Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 19 febbraio 2020, n. 1262.
La massima estrapolata:
Il provvedimento di sanatoria edilizia, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 380 del 2001, presuppone la conformità urbanistica dell’intervento, compresa quindi la valutazione dei vincoli esistenti sull’area, senza alcuna rilevanza delle ragioni che abbiano portato alla realizzazione dell’opera abusiva o di altri elementi relativi al “comportamento” posto in essere dalla parte ai fini della realizzazione dell’opera.
Sentenza 19 febbraio 2020, n. 1262
Data udienza 14 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 91 del 2011, proposto dai signori
-OMISSIS-, in proprio e quali legali rappresentanti della Azienda Agricola -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato Al. Va., con domicilio eletto presso l’avv. Gi. Bo. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), Provincia di Pesaro e Urbino, Comunità Montana Alta Valmarecchia, Sportello Unico Associato Attività Produttive della Comunità Montana -OMISSIS-, non costituiti in giudizio;
e con l’intervento di
Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pa. De Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. An. Del Ve. in Roma, viale (…)
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche n. 2821/2010, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del parere negativo sul nulla osta per vincolo idrogeologico
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Marche;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2020 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti l’avvocato Gi. Bo. su delega dell’avvocato Al. Va. e l’avvocato An. Del Ve. su delega dell’avvocato Pa. De Be.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I signori -OMISSIS- hanno ottenuto dal Comune di (omissis) i permessi n. -OMISSIS- per la realizzazione sui terreni di loro proprietà di una stalla per bovini e caprini e di una concimaia per l’azienda agricola, in zona -OMISSIS- agricola di tutela ambientale in area boschiva, sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico.
Per tali lavori era stato rilasciato dalla Provincia nulla osta idrogeologico con specifiche prescrizioni relative al rispetto della vegetazione arborea e alla stabilità dell’area.
Il 23 gennaio 2007 il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di (omissis), a seguito di sopralluogo, ordinava la sospensione dei lavori relativi ad uno sbancamento per circa 230 metri cubi su area, in parte boscata, sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico nonché per la frantumazione di formazioni rocciose per la realizzazione di una strada di collegamento della lunghezza di circa 110 metri e larghezza di 5 metri.
Con memoria del 24 febbraio 2007 i signori -OMISSIS- evidenziavano che i lavori sia di realizzazione della strada che di frantumazione delle formazioni rocciose erano stati effettuati al fine di eliminare la situazione di pericolo derivante da un masso di roccia sovrastante l’azienda.
Con ordinanza dell’8 marzo 2007, il Responsabile dell’ufficio tecnico del Comune, rilevata la realizzazione di tali opere in assenza di permesso di costruire nonché di autorizzazione paesaggistica e nulla osta idrogeologico, ingiungeva il ripristino dello stato dei luoghi, limitatamente alla pista sterrata e agli sbancamenti realizzati, mediante riporto di terreno vegetale, considerata l’impossibilità di ripristino rispetto alla demolizione del masso roccioso e della alberature esistenti. Nel provvedimento si rinviava ad ulteriore istruttoria per la situazione di pericolo prospettata dagli appellanti nella memoria procedimentale.
Il provvedimenti di sospensione dei lavori e l’ordinanza con cui è stato ingiunto il ripristino sono stati impugnati dai signori -OMISSIS- davanti al Tribunale amministrativo regionale delle Marche con ricorso R.G. n. -OMISSIS-, deducendo oltre ad altre censure che le opere sarebbero state necessarie in relazione alla messa in sicurezza dell’azienda agricola rispetto ad un masso incombente su di essa, la cui pericolosità era emersa a seguito dei lavori regolarmente assentiti con i permessi di costruire del 2006.
Con la sentenza n. 770 dell’11 dicembre 2018 che non risulta appellata è stata dichiarata inammissibile la impugnazione dell’ordinanza di sospensione dei lavori, respinto il ricorso avverso l’ordinanza di ripristino. La sentenza ha escluso la rilevanza ai fini della illegittimità del provvedimento delle esigenze di messa in sicurezza del masso, che avrebbero potuto giustificare solo opere di carattere transitorio strumentali, cioè, alla sola realizzazione degli interventi di messa in sicurezza del masso.
Con atto del 1 giugno 2007 il Corpo Forestale dello Stato, rilevando l’abbattimento di area boscata per mq 700 e di 380 piante di varie dimensioni, irrogava la sanzione pecuniaria e quella accessoria del ripristino dello stato dei luoghi per la violazione degli artt. 7 e 8 del RD n. 3267 del 1923.
Per le opere relative alla trasformazione di carraia agricola in terra battuta in strada carrabile, il 1 giugno 2007, i signori -OMISSIS- presentavano allo Sportello unico Attività Produttive della Comunità Montana -OMISSIS- domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del T.U. 6 giugno 2001 n. 380 integrata da ulteriore documentazione nel novembre 2007. E’ stata presentata altresì domanda di autorizzazione paesaggistica.
Successivamente con ordinanza contingibile e urgente del 31 ottobre 2007, su conforme parere della provincia del 10 ottobre 2007, il Comune di (omissis) ordinava ai ricorrenti di procedere alla messa in sicurezza dell’azienda agricola con la distruzione del masso. Nel parere della Provincia si indicava l’utilizzo temporaneo della strada di accesso ai fini della demolizione dell’ammasso roccioso.
Trattandosi di area sottoposta vincolo idrogeologico, ai sensi della legge della Regione Marche 23 febbraio 2005, n. 6- che prevede all’art. 11 il vincolo idrogeologico su tutte le aree boschive della Marche- nel corso del procedimento di sanatoria è stato richiesto il parere della Provincia di Pesaro e Urbino.
Con atto del 21 febbraio 2008 la Provincia comunicava il preavviso di rigetto.
Nella memoria presentata a seguito del preavviso di parere negativo la parte faceva riferimento alla realizzazione di una pista tagliafuoco.
Il 17 giugno 2008 la Provincia si è espressa in senso negativo non sussistendo alcuna delle ipotesi espressamente disciplinate dalla legge regionale n. 6 del 2005 per gli interventi di disboscamento, escludendo la natura di pista tagliafuoco della strada carrabile realizzata.
Con nota del 24 giugno 2008 lo Sportello unico per le attività produttive del Comune comunicava il parere negativo della Provincia, ai fini della conclusione del procedimento ai sensi del comma 2 del D.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447.
Tali provvedimenti sono stati impugnati davanti al Tribunale amministrativo regionale delle Marche, formulando i seguenti motivi:
-violazione degli artt. 146 e 149 del d.lgs. 42 del 2004 e eccesso di potere per assenza di motivazione e istruttoria, contraddittorietà degli atti amministrativi, in quanto i lavori effettuati non necessitavano di autorizzazione paesaggistica, trattandosi di operazioni connesse all’esercizio dell’attività agro-silvo pastorale, che non avevano alterano l’assetto del territorio; inoltre l’allargamento della preesistente carraia agricola sarebbe stato operato esclusivamente per la messa in sicurezza dal masso; non tutta l’area sarebbe poi coperta dal bosco.
-violazione dell’art. 12 della legge regionale n. 6 del 2005 e del R.D. 3267 del 1923; eccesso di potere per difetto di motivazione e istruttoria, con cui hanno affermato che si trattava della realizzazione di una pista tagliafuoco consentita dalla legge regionale, effettuata inoltre per gli interventi di messa in sicurezza del masso; vi sarebbe stato anche un intervento di compensazione dell’area boscata non valutato dalla Provincia;
– violazione dell’art. 181 comma 1 quater del D.lgs. 42 del 2004 e del 3627 del 1923, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto il vincolo idrogeologico non comporta un vincolo di inedificabilità assoluta.
La sentenza di primo grado ha respinto tutti i motivi sulla base della necessità del nulla osta idrogeologico, trattandosi di area sottoposta a vincolo idrogeologico e quindi della irrilevanza della disciplina sull’autorizzazione paesaggistica; della irrilevanza rispetto alla presente vicenda dell’utilizzo della pista sterrata per ragioni di emergenza – circostanza dedotta dai ricorrenti solo successivamente al primo provvedimento sanzionatorio emesso dal Comune di (omissis)- e comunque non idonea quale presupposto del provvedimento di sanatoria edilizia; il giudice di primo grado ha, infatti, richiamato il parere del 10 ottobre 2007 in cui la Provincia aveva indicato l’utilizzo solo temporaneo della strada per la demolizione del masso roccioso, con la conseguenza che tale emergenza non poteva giustificare la sanatoria e quindi un parere idrogeologico favorevole di una opera realizzata senza alcun titolo; ha, inoltre, respinto il motivo di ricorso relativo alla realizzazione di una pista tagliafuoco, in quanto tale circostanza di fatto era emersa solo a seguito del preavviso di rigetto mentre nella domanda di sanatoria si indicava la realizzazione della strada a servizio dell’azienda agricola; ha considerato irrilevante la censura relativa alla natura relativa del vincolo idrogeologico.
Avverso tale sentenza è stata proposta la presente impugnazione deducendo che per la stessa vicenda gli appellanti sono stati sottoposti ad un procedimento penale concluso con la sentenza di assoluzione del Tribunale di Pesaro del 23 agosto 2010 – pubblicata successivamente alla sentenza appellata e depositata nel presente giudizio – che ha riconosciuto la sussistenza della scriminante dello stato di necessità, ai sensi dell’art. 54 c.p.; sono stati quindi proposti i seguenti motivi di appello:
-violazione dell’art. 654 c.p.p e dei principi degli effetti del giudicato penale sui giudizi civile e amministrativi; violazione dell’art. 54 c.p. e dell’art. 4 della legge n. 689 del 1981; dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 88 del d.lgs. n. 104 del 2010 in tema di motivazione; eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione; carenza dei presupposti e sviamento; travisamento dei presupposti, illogicità e contraddittorietà, con cui si contesta che il medesimo fatto sia stato valutato in modo differente dal giudice penale e dal giudice amministrativo; si sostiene quindi che anche il giudice amministrativo avrebbe dovuto valutare la sussistenza dei presupposti dello stato di necessità.
Sono state quindi riproposte sotto forma di difetto di motivazione del giudice le censure del ricorso di primo grado, ovvero:
– violazione degli articoli 146 e 149 del d.lgs. 42 del 2004, eccesso di potere per assenza di motivazione e istruttoria, contraddittorietà degli atti amministrativi, in quanto i lavori effettuati non necessitavano di autorizzazione paesaggistica, trattandosi di operazioni connesse all’esercizio dell’attività agro-silvo pastorale, che non avevano alterano l’assetto del territorio; inoltre, l’allargamento della preesistente carraia agricola sarebbe stato operato esclusivamente per la messa in sicurezza dal masso; infine, il giudice di primo non avrebbe dato alcuna motivazione sulla parte dell’area non coperta dal bosco;
– violazione dell’art. 12 della legge regionale n. 6 del 2005; del R.D. 3267 del 1923; eccesso di potere per difetto di motivazione e istruttoria, con cui è stato affermato il tracciato realizzato costituiva una pista tagliafuoco consentita dalla legge regionale, effettuata inoltre per gli interventi di messa in sicurezza; vi sarebbe stato anche un intervento di compensazione dell’area boscata non valutato dalla Provincia;
– violazione dell’art. 181 comma 1 quater del D.lgs. 42 del 2004 e del R.D. 3627 del 1923, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto il vincolo idrogeologico non comporta un vincolo di inedificabilità assoluta.
In vista dell’udienza pubblica si è costituita la Regione Marche deducendo di essere subentrata nelle funzioni provinciali ai sensi della legge 7 aprile 2014 n. 56 e della legge della Regione Marche 3 aprile 2015 n. 13; ha poi contestato la fondatezza dell’appello.
La parte appellante ha depositato memoria insistendo nelle proprie argomentazioni difensive relative alla rilevanza della intervenuta assoluzione in sede penale.
All’udienza pubblica del 14 gennaio 2020 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
In via preliminare ritiene il Collegio di prescindere dall’esame dell’attualità della legittimazione passiva della Regione Marche – essendo il territorio del Comune di (omissis) passato nell’ambito territoriale della Regione Emilia Romagna a seguito della legge 3 agosto 2009, n. 117 su cui avrebbe successivamente operato il trasferimento delle funzioni dalla Province alle Regioni, ai sensi della legge n. 56 del 2014- in relazione all’intervento volontario in giudizio della stessa Regione Marche, alla mancata contestazione di tale intervento da parte dell’appellante, e comunque alla evidente infondatezza dell’atto di appello.
Ritiene, altresì, il Collegio di evidenziare che la presente vicenda, come risulta dalla ricostruzione in fatto emergente dagli atti di causa, riguarda la realizzazione da parte dei titolari della azienda agricola (omissis) di opere costituite dalla trasformazione di una pista sterrata in strada carrabile, in assenza di titolo abilitativo, intervento effettuato prima del 23 gennaio 2007, data in cui l’intervento è stato oggetto di un provvedimento di sospensione comunale.
Solo dopo tale ordinanza è emersa la circostanza dedotta dagli odierni appellanti che la realizzazione della strada si era resa necessaria per garantire interventi su un masso roccioso, la cui pericolosità sarebbe era emersa durante i lavori dei titoli edilizi rilasciati nel 2006.
La circostanza delle pericolosità del masso è stata, peraltro, espressamente presa in considerazione dal Comune di (omissis) nella ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi dell’8 marzo 2007 (oggetto del ricorso davanti al Tribunale amministrativo delle Marche n. -OMISSIS- definito con sentenza di rigetto n. -OMISSIS-), che ha ordinato la riduzione in pristino con riferimento alla effettuata trasformazione della strada, rinviando ad ulteriori accertamenti istruttori per le valutazioni circa la messa in sicurezza del masso. Sul punto la Provincia si è espressa con il parere del 10 ottobre 2007, in cui ha precisato che “la strada di accesso potrà essere utilizzata solamente temporaneamente per la demolizione dell’ammasso roccioso”; sulla base di tale parere è stato adottato il provvedimento contingibile e urgente del 31 ottobre 2007, che ha ordinato (e quindi allo stesso tempo autorizzato) la rimozione del masso a tutela della pubblica incolumità.
Su tale questione relativa alla rimozione del masso si è, quindi, inserita la domanda di sanatoria delle opere abusivamente realizzate relative alla trasformazione della strada da carraia agricola sterrata a carrabile con lo sbancamento e l’abbattimento di numerose piante, presentata dagli appellanti il 5 giugno 2007.
La domanda di sanatoria, anche ammesso che l’intervento fosse stato realizzato per le esigenze di sicurezza derivanti dal pericolo della masso roccioso, è comunque finalizzata al mantenimento in futuro come legittima dell’opera abusivamente realizzata, essendo, inoltre, consentito l’utilizzo di tale tracciato per la rimozione del sasso ai sensi dell’ordinanza del 31 ottobre 2007 e del presupposto parere della Provincia del 10 ottobre 2007.
Essendo l’area boscata sottoposta a vincolo idrogeologico, ai sensi dell’art. 11 della legge regionale Marche n. 6 del 2005, ai fini della sanatoria edilizia era necessario il parere della Provincia, che si è espressa in senso negativo, avendo ritenuto l’intervento realizzato estraneo alle ipotesi tassative di disboscamento previste dell’art. 12 della legge regionale n. 6/2005, escludendo espressamente la natura di pista tagliafuoco della strada concretamente realizzata.
Da tali circostanze di fatto emerge con chiarezza che le esigenze di sicurezza derivanti dalla pericolosità del masso incombente sull’azienda sono del tutto ininfluenti rispetto al provvedimento impugnato nel presente giudizio ovvero il parere negativo della Provincia che ha impedito l’ulteriore corso della domanda di sanatoria.
Infatti, il provvedimento di sanatoria edilizia, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 380 del 2001, presuppone la conformità urbanistica dell’intervento, compresa quindi la valutazione dei vincoli esistenti sull’area, senza alcuna rilevanza delle ragioni che abbiano portato alla realizzazione dell’opera abusiva o di altri elementi relativi al “comportamento” posto in essere dalla parte ai fini della realizzazione dell’opera.
Ne deriva che la esigenza di sicurezza derivante dal pericolo della caduta del masso- che la parte appellante riporta alla sussistenza della esimente dello stato di necessità- non può avere alcuna rilevanza rispetto alla valutazione relativa al rilascio di un titolo edilizio anche se in sanatoria.
Il titolo edilizio anche in sanatoria ha, infatti, presupposti propri specificamente individuati dalla legge e dalla disciplina urbanistica comunale nonché da quella paesaggistica e, nel caso di specie, dall’esistenza di un vincolo idrogeologico sull’area, che prescindono sia dai motivi per cui è stata realizzata la opera edilizia sia dalla sussistenza di un eventuale stato di necessità.
Tale circostanza della pericolosità del masso avrebbe potuto rilevare- così come effettivamente è stato- al solo al fine di consentire il mantenimento della strada fino alla esecuzione delle opere di messa in sicurezza; non a legittimare un opera edilizia abusiva in mancanza dei presupposti per la sanatoria.
Sotto tale profilo, ritiene dunque il Collegio la irrilevanza nel presente giudizio dell’assoluzione in sede penale pronunciata dalla sentenza del Tribunale di Pesaro, depositata nel presente giudizio, che ha riconosciuto sussistente la scriminante dello stato di necessità.
Se, infatti, la scriminante dello stato di necessità ha potuto rilevare ex post al fine di giustificare il comportamento-in astratto penalmente rilevante- posto in essere dagli appellanti nella realizzazione della strada in mancanza del titolo edilizio e della autorizzazione paesaggistica, non può trovare alcuna considerazione nel presente giudizio ai fini della legittimità di provvedimenti (la sanatoria edilizia e il preordinato nulla osta idrogeologico), che hanno autonomi presupposti previsti dalla legge e del tutto differenti dalle valutazioni di un “comportamento” operate dal giudice penale.
La totale estraneità alla fattispecie della sanatoria edilizia delle circostanze in cui è stata realizzata l’opera edilizia rende inutile l’esame della questione circa la rilevanza del giudicato penale rispetto ai giudizi amministrativi, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., proposta dalla parte appellante come primo motivo di appello.
In ogni caso, ritiene il Collegio sul punto di richiamare i consolidati orientamenti giurisprudenziali di questo Consiglio, per cui nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo la regola generale è costituita dall’autonomia e della separazione (Cons. Stato Sez. II, 24 ottobre 2019, n. 7245). Inoltre, sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale; non, quindi, nei confronti di altri soggetti che siano rimasti estranei al processo penale, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda penale (Cons. Stato Sez. VI, 2 dicembre 2016, n. 5069; id. 31 gennaio 2017, n. 407). Sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l’accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile (Cons. Stato Sez. VI, 11 gennaio 2018, n. 145; id. 16 luglio 2015, n. 3556).
Applicando tali orientamenti al caso di specie, è evidente che l’applicazione di una scriminante (e, peraltro, della scriminante – art. 54 cp- con minore latitudine applicativa, tra quelle previste dal codice penale, tanto è vero che la stessa non incide sulla antigiuridicità della condotta, a fini civilistici, tanto che al danneggiato è dovuta una “indennità” ex art. 2045 cc) costituisca una qualificazione giuridica non vincolante in sede di giudizio amministrativo.
Il primo motivo di appello con cui si sostiene l’erroneità della sentenza di primo grado per non avere dato rilevanza alle esigenze derivanti dalla messa in sicurezza del masso è, dunque, infondato
Con riferimento agli ulteriori motivi di appello con cui sono state riproposte le censure di primo grado, ritiene il Collegio di precisare ancora una volta che il presente giudizio ha ad oggetto un parere idrogeologico negativo richiesto nell’ambito di un procedimento di sanatoria edilizia, avviato dalla parte appellante con una domanda relativa alla trasformazione di una pista sterrata in strada carrabile.
Da tale precisazione in punto di fatto deriva la irrilevanza di alcune censure.
Con la prima censura in primo grado riproposta in appello sono stati, in primo luogo, contestati la violazione degli 146 e 149 del d.lgs. 42 del 2004 nonché l’eccesso di potere per carenza di motivazione e istruttoria, e per contraddittorietà, sostenendo che i lavori effettuati non avrebbero necessitato di autorizzazione paesaggistica, trattandosi di operazioni connesse all’esercizio dell’attività agro-silvo pastorale che non avevano alterato l’assetto del territorio.
Tale argomentazione è del tutto irrilevante nel caso di specie, in cui il diniego di sanatoria è stato adottato sulla base del parere negativo espresso dalla Provincia – chiamata a pronunciarsi in quanto Autorità preposta alla tutela del vincolo idrogeologico- per la mancanza dei presupposti individuati dall’art. 12 della legge regionale n. 6 del 2005.
Le disposizioni relative all’autorizzazione paesaggistica richiamate dalla parte appellante- che escludono la necessità della detta autorizzazione nel caso di interventi che non incidano sull’aspetto esteriore del bene tutelato paesaggisticamente- non possono essere, dunque, applicate alla presente vicenda, essendo la disciplina del vincolo idrogeologico del tutto autonoma da quella relativa ai vincoli paesaggistici e posta per finalità differenti.
La disciplina dei vincoli idrogeologici è contenuta, infatti, in generale nel R.D. 30 novembre 1923 n. 3267; per la Regione Marche anche nella legge regionale n. 6 del 2005.
Il vincolo idrogeologico, ai sensi dell’art. 1 del R.D. 3267 del 1923, tende a garantire la stabilità dei terreni e non turbare il regime delle acque avendo come finalità la prevenzione di smottamenti e movimenti franosi in genere (Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2007, n. 3431; id.10 settembre 2009, n. 5424).
I presupposti per il rilascio del nulla osta idrogeologico sono, dunque, indicati dalla specifica disciplina e possono riguardare anche interventi irrilevanti paesaggisticamente ma incidenti sulla stabilità dei terreni.
Ciò trova conferma nella stessa disposizione indicata dalla parte appellante.
L’art. 149 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, infatti, esclude l’autorizzazione paesaggistica “per gli interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio”; “per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall’articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia”.
Ne deriva che tale disposizione non ha alcuna rilevanza rispetto al parere sul vincolo idrogeologico espresso dalla Provincia.
Anche tale motivo di appello è quindi infondato.
Quanto alle deduzioni relative alla realizzazione della strada per le esigenze di rimozione del masso, se ne è già indicata la irrilevanza rispetto al rilascio del titolo in sanatoria. Come sopra già evidenziato, tali esigenze avrebbero potuto rilevare ai fini del mantenimento della pista fino alla effettiva rimozione del sasso, ma non ai fini del rilascio di un titolo edilizio, rispetto a cui le motivazioni per cui l’opera abusiva è stata realizzata sono del tutto irrilevanti.
Inoltre, la situazione di emergenza avrebbe potuto consentire una opera provvisoria non la conservazione stabile dell’opera tramite un titolo edilizio in sanatoria.
Altrettanto irrilevanti sono le argomentazioni relative alla esistenza di una area anche non boscata utilizzata per la realizzazione della strada.
E’ infatti evidente che l’oggetto del diniego di sanatoria è determinato dalla relativa domanda.
La domanda di sanatoria, nel caso di specie, ha ad oggetto l’avvenuta trasformazione di una strada, che ha comunque coinvolto una area boscata, dato il consistente abbattimento di alberi, risultante anche dall’accertamento del Corpo forestale dello Stato.
Poiché, ai sensi dell’art. 11 della legge regionale Marche n. 6 del 2005, tutte le aree boscate della Regione sono sottoposte a vincolo idrogeologico, per la sanatoria di una tale opera abusiva era necessario il parere idrogeologico “postumo” ovvero successivo alla realizzazione dell’opera, a meno che la parte non avesse limitato la domanda di sanatoria alla parte di strada non realizzata sulla area boscata (ammesso che fosse possibile una tale limitazione sotto il profilo materiale e ammesso che comunque sussistesse la conformità dell’intervento con le norme urbanistiche comunali, trattandosi di intervento realizzato in zona -OMISSIS- agricola di tutela ambientale sottoposta a tutela integrale in base alle NTA del PRG).
Come correttamente rilevato nel parere, inoltre, l’intervento è comunque unitario e le porzioni all’interno e all’esterno dell’area boscata sono interdipendenti e funzionali tra loro.
Con l’ulteriore censura di primo grado riproposta in appello si sostiene l’illegittimità del parere negativo in quanto sarebbe stata realizzata una pista tagliafuoco, consentita, in base all’art. 12 della legge regionale n. 6 del 2005.
Ai sensi dell’art. 12 della legge regionale n. 6 del 2005, nel testo vigente al momento dell’adozione del parere impugnato, “la riduzione di superficie del bosco e la trasformazione dei boschi in altra qualità di coltura sono autorizzate dalla Provincia, sentita la Comunità montana per gli interventi ricadenti nel proprio territorio, esclusivamente nei seguenti casi: a) realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità; b) realizzazione di strade e piste forestali connesse all’attività selvicolturale, alla protezione dei boschi dagli incendi e alla realizzazione di opere pubbliche”.
Nel parere impugnato si esclude espressamente che il tracciato realizzato possa essere qualificato come pista tagliafuoco, richiamando la natura e funzionalità di tali piste ovvero aree boscate a minore densità di vegetazione, escludendo anche che tali “viali tagliafuoco” possano essere realizzati al fine di consentire il passaggio di mezzi anche di solo soccorso.
Nel caso di specie, la domanda di sanatoria fa espresso riferimento alla trasformazione di una carraia agricola in strada carrabile
Le motivazioni poste a base del parere negativo circa l’esclusione della natura di pista tagliafuoco non sono state oggetto di alcuna specifica contestazione né nel ricorso di primo grado né in appello, in cui si fa anzi riferimento alla protezione della stalla dagli incendi.
E’, comunque, evidente che la strada carrabile a servizio di una azienda agricola abbia un differente impatto idrogeologico sia per quotidianità del passaggio e per tipo dei mezzi impiegati rispetto ad una pista o strada forestale per esigenze silvo culturali (ovvero taglio periodico del bosco) e a una pista per la protezione dagli incendi, non essendo quest’ultima ordinariamente percorribile.
Del tutto irrilevante per le ragioni sopra esposte è poi la circostanza della situazione di emergenza derivante dalla necessità di rimuovere il masso di roccia, che avrebbe potuto al limite consentire provvisoriamente alcune opere, ma non il rilascio di un titolo edilizio per il mantenimento della strada.
Mancando i presupposti previsti dalla legge 6 del 2005 per la riduzione del bosco, alcuna considerazione può avere l’argomento delle opere di compensazione previste nel progetto.
Con il terzo motivo di ricorso di primo grado riproposto in appello si sostiene la violazione dell’art. 181 comma 1 quater del D.lgs. 42 del 2004 e del R.D. 3627 del 1923, nonché eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto il vincolo idrogeologico non comporta un vincolo di inedificabilità assoluta.
Anche tale censura è irrilevante rispetto alla presente vicenda, nella quale, proprio in quanto il vincolo idrogeologico (rispetto a cui resta comunque estraneo il richiamo all’art. 181 comma 1 quater del D.lgs. 42 del 22 gennaio 2004, che riguarda ancora una volta la disciplina della autorizzazione paesaggistica) è stato considerato di carattere relativo, è stato chiesto il parere della Provincia sulla compatibilità dell’opera con tale vincolo; qualora fosse stato qualificato come vincolo di inedificabilità assoluta, la domanda di sanatoria non sarebbe stata inviata alla Provincia per tale parere.
Quanto alla argomentazione difensiva relativa alla mancanza di valutazione in concreto della compatibilità idrogeologica dell’intervento realizzato deve rilevarsi che la Provincia ha fatto correttamente riferimento alle ipotesi di disboscamento, consentite, ai sensi della legge regionale n. 6 del 2005, non sussistenti nel caso di specie.
L’appello è, dunque, infondato e deve essere respinto.
In considerazione della complessità della questione sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’art. 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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