Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 24 luglio 2019, n. 5220.
La massima estrapolata:
L’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio della sua consistenza e, quindi, in ultima analisi, della sua sanabilità, incombe sull’interessato, e non sull’Amministrazione, la quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge; ciò in quanto solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’addotta sanabilità del manufatto, dovendosi in ogni caso fare applicazione del principio processual civilistico in base al quale la ripartizione dell’onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova.
Sentenza 24 luglio 2019, n. 5220
Data udienza 11 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7158 del 2011, proposto dal signor Ni. Be., rappresentato e difeso dagli avvocati Di. Va. e Br. Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Di. Va. in Roma, (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Vi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Co. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sez. II, n. 1003/2011, resa tra le parti, concernente il diniego di permesso in sanatoria e la conseguente ingiunzione a demolire manufatti abusivi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie e le memorie di replica depositate dalle parti;
Vista l’ordinanza della Sez. IV di questo Consiglio di Stato n. 4407 del 5 ottobre 2011 con la quale è stata accolta in parte l’istanza cautelare;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2019 il Consigliere Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Vi. Tr., su delega dell’avvocato Br. Sa. e l’avvocato An. Sa., su delega dell’avvocato Ma. Vi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il signor Ni. Be. ha impugnato innanzi al T.A.R. per la Lombardia con ricorso, successivamente integrato da motivi aggiunti, rispettivamente il diniego di condono oppostogli dal Comune di (omissis) in data 3 settembre 2007 e la conseguente ordinanza ingiunzione a demolire n. 178 del 29 giugno 2010. Nello specifico, l’Ente territoriale ebbe a ritenere i manufatti cui si riferiva l’istanza, tutti insistenti su area con accesso dalla Via (omissis), di cui l’interessato era usufruttuario, non rientranti nei requisiti temporali prescritti per l’invocata misura di cui all’art. 32 del d.l. n. 326/2003. L’ordinanza demolitoria, peraltro, contempla diverse tipologie di manufatti (in numero di 11), corrispondenti in minima parte (ovvero quelli riportati nell’acclusa elencazione ai punti 1, 2 e 11) a quelli oggetto della ridetta istanza di condono; i rimanenti, asseritamente abusivi in quanto realizzati sine titulo e al di fuori di qualsivoglia procedimento di legittimazione, anche postuma.
2. Il T.A.R., con sentenza n. 1003 del 19 aprile 2011, ha respinto il ricorso, condannando il ricorrente alle spese di giudizio.
3. Avverso tale decisione ha proposto appello il sig. Ni. Be., riproponendo in chiave critica gli originari motivi di gravame, a suo dire erroneamente scrutinati dal giudice di prime cure.
In particolare, egli ritiene che non si dovessero ritenere probanti, ai fini della datazione della realizzazione delle opere, gli esiti di aerofotogrammetria effettuata da una ditta privata, tanto più che le relative risultanze sarebbero state smentite dalla produzione di parte di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante una diversa data di realizzazione delle stesse, nonché foto satellitari dei luoghi, peraltro connotate da maggior nitidezza. Indebitamente, inoltre, il Comune avrebbe disposto un supplemento istruttorio senza un nuovo coinvolgimento della parte, in dispregio delle garanzie partecipative di cui alla l. n. 241/1990. L’ordinanza di demolizione, infine, avrebbe un oggetto impropriamente esteso, in quanto comprensivo di manufatti già demoliti, oltre che irrilevanti sotto il profilo edilizio, trattandosi di opere precarie ovvero pertinenziali.
4. Con ordinanza n. 4407 del 5 ottobre 2011 la Sez. IV di questo Consiglio di Stato ha accolto l’istanza cautelare limitatamente a taluni dei manufatti riportati in elenco nel provvedimento demolitorio, qualificati “minori”, quali “pergolati scoperti e gabbie per animali scoperte” (punti 8 e 10 dell’elencazione contenuta nell’ordinanza).
5. In vista dell’odierna udienza, le parti hanno presentato memorie e memorie di replica insistendo nelle proprie contrapposte prospettazioni.
6. All’udienza dell’11 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. Le doglianze sinteticamente riassunte, che si prestano ad una trattazione congiunta, non meritano accoglimento.
8. Preliminarmente il Collegio ritiene necessario perimetrare l’oggetto dell’odierna controversia, ponendo ordine nella non sempre chiara ricostruzione di parte, tesa a minimizzare le differenze contenutistiche dei due provvedimenti avversati, sostenuti per contro da motivazioni solo in parte coincidenti. In pratica, da un lato, infatti, l’ordinanza ingiunzione consegue doverosamente al diniego di condono e per tale ragione “investe” i manufatti oggetto della relativa richiesta; dall’altra essa amplia il proprio contenuto a tutte le opere rilevate in occasione del sopralluogo effettuato dai tecnici del Comune in data 8 ottobre 2009, il cui inquadramento come “pertinenze” di manufatti non preesistenti legittimamente ovvero non chiaramente identificati appare di assai poco agevole intellegibilità .
8.1. La domanda di condono presentata in data 12 luglio 2004, dunque, ha riguardo a un manufatto prefabbricato ad uso residenziale di dimensioni m. 6,28 x 2,30, con copertura piana, alto m. 2,50 circa; un fabbricato ad uso deposito in muratura di prisme di laterizio portanti e profilati d’acciaio, di m. 10, 10 x 8,25 con tetto ad una falda inclinato alto circa m. 3,30 da un lato e m. 3,70 dall’altro; e la pavimentazione del cortile. La relazione tecnica allegata alla relativa richiesta li localizza “in prossimità di un pergolato in legno già concessionato”.
8.2. L’ordinanza n. 178/2010, invece, oltre a tali manufatti, per i quali il condono è stato rigettato, ne menziona altri 8 (rectius, li elenca in altri 8 punti, stante che sia i “pergolati” che le “gabbie” scoperti risultano in numero superiore ad uno), evidenziando lo stratificarsi degli interventi posti in essere dall’interessato, che già in sede di interlocuzione istruttoria con l’Amministrazione procedente (v. riscontro alla nota prot. n. 8973 del 22 febbraio 2007, a firma del legale di parte) ribadiva la necessità di migliorare lo stato dei luoghi in funzione dell’attività di imprenditore nel settore dell’edilizia svolta dallo stesso.
8.3. La mancata sovrapponibilità dei contenuti dell’una istanza a quelli dell’altro provvedimento, consente sin d’ora di escludere, in quanto inconferente, l’invocata sospensione del procedimento sanzionatorio, nelle more della definizione della domanda, quanto meno in relazione alle opere -la maggior parte, in termini quantitativi- oggetto dell’intimata demolizione, ma non della richiesta di condono.
9. Chiarito quanto sopra, pertanto, è evidente che possono essere affrontati congiuntamente i rilievi avverso il provvedimento di diniego di sanatoria e la parte dell’ordinanza demolitoria concernente i manufatti oggetto dello stesso; riservando a separato scrutinio quelli concernenti l’inclusione degli ulteriori interventi nell’intimazione a demolire, in quanto concernenti la diversa questione dell’esatta qualificazione giuridica degli stessi e della conseguente applicabilità o meno dell’intervenuto procedimento sanzionatorio.
10. Sotto il primo profilo, appare dunque centrale l’accertamento della data di avvenuta realizzazione dei manufatti, in relazione alla quale l’appellante, contravvenendo ad un proprio specifico onere, non ha fornito alcuna prova che essa si collochi nei termini di fruizione del condono di cui all’invocato art. 32 del d.l.n. 269/2003. In base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, che il Collegio condivide, spetta all’interessato dimostrare tale data, dal momento che solo lui può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto abusivo (v. ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 897). Tale prova, inoltre, dev’essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi (Cons. Stato, Sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1802), non potendosi certo individuare, come prospettato dall’appellante, nella generica produzione di foto satellitari, che la difesa civica riferisce essere tratte da un generico sito internet (“Google Earth”), prive peraltro di riscontri circa la relativa datazione, né, men che meno, da una dichiarazione di esclusiva provenienza della parte, ancorché resa nelle forme della dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
10.1. Infatti “l’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio della sua consistenza e, quindi, in ultima analisi, della sua sanabilità, incombe sull’interessato, e non sull’Amministrazione, la quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere – dovere di sanzionarla ai sensi di legge”; ciò in quanto “solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’addotta sanabilità del manufatto, dovendosi in ogni caso fare applicazione del principio processualcivilistico in base al quale la ripartizione dell’onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova”(cfr. ancora Cons. Stato, Sez. IV, n. 2115 del 1 aprile 2019, con ampi richiami giurisprudenziali).
10.2.Nel caso di specie, infine, a fronte di tale inadeguatezza probatoria delle produzioni di parte, il Comune di (omissis) ha basato le proprie risultanze su un dato di sicuro rilievo scientifico, ovvero i rilievi aerofotogrammetrici commissionati ad apposita ditta specializzata all’esito di procedura ad evidenza pubblica -la AIR Data s.r.l. – dalla Provincia di Milano, i cui riscontri oggettivi ed empirici non risultano in alcun modo smentiti dall’appellante (sulla valenza inequivocabile circa la non edificazione dell’area alla data del volo, cfr., per tutti, Cons. Stato, Sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6548; id., 2 febbraio 2011 n. 752).
11. A ciò deve aggiungersi, rileva la Sezione, che la serietà dell’istruttoria effettuata anche a seguito del coinvolgimento della parte è dimostrata proprio dai contestati accertamenti aggiuntivi effettuati anche all’esito dell’avvenuta ricezione dei rilievi della parte. Al fine di escludere, infatti, qualsiasi residuo dubbio in ordine alle risultanze della cartografia e dell’aerofotogrammetria, la ditta veniva invitata ad esaminare le fotografie raffiguranti i manufatti abusivi oggetto della domanda di condono; essa riscontrava la richiesta con note in data 14 marzo 2007 e 2 agosto 2007, dando atto della presenza dell’unico manufatto effettivamente assentito (la tettoia originaria, riportata in cartografia come “baracca”), poggiante su una platea in cemento, e rappresentando in chiave correttamente dubitativa, in ragione della non chiarezza delle immagini sul punto, l’esistenza di un ulteriore manufatto, “molto stretto, lungo e basso di dimensioni di circa 4,7 x 1,65 x 1,00”, in alcun modo assimilabile a uno di quelli oggetto della richiesta di condono.
12. In relazione dunque -in particolare- alle opere oggetto del diniego di sanatoria, l’impugnata ordinanza n. 178/2010 è del tutto esente da mende, trattandosi di atto dovuto non necessitante neppure di particolare motivazione, essendo la stessa in re ipsa (sul punto v. ancora Cons. Stato, Sez. IV, n. 2115/2019 cit. supra).
13. La stessa natura necessitata, tuttavia, consegue all’avvenuto accertamento degli ulteriori illeciti edilizi, pure oggetto dell’intimazione demolitoria.
14. Non appare condivisibile, infatti, la tesi dell’appellante circa l’irrilevanza giuridica degli interventi in quanto precari, pertinenziali, e comunque in parte rimossi spontaneamente (opere abusive individuate ai nn. 4, 5 e 6).
14.1. Affinché, infatti, possa parlarsi di pertinenza, è comunque necessario individuare una costruzione principale al cui servizio o ornamento quella strumentale acceda. Nel caso di specie, se si eccettua la recinzione del terreno e la baracca-tettoia utilizzata, per esplicita ammissione della parte, in funzione della propria attività di imprenditore edile, non si comprende quale nesso possa legare gli ulteriori manufatti, ivi comprese le gabbie per animali, ancorché scoperte, a quanto preesistente in loco, salvo l’appellato intenda “agganciarle” al manufatto ad uso residenziale, tuttavia non condonato e come tale esso pure abusivo.
14.2. D’altro canto, anche l’affermata precarietà, che comunque presume una temporaneità nel caso di specie mancante, non risulta in alcun modo provata.
La realizzazione di strutture, perfino non infisse al suolo, infatti, integra comunque un’opera edilizia soggetta al rilascio del relativo titolo abilitativo non potendosi applicare il regime delle opere precarie ove non ne sia dimostrato l’asservimento ad esigenze temporanee, anche qualora esse siano state realizzate con materiali facilmente rimovibili (Cons. Stato, Sez. II, 24 giugno 2019, n. 4320; Sez. VI, 11 gennaio 2018, n. 150).
14.3. La stessa, infine, non può certo essere desunta dall’affermazione della parte di aver rimosso spontaneamente i manufatti individuati ai nn. 4, 5 e 6 dell’ordinanza n. 178/2010: la circostanza, infatti, lungi dal dimostrare anche l’invocato difetto di istruttoria, incide, ove confermata nel prosieguo del procedimento, sulla esecutività del provvedimento avversato, non certo sulla sua efficacia o, ancor prima, legittimità .
15. A ciò aggiungasi, rileva ancora la Sezione, che l’eventuale assoggettamento delle opere “minori” a D.I.A., secondo la disciplina dettata dall’art. 22, comma 1, del d. P.R. n. 380/2001 vigente ratione temporis, discende dalla conformità delle stesse alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente. Nel caso di specie, esse insistono viceversa su aree destinate all’agricoltura sia nel P.G.T. che nel P.R.G. in vigore all’epoca dei fatti nel territorio del Comune di (omissis), che ammettono le opere indicate dall’art. 59, comma 1, della L.R. Lombardia n. 12/2005 solo in presenza dei requisiti soggettivi di cui all’art. 60, ovvero da parte di imprenditori agricoli; categoria alla quale, per sua esplicita ammissione, non è ascrivibile l’odierno ricorrente (in relazione alla circostanza che anche le opere edilizie qualificate come pertinenze soggiacciono all’obbligo di conformità allo strumento urbanistico, cfr. Cons. Stato, Sez. II, 4 luglio 2019, n. 4587).
16. Conclusivamente pertanto il Collegio ritiene che l’appello per tali considerazioni, da considerarsi assorbenti, debba essere respinto e, per l’effetto, confermata la sentenza del T.A.R. per la Lombardia intervenuta sul ricorso n. r. 2534/2007.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado n. r. 2534/20017 e conferma la sentenza n. 1003/2011.
Condanna l’odierno appellante al pagamento, in favore del Comune appellato, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 3.000,00 (euro tremila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
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