Provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 13 giugno 2019, n. 3953.

La massima estrapolata:

Il provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.

Sentenza 13 giugno 2019, n. 3953

Data udienza 14 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5577 del 2008, proposto da
Gn. Ma. An., rappresentata e difesa dagli avv.ti Ca. Ga. e Al. Pe., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Em. Be. ed elettivamente domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, Piazza (…);
per la riforma
in parte qua della sentenza del T.A.R. Lombardia – Milano, sez. Il, n. 2257/07 del 3 maggio 2007, resa tra le parti, con cui è stato parzialmente accolto il ricorso RG 2637/98 proposto per l’annullamento del provvedimento del 6 aprile 1998 n. 7 (prot. n. 3390), con il quale è stata ordinata la demolizione di opere.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 maggio 2019 il Cons. Francesco Guarracino e uditi per le parti gli avvocati Al. Pe. ed Em. Be.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, la sig.ra Ma. An. Gn. impugnava l’ordinanza n. 7 del 6 aprile 1998, prot. n. 3390, con cui il Comune di (omissis), a seguito di un sopralluogo effettuato in via (omissis) presso il compendio immobiliare di sua proprietà, le aveva ordinato la demolizione di opere edilizie abusive relativamente agli immobili identificati catastalmente al foglio (omissis), mappali (omissis); in particolare, l’amministrazione le aveva contestato, con riferimento all’abitazione contrassegnata con la lettera (omissis) nella planimetria allegata alla relazione di sopralluogo, la realizzazione di modifiche alle aperture, alla copertura ed alla distribuzione interna in difformità dalla licenza edilizia 5 giugno 1962 n. 18/62 e, con riferimento all’immobile individuato con le lettere (omissis) nella stessa planimetria, il fatto che l’autorizzazione n. 519/prot. del 18 settembre 1950 prevedeva, in realtà, la realizzazione di una tettoia con dimensioni in pianta di mt. 8,00 x 20,55, ed un altezza mt. 3,57, il tutto oltre alla realizzazione, in difetto di titolo abilitativo, di opere di recinzione (rete metallica plastificata e piantane in ferro infisse nella pavimentazione esterna in cemento).
Il T.A.R. adito espletava istruttoria ed all’esito, con sentenza n. 2275 del 3 maggio 2007, accoglieva in parte il ricorso, annullando, per l’effetto, l’ordinanza di demolizione relativamente all’abitazione contrassegnata con la lettera A e alle recinzioni.
Con ricorso in appello la sig.ra Gn. chiede la riforma del capo di sentenza con cui il Giudice di primo grado ha reputato infondato il ricorso con riferimento ai fabbricati sub (omissis).
Ha resistito in giudizio il Comune di (omissis), producendo memorie.
Alla pubblica udienza del 14 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è infondato.
Il Giudice di primo grado ha respinto il ricorso introduttivo relativamente al manufatto (omissis) osservando, alla luce delle risultanze istruttorie, che alle opere contrassegnate con le lettere (omissis) (capannoni) è riferibile l’autorizzazione n. 5/1950 del 18.9.1950, rilasciata, tuttavia, in relazione a un progetto di “tettoia per ricovero autoveicoli e materiali vari” avente dimensioni diverse rispetto al capannone effettivamente realizzato; che in base al “Regolamento di edilizia” in vigore dal 1957 qualunque costruzione, ricostruzione o modifica edilizia di carattere sostanziale da realizzare entro il perimetro del territorio comunale, al pari di qualsiasi variante da apportare a progetti già assentiti, era subordinata ad apposita licenza del Sindaco; che “Come precisato dall’ordinanza, al posto di una tettoia autorizzata in pianta per una superficie di mt. 8,00 x 20.55 e un’altezza di mt. 3,57, è stato realizzato un fabbricato (capannone-laboratorio), collegato con l’abitazione, avente dimensioni in pianta di mt. (24,50 x 6,60/6,10) + (17,10 x 11,50), con altezza minima di mt. 2,60 e massima di mt. 4,70. La parte (omissis) comprende due servizi igienici, uno spogliatoio e un ufficio; la parte (omissis) prosegue con una tettoia aperta collegata con il lotto confinante” e che, dunque, “E’ evidente che tali opere, la cui realizzazione richiede una concessione edilizia, sono del tutto difformi rispetto a quanto assentito con l’autorizzazione n. 5/50 del 18.9.1950, e che tale difformità è passibile di sanzione demolitoria”.
In particolare il T.A.R. ha respinto il quarto motivo di ricorso, teso a denunciare un preteso vizio di eccesso di potere per contraddittorietà in relazione al fatto che nel 1997 il Comune aveva autorizzato esplicitamente un intervento di manutenzione sui fabbricati indicati con le lettere (omissis), poiché la circostanza che in passato erano stati autorizzati interventi di manutenzione straordinaria dei fabbricati non precludeva di perseguire abusi commessi in precedenza, ma accertati posteriormente, e ha rigettato il quinto motivo di ricorso, relativo all’asserita violazione dell’art. 12 della legge n. 47/1985 per non aver preferito la sanzione pecuniaria anche in relazione il pregiudizio che la demolizione avrebbe potuto arrecare alle opere conformi, sostenendo che “va rilevato, in primo luogo, che la ricorrente non offre prova alcuna di detto pregiudizio, in secondo luogo che l’art. 12 si applica alle sole ipotesi di difformità parziale, in terzo luogo che detta valutazione appartiene alla fase posteriore all’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione; è infatti nel momento delle determinazioni da assumere in ordine alla eventuale esecuzione d’ufficio che il Comune, se ritiene l’abuso qualificabile in termini di parziale difformità, dovrà semmai esternare le ragioni della scelta tra demolizione d’ufficio ed irrogazione della sanzione pecuniaria (cfr. Cons. Stato sez. VI 28.2.00 n. 1055, Sez. 2^13.7.05 n. 4299/2003, CS 2^ 15.3.06 n. 3076/2004).”
L’appellante torna a sostenere in questa sede le censure respinte in primo grado, senza però muovere alcuna efficace critica alla sentenza appellata.
A suo avviso, anzitutto, il T.A.R. non avrebbe adeguatamente valutato il fatto che con le autorizzazioni n. 48/96 e n. 5/97 per lo svolgimento di interventi di straordinaria manutenzione il Comune, rilasciandole sulla base dell’elaborato grafico di progetto che rispecchiava fedelmente lo stato di fatto degli immobili, avrebbe approvato la situazione di fatto esistente ed acclarato, quindi, la legittimità delle opere già eseguite o, comunque, espressamente dimostrato il venire meno in capo a sé di un qualsivoglia interesse repressivo in ordine alle stesse.
Si tratta, però, di tesi priva di fondamento, poiché i titoli edilizi rilasciati dal Comune non avevano ad oggetto i manufatti complessivamente considerati, ma interventi circoscritti ed accessori (rifacimento dell’intonaco, sostituzione controsoffitti, adeguamento dei servizi etc. quanto all’autorizzazione n. 48/96; tinteggiatura delle facciate esterne quanto all’autorizzazione n. 5/97), la cui realizzazione, peraltro, per pacifica quanto risalente giurisprudenza, non possono spiegare alcun effetto preclusivo sulla potestà di reprimere l’opera abusiva nella sua interezza (C.d.S., sez. V. 29 ottobre 1991 n. 1279); ne resta escluso che l’assenso prestato dall’amministrazione di (omissis) ai modesti interventi sottoposti al suo esame potesse valere anche ad assentire, per di più in sanatoria e in difetto di esplicita richiesta dell’interessata, le opere originariamente realizzate in totale difformità dal titolo edilizio a suo tempo rilasciato per la realizzazione di una tettoia per ricovero autoveicoli e materiali vari e, comunque, a precludere il doveroso esercizio del potere repressivo di abusi edilizi, ancorché successivamente accertati.
In secondo luogo l’appellante, riguardo all’illegittimità dell’adozione dell’ordine di demolizione anziché della irrogazione di una semplice sanzione pecuniaria, denunciata in primo grado con il quinto motivo di ricorso, lamenta che il T.A.R. non avrebbe preso in considerazione la risalenza nel tempo degli abusi e del loro accertamento, che avrebbero imposto l’obbligo di giustificare il ritardo nel procedimento repressivo ed una congrua motivazione alla scelta dell’Ente di sanzionare le opere con la demolizione, che nella specie sarebbe mancata.
Il motivo è infondato, posto che il provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (cfr., per tutti, C.d.S., Ad. Plen. n. 9 del 2017).
Per queste ragioni, in conclusione, l’appello deve essere respinto.
Nella peculiarità della vicenda si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Presidente FF
Fulvio Rocco – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere, Estensore

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