Prova del pagamento effettuato con assegni o cambiali  ed onere probatorio in capo al debitore

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 maggio 2024| n. 14611.

Prova del pagamento effettuato con assegni o cambiali  ed onere probatorio in capo al debitore

In tema di prova del pagamento, soltanto a fronte della comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito, l’onere della prova viene nuovamente a gravare sul creditore il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso. Ne consegue che tale principio non può trovare applicazione quando il pagamento venga eccepito mediante la produzione di assegni o cambiali, che per la loro natura presuppongono l’esistenza di un’obbligazione cartolare (e l’astrattezza della causa), così da ribaltare nuovamente l’onere probatorio in capo al debitore, che deve dimostrare il collegamento dei titoli di credito prodotti con i crediti azionati, ove ciò sia contestato dal creditore.

Ordinanza|24 maggio 2024| n. 14611. Prova del pagamento effettuato con assegni o cambiali  ed onere probatorio in capo al debitore

Data udienza 8 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Appalto – Opposizione a decreto ingiuntivo – Comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva – Onere della prova a carico del creditore che controdeduca l’imputazione del pagamento ad un credito diverso – Inapplicabilità quando il pagamento venga eccepito mediante la produzione di assegni o cambiali – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5980/2020 R.G. proposto da:

(…) Srl, elettivamente domiciliata in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato ST.ME. che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PI.GU.;

– ricorrente –

contro

(…), elettivamente domiciliato in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato CO.MA. che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MA.AL.;

– controricorrente –

nonché contro

IMPRESA EDILE (…)

– intimata –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 5251/2019 depositata il 22/11/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2024 dal Consigliere LUCA VARRONE;

Prova del pagamento effettuato con assegni o cambiali  ed onere probatorio in capo al debitore

FATTI DI CAUSA

1. La società (…) proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Venezia che aveva respinto la sua opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 954 del 2012 richiesto dalla ditta (…) per il pagamento del residuo corrispettivo di un contratto di appalto intercorso tra le parti.

Il motivo di appello riguardava il fatto che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, il contratto di appalto non ricomprendeva anche la realizzazione degli impianti e, dunque, anche qualora l’impresa (…) avesse pagato il corrispettivo all’effettivo esecutore delle opere lo avrebbe fatto al di fuori del titolo azionato monitoriamente, ossia il contratto di appalto, e in virtù di un pagamento effettuato per conto altrui, tale da legittimare un’azione di arricchimento senza causa nella specie mai formulata.

2. La Corte d’Appello di Venezia rigettava l’impugnazione. In particolare, evidenziava che erano accertate le seguenti circostanze di fatto: la società opposta aveva effettivamente fatto realizzare gli impianti da un’altra società corrispondendole il relativo corrispettivo. Secondo la Corte d’Appello, nell’originario contratto di appalto non era prevista la realizzazione degli impianti ma tale

circostanza non era preclusiva della possibilità di un successivo accordo in tal senso.

Data la certezza della realizzazione degli impianti doveva escludersi che poteva trattarsi di opere che non erano state richieste dalla (…). Si doveva, dunque, verificare se la realizzazione di tali impianti era stata affidata alla ditta esecutrice direttamente dalla (…) o dall’appaltatrice cui era stata affidata l’esecuzione dell’opera e che si era avvalsa di imprese terze.

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Sulla base della deposizione resa dal teste Si., risultato attendibile, si era chiarito che l’incarico della realizzazione degli impianti era stato conferito dalla ditta (…) alla ditta To.Si. che inizialmente aveva anche pagato i lavori fino a che, successivamente, si era concordato che i pagamenti dovevano essere fatti direttamente dalla (…). In tal senso deponeva anche la liquidazione delle opere compiuta dall’architetto Tr., direttore dei lavori, nelle quali compariva a chiare lettere l’indicazione dell’impianto igienico sanitario, di riscaldamento e dell’impianto elettrico con la chiara indicazione da corrispondere all’impresa (…) Peraltro, l’architetto Tr. era indicato dal committente quale proprio direttore dei lavori e non rilevava il fatto che poi era stato revocato da tale incarico.

3. La società (…) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi.

4. (…) ha resistito con controricorso.

5. La ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio risultante dagli atti di causa oggetto di discussione tra le parti.

Il fatto che si contesta come non esaminato riguarda l’eccepito avvenuto pagamento di parte del corrispettivo che l’appaltatrice ha azionato in via monitoria e segnatamente il pagamento di euro 24.000 in data primo dicembre 2006 a mezzo assegno bancario. La ricorrente, sin dal primo giudizio di opposizione, aveva eccepito di aver già versato anticipi per euro 92.000 e di aver provveduto a versare l’importo di euro 24.000 a mezzo dell’assegno primo dicembre 2006 in pagamento di parte del corrispettivo azionato monitoriamente. Il suddetto fatto storico e la sua valenza giuridica erano stati dedotti ed eccepiti dall’attrice con la citazione in opposizione e valutati in modo errato dal Tribunale di Venezia.

Il medesimo fatto storico e la sua valenza giuridica erano stati dedotti ed eccepiti nel giudizio di appello e non erano stati valutati dalla Corte d’Appello di Venezia.

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1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

La motivazione della sentenza impugnata è conforme a quella della sentenza di primo grado il che rende inammissibile il motivo in esame. Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, le regole sulla pronuncia ed. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012). Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che ricorre l’ipotesi di “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 6-2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193-01)

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: in via subordinata rispetto al mancato accoglimento del primo si contesta la violazione dell’articolo 2697 c.c. in combinato disposto con l’articolo 1193 c.c.

La censura attiene all’imputazione del pagamento a mezzo assegno che in base all’articolo 1193 c.c. dovrebbe essere imputato a titolo di pagamento del corrispettivo più risalente e non a titolo di ipotetico acconto per un futuro nuovo contratto di appalto. Dimostrare l’eventuale diversa imputazione di pagamento sarebbe onere gravante sul creditore. Pertanto, a fronte della esistenza del suddetto versamento di euro 24.000 imputato al pagamento di

parte del corrispettivo dell’appalto azionato con il decreto era onere della controparte dimostrare che era imputabile ad altro titolo. Ne consegue che la sentenza avrebbe anche operato un’inversione dell’onere probatorio violazione dell’articolo 2697 c.c.

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2.1 Il secondo motivo di ricorso è infondato.

In disparte il profilo di inammissibilità della censura per novità della questione, non risultando la stessa oggetto della sentenza impugnata, deve darsi continuità al seguente principio di diritto: In tema di prova del pagamento, soltanto a fronte della comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito, l’onere della prova viene nuovamente a gravare sul creditore il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso. Ne consegue che tale principio non può trovare applicazione quando il pagamento venga eccepito mediante la produzione di assegni o cambiali, che per la loro natura presuppongono l’esistenza di un’obbligazione cartolare (e l’astrattezza della causa), così da ribaltare nuovamente l’onere probatorio in capo al debitore, che deve dimostrare il collegamento dei titoli di credito prodotti con i crediti azionati, ove ciò sia contestato dal creditore (Sez. 2, Ordinanza n. 27247 del 25/09/2023, Rv. 669151-01).

3. Il ricorso è rigettato.

4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 2200, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;

ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, L. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;

Così deciso in Roma l’8 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 24 maggio 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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