Consiglio di Stato, Sentenza|22 febbraio 2022| n. 1262.
Nel processo amministrativo la rinuncia alla domanda non va confusa con la rinuncia agli atti del giudizio atteso che, nel caso di rinuncia agli atti del giudizio, si può parlare di estinzione del processo, cui consegue una pronuncia meramente processuale, potendo essere la domanda riproposta nel caso in cui siano ancora aperti i termini per far valere in giudizio la pretesa sostanziale; la rinuncia all’azione comporta, invece, una pronuncia con cui si prende atto di una volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, con la conseguente inammissibilità di una riproposizione della domanda.
Sentenza|22 febbraio 2022| n. 1262. Processo amministrativo la rinuncia alla domanda
Data udienza 17 febbraio 2022
Integrale
Tag- parola chiave: Processo amministrativo – Interesse – Rinuncia alla domanda – Rinuncia agli atti – Differenza – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7798 del 2019, proposto da
Pi. Gi., rappresentato e difeso dagli Avvocati Er. Sp., Le. Sp., Lu. Sp. ed Ed. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avv. En. So., in Roma, via (…);
contro
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del Legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliata, in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 02127/2019, resa tra le parti, concernente per l’accertamento del diritto del ricorrente ad essere trattenuto in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età, onde consentirgli di maturare i requisiti minimi previsti per l’accesso alla pensione, o in subordine al risarcimento per equivalente del danno subito a causa del mancato trattenimento in servizio, con condanna dell’Agcom al pagamento di quanto dovuto;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 febbraio 2022 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Processo amministrativo la rinuncia alla domanda
FATTO e DIRITTO
Con ricorso iscritto al n. 11416/2015 R.R., l’odierno Appellante, aspirante al trattenimento in servizio alle dipendenze dell’Autorità intimata sino al compimento del settantesimo anno di età, impugnava innanzi al TAR Lazio il provvedimento dell’Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni del 10 giugno 2015, con il quale gli veniva comunicato il collocamento a riposo d’ufficio a decorrere dal 10 agosto successivo.
Il TAR capitolino, con ordinanza n. 14214 del 17 dicembre 2015, dichiarava la propria incompetenza indicando il giudice competente nel TAR Campania, Napoli, innanzi al quale il giudizio veniva riassunto con atto notificato il 22 gennaio 2016.
Con sentenza n. 1042 del 21 febbraio 2017, il TAR, rilevata la tardività della riassunzione e preso atto della mancata presentazione di osservazioni a seguito del rituale avviso ed art. 73 c.p.a. dato all’udienza del 25 gennaio 2017, dichiarava l’estinzione del giudizio (sentenza non impugnata).
Con ricorso iscritto al n. 2517/2017 R.R., depositato il 19 giugno 2017, la Parte agiva innanzi al TAR Campania per l’accertamento del proprio diritto ad essere trattenuto in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età .
Il TAR, con sentenza n. 2127 del 15 aprile 2015, in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’Autorità, dichiarava il ricorso inammissibile rilevando l’identità della pretesa sostanziale già fatta valere nel precedente giudizio, definito con sentenza di estinzione passata in giudicato.
L’Appellante gravava la sentenza da ultimo citata con appello depositato il 25 settembre 2019 deducendo che la decisione del TAR sarebbe frutto di errore del giudice di prime cure che avrebbe “confuso” la rinunzia agli atti del giudizio con la rinunzia all’azione.
Contestualmente riproponeva i motivi di ricorso formulati in primo grado e non scrutinati in detta sede.
L’Autorità si costituiva formalmente in giudizio il 26 settembre 2019, sviluppando le proprie difese con memoria depositata il 17 gennaio 2022, con la quale sosteneva la legittimità della decisione di primo grado.
All’esito della pubblica udienza del 17 febbraio 2022, in assenza di repliche da parte dell’Appellante, la causa veniva decisa.
Si premette che il Tar, dichiarava l’inammissibilità del ricorso sulla base dei seguenti presupposti:
– “nel giudizio amministrativo si applica il principio del ne bis in idem, di cui agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. che vieta al giudice di pronunciarsi due volte sulla medesima controversia, in virtù del rinvio esterno contenuto nell’art. 39 comma 1, c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato sez. V 23 marzo 2015 n. 1558; Consiglio di Stato sez. III, 07/11/2018, n. 6281)”;
– “tale principio opera in tutti i casi in cui si abbia, sia pure in parte, identità dei giudizi, avuto riguardo alle parti in causa ed alla consistenza degli elementi identificativi dell’azione (petitum e causa petendi)”;
– “ovvie esigenze di efficienza e, soprattutto, di coerenza dell’ordinamento inibiscono al giudice di pronunziarsi una seconda volta su questioni già definite con Sentenza e ciò anche indipendentemente dal passaggio in giudicato della Sentenza medesima (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 17/09/2018, n. 5422; Cons. Stato, III, 28 febbraio 2018, n. 1257; Id., IV, 28 febbraio 2018, n. 12309)”.
L’Appellante censura la sentenza di primo grado assumendo che sarebbe “del tutto illegittima” nella parte in cui dispone l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio del “ne bis in idem”.
A sostegno della censura allega il principio, già affermato in giurisprudenza, per il quale “nel processo amministrativo la rinuncia alla domanda non va confusa con la rinuncia agli atti del giudizio atteso che, nel caso di rinuncia agli atti del giudizio, si può parlare di estinzione del processo, cui consegue una pronuncia meramente processuale, potendo essere la domanda riproposta nel caso in cui siano ancora aperti i termini per far valere in giudizio la pretesa sostanziale; la rinuncia all’azione comporta, invece, una pronuncia con cui si prende atto di una volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, con la conseguente inammissibilità di una riproposizione della domanda; …” (ex multis, di recente, Consiglio di Stato Sez. IV 04 maggio 2018 n. 2666; Consiglio di Stato Sez. III 21 giugno 2017 n. 3058)”.
L’appello è infondato.
Come riconosciuto dalla più recente giurisprudenza “costituisce invero ius receptum, affermato in relazione al processo amministrativo di appello (cfr. Cons. Stato, IV, 23 giugno 2015, n. 3158; V, 16 febbraio 2015 n. 806), che ai sensi degli artt. 2929 Cod. civ. e 324 Cod. proc. civ., applicabili anche al processo amministrativo, la regola del ne bis in idem presuppone l’identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell’azione proposta, e quindi che in quei giudizi sia chiesto l’annullamento degli stessi provvedimenti, o al più di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione” (Cons. Stato, Sez. V, 10 maggio 2021, n. 3618).
Ciò premesso, deve riconoscersi l’identità della domanda oggetto del ricorso, inizialmente proposto innanzi al Tar Lazio (n. 11416/2015) e riassunto tardivamente innanzi al Tar Campania e il ricorso n. 2417/2017 definito con la sentenza in questa sede impugnata.
In occasione dell’originaria impugnazione, proposta innanzi al Tar Lazio (n. 11416/2015) l’appellante agiva, oltre che per l’annullamento del provvedimento impugnato con il quale veniva negato il trattenimento in servizio, anche “per l’accertamento” del proprio diritto “ad essere trattenuto in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età onde consentirgli di maturare i requisiti minimi previsti per l’accesso alla pensione, o in subordine al risarcimento del danno subito a causa e per effetto del provvedimento impugnato sub a), con condanna dell’Agcom al pagamento di quanto dovuto”.
Con il ricorso n. 2517/2017, definito con la sentenza in questa sede impugnata, lo stesso Appellante agiva “per l’accertamento” del proprio diritto “ad essere trattenuto in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età, onde consentirgli di maturare i requisiti minimi previsti per l’accesso alla pensione, o in subordine al risarcimento per equivalente del danno subito a causa del mancato trattenimento in servizio, con condanna dell’Agcom al pagamento di quanto dovuto”.
Non può, quindi, che rilevarsi l’identità della pretesa fatta valer nei due giudizi e, in conseguenza di ciò, l’inammissibilità della riproposizione della stessa pena, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, un’inammissibile elusione del termine decadenziale.
Per quanto precede, l’appello deve essere respinto.
Le spese di giudizio sono poste a carico della parte Appellante nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma la sentenza impugnata.
Condanna l’Appellante al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 2.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 febbraio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
Marco Poppi – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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