Provvedimento di decadenza da un titolo edilizio

Consiglio di Stato, Sentenza|30 luglio 2021| n. 5615.

Se è vero che il provvedimento di decadenza da un titolo edilizio è un atto dovuto con contenuto interamente vincolato, vi sono casi, nei quali i presupposti provvedimentali assumono connotazioni tali da rendere quantomeno opportuni gli apporti collaborativi del soggetto interessato (in termini, Consiglio di Stato, sez. III, 4 aprile 2013, n. 1870); sicché è necessario che il Comune assicuri il necessario contraddittorio procedimentale, al fine di consentire ai soggetti incisi dall’azione amministrativa di prendere posizione sulla sussistenza dei presupposti del provvedere; così nell’ipotesi in cui la dichiarazione di decadenza sia assunta a conclusione di un procedimento di proroga del medesimo titolo, implicante la persistente vigenza del titolo edilizio, e, peraltro, motivata sulla base di una questione non posta previamente all’esame delle parti interessate (né da queste prevedibile anche in ragione della pregressa condotta amministrativa), comunque controvertibile e necessitante di un approfondimento istruttorio nel contraddittorio procedimentale.

Sentenza|30 luglio 2021| n. 5615. Provvedimento di decadenza da un titolo edilizio

Data udienza 15 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Provvedimento di decadenza da un titolo edilizio –  Processo amministrativo – Impugnazione – Appello – Proposizione – Cointeressato – Mancata impugnazione del provvedimento lesivo – Potere di impulso processuale – Carenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2428 del 2020, proposto da
Gi. Fo. e Sa. Pu., rappresentati e difesi dagli avvocati An. Di Vi. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Gr., Ga. Pa. e Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Ma.Pu. ed altri, non costituiti in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 2430 del 2020, proposto da
Ma. Pu., rappresentato e difeso dall’avvocato Ca. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Gr., Ga. Pa. e Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Sa. Pu. ed altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma e/o l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda n. 01065/2019, resa tra le parti;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bergamo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Francesco De Luca nell’udienza pubblica del giorno 15 aprile 2021, svoltasi ai sensi degli artt. 4 Decreto Legge 30 aprile 2020 n. 28 conv. dalla L. 25 giugno 2020 n. 70 e 25 Decreto Legge 28 ottobre 2020 n. 137 conv. dalla L. 18 dicembre 2020 n. 176, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, i Sig.ri Gi. Fo. e Sa. Pu. hanno appellato la sentenza n. 1065 del 2019 con cui il Tar Lombardia, Brescia, ha rigettato il ricorso di prime cure diretto ad ottenere:
– l’annullamento a) del provvedimento n. UO431922 P.G. PDC1458/2012, con il quale il Comune di Bergamo ha dichiarato la “intervenuta decadenza del Pdc n. 8911/2013 e, per conseguenza, anche delle due varianti (D.I.A. n. E092612 in data 7/6/2013 e SCIA n. E0105115 del 27/5/2014)” e, per l’effetto, l’impossibilità di accogliere la richiesta del 16/5/2018 n. E0140512 P.G. relativa alla proroga del PdC n. 8911/2018; nonché b) del provvedimento n. UO431921 P.G. VIG 177/2014, con cui la medesima Amministrazione comunale ha disposto la revoca parziale del provvedimento nr. UO102720 P.G. del 25/5/2015 e ordinato il ripristino dello stato di fatto dell’immobile per cui è causa come rilevabile dalla documentazione catastale allegata all’atto di compravendita in data 18/3/2013, mediante demolizione di tutte le opere eseguite come rappresentate negli elaborati allegati al permesso di costruire n. 8911 del 1/2/2013 ed alle sue successive varianti;
– in subordine, nell’ipotesi di ritenuta legittimità degli atti impugnati, la condanna dell’Amministrazione Comunale di Bergamo al risarcimento dei danni subiti dai ricorrenti in ragione di provvedimenti amministrativi “ritirati” in sede di autotutela.
In particolare, gli appellanti deducono:
a) di essere comproprietari di un immobile ad uso residenziale sito in Comune di Bergamo, pervenuto agli stessi in data 18/03/2013, in forza di atto di compravendita con l’Ing. Ma.Pu., unitamente al permesso di costruire n. 8911/2013 rilasciato dal Comune di Bergamo in data 01/02/2013 in favore dello stesso ing. Pu. e volturato in favore dei ricorrenti;
b) di avere presentato in data 7 giugno 2013 D.I.A. n. 1176/2013, in variante al permesso di costruire n. 8911/2013, avente ad oggetto modifiche distributive interne e sostituzione del pacchetto di isolamento interno con coibentazione a cappotto;
c) di avere ricevuto in data 21 ottobre 2014 la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio per la verifica della “legittimità stato di fatto, esecuzione di opere in assenza di titolo ed esecuzione di opere in difformità al Permesso di Costruire n. 8911 del 01/02/2013 – Pratica n. 2140/2012 EP…”;
d) di avere presentato in data 9 gennaio 2015 domanda di permesso di costruire in variante P.G. n. E0003560 e comunicazione di inizio lavori in sanatoria n. 0003510 per la regolarizzazione delle opere interne;
e) di avere ricevuto la notificazione dell’ordinanza P.G. n. U0102720 del 25.5.2015, con cui l’Amministrazione negava il permesso di costruire in variante, accertava l’improcedibilità della comunicazione di inizio lavori e ingiungeva ai sig.ri Fo. Pu. di riportare le solette realizzate presso l’edificio de quo alle quote previste nel permesso di costruire n. 8911 del 1/2/2013 e nelle due varianti (D.I.A. n. E0092612 P.G./2013, S.C.I.A. n. E0105115 P.G./2014), di demolire i pilastri realizzati e non previsti nei titoli abilitativi citati, di riportare le finestre al piano secondo lato nord est alle dimensioni originarie e di riportare l’interno dell’edificio nella conformità con i titoli abilitativi già citati;
f) di avere proposto un primo ricorso dinnanzi al Tar Lombardia, Brescia, iscritto al n. r.g. 1640/2015, deducendo l’illegittimità, sotto plurimi profili, del provvedimento comunale P.G. n. U01027203312 del 25 maggio 2015;
g) di avere presentato istanza di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01, rimanendo comunque impregiudicate le censure presentate con il ricorso R.G. 1640/2015 avverso l’ordinanza di ripristino;
h) di avere ricevuto la comunicazione del diniego di permesso costruire in sanatoria (provvedimento P.G. n. UO338930 n. 1754/2015) e di avere impugnato la relativa determinazione amministrativa con ricorso dinnanzi al Tar Lombardia, Brescia, n. r.g. 51/2016;
i) di avere proposto un ulteriore ricorso in sede giurisdizionale (sempre dinnanzi al Tar Lombardia, Brescia, n. r.g. 615/18) avverso la deliberazione del Consiglio Comunale dell’11 dicembre 2017, n. 152 reg. C.C. – n. 97 Prop. Del. (n. 147 O.d.g.) pubblicata sul B.U.R.L. – Serie avvisi e concorsi – n. 8 del 21 febbraio 2018, con cui veniva definitivamente approvata la variante urbanistica agli atti del Piano delle Regole e del Piano dei Servizi del vigente Piano di governo del territorio (VARPGT10);
l) di avere, infine, ricevuto la comunicazione sia del provvedimento n. UO431922 P.G. PDC1458/2012 in data 21/12/2012 con il quale il Comune di Bergamo dichiarava la “intervenuta decadenza del Pdc n. 8911/2013 e, per conseguenza, anche delle due varianti (D.I.A. n. E092612 in data 7/6/2013 e SCIA n. E0105115 del 27/5/2014)”, nonché riteneva impossibile accogliere la richiesta del 15/2018 n. E0140512 P.G. relativa alla proroga del PdC n. 8911/2018; sia del provvedimento n. UO431921 P.G. VIG 177/2014, con il quale la medesima Amministrazione comunale disponeva la revoca del “provvedimento nr. UO102720 P.G. del 25/5/2015 nella sola parte in cui ordina di riportare le solette realizzate presso l’edificio di via (omissis)… alle quote previste nel P.di C. n. 8911del 1/2/2013 e nelle due varianti (D.I.A. n. E0092612 P.G./2013, S.C.I.A. n. E0105115 P.G. /2014) di demolire i pilastri realizzati e non previsti nei titoli abilitativi citati, di riportare le finestre al piano secondo lato nord-est alle dimensioni originarie e di riportare l’interno dell’edificio nella conformità con i titoli abilitativi edilizi sopra citati, restando confermato nella parte in cui dispone il diniego del permesso di costruire in sanatoria chiesto con domanda in data 9/1/2015 n. E0003560 P.G. e dichiara l’improcedibilità della CIL n. E0003510 P.G. in pari data, ivi previsti”; nonché ordinava “ai sig.ri Gi. Fo. e Sa. Pu.,… proprietari dell’immobile sito in via (omissis)…., il ripristino dello stato di fatto dello stesso come rilevabile dalla documentazione catastale allegata all’atto di compravendita in data 18/3/2013…, mediante demolizione di tutte le opere eseguite come rappresentate negli elaborati allegati al permesso di costruire n. 8911 del 1/2/2013 ed alle sue successive varianti, entro il termine di 90 giorni dalla data di ricevimento del presente provvedimento”.
Con il ricorso in primo grado, i sig.ri Fo. e Pu. hanno impugnato i predetti provvedimenti di decadenza del permesso di costruire e di rigetto dell’istanza di proroga del permesso di costruire dichiarato decaduto (provvedimento n. UO431922 P.G. PDC1458/2012), nonché di parziale revoca del provvedimento nr. UO102720 P.G. del 25/5/2015 e di ripristino dello stato di fatto anteriore alla commissione dell’asserito illecito edilizio (provvedimento n. UO431921 P.G. VIG 177/2014).
A fondamento del ricorso, i sig.ri Fo. e Pu. hanno censurato:
– la violazione degli artt. 7 e 8 L. n. 241/90, per l’omessa comunicazione di avvio del procedimento concluso con gli atti gravati in sede giurisdizionale;
– la contraddittorietà e l’illogicità dell’operato amministrativo (per avere, da un lato, ritenuto non iniziati i lavori di cui al permesso di costruire n. 8911/13, dall’altro, ordinato la demolizione degli stessi lavori di cui al medesimo titolo edilizio, in relazione ai quali, peraltro, risultava anche rilasciato il provvedimento di agibilità );
– il difetto di istruttoria in ordine al corretto accertamento dei fatti di causa, anche in ragione dell’omesso esame delle perizie precedentemente prodotte dai ricorrenti nei ricorsi già pendenti contro l’Amministrazione comunale;
– la violazione del principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost. e l’eccesso di potere per sviamento.
I ricorrenti, in subordine, per l’ipotesi di ritenuta legittimità degli atti impugnati, hanno chiesto il risarcimento del danno derivante dalla lesione dell’affidamento incolpevole riposto dai Sig.ri Pu. e Fo. sulla stabilità del permesso di costruire pervenuto dal proprio dante causa.
2. L’Amministrazione comunale si è costituita nel giudizio di prime cure, al fine di resistere al ricorso.
3. Nel giudizio dinnanzi al Tar si è costituito anche l’Ing. Pu., deducendo di non essere “espressamente destinatario dei provvedimenti amministrativi impugnati, bensì dante causa dei ricorrenti per avere venduto alla propria figlia ed al di lei marito la proprietà oggetto di controversia” (pag. 3 memoria di costituzione), nonché di essere direttamente interessato alla vicenda in quanto preteso autore di quanto contestato dall’Amministrazione comunale e, comunque, quale unico proprietario dell’immobile de quo, atteso che l’ipotetica configurazione di un abuso edilizio avrebbe reso nullo il contratto di compravendita concluso con i ricorrenti, ai sensi di quanto previsto all’art. 10 Legge n. 47/1985.
L’Ing Pu., ribadita la sua posizione di interessato in relazione al giudizio, ha dedotto l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado, attesa la “Violazione di legge degli artt. 7 e 8 della Legge n. 241/90″, nonché l'”eccesso di poter per difetto di istruttoria”, concludendo affinché il Tar adito volesse “accertato e dichiarato l’interesse dell’Ing. Pu. a partecipare al procedimento istruttorio prodromico alla emanazione dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio; – verificato che l’Ing. Pu. non è stato al contrario coinvolto nel procedimento; – dato atto della effettività dello stato dei luoghi, dichiarare l’illegittimità dei procedimenti amministrativi stessi e quindi e comunque la illegittimità e/o la nullità dei provvedimenti conseguiti a tali procedimenti e impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio, ad ogni effetto e con tutte le conseguenze di legge”.
4. Il Tar adito ha rigettato il ricorso, rilevando che:
– l’istanza di riunione con i ricorsi nn. 1640/2015, 51/2016 e 615/2018 non poteva essere accolta, in quanto i provvedimenti impugnati nell’ambito del giudizio di primo grado risultavano fondati su un presupposto autonomo, integrato dalla realizzazione di due nuovi piani, non precedentemente esistenti e un conseguente aumento della superficie da 343 mq a 923 mq, in ragione dell’erronea rappresentazione dello stato di fatto;
– i provvedimenti impugnati non risultavano annullabili per violazione degli artt. 7 e 8 L. n. 241/90, in quanto, in relazione ai ricorrenti, la decadenza del permesso di costruire si atteggiava quale atto meramente dichiarativo di un effetto giuridico già verificatosi ex se, con conseguente ultroneità della comunicazione di avvio del procedimento dal momento che la partecipazione dell’interessata non avrebbe comunque potuto determinare alcun effetto in relazione all’oggettivo decorso del termine; inoltre, nella specie, la decadenza era stata dichiarata contestualmente al rigetto dell’istanza di proroga del permesso di costruire n. 8911/2013 e, quindi, a conclusione di un procedimento iniziato su istanza di parte, rispetto a cui non sussisteva alcun obbligo di comunicazione ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90;
– quanto alla posizione del dante causa dei ricorrenti – ” che avrebbe dovuto essere qualificato come cointeressato, in quanto nell’adozione dei provvedimenti impugnati, lo stesso avrebbe potuto avere un ruolo nel procedimento, dal momento che oggetto di contestazione è la falsa rappresentazione dei luoghi contenuta nel progetto che è stato presentato dallo stesso e non anche dagli acquirenti” – doveva, invece, darsi applicazione all’art. 21 octies della legge n. 241/90, tenuto conto che il richiedente il permesso di costruire non avrebbe potuto apportare al procedimento alcun elemento utile a determinare un diverso esito del procedimento vincolato che aveva condotto alla declaratoria di decadenza del titolo edilizio;
– l’omessa partecipazione in relazione all’ordine di ripristino, parimenti, non poteva determinare l’annullamento del provvedimento censurato, atteso il suo contenuto vincolato, per la cui adozione non era necessario l’invio di comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto;
– non risultava fondata neanche la censura riguardante il difetto di istruttoria, in quanto il Comune aveva dato conto, nei provvedimenti stessi, nonché nelle memorie, di come fosse stata condotta una compiuta istruttoria, volta ad acquisire ogni elemento conoscitivo utile;
– in ogni caso, ritenute irrilevanti le perizie tecniche prodotte dai ricorrenti, alla stregua degli elementi istruttori acquisiti al giudizio, risultavano infondate anche le contestazioni svolte in ordine alla ricostruzione dei fatti di causa;
– infine, il comportamento tenuto dal Comune non poteva essere censurato per violazione dell’art. 97 Cost. in quanto preordinato al ripristino della legalità .
5. I Sig.ri Pu. e Fo. hanno proposto ricorso in appello, iscritto al n. r.g. 2428 del 2020, denunciando l’erroneità della sentenza di prime cure: a) per avere rigettato l’istanza di riunione di ricorsi connessi; b) per avere escluso l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, per omessa comunicazione di avvio del procedimento, nei confronti sia degli odierni appellanti, sia del proprio dante causa; c) per avere escluso la rilevanza delle perizie tecniche prodotte in giudizio dai ricorrenti e comunque per avere ravvisato una difformità tra lo stato di fatto e la relativa rappresentazione grafica nei progetti finalizzati al rilascio del permesso di costruire; d) per avere condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali anche nei confronti dell’ing. Pu., sebbene lo stesso dovesse considerarsi cointeressato all’impugnazione in primo grado.
I Sig.ri Pu. e Fo. hanno, in ogni caso, proposto una domanda risarcitoria “sia nel caso in cui l’Ecc.mo Consiglio di Stato adito accolga il presente ricorso in appello sia nell’ipotesi in cui la domanda dei ricorrenti non trovi accoglimento” (pag. 23 appello).
6. Il Comune intimato si è costituito nell’ambito del giudizio n. r.g. 2428/20, resistendo all’impugnazione e svolgendo con memoria del 24 marzo 2020 argomentazioni in controdeduzione rispetto ai motivi di appello.
7. Su richiesta concorde delle parti, la Sezione ha rinviato la trattazione della domanda cautelare al merito, per il quale è stata fissata l’udienza pubblica di discussione del 15 ottobre 2020.
8. In vista dell’udienza del 15 ottobre 2020, le parti hanno insistito nelle proprie argomentazioni e conclusioni mediante il deposito di memorie e, quanto agli appellanti, anche di repliche.
9. Con istanza del 9 ottobre 2020 gli appellanti e l’Amministrazione appellata hanno chiesto che “all’udienza pubblica di merito e di giudizio cautelare fissata per il giorno 15 ottobre 2020 la causa passi in decisione sulla base degli atti depositati” (appellanti), nonché “il passaggio in decisione dell’appello in epigrafe all’udienza del 15 ottobre p.v.” (Comune di Bergamo).
10. L’ing. Ma.Pu. ha, parimenti, appellato la sentenza di primo grado, proponendo un autonomo ricorso iscritto al n. r.g. 2430 del 2020, con cui ha censurato l'”errore sui presupposti di diritto, errore della motivazione ed insufficienza della medesima. travisamento, contraddittorietà e carenza di istruttoria”.
In particolare, l’Ing. Pu. ha contestato l’erroneità della pronuncia di prime cure, per avere escluso l’invalidità dei provvedimenti impugnati in prime cure, nonostante gli stessi fossero stati emessi senza previa comunicazione nei propri confronti dell’avvio del procedimento e, quindi, senza assicurare all’appellante la possibilità di apportare il proprio contributo partecipativo, ritenuto essenziale ai fini della ricostruzione dei fatti di causa; in ogni caso, il Tar avrebbe errato nel ravvisare una difformità tra lo stato di fatto e la relativa rappresentazione grafica nei progetti finalizzati al rilascio del permesso di costruire.
11. L’Amministrazione comunale si è costituita anche nell’ambito del giudizio n. r.g. 2430/20, resistendo all’impugnazione e svolgendo con memoria del 27 marzo 2020 argomentazioni in controdeduzione rispetto ai motivi di appello.
12. Su richiesta concorde delle parti, la Sezione ha rinviato la trattazione della domanda cautelare al merito, per il quale è stata fissata l’udienza pubblica di discussione del 15 ottobre 2020.
13. In vista dell’udienza del 15 ottobre 2020, le parti hanno insistito nelle proprie argomentazioni e conclusioni mediante il deposito di memorie difensive.
14. Con istanza del 9 ottobre 2020 il Comune di Bergamo ha chiesto “il passaggio in decisione dell’appello in epigrafe all’udienza del 15 ottobre p.v.”; parimenti, con istanza del 10 ottobre 2020 l’appellante ha chiesto “il passaggio in decisione del ricorso in appello R.G. n. 2430/2020”.
15. Con ordinanza n. 6302 del 19 ottobre 2020 la Sezione ha riunito gli appelli n. r.g. 2428/20 e 2430/20 ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a., facendosi questione di impugnazioni avverso la medesima sentenza, nonché ha sottoposto al contraddittorio processuale delle parti due questioni rilevate d’ufficio dal Collegio, afferenti:
a) all’inammissibilità di una nuova domanda risarcitoria proposta dai sig.ri Gi. Fo. e Sa. Pu. nell’ambito del giudizio n. r.g. 2428/20, fondata, non più soltanto sulla legittimità degli atti impugnati in primo grado, ma anche e in via autonoma sull’illegittimità dei provvedimenti assunti dall’Amministrazione comunale e censurati nel presente giudizio; nonché
b) all’inammissibilità dell’appello n. r.g. 2430/20 proposto dall’ing. Ma.Pu. per difetto di legittimazione attiva, in quanto proposto da una parte che, senza avere censurato autonomamente i provvedimenti impugnati in prime cure, si era limitata a costituirsi nel giudizio da altri introdotto dinnanzi al Tar, assumendo una posizione di adesione alle contestazioni svolte dai ricorrenti.
Con la medesima ordinanza è stata accolta la domanda cautelare proposta dai sig.ri Gi. Fo. e Sa. Pu..
16. In vista dell’udienza pubblica di discussione degli appelli le parti hanno depositato memorie conclusionali e repliche, prendendo anche posizione sulle questioni di rito rilevate dalla Sezione con ordinanza n. 6302/20 cit.
17. I Sig.ri Pu. e Fo., l’Amministrazione comunale e l’Ing. Pu. hanno chiesto – mediante il deposito di note di udienza – la decisione della controversia.
18. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 15 aprile 2021.

DIRITTO

1. Preliminarmente, deve darsi atto che la Sezione ha già disposto la riunione degli appelli in epigrafe con ordinanza n. 6302/2020 cit., trattandosi di impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza, da decidere unitariamente, nell’ambito del simultaneus processus ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a.
2. Ciò premesso, è possibile esaminare l’appello autonomo proposto dall’ing. Pu., dante causa dei ricorrenti in prime cure, articolato in un unico complesso motivo di impugnazione.
In particolare, il ricorrente denuncia l’erroneità della sentenza impugnata, per avere escluso la valenza viziante della violazione degli artt. 7 e 8 L. n. 241/90.
Secondo la prospettazione dedotta in appello, l’ing. Pu., ove notiziato dell’avvio del procedimento, avrebbe apportato elementi del tutto utili per consentire di giungere ad una diversa decisione, sicché la sua omessa partecipazione in sede procedimentale, determinata dalla violazione degli artt. 7 e 8 L. n. 241/90, avrebbe dovuto reputarsi idonea ad influire sul contenuto dispositivo dei provvedimenti censurati in prime cure.
Peraltro, gli elementi istruttori acquisiti avrebbero dovuto indurre il Tar a decidere diversamente anche il merito della vertenza, tenuto conto “che il fabbricato di cui trattasi è apparso, nella configurazione planimetrica attuale, già nelle mappe allegate al Cabreo del 1752; ° che la sopraelevazione (così come rappresentata negli elaborati grafici allegati al P.d.C. n. 8911) è stata realizzata tra la fine del XIX secolo e i primi anni del 1900, come attestato anche dalle foto d’epoca; ° che la scheda redatta per l’Inventario dei Beni culturali ed ambientali del Comune di Bergamo del 1972 ha confermato l’attuale configurazione plano – volumetrica; ° che, inoltre, il materiale fotografico, risalente agli anni 1930 – 1950, ha confermato l’accessibilità al terzo piano fuori terra, così come rappresentato negli allegati grafici al permesso di costruire originario” (pag. 16 appello).
Parimenti, la decisione del Tar di escludere l’invalidità dell’ordine di ripristino per omessa partecipazione procedimentale dell’appellante sarebbe erronea, tenuto conto che il provvedimento sanzionatorio, da un lato, avrebbe dovuto intendersi dipendente dai presupposti atti amministrativi, parimenti emessi in assenza di previa comunicazione di avvio del procedimento; dall’altro, avrebbe inciso sulla posizione dell’appellante in qualità di autore dell’asserito abuso edilizio.
3. La Sezione con ordinanza n. 6302/20 cit. ha sottoposto al contraddittorio delle parti la questione di “inammissibilità dell’appello per difetto di legittimazione attiva, in quanto proposto da una parte che, senza avere censurato autonomamente i provvedimenti impugnati in prime cure, si è limitata a costituirsi nel giudizio da altri introdotto dinnanzi al Tar, assumendo una posizione di adesione alle contestazioni svolte dai ricorrenti”.
Al riguardo, l’Amministrazione comunale con memoria conclusionale ha eccepito l’inammissibilità dell’appello autonomo proposto dall’Ing. Pu. per difetto di legittimazione attiva; l’Ing. Pu. con memoria dell’11 marzo 2021 e repliche del 24 marzo 2021 ha, invece, ribadito la propria legittimazione all’appello, tenuto conto che l’art. 102 c.p.a. attribuirebbe un tale potere processuale in capo alle parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado; pertanto, posto che l’Ing. Pu. era stato invocato in giudizio dai ricorrenti dinnanzi al Tar Lombardia, Brescia, la sentenza gravata era stata emessa anche nei propri confronti, con conseguente radicamento in proprio favore della legittimazione all’impugnazione.
4. L’appello iscritto al n. r.g. 2430 del 2020, proposto dall’Ing. Ma.Pu., deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva, in quanto proposto da una parte cointeressata all’annullamento, titolare di una posizione giuridica autonoma, incisa in via immediata e diretta dai provvedimenti censurati in prime cure, decaduta dalla tempestiva impugnazione – in prime cure – delle determinazioni lesive assunte dall’Amministrazione comunale.
4.1 Al riguardo, in primo luogo, deve rilevarsi he la presenza di determinazioni amministrative direttamente lesive della sfera giuridica dell’Ing Pu. è affermata nella sentenza di prime cure e riconosciuta dalla stessa parte appellante.
Difatti:
– il Tar, statuendo sulle censure procedimentali svolte dai ricorrenti in primo grado, ha rilevato che “la decadenza è stata dichiarata contestualmente al rigetto dell’istanza di proroga del permesso di costruire n. 8911/2013 e, quindi, a conclusione di un procedimento iniziato su istanza di parte, rispetto a cui non sussiste alcun obbligo di comunicazione ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90. Tutto quanto sin qui rappresentato non pare, però, utile a superare la contestata mancata partecipazione al procedimento, che ha condotto alla dichiarazione dell’intervenuta decadenza del permesso di costruire originariamente rilasciato proprio al dante causa, che avrebbe dovuto essere qualificato come cointeressato, in quanto nell’adozione dei provvedimenti impugnati, lo stesso avrebbe potuto avere un ruolo nel procedimento, dal momento che oggetto di contestazione è la falsa rappresentazione dei luoghi contenuta nel progetto che è stato presentato dallo stesso e non anche dagli acquirenti”; ne deriva che il primo giudice ha qualificato l’odierno appellante “come cointeressato”;
– l’Ing. Pu., nell’appellare la sentenza di prime cure, ha dedotto di essersi costituito dinnanzi al Tar “preliminarmente illustrando il suo cointeresse all’annullamento dei citati provvedimenti amministrativi (prot. n. U0431922P.G. PDC 1458/2012 – del 21.12.2018 e prot. n. U0431921P.G. VIG177/2014…)”, di avere un “autonomo interesse all’impugnazione della medesima sentenza n. 1065 del 12.12.2019”, nonché di essere “l’originario titolare del permesso di costruire n. 8911/2013 e l’autore dell’asserito “abuso edilizio””; nell’articolare le proprie censure impugnatorie, l’Ing. Pu., inoltre, ha dato atto che il Tar avrebbe “condiviso, dunque, l’illegittimità segnalata alla luce della “mancata partecipazione al procedimento” dell’odierno appellante che “avrebbe potuto avere un ruolo nel procedimento” di decadenza del permesso di costruire e di rigetto dell’istanza di proroga”, evidenziando che la propria posizione sostanziale avrebbe dovuto imporre all’Amministrazione di assicurare la sua partecipazione ai procedimenti conclusisi con gli atti censurati in prime cure.
Le statuizioni del Tar, con cui l’odierno appellante è stato qualificato come cointeressato, pertanto, non soltanto non sono state specificatamente censurate in appello, ma hanno costituito il presupposto dell’odierna impugnazione, avendo l’ing. Pu. espressamente dedotto il proprio “cointeresse all’annullamento” dei provvedimenti per cui è causa.
L’ing. Pu., dunque, agisce dinnanzi a questo Consiglio, per ottenere la riforma di una sentenza che, confermando la legittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado, risulta lesiva di una propria autonoma posizione giuridica sul piano sostanziale, sia quale parte titolare del permesso di costruire dichiarato decaduto dall’Amministrazione, sia quale presunto autore degli abusi edilizi contestati con l’ordine di ripristino, sia ancora quale proprietario dei beni de quibus (attesa la possibile configurazione di un vizio di nullità inficiante l’atto di compravendita concluso con i ricorrenti in prime cure, per l’ipotesi in cui l’immobile alienato fosse ritenuto abusivo).
L’odierno appellante, in definitiva, come affermato dal Tar e riconosciuto nel ricorso in appello, risulta qualificabile come cointeressato al ricorso, trattandosi di “un soggetto che, al pari dei ricorrenti, aveva ed ha interesse all’annullamento degli atti impugnati in quanto lesivi di una situazione giuridica soggettiva di cui è titolare e della quale richiede tutela in giudizio” (Consiglio di Stato, sez. V, 29 marzo 2019, n. 2094).
4.2 Ciò rilevato, deve ritenersi che la parte cointeressata all’impugnazione di prime cure, destinataria della notificazione del ricorso, costituitasi in giudizio dinnanzi al Tar una volta decorso il termine di decadenza dall’azione di annullamento ex art. 29 c.p.a., non possa autonomamente appellare la sentenza di rigetto emessa dal primo giudice.
La disciplina in tema di legittimazione all’appello ex art. 102 c.p.a. – secondo cui “Possono proporre appello le parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado” – deve essere coordinata con le disposizioni in materia di decadenza dall’azione giudiziaria (previste dall’art. 29 c.p.a., per quanto di più interesse ai fini del presente processo in cui si fa questione di azione di annullamento proposta in prime cure).
Il cointeressato all’impugnazione, infatti, in quanto titolare di una posizione autonoma rispetto a quella delle parti principali – essendo leso direttamente dal provvedimento da altri impugnato – ai sensi del combinato disposto dell’art. 29 c.p.a. e dell’art. 41, comma 2, c.p.a., è onerato ad attivarsi tempestivamente in sede giurisdizionale, potendo scegliere se proporre un autonomo ricorso entro il termine di decadenza all’uopo applicabile ovvero costituirsi o intervenire tempestivamente (sempre entro il termine di decadenza al riguardo operante) nel processo inter alios pendente, aderendo al ricorso da altri proposto.
Una volta decaduto dall’azione giudiziaria per mancata impugnazione del provvedimento lesivo, il cointeressato perde, invece, il potere di impulso processuale, sia sub specie di introduzione di un autonomo giudizio, sia sub specie di prosecuzione (anche in sede impugnatoria, con la formulazione di apposito appello) del processo in cui sia intervenuto o si sia costituito.
In particolare, in caso di decadenza dall’azione, il cointeressato perde il diritto di ottenere una sentenza sulla legittimità del provvedimento lesivo, non potendo, pertanto, giungere a tale risultato neanche appellando i capi di sentenza statuenti sul ricorso proposto da altro cointeressato; una tale iniziativa si tradurrebbe, infatti, nella richiesta di un accertamento giurisdizionale volto, in riforma della pronuncia di prime cure, a statuire sulla legittimità del provvedimento amministrativo, dalla cui contestazione il cointeressato risulta ormai decaduto.
Trattasi di indirizzo già accolto da questo Consiglio, secondo cui “il cointeressato, intervenuto ad adiuvandum o costituitosi direttamente, non può proporre appello surrogandosi al ricorrente inattivo” (Consiglio di Stato, sez. III, 8 giugno 2016, n. 2451); nonché “Il cointeressato, dunque, in quanto soggetto che acquisterebbe un vantaggio diretto ed immediato dall’annullamento del provvedimento impugnato, al fine di evitare l’elusione dei termini decadenziali, è obbligato a proporre autonoma e tempestiva impugnazione…” (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 832).
Tale ricostruzione esegetica risponde, altresì, alle esigenze di certezza e stabilità dei rapporti pubblici, sottese alle norme prescrittive dei termini di decadenza; evitandosi che il soggetto decaduto dall’azione avverso il provvedimento amministrativo possa articolare motivi di ricorso diversi da quelli proposti dal ricorrente principale ovvero proporre appello contro i capi di sentenza statuenti sul ricorso principale, proseguendo il giudizio da altri introdotto (a prescindere dall’iniziativa del ricorrente principale) e determinando, per l’effetto, una protrazione dello stato di incertezza sulla legittimità della determinazione amministrativa sub judice, dalla cui contestazione risulta decaduto.
4.3 Alla stregua di tali considerazioni, deve, quindi, ritenersi che la legittimazione all’appello, ai sensi del combinato disposto degli artt. 102, comma 1, c.p.a. e 29 c.p.a., spetti alle parti del giudizio – da individuare nei soggetti che hanno proposto o contro cui è stata proposta la domanda processuale in prime cure – che non siano decadute dall’azione giudiziaria e che, dunque, siano titolari del diritto di ottenere dal giudice adito, anche in grado di appello, una pronuncia sul merito del ricorso.
Per l’effetto, il cointeressato all’impugnazione, intervenuto in un processo inter alios pendente o comunque costituitosi nel giudizio in cui sia stato intimato, qualora risulti decaduto dall’azione di annullamento, non può ritenersi titolare del diritto di ottenere dal giudice di secondo grado una statuizione sul merito del proprio appello, dal cui accoglimento deriverebbe, in riforma della sentenza gravata, quell’annullamento degli atti amministrativi sfavorevoli che la parte non potrebbe più chiedere, in ragione dell’inutile decorrenza del termine di tempestiva impugnazione in primo grado.
4.4 L’applicazione delle superiori coordinate ermeneutiche al caso di specie conduce alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello n. r.g. 2430/2020, per difetto di legittimazione attiva dell’Ing. Pu..
L’odierno appellante, infatti, risulta essere stato intimato nel giudizio di primo grado con ricorso notificato in data 4 marzo 2019; la medesima parte si è costituita in giudizio in data 2 ottobre 2019 e non risulta avere autonomamente impugnato i provvedimenti censurati in prime cure, sebbene conosciuti quanto meno dalla data di notificazione del ricorso principale, recante l’espressa indicazione degli atti censurati, del loro oggetto, dell’autorità emanante e del relativo contenuto dispositivo, con conseguente possibilità per la parte intimata di apprezzarne la lesività anche nei propri confronti, ai fini della proposizione dell’azione di annullamento.
L’ing. Pu., dunque, benché titolare di una situazione giuridica autonomamente lesa dalle determinazioni amministrative censurate con ricorso principale e, dunque, titolare di una posizione di cointeresse all’impugnazione, risulta decaduto dall’azione di annullamento; per l’effetto, la medesima parte non può ritenersi legittimata ad ottenere dal giudice di appello una pronuncia sulla legittimità di provvedimenti amministrativi dalla cui impugnazione risulta ormai decaduta.
Di conseguenza, l’appello comunque proposto dall’Ing. Pu. deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva.
5. Procedendo all’esame dell’appello proposto dai Sig.ri Gi. Fo. e Sa. Pu., esso è articolato in cinque motivi di impugnazione; le parti appellanti hanno pure domandato la condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni derivanti (altresì ) dall’illegittimità dell’azione amministrativa in contestazione.
6. Sotto tale ultimo profilo, si rileva, tuttavia, che la Sezione con ordinanza n. 6302 del 19 ottobre 2020 ha sottoposto al contraddittorio delle parti una questione di rito, concernente l’inammissibilità della nuova domanda risarcitoria proposta in sede di appello, incentrata non più soltanto sulla legittimità degli atti impugnati in primo grado, ma anche e in via autonoma sull’illegittimità dei provvedimenti assunti dall’Amministrazione comunale e censurati nel presente giudizio.
Gli appellanti – con memoria dell’11.3.2021 – hanno preso posizione sulla relativa questione di rito, deducendo che, nelle more del giudizio, il Comune di Bergamo aveva accolto un’istanza ex art. 34, comma 2, DPR n. 380/01 presentata dalle parti ricorrenti, con la quantificazione in Euro 335.887,35 della sanzione da versare in caso di rigetto dell’appello per cui è controversia,
I ricorrenti hanno, quindi, espressamente dichiarato che “è evidente il superamento della questione relativa alla possibile configurazione della domanda risarcitoria proposta in appello dai ricorrenti come nuova e della connessa questione relativa alla prospettata inammissibilità di tale domanda ai sensi dell’art. 104 co. 1 c.p.a. Le parti hanno, infatti, consensualmente raggiunto un assetto di interessi diverso rispetto a quello esistente al momento della proposizione del ricorso di primo grado ed anche del ricorso in appello (la domanda di fiscalizzazione è infatti del 24 agosto 2020). Tale nuovo e sopravvenuto assetto di interessi – così come cristallizzato nel provvedimento di fiscalizzazione – porta con sé il superamento delle domande risarcitorie già proposte, posto che in caso di accoglimento del ricorso i ricorrenti vedrebbero riconosciuta la legittimità delle opere realizzate in forza di permesso di costruire n. 8911/2013 e successive varianti, mentre in caso di rigetto del ricorso gli stessi provvederanno al pagamento delle somme quantificate nel provvedimento di fiscalizzazione”.
Per l’effetto, le parti hanno chiesto:
– “in via principale: annullare la sentenza T.A.R. Lombardia – Brescia, Sez. II, n. 1065/2019 pubblicata in data 12 dicembre 2019, limitatamente ai capi impugnati in cui il Tribunale – definitivamente pronunciando sul ricorso R.G. n. 271/2019 proposto dai sig.ri Fo. Pu. – ha respinto il ricorso e, conseguentemente, ha confermato la legittimità dell’attività provvedimentale dell’Amministrazione Comunale di Bergamo, nonché ha condannato i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali in favore dell’ing. Ma.Pu. qualificandolo erroneamente controinteressato”;
– in ogni caso, la rifusione delle spese processuali, anche in relazione al primo grado di giudizio.
Le stesse parti appellanti con repliche del 19 marzo 2021 hanno ribadito la necessità di ritenere “superate” le domande risarcitorie già proposte in ragione del diverso assetto di interessi attuato nei rapporti tra le parti in pendenza di giudizio.
L’Amministrazione comunale con memoria conclusionale ha eccepito l’inammissibilità della nuova domanda risarcitoria proposta nel presente grado di giudizio dai Sig.ri Pu. e Fo. (attesa la violazione del divieto dei nova in appello); con repliche del 22 marzo 2021 ha presso atto di quanto dedotto dagli appellanti Pu. e Fo. in ordine al superamento delle domande risarcitorie già proposte, “con conseguente rinuncia alle istanze risarcitorie avanzate nell’atto di appello”.
7. Alla stregua delle deduzioni difensive svolte dagli appellanti, deve dichiararsi l’improcedibilità della domanda risarcitoria proposta in appello e riferita ai danni lamentati dai ricorrenti in conseguenza della condotta provvedimentale asseritamente illegittima ascritta in capo all’Amministrazione comunale.
Ai sensi dell’art. 84, commi 3 e 4, c.p.a., “3. La rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell’udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue. 4. Anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti il giudice può desumere dall’intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione della causa”.
Anche in assenza delle condizioni previste dall’art. 84, comma 3, c.p.a. – rappresentate dalla notifica tempestiva della rinuncia e dalla mancata opposizione delle parti interessate alla prosecuzione del giudizio – il giudice può, comunque, valorizzare il comportamento delle parti al fine di ravvisare una sopravvenuta carenza di interesse alla decisione -nel merito- della domanda proposta, con conseguente integrazione di una fattispecie di improcedibilità del ricorso ex art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a..
L’applicazione di tali coordinate interpretative al caso di specie conduce:
-a dare atto della dichiarazione dei ricorrenti (recata nella memoria conclusionale e nelle repliche depositate in vista dell’udienza del 15.4.2021) di ritenere superata la domanda risarcitoria correlata all’illegittimità dei provvedimenti censurati in prime cure, in conseguenza di un nuovo assetto di interessi attuato tra le parti sul piano sostanziale in pendenza del processo; nonché, per l’effetto
– a desumere dalla volontà della parte, espressa attraverso il proprio difensore, la sopravvenuta carenza di interesse ad una decisione sul merito della relativa domanda risarcitoria (ex multis, cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 28 novembre 2019, n. 8115), da ritenere, pertanto, improcedibile.
In ogni caso, tale domanda sarebbe stata inammissibile per violazione dell’art. 104, comma 1, c.p.a.
Il divieto dei nova in appello preclude, infatti, alla parte processuale di introdurre nuove domande processuali, connotate da un nuovo (o mutato) petitum ovvero da una nuova (o mutata) causa petendi e, quindi, di domande caratterizzate da una nuova (o mutata) richiesta giudiziale ovvero da nuovi (o mutati) fatti costitutivi della pretesa azionata; l’art. 104, comma 1, c.p.a. non impedisce, invece, di svolgere nuove argomentazioni in sede impugnatoria, tendenti ad evidenziare l’erroneità della sentenza gravata e a illustrare ulteriormente un motivo di censura già articolato in primo grado.
In subiecta materia, in particolare, è possibile richiamare la distinzione tra motivo e argomentazione elaborata dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio in tema di revocazione (ma utilizzabile anche per delimitare la portata applicativa dell’art. 104, comma 1, c.p.a.) secondo cui “Il motivo di ricorso, infatti, delimita e identifica la domanda spiegata nei confronti del giudice, e in relazione al motivo si pone l’obbligo di corrispondere, in positivo o in negativo, tra chiesto e pronunciato, nel senso che il giudice deve pronunciarsi su ciascuno dei motivi e non soltanto su alcuni di essi.
A sostegno del motivo – che identifica la domanda prospettata di fronte al giudice – la parte può addurre, poi, un complesso di argomentazioni, volta a illustrare le diverse censure, ma che non sono idonee, di per se stesse, ad ampliare o restringere la censura, e con essa la domanda” (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 27 luglio 2016, n. 21).
Pertanto, l’art. 104, comma 1, c.p.a., se non impedisce la deduzione in sede impugnatoria di nuove argomentazioni, volte a contrastare il percorso motivazionale sotteso alla decisione di primo grado, preclude la proposizione in appello di nuove domande o eccezioni non rilevabili d’ufficio, aventi l’effetto di ampliare il thema decidendum perimetrato in primo grado.
Nel caso di specie gli appellanti, agendo dinnanzi a questo Consiglio in sede impugnatoria, hanno effettivamente proposto una nuova domanda processuale, correlata, anziché alla legittima privazione di un bene della vita compreso nel patrimonio giuridico individuale, all’illegittimità delle determinazioni amministrative censurate in prime cure, con conseguente emersione di una nuova causa petendi sottesa alla richiesta giudiziale, in violazione del divieto dei nova in appello.
Pertanto, ferma rimanendo l’improcedibilità della nuova domanda risarcitoria per sopravvenuta carenza di interesse, tale domanda non avrebbe potuto comunque essere scrutinata nel merito, attesa la sua inammissibilità ex art. 104, comma 1, c.p.a.
8. Procedendo all’esame dei singoli motivi di impugnazione, giova soffermarsi sul primo motivo di appello, con cui i ricorrenti hanno censurato l’erroneità della sentenza impugnata per avere omesso di riunire ricorsi di primo grado, asseritamente connessi sia sotto il profilo soggettivo (attesa l’identità dei ricorrenti, dei resistenti e dei controinteressati) che sotto quello oggettivo, riferendosi tutti i ricorsi a provvedimenti relativi alle opere eseguite dai signori Fo. e Pu. sulla base del P.d.C. n. 8911/2013
Il motivo di appello è infondato.
Come precisato da questo Consiglio “nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello, sussiste l’obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.c.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell’art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l’unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 2018 n. 3109)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 29 marzo 2021, n. 2631).
Ne deriva che l’opportunità di una trattazione congiunta di più cause tra loro connesse in primo grado è regolarmente rimessa alla discrezionalità del giudice innanzi al quale le cause pendono (Consiglio di Stato, sez. V, 3 settembre 2020, n. 5352), implicando l’esercizio di un potere ordinatorio, privo di valenza decisoria, non sindacabile in sede impugnatoria.
Per l’effetto, la mancata riunione di ricorsi di primo grado in ipotesi connessi (oggettivamente e soggettivamente) non può tradursi in un vizio di nullità della sentenza gravata, censurabile in sede di appello.
Peraltro, si osserva che, proposta la prima impugnazione, la parte ricorrente, ove ritenga che gli atti amministrativi sopravvenuti in pendenza di giudizio afferiscano al medesimo rapporto amministrativo e, come tali, risultino meritevoli di un esame unitario nell’ambito del giudizio pendente, ha la facoltà di impiegare il rimedio dei motivi aggiunti per l’impugnazione dei nuovi atti, in tale modo realizzando il simultaneus processus, ai fini della trattazione e (in ipotesi) decisione nell’ambito dello stesso giudizio di tutte le doglianze afferenti al complesso dei provvedimenti incidenti sul medesimo rapporto amministrativo.
Pertanto, la parte ricorrente che abbia deciso di non avvalersi del rimedio dei motivi aggiunti e, dunque, abbia ritenuto di impugnare autonomamente i provvedimenti amministrativi lesivi sopravvenuti, operando una scelta funzionale ad un esame separato dei relativi ricorsi, non può, all’esito del giudizio autonomamente proposto, lamentarsi della mancata riunione dei ricorsi, ponendosi la trattazione e la decisione separata delle controversie pure in linea con la scelta processuale ab origine operata dallo stesso ricorrente.
9. Con il secondo motivo di appello è censurata l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la sussistenza di una violazione degli artt. 7 e 8 L. n. 241/90, sia in relazione alla posizione degli odierni ricorrenti, che con riguardo alla posizione del proprio dante causa.
Il motivo di impugnazione, per ragioni di connessione, può essere esaminato unitariamente al terzo e al quarto motivo di appello.
In particolare, con il terzo motivo di appello viene censurata l’erroneità della sentenza di prime cure nella parte in cui ha escluso la rilevanza istruttoria delle perizie prodotte in giudizio dai ricorrenti, nonché ha valorizzato quanto dichiarato nell’ambito del contratto di compravendita del manufatto per cui è causa, concluso tra i ricorrenti e il proprio dante causa.
Secondo la prospettazione attorea, non poteva ritenersi che lo stato di fatto dell’immobile fosse stato falsamente rappresentato negli elaborati grafici di cui al progetto relativo al permesso di costruire.
La conformità dello stato di fatto a quanto descritto negli elaborati grafici di cui al permesso di costruire risultava, in particolare, attestata:
– dalle mappe allegate al Cabreo del 1752, attestante la configurazione planimetrica attuale dell’immobile;
– dalle foto d’epoca, che dimostravano l’avvenuta sopraelevazione, così come rappresentata negli elaborati grafici allegati al P.d.C. n. 8911, realizzata tra la fine del XIX secolo e i primi anni del 1900:
– dalla scheda redatta per l’inventario dei beni culturali ed ambientali del Comune di Bergamo nel 1972 a conferma della sua attuale configurazione plano – volumetrica;
– dalle fotografie risalenti agli anni 1930 – 1950, che comprovavano l’accessibilità del terzo piano fuori terra, come rappresentato negli allegati grafici al permesso di costruire originario;
– dalle fotografie effettuate in occasione dei sopralluoghi del 2013, che mostravano già in quella data che l’esterno dell’edificio appariva organizzato per essere utilizzato su vari piani: in particolare, l’ordine delle finestre esistenti dimostrava la presenza di tre orizzontamenti.
Con il quarto motivo di impugnazione la sentenza del Tar è censurata per avere negato rilevanza istruttoria alle perizie prodotte in giudizio dai ricorrenti, sebbene il Comune non avesse prodotto alcuna perizia supportata da rilevazioni tecniche e documentali circa il reale stato dei luoghi all’epoca della richiesta del permesso di costruire, né avesse in alcuna concreta ed apprezzabile misura tecnica contestato le risultanze delle perizie giurate della parte ricorrente.
9.1 I motivi di appello sono fondati, in via assorbente, per la violazione delle garanzie procedimentali previste dagli artt. 7 e ss. L. n. 241/90 in favore degli odierni ricorrenti; le doglianze non possono invece essere accolte nella parte in cui lamentano la mancata evocazione in sede procedimentale dell’Ing. Pu., titolare – come supra osservato – di una posizione giuridica autonoma, per l’effetto, unico soggetto legittimato a fare valere (nei termini di decadenza) la violazione di disposizioni procedimentali previste in suo favore, incidenti sulla propria sfera giuridica.
In subiecta materia, il Collegio non intende revocare in dubbio l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la decadenza del titolo edilizio costituisce un effetto automatico, che si produce di diritto in relazione al verificarsi del relativo presupposto, con la conseguenza che il provvedimento comunale sul punto è meramente dichiarativo (cfr. Consiglio di Stato sez. II 30 luglio 2019, n. 5371; Id., sez. IV, 24 gennaio 2018, n. 467; Id., sez. VI, 20 novembre 2017, n. 5324).
In siffatte ipotesi, attesa la natura vincolata del potere in concreto esercitato, potrebbe pure operare l’art. 21 octies, comma 2, della l. 241/90, che avalla ed implica una lettura sostanzialistica della tutela del diritto al contraddittorio, per la quale ogni doglianza relativa alla sua violazione presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa, capace di riverberarsi sull’esito del procedimento.
Come precisato da questo Consiglio, “Le garanzie procedimentali, infatti, sono poste a tutela di interessi concreti (ex aliis, C.d.S., sez. IV, 13 agosto 2018 n. 4918), risolvendosi altrimenti in vuoti formalismi. Pertanto, la norma citata sancisce espressamente che, qualora, per la natura vincolata del provvedimento (come nel caso in esame), sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti non è annullabile” (Consiglio di Stato, sez. II, 30 luglio 2019, n. 5371).
Vi sono, tuttavia, dei casi in cui la comunicazione di avvio del procedimento risulta necessaria per avviare un utile contraddittorio sui presupposti del provvedimento e per consentire alla stessa amministrazione di fornire un’adeguata motivazione a supporto della sua azione. Del resto, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/90, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento impedisce l’annullamento dell’atto amministrativo assunto dall’organo procedente soltanto ove l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Al riguardo, la Sezione ha rilevato che la perdita di efficacia di un titolo edilizio per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell’Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 dicembre 2019, n. 8602).
Difatti, “la mancata attivazione di un apposito procedimento e la conseguente mancata attivazione delle relative garanzie procedimentali non si risolve in un mero vizio formale, bensì in un effettivo pregiudizio alla posizione soggettiva [della parte]” (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 novembre 2017, n. 5285).
Pertanto, “È pur vero che il provvedimento di decadenza di cui si tratta è un atto dovuto con contenuto interamente vincolato, ma resta tuttavia il fatto che si danno casi,…, in cui i presupposti provvedimentali assumono connotazioni tali da rendere quantomeno opportuni gli apporti collaborativi del soggetto interessato” (Consiglio di Stato, sez. III, 4 aprile 2013, n. 1870).
9.2 Il Collegio ritiene che la particolarità del caso esaminato avrebbe imposto al Comune appellato di assicurare il necessario contraddittorio procedimentale, al fine di consentire ai soggetti incisi dall’azione amministrativa di prendere posizione sulla sussistenza dei presupposti del provvedere.
I ricorrenti, ove coinvolti in sede procedimentale, avrebbero infatti ben potuto rappresentare idonee ragioni atte, nella peculiarità del caso in esame, a portare in ipotesi ad una valutazione diversa della fattispecie, con conseguente valenza viziante della violazione delle garanzie partecipative previste in favore dei soggetti amministrati.
9.3 Al fine di segnalare le particolarità del caso esaminato, per quanto di maggiore interesse ai fini dell’odierno giudizio, giova ricostruire i fatti di causa, come emergenti dalla documentazione acquisita al giudizio.
In particolare, risulta che:
– in data 1.2.2013 il Comune di Bergamo ha rilasciato il permesso di costruire n. 8911 del 2013 in favore del Sig. Ma.Pu. (doc. 4 produzione ricorrente primo grado);
– in data 18.3.2013 con atto notarile rep. n. 18393 Racc. 10118 il Sig. Ma.Pu. ha alienato alla Sig.ra Sa. Pu. e al Sig. Gi. Fo. l’immobile oggetto dei lavori assentiti (doc. 3 produzione ricorrente primo grado);
– in data 7.6.2013 e 27.5.2014 le parti privato hanno presentato – rispettivamente – una DIA e una SCIA in variante (doc. 5 e doc. 6 produzione ricorrente primo grado);
– in data 9.5.2014 il Comune di Bergamo ha ricevuto un esposto (n. E0092249 P.G. – doc. 6 produzione parte resistente primo grado) avente, fra gli allegati, l’atto di compravendita n. 18393 cit.;
– in data 24.9.2014 i Vigili del Nucleo di Polizia Edilizia e un tecnico del Servizio Edilizia Privata hanno svolto un sopralluogo in relazione all’immobile per cui è causa, riscontrando che le solette erano state realizzate a quota diversa da quanto previsto nel permesso di costruire, che al piano sottotetto erano state realizzate tre coppie di pilastri a sostegno della copertura non rappresentate nel progetto, nonché che emergevano alcune differenze nelle dimensioni delle finestre (doc. 7 produzione parte resistente primo grado);
– in data 25.5.2015 il Comune ha emesso l’ordinanza P.G. n. U0102720 con cui, tra l’altro, ha ingiunto ai sig.ri Fo. Pu. di riportare le solette realizzate presso l’edificio de quo “alle quote previste nel permesso di costruire n. 8911 del 1/2/2013 e nelle due varianti (D.I.A. n. E0092612 P.G./2013, S.C.I.A. n. E0105115 P.G./2014), di demolire i pilastri realizzati e non previsti nei titoli abilitativi citati, di riportare le finestre al piano secondo lato nord est alle dimensioni originarie e di riportare l’interno dell’edificio nella conformità con i titoli abilitativi già citati” (doc. 13 produzione ricorrente primo grado);
– in data 16.5.2018 gli odierni appellanti hanno chiesto (con istanza n. 140512) la proroga del permesso di costruire n. 8911/2013 ex art. 15, comma 2 bis, DPR n. 380/01 (doc. 9 produzione parte resistente primo grado);
– in data 21.12.2018 (con provvedimento n. 431922) il Comune ha rigettato l’istanza di proroga e ha dichiarato la decadenza del permesso di costruire n. 8911/2019 (doc. 1 produzione ricorrente primo grado); all’esito, la stessa Amministrazione (con provvedimento n. 431921 – doc. 2 produzione ricorrente primo grado) ha parzialmente revocato l’ordinanza nr. UO102720 P.G. del 25/5/2015 e ha ordinato “ai sig.ri Gi. Fo. e Sa. Pu.,… proprietari dell’immobile sito in via (omissis)… il ripristino dello stato di fatto dello stesso come rilevabile dalla documentazione catastale allegata all’atto di compravendita in data 18/3/2013 di rep….., mediante demolizione di tutte le opere eseguite come rappresentate negli elaborati allegati al permesso di costruire n. 8911 del 1/2/2013 ed alle sue successive varianti…”.
9.4 Soffermando l’attenzione sul contenuto dispositivo e motivazionale dei provvedimenti gravati in primo grado, emerge che il Comune ha dichiarato la decadenza del titolo edilizio, rilevando che:
– il permesso di costruire n. 8911 del 1° febbraio 2013 era stato rilasciato sulla base di uno stato di fatto che descriveva l’edifico come formato da piano terra, primo piano, secondo piano e sottotetto, con conseguente emersione di tre solai intermedi tra il pavimento di calpestio del piano terra e la copertura, a fronte di un P.G.T. che attribuiva all’edificio la tipologia d’intervento risanamento conservativo, senza autorizzare alterazioni della struttura originaria quali lo spostamento o la creazione di nuove solette; la parte privata aveva presentato successivamente la DIA in variante n. 92612 del 7.6.2013 e la SCIA n. 105115 del 27.5.2014;
– in data 24.9.2014 i Vigili del Nucleo di Polizia Edilizia e un tecnico del Servizio Edilizia Privata avevano svolto un sopralluogo, riscontrando che le solette erano state realizzate a quota diversa da quanto previsto nel permesso di costruire, che al piano sottotetto erano state realizzate tre coppie di pilastri a sostegno della copertura, nonché che emergevano alcune differenze nelle dimensioni delle finestre;
– la porzione di edificio oggetto dei lavori era stata venduta dal Sig. Pu. Ma.alla Sig.ra Sa. Pu. e al Sig. Gi. Fo. in data 18.3.2013 con “atto… in data 18/3/2013, rep. N. 18393”, trascritto in data 27.3.2013, recante una descrizione dell’immobile come costituito dal piano terra ad uso portico, depositi e ripostigli e da un piano primo ad uso fienile, con lavori di costruzione iniziati prima del 1 settembre 1967; nel medesimo atto si dichiarava, inoltre, che a parte i lavori di formazione di una centrale termica l’immobile non aveva subito ulteriori interventi edilizi per i quali occorressero ulteriori provvedimenti amministrativi o denunce di inizio attività e comunque che l’immobile non aveva subito interventi edilizi.
Alla stregua di tali rilievi, l’Amministrazione ha ritenuto che l’elaborato relativo allo stato di fatto alla base del permesso di costruire n. 8911 del 2013 non fosse coerente con le dichiarazioni contenute nell’atto di compravendita e che i lavori previsti nel permesso di costruire in esame (nonché nella DIA e nella SCIA successivamente presentate) non avessero avuto inizio, emergendo lavori diversi da quelli previsti nei relativi titoli abilitativi, contrastanti con le previsioni urbanistiche del PGT vigente.
Per l’effetto, il permesso di costruire doveva ritenersi scaduto già alla data in cui la parte privata aveva comunicato di valersi della proroga di cui all’art. 30, comma 3, D.L. n. 69/13 (conv. nella L. n. 98/13) e, comunque, aveva presentato istanza di proroga ex art. 15 DPR n. 380/01.
Di conseguenza, il Comune, da un lato, ha rigettato la richiesta di proroga ex art. 15 DPR n. 380/01, dall’altro, ha dichiarato la decadenza del permesso di costruire e delle due varianti del 7.6.2013 (DIA n. 92612 cit.) e del 27.5.2014 (SCIA n. 105115 cit.).
Tenuto conto che l’intervenuta decadenza del titolo edilizio non poteva più costituire la base di riferimento per ingiungere la realizzazione di opere che avevano, nelle more, “perso la loro legittimazione” e che non era possibile uniformare lo stato dell’edificio ai progetti approvati con il titolo abilitativo (basato su uno stato di fatto non corrispondente alla realtà ), emergendo la commissione di abusi edilizi, il Comune con ordinanza n. 431921:
– ha revocato il “provvedimento nr. UO102720 P.G. del 25/5/2015 nella sola parte in cui ordina di riportare le solette realizzate presso l’edificio…. alle quote previste nel P.di C. n. 8911del 1/2/2013 e nelle due varianti (D.I.A. n. E0092612 P.G./2013, S.C.I.A. n. E0105115 P.G. /2014) di demolire i pilastri realizzati e non previsti nei titoli abilitativi citati, di riportare le finestre al piano secondo lato nord-est alle dimensioni originarie e di riportare l’interno dell’edificio nella conformità con i titoli abilitativi edilizi sopra citati, restando confermato nella parte in cui dispone il diniego del permesso di costruire in sanatoria chiesto con domanda in data 9/1/2015 n. E0003560 P.G. e dichiara l’improcedibilità della CIL n. E0003510 P.G. in pari data, ivi previsti”; nonché
– ha ordinato “ai sig.ri Gi. Fo. e Sa. Pu.,… proprietari dell’immobile…. il ripristino dello stato di fatto dello stesso come rilevabile dalla documentazione catastale allegata all’atto di compravendita in data 18/3/2013 di rep….., mediante demolizione di tutte le opere eseguite come rappresentate negli elaborati allegati al permesso di costruire n. 8911 del 1/2/2013 ed alle sue successive varianti, entro il termine di 90 giorni dalla data di ricevimento del presente provvedimento”.
9.5 La documentazione in atti dimostra che il Comune, nel dichiarare la decadenza del titolo edilizio, ha assunto una decisione che tuttavia:
– da un lato, non era prevedibile per i ricorrenti, risultando incompatibile con i presupposti alla base non soltanto dell’istanza di proroga del permesso di costruire presentata in sede sostanziale dai ricorrenti – evidentemente espressiva del convincimento di parte in ordine all’attuale vigenza del titolo edilizio – ma anche delle precedenti determinazioni amministrative assunte dallo stesso Comune;
– dall’altro, ha introdotto un nuovo tema di indagine – dato dalla decadenza del titolo edilizio per omessa avvio dei lavori – che necessitava di un confronto in sede procedimentale tra le parti – pubblica procedente e privata incisa dall’azione amministrativa -, afferendo a questioni fattuali controvertibili.
9.6 Sotto il primo profilo, emerge che il Comune di Bergamo, prima di pervenire alla dichiarazione di decadenza del permesso di costruire, con provvedimento P.G. n. U0102720 del 25.5.2015, aveva ordinato alle parti ricorrenti di riportare le solette realizzate alle quote previste nel permesso di costruire n. 8911 del 1/2/2013 e nelle due varianti (D.I.A. n. E0092612 P.G./2013, S.C.I.A. n. E0105115 P.G./2014), di demolire i pilastri realizzati e non previsti nei titoli abilitativi citati, di riportare le finestre al piano secondo lato nord est alle dimensioni originarie e di riportare l’interno dell’edificio nella conformità con i relativi titoli abilitativi.
Tale decisione presupponeva l’efficacia del permesso di costruire e, dunque, la sua idoneità a conformare l’assetto sostanziale di interessi divisato tra le parti, altrimenti non potendo l’Amministrazione disporre il ripristino delle opere, al fine di assicurarne la conformità rispetto ad un titolo edilizio abilitativo decaduto.
Pertanto, le parti ricorrenti, che avevano presentato una richiesta di proroga di un permesso di costruire – in tale modo manifestando la convinzione di riferirsi ad un titolo edilizio abilitativo ancora efficace – e che, ancora prima, erano state destinatarie di un ordine di demolizione volto alla rimozione di opere diverse da quelle assentite, come tale implicante la persistente vigenza del titolo edilizio, non potevano prevedere che l’Amministrazione, all’esito del procedimento di proroga, dichiarasse la decadenza del permesso di costruire per mancato avvio dei lavori autorizzati.
Né potrebbe diversamente argomentarsi, rilevando che la decadenza del titolo edilizio è stata dichiarata dall’Amministrazione sulla base di una difformità -tra lo stato di fatto riportato negli allegati al permesso di costruire e lo stato di fatto descritto nell’atto di compravendita concluso tra gli odierni ricorrenti e il loro avente causa- addebitabile alla stessa parte privata e, per l’effetto, da questa conoscibile.
Invero, il Comune, quando ha assunto il provvedimento n. U0102720 del 25.5.2015, era già a conoscenza di una tale divergenza di rappresentazioni.
Difatti, come sopra rilevato, in data 9.5.2014 l’Amministrazione aveva ricevuto un esposto (n. E0092249 P.G. – doc. 6 fascicolo parte resistente in primo grado) recante in allegato l’atto di compravendita n. 18393 cit. (come pure confermato dal Comune a pag. 6 della memoria 24.3.2020), con la conseguenza che il Comune era in condizione di percepire sin dal 9.5.2014 la difformità tra lo stato di fatto dichiarato in sede negoziale e lo stato di fatto riportato nei grafici sottesi al titolo edilizio abilitativo.
Ciò nonostante, l’Amministrazione, anziché valorizzare una tale difformità, ha inteso riaffermare la validità ed efficacia del titolo edilizio, prescrivendo in data 25.5.2015 la demolizione delle opere difformi da quelle assentite, come rilevate all’esito del sopralluogo del 24.9.2014.
Si conferma, dunque, che gli odierni appellanti non potevano ragionevolmente prevedere che il Comune, richiesto di una proroga del termine di efficacia del permesso di costruire, avrebbe dichiarato l’inefficacia del titolo edilizio per mancato tempestivo avvio dei lavori assentiti, all’uopo valorizzando una divergenza -tra quanto descritto negli elaborati alla base del permesso di costruire e quanto riportato in sede negoziale- che, già conosciuta dall’Amministrazione, non aveva impedito l’emissione di un ordine di demolizione fondato sulla persistente vigenza del permesso di costruire.
In conclusione, sotto tale primo profilo di indagine, deve ritenersi che l’Amministrazione abbia assunto una decisione imprevedibile per gli istanti, fondata su una nuova questione fattuale (mancato avvio dei lavori) non introdotta dalla parte privata, né desumibile dagli atti amministrativi fino a quel momento assunti, che il Comune di Bergamo avrebbe dovuto previamente sottoporre agli odierni ricorrenti nell’ambito del procedimento, al fine di acquisire un loro contributo partecipativo utilmente valorizzabile per la ricostruzione puntuale dei fatti di causa e, pertanto, per valutare la sussistenza dei presupposti del provvedere.
9.7 La necessità di un previo approfondimento in sede procedimentale sull’avvio dei lavori assentiti, ai fini dell’adozione delle conseguenti determinazioni amministrative, discende non soltanto dall’imprevedibilità della decisione in concreto assunta dall’ente comunale, tale da avere impedito agli istanti di prendere posizione in sede procedimentale sulla configurazione di una fattispecie di decadenza del titolo edilizio, ma anche dalla controvertibilità della questione fattuale implicata nel caso di specie.
Al riguardo, in primo luogo, è possibile richiamare le articolate deduzioni svolte a sostegno del terzo e del quarto motivo di appello, supra sintetizzate, incentrate sulla base di plurimi documenti (mappe allegate al Cabreo del 1752, scheda redatta per l’inventario dei beni culturali ed ambientali del Comune di Bergamo nel 1972 e riproduzioni fotografiche), non esaminati in sede procedimentale o, comunque, non valorizzati nei provvedimenti censurati in prime cure, tali da rendere controvertibile la ricostruzione fattuale in ordine allo stato originario dell’immobile per cui è causa.
In secondo luogo, si rileva che, al fine di riscontrare la sussistenza di abusi edilizi, da un lato, non risultano dirimenti le risultanze catastali – rappresentando l’accatastamento, non accompagnato da altri elementi rilevanti in termini di libertà della prova, una classificazione di ordine tributario, che fa stato a quegli specifici fini, senza assurgere a strumento idoneo, al di là di un mero valore indiziario, per evidenziare la regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile (Consiglio di Stato, sez. VI, 25 novembre 2019, n. 8000)-, dall’altro, la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte fa piena prova ex art. 2735 c.c. soltanto in favore della parte cui è resa, altrimenti risultando liberamente apprezzabili nella ricostruzione dei fatti di causa, con conseguente necessità – in siffatte ipotesi – di valutare, comunque, gli ulteriori elementi istruttori in concreto rilevanti.
In terzo luogo, giova richiamare il verbale di sopralluogo del 24.9.2014, in cui gli organo accertatori hanno espressamente dato atto che “i lavori sono in fase avanzata di ultimazione”, seppure con l’emersione di opere in difformità, puntualmente riportate nello stesso verbale; il che lascerebbe presumere comunque che i lavori fossero iniziati, risultando soltanto in parte difformi rispetto a quanto assentito, limitatamente alle opere descritte nel relativo verbale di accertamento.
In quarto luogo, si ribadisce che la stessa Amministrazione comunale, con il provvedimento n. 102720 del 25.5.2015, nell’ordinare la demolizione delle opere abusivamente realizzate, ha inteso assicurare la conformità del realizzato a quanto assentito dal titolo edilizio, in tale modo presupponendo la perdurante vigenza del relativo permesso di costruire; il che poteva anche essere inteso in senso incompatibile con l’intervenuta decadenza del titolo edilizio per mancato inizio dei lavori.
Infine, anche l’ordine impartito dal medesimo Comune con il provvedimento n. 431921 cit. non risulta del tutto chiaro nella sua portata dispositiva, il che avrebbe chiesto un approfondimento in sede procedimentale nel contraddittorio con le parti private.
In particolare, l’Amministrazione con tale atto ha ordinato, tra l’altro, il ripristino dello stato di fatto dell’immobile de quo “come rilevabile dalla documentazione catastale allegata all’atto di compravendita in data 18/3/2013 di rep….., mediante demolizione di tutte le opere eseguite come rappresentate negli elaborati allegati al permesso di costruire n. 8911 del 1/2/2013 ed alle sue successive varianti”.
Posto che il permesso di costruire richiamava gli elaborati di progetto, così come la DIA del 2013 e la SCIA del 2014 rinviavano alla relazione tecnica di asseverazione in ordine ai lavori da svolgere, non risulta chiaro se, mediante l’ordine di demolizione “di tutte le opere eseguite come rappresentate negli elaborati allegati al permesso di costruire n. 8911 del 1/2/2013 ed alle sue successive varianti”, l’Amministrazione abbia inteso rimuovere opere eseguite (in ipotesi) sine titulo ovvero le opere assentite dal permesso di costruire – in specie, descritte negli elaborati allegati al titolo edilizio, componenti l’intervento edilizio all’uopo autorizzato -, ritenute ormai prive di “legittimazione” (come pure indicato nello stesso provvedimento) e, pertanto, da demolire.
Tale seconda interpretazione contrasterebbe, tuttavia, con il presupposto alla base della dichiarazione di decadenza del permesso di costruire: difatti, in quanto le opere rappresentate negli elaborati allegati ai titoli edilizi avrebbero potuto anche comprendere le opere assentite, come emergenti dai progetti approvati dall’Amministrazione, la demolizione delle opere già autorizzate sulla base del permesso di costruire avrebbe implicato l’avvenuta esecuzione di opere coerenti con il titolo edilizio, in contraddizione con quanto riportato nella precedente dichiarazione di decadenza del permesso di costruire, incentrata sul mancato inizio dei lavori assentiti.
La complessità dei fatti di causa e l’obiettiva controvertibilità della questione fattuale riferita al mancato avvio dei lavori assentiti, alla luce di quanto emergente sia dalle contestazioni svolte in giudizio dagli appellanti (terzo e quarto motivo di appello), sia dagli atti amministrativi pure assunti dallo stesso Comune e supra richiamati, avrebbe imposto un approfondimento istruttorio mediante l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale su iniziativa dell’Amministrazione comunale.
9.8 Alla stregua delle considerazioni svolte, i motivi di appello devono essere accolti per l’assorbente ragione riferita alla violazione delle garanzie procedimentali previste dagli artt. 7 e ss. L. n. 241/90 in favore delle parti ricorrenti.
Non può, infatti, ritenersi legittima una dichiarazione di decadenza del permesso di costruire, da un lato, assunta a conclusione di un procedimento -di proroga del medesimo titolo- implicante (anziché l’avvenuta decadenza) la persistente vigenza del titolo edilizio, dall’altro, motivata sulla base di una questione fattuale (avvio dei lavori assentiti), non posta previamente all’esame delle parti istanti (né da queste prevedibile anche in ragione della pregressa condotta amministrativa), comunque controvertibile e necessitante di un approfondimento istruttorio nel contraddittorio procedimentale.
Non si può escludere, difatti, che nella fattispecie esaminata la partecipazione degli istanti al procedimento avrebbe potuto fornire un utile contributo istruttorio, valorizzabile pure per condurre ad un contenuto dispositivo della decisione finale diverso da quello in concreto assunto, tenuto conto sia delle deduzioni e dei documenti valorizzati nella presente sede processuale dalle parti private, sia di quanto emergente dal verbale di sopralluogo del 24.9.2014, dall’ordine di demolizione del 25.5.2015 e dal provvedimento n. 431921.
9.9 L’illegittimità del provvedimento di decadenza del permesso a costruire determina l’invalidità in via derivata del provvedimento n. 431921, avente natura dipendente.
L’Amministrazione comunale ha, infatti, assunto l’atto n. 431921 valorizzando la decadenza del titolo edilizio e il conseguente difetto di legittimazione delle relative opere, circostanze rilevanti sia per la revoca parziale dell’ordine n. U0102720 del 25/5/2015 (incentrato sulla persistenza di un titolo decaduto), sia per la demolizione delle opere ritenute abusive.
Annullato il provvedimento presupposto deve, dunque, annullarsi anche il provvedimento dipendente, assunto sulla base della previa (illegittima) dichiarazione di decadenza del titolo edilizio.
10. L’appello va quindi accolto nei predetti limiti e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado e, per l’effetto, vanno annullati i provvedimenti con esso impugnati.
11. L’accoglimento dell’appello, comportando la necessità di una nuova regolazione delle spese processuali del doppio grado di giudizio, determina l’improcedibilità del quinto motivo di appello, con cui è stata denunciata l’erroneità della sentenza di prime cure per avere condannato i ricorrenti alla refusione delle spese processuali anche in favore del loro dante causa, sebbene lo stesso non potesse qualificarsi come controinteressato, rivestendo la posizione di cointeressato all’impugnazione.
Si fa, infatti, questione di impugnazione di un capo accessorio alla decisione della controversia di prime cure, con la conseguenza che, riformata tale decisione, deve essere comunque riformata anche la condanna al pagamento delle spese di giudizio.
12. L’accoglimento dell’appello n. r.g. 2428/2020 impedisce, inoltre, l’accoglimento della domanda risarcitoria proposta dai Sig.ri Gi. Fo. e Sa. Pu. fin dal primo grado di giudizio, incentrata, anziché sull’illegittimità della condotta amministrativa (profilo, come osservato, introdotto soltanto nel presente grado di giudizio con domanda improcedibile e, comunque, da ritenere inammissibile per violazione dell’art. 104 c.p.a.), sulla legittimità degli atti gravati in prime cure.
Tale domanda, in primo luogo, deve ritenersi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, avendo gli appellanti dichiarato – nelle memorie depositate in vista dell’udienza del 15 aprile 2021 – che, per effetto del mutamento in corso di giudizio dell’assetto di interessi divisato sul piano sostanziale, “le domande risarcitorie già proposte devono darsi per superate” (repliche del 19 marzo 2021), con locuzione “domande risarcitorie” impiegata al plurale e, pertanto, riferibile a tutte le domande di condanna al risarcimento dei danni proposte in giudizio, ivi compresa, dunque, la domanda risarcitoria incentrata sulla legittimità degli atti amministrativi per cui è causa.
Come supra osservato nel trattare della domanda correlata all’illegittimità dell’azione amministrativa, la dichiarazione del difensore, con cui si manifesta il disinteresse della parte all’esame di una domanda processuale, da ritenere ormai superata, è valorizzabile ai fini della dichiarazione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla relativa decisione.
In ogni caso, si rileva che l’annullamento degli atti gravati in primo grado, implicando l’illegittimità delle relative determinazioni, avrebbe comunque impedito di configurare un’attività amministrativa legittima e, pertanto, avrebbe comportato il rigetto della domanda risarcitoria incentrata sull’esistenza di una circostanza (legittimità degli atti gravati) esclusa dalla presente decisione.
13. La particolarità della controversia, pure connotata dalla complessità dei fatti di causa, impone l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, così provvede:
– dichiara l’inammissibilità dell’appello iscritto al n. r.g. 2430/2020;
– in parte dichiara improcedibile e rigetta l’appello iscritto al n. r.g. 2428/2020, in altra parte lo accoglie ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, accoglie nei predetti limiti il ricorso di primo grado e annulla i provvedimenti impugnati dinnanzi al Tar;
– compensa interamente tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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