione di ogni scarico, rilasciato in contraddittorio al momento di ogni singola consegna.

1.2) Il terzo mezzo di ricorso si appunta sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 18 comma 7° L. n. 281/1963, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., con violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

Il prodotto che la società Bu. affermava di aver analizzato e quello oggetto della C.T.U. non sarebbe il medesimo prelevato in contraddittorio, secondo la normativa di settore: non ve ne sarebbe stata traccia nei documenti di trasporto e neppure sarebbe stata fornita la prova dell’esecuzione del campionamento.

1.3) I primi tre motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, sono inammissibili.

La sentenza impugnata ha testualmente affermato: “negli atti prodotti da parte degli appellanti si rinviene copia dell’elaborato peritale, svolto in sede di ATP presso il Tribunale di Grosseto (e per la quale il Giudice presso quel Tribunale ha dichiarato la continenza con la presente controversia). Dall’elaborato, che è stato ritualmente acquisito agli atti del presente procedimento, perché prodotto dalla parte appellante in primo grado, senza contestazioni inerenti i profili di rito e quindi è certamente valutabile ai fini della decisione. si evince che ogni fornitura di mangime della (…) Srl all’Azienda Agraria Bu. nel periodo considerato prevedeva un campionamento, che doveva essere eseguito personalmente dal trasportatore, il quale provvedeva anche a sigillare il campione e i campioni regolarmente sigillati sono stati sottoposti a esame peritale, giudicati inutilizzabili da parte dei ricorrenti e dal CTU ai fini delle analisi (vedi relazione). Il CTU ha evidenziato che gli ovini presentavano i segni tipici d’intossicazione cronica da rame, che ne ha determinato con certezza la morte: il valore del rame, rinvenuto all’interno del campione di mangime, è pari a cinque volte quello massimo, oltre il quale è necessario segnalarne la tossicità; ha escluso espressamente altre cause d’intossicazione, quali ingestioni accidentali di farmaci o altri prodotti, a base di solfato di rame”.

La sentenza impugnata ha dunque dato atto che l’ATP era stato ritualmente acquisito, perché presente negli atti di parte opponente fin dal primo grado, senza contestazioni avversarie.

1.4) I giudici di secondo grado hanno dunque fatto corretta applicazione del principio di questa Suprema Corte, per il quale la relazione conclusiva di un accertamento tecnico preventivo, se ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, entra a far parte del materiale probatorio regolarmente prodotto e sottoposto al contraddittorio, anche se una delle parti del giudizio di merito non abbia partecipato al procedimento di istruzione preventiva e, perciò, è liberamente apprezzabile e utilizzabile, quale elemento di prova idoneo a fondare il convincimento del giudice nel raffronto con le altre risultanze istruttorie acquisite, nei confronti di tutte le parti del processo (Sez. 3, n. 8496 del 24 marzo 2023; Sez. 3, n. 31312 del 3 novembre 2021).

1.5) L’assunto della Srl (…) che vi sarebbe stata una rituale opposizione all’ammissione del mezzo è privo di rilevanza.

Da un lato, l’affermazione non riporta né indica nel dettaglio quali parti della memoria ex art. 183 c.p.c. e della successiva comparsa di risposta in appello abbiano specificamente posto la questione dell’ammissibilità dell’ATP. L’accenno alla memoria ex art. 183 c.p.c. non è corredato da nessun ulteriore elemento idoneo ad individuare la collocazione sistematica dell’affermazione della ricorrente ed è dunque irrilevante.

Dall’altro, poiché la ricorrente ha denunciato un error in iudicando, alla Corte di legittimità è precluso l’esame degli atti (Sez. 1, n. 24856 del 22 novembre 2006).

Invero, in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico” (Sez. 1, n. 28184 del 10 dicembre 2020).

1.6) In tal senso, appaiono carenti di specificità e dunque inammissibili anche le ulteriori asserzioni della ricorrente circa il mancato rispetto dei protocolli nello svolgimento dell’elaborato peritale. Per esse, giova comunque ribadire che la nullità della consulenza tecnica d’ufficio è soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c., avendo carattere di nullità relativa, e deve, pertanto, essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata (Sez. U. n. 5624 del 21 febbraio 2022; Sez. 3, n. 15747 del 15 giugno 2018).

1.7) In definitiva, considerato che non vi sono elementi per invalidare il contenuto del suddetto ATP, si rivela inammissibile anche il richiamo alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., giacché, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).

2) Attraverso la quarta lagnanza, la Srl (…) afferma la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 163 c.p.c. e 1453, 1490 e 1497 c.c. Sostiene che la domanda avversaria di aliud pro alio avrebbe dovuto essere respinta, giacché tardivamente proposta, in quanto solo con la memoria ex art. 183 c.p.c. controparte aveva svolto la suddetta deduzione, mentre in limine litis era stato richiesto soltanto l’accertamento dell’inadempimento contrattuale della fornitrice del mangime.

2.1) Col quinto rilievo, la ricorrente denuncia errata o omessa valutazione ed esame di un fatto decisivo, ex art. 360 n. 5 c.p.c., in riferimento agli artt. 1490 e 1495 c.c. e conseguente violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 c.p.c.

La Corte distrettuale avrebbe erroneamente respinto le eccezioni di prescrizione e decadenza formulate dalla (…), come rilevato avanti il Tribunale, nel primo atto successivo alla trasformazione della domanda avversaria.

I predetti motivi – anch’essi esaminabili congiuntamente – sono destituiti di fondamento.

2.2) Per un verso, la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (Sez. U, n. 12310 del 15 giugno 2015; Sez. 3, n. 4031 del 16 febbraio 2021; Sez. 3, n. 31078 del 28 novembre 2019).

Ne consegue l’ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ., dell’originaria domanda relativa all’accertamento dei vizi in funzione dell’eccezione di inadempimento con quella di accertamento della vendita di aliud pro alio, dal momento che la domanda del compratore volta a far valere l’eccezione di inadempimento del venditore rispetto all’obbligo di consegna del bene pattuito è rimasta immutata.

2.3) Per altro verso, in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, il giudice, chiamato a pronunciarsi su una domanda di accertamento dei suddetti vizi, ha in ogni caso il compito di qualificare d’ufficio l’azione proposta in termini di vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero, sulla base delle circostanze acquisite al processo a tal fine rilevanti, di vendita di “aliuDPRo alio”, la quale dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di inadempimento ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c.. (Sez. 2, n. 28069 del 14 ottobre 2021).

3) La sesta doglianza concerne la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., giacché la sentenza impugnata avrebbe reputato provate le domande ed eccezioni avversarie, mentre la società Bu. non avrebbe fornito alcuna prova, nonostante il relativo onere. In particolare, non avrebbe dimostrato “che i campioni analizzati si riferiscono al mangime (…), che il cartellino sia stato firmato dal trasportatore, che dai DDT, così come previsto dalla normativa e come specificato al precedente motivo III, via sia traccia del prelievo”.

Il motivo è inammissibile.

3.1) A parte quanto già affermato con riguardo ai limiti di censura rispetto alle modalità di svolgimento dell’accertamento tecnico, è noto che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.

3.2) Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).

In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dalla ricorrente non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, volta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).

3.3) È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).

4) L’ultima censura concerne la violazione e falsa applicazione delle norme riguardanti la legge n. 183 del 1993, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.

La Corte distrettuale avrebbe errato nel non aver accolto le eccezioni sollevate nelle memorie n. 2 e n. 3 del giudizio di primo grado, in relazione alla mancata accettazione del contraddittorio sulle domande nuove e sulla violazione dell’art. 1 lett. C) della legge n. 183/1993, attesa la mancata sottoscrizione delle memorie avversarie da parte dell’avvocato ricevente.

Il predetto motivo è inammissibile.

4.1) In ordine alla riproposizione della questione delle eccezioni non accolte, vale quanto già detto sub 2.3). Per il resto, in ordine alla mancata sottoscrizione delle memorie da parte del procuratore, da un lato la questione non è stata sollevata in appello, e, dall’altro, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U., n. 23745 del 28 ottobre 2020; Sez. 5, n. 18998 del 6 luglio 2021).

Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di lite, come liquidate in dispositivo.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.

Qualificazione d’ufficio quale vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero quale vendita di “aliud pro alio”

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, rigetta il ricorso.

Condanna la Srl (…) al pagamento delle spese processuali a favore della Società Agricola Bu., liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 8.500 (ottomila/500) per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.

Così deciso in Roma il 28 febbraio 2024, nella camera di consiglio delle Seconda Sezione Civile.

Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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