Processo amministrativo e la consulenza tecnica d’ufficio

Consiglio di Stato, Sentenza|26 maggio 2021| n. 4064.

Nel processo amministrativo la consulenza tecnica d’ufficio, che è un mezzo istruttorio e non una prova vera e propria, può essere disposta da questo Giudice ove sia necessario misurare determinati elementi o fatti di causa con metodi scientifici, fisici, o tecnici; in tali casi la relazione del CTU si pone sul piano dell’integrazione delle prove allegate dalle parti (c.d. consulenza deducente); oppure quando il giudice non è in grado di formarsi un proprio convincimento utilizzando gli elementi di prova acquisiti, per cui è necessario accertare o apprezzare l’esistenza, l’entità o la rilevanza di un dato o di fatto mediante l’uso di specifiche conoscenze anche di carattere extrascientifico (c.d. consulenza percipiente).

Sentenza|26 maggio 2021| n. 4064. Processo amministrativo e la consulenza tecnica d’ufficio

Data udienza 8 ottobre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Impugnative – Processo amministrativo – CTU – Natura – Mezzo istruttorio – Caratteristiche – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso NRG 6270/2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Va. Sa. e Vi. Mo., con domicilio eletto in Roma, via (…),
contro
-OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Se. Si. con domicilio eletto in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza breve del TAR Lazio, sez. II, n. -OMISSIS-/2017, resa tra le parti e concernente l’ordine di demolizione d’un capannone abusivamente realizzato;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 2020 il Cons. Silvestro Maria Russo e udito altresì, per le parti, il solo avv. Sa.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

Processo amministrativo e la consulenza tecnica d’ufficio

FATTO e DIRITTO

1. – Il sig. -OMISSIS- dichiara d’esser proprietario di un capannone di tipo industriale (con altri locali annessi), sito in Roma, via -OMISSIS- n. 263H e censito al CF fg. (omissis), part. (omissis), in un’area posta nelle vicinanze del rio -OMISSIS-.
Il sig. -OMISSIS- assume altresì che, a seguito degli eventi alluvionali del 2014 in zona, il rio -OMISSIS- esondò determinando vari danni a tal capannone, che fu così interessato da lavori di manutenzione straordinaria e di restauro o risanamento conservativo senza aumento di cubatura, a suo dire al fine di renderlo più resistente in caso di nuove esondazioni.
Il sig. -OMISSIS- rende noto pure l’avvenuto sequestro penale di detta area, perché ritenuto responsabile d’aver realizzato sine titulo “… un capannone, accanto ad un preesistente, di m 13,50 x 6,00 x h variabile da m 5,00 a 5,50, tamponato su tre lati in muratura e parte in pannelli di plexiglass, di cui uno con funzione di lato perimetrale del capannone preesistente… coperto con ferro e pannelli di plexiglass a due falde e chiuso con cancello in ferro. Inoltre altro locale, in ampliamento, di m 8,00 x 2,50 x h variabile da m. 2,20 a 3,00 con copertura in lamiera. Entrambi i locali risultano pavimentati in calcestruzzo…”.
Sicché egli fu attinto, il 22 gennaio 2016, dall’ordinanza n. CP/49 del precedente giorno 13, con cui -OMISSIS- gli ingiunse la demolizione di tal manufatto e gli irrogò la sanzione pecuniaria di Euro 15.000,00.
2. – Avverso tal provvedimento il sig. -OMISSIS- insorse al TAR Lazio, col ricorso NRG 4353/2016, deducendo: 1) – l’omessa considerazione che per tali immobili, tutt’altro che costruiti ex novo, il 22 settembre 1986 il sig. Gi. -OMISSIS-, dante causa del ricorrente, aveva proposto l’istanza di condono edilizio prot. n. 87/105092 ex art. 31 della l. 28 febbraio 1985 n. 47, relativamente ad una superficie ad uso industriale non meglio identificata di mq 284, tipol. non residenziale, non esitata (per contro, il sig. Ro. -OMISSIS- nel 1987 presentò la diversa istanza n. 87/116371, per il condono d’un annesso pari a mq 11,16 – laboratorio nella corte di pertinenza ed altre opere non valutabili in termini di volumi o superfici; concessione in sanatoria n. 269250 del 22 novembre 2001 – NDE), mentre il 24 febbraio 1995 la sig. Ed. -OMISSIS- (anch’ella avente causa dal sig. G. -OMISSIS-) presentò l’istanza di sanatoria n. 0/31717 ai sensi dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994 n. 724 (edificio industriale di mq 94,80 in ampliamento nella parte posteriore di detto capannone e comunicante con esso; concessione in sanatoria n. 255994 del 6 marzo 2001); 2) – l’erronea applicazione della sanzione demolitoria, giacché per la tipologia di interventi realizzati sarebbe potuta bastare la mera CIL, la cui omissione avrebbe al più comportato la sola sanzione pecuniaria; 3) – in via subordinata, trattandosi di restauri o di risanamento conservativo del capannone rovinato dall’esondazione del rio -OMISSIS-, l’omissione della prescritta SCIA avrebbe determinato al più la sanzione pecuniaria ex art. 37, co. 4 del DPR 6 giugno 2001 n. 380); 4) – l’omessa indicazione, nel corpo del gravato provvedimento, della possibilità dell’accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 380/2001, trattandosi di un intervento conforme allo strumento urbanistico.
Con separato ricorso, il sig. -OMISSIS- si gravò in via straordinaria contro la determina dirigenziale n. 639 del 21 aprile 2016, con cui -OMISSIS- gli ingiunse di rimuovere i citati interventi di ristrutturazione edilizia realizzati sul predetto capannone, deducendo questioni simili al precedente ricorso e, inoltre, l’impossibilità d’effettuare la demolizione spontanea del manufatto abusivo per mancato suo dissequestro penale.

 

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Il predetto ricorso straordinario, su opposizione di -OMISSIS-, fu poi trasposto in sede giurisdizionale innanzi al TAR Lazio ed assunse il NRG 12567/2016.
L’adito TAR, con sentenza breve n. -OMISSIS- del 2 marzo 2017, riunì e respinse integralmente i citati ricorsi, in quanto: a) non poté esser concessa CTU per provare che le opere sanzionate fossero contemplate in due concessioni edilizie in sanatoria e, comunque, oggetto delle tre istanze di sanatoria, trattandosi di dati nella piena disponibilità del ricorrente, donde la piena applicabilità a lui dell’art. 2697 c.c.; b) essendo mancata la prova dell’avvenuta sanatoria del manufatto, le questioni sulla sufficienza della CIL o, in subordine, della SCIA a realizzare le opere sanzionate ne seguono il rigetto; c) non v’è norma che condizioni l’irrogazione delle sanzioni edilizie ad un preteso dovere della P.A. di offrire al privato la possibilità dell’accertamento di conformità ; d) non fu opponibile alla demolizione d’ufficio il rigetto dell’istanza attorea di dissequestro penale del capannone, perché proposta per ragioni diverse della spontanea rimozione.
3. – Appellò quindi il sig. -OMISSIS-, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per:
1) – non aver colto la deduzione sul rilascio, da parte di -OMISSIS-, di due concessioni edilizie in sanatoria, in forma espressa (ex l. 724/1994) o tacita (ex l. 47/1985) per i lavori di manutenzione straordinaria e restauro conservativo sul capannone e relativo annesso, avente superfici e volumi corrispondenti a quelli accertati come abusivi dalla P.A., onde l’istanza di CTU era stata formulata solo per riscontrare l’assenza di nuovi volumi o superfici rispetto alle sanatorie;
2) – non aver esaminato le doglianze sulla sufficienza della CIL o, in subordine, della SCIA a realizzare le opere sanzionate;
3) – non aver esaminato la censura sul regime sanzionatorio, diverso dalla demolizione, in effetti applicabile al tipo di opere realizzate e soggette o a CIL o a SCIA;
4) – la diversa natura dell’istanza di dissequestro, formulata al solo fine di conservare il bene. Resiste in giudizio -OMISSIS- la quale, pure alla luce della documentazione versata in atti il 28 luglio u.s., conclude per il rigetto dell’appello, in quanto le opere sanzionate s’appalesano diverse e ulteriori rispetto a quelle oggetto delle tre istanze di condono. Con la memoria di replica depositata il 14 settembre 2020, il patrono dell’appellante chiede lo stralcio dei cinque documenti versati in atti da -OMISSIS- il precedente 28 luglio, ma in violazione dell’art. 104 c.p.a., perché nuovi.
Il medesimo patrono, all’odierna udienza pubblica, chiede al Collegio di valutare l’inammissibilità e quindi lo stralcio dei documenti nn. 4) e 5) prodotti il 28 luglio 2020, perché prodotti dopo la data di pubblicazione della sentenza appellata. Egli fa altresì presente che alcune pagine della memoria di -OMISSIS- contengono eccezioni nuove, su cui non accetta il contraddittorio.

 

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4. – In via preliminare, non sfugge al Collegio la differenza tra l’istanza di stralcio di documenti formulata nella memoria del 14 settembre u.s. e quanto dichiarato e, quindi, precisato all’odierna udienza pubblica, ove lo stralcio è limitato ai soli documenti n. 4) e 5) di quella produzione.
Per una miglior comprensione di questa vicenda, giova osservare che il documento n. 4) de quo è la nota prot. n. 34546 del 24 febbraio 2017, con cui l’U.O. Condoni di -OMISSIS-, in relazione al citato gravame straordinario attoreo, comunicò all’Avvocato capo ed all’avv. Si. il riepi delle tre istanze di condono dianzi citate per il complesso edilizio di via -OMISSIS- nn. 263 e 263H in Roma, dunque nulla di più di quanto non già acquisito agli atti del primo grado e noto alle parti. Il documento n. 5) de quo è la nota prot. n. 57046 del 28 settembre 2017, con cui la Polizia di -OMISSIS-, XI Gruppo diede contezza all’avv. Si., in relazione non al giudizio di primo grado ma di questo appello, dell’oggetto e dell’esito delle citate tre istanze di condono proposte dai sigg. -OMISSIS- cogli allegati grafici, quindi questioni afferenti al presente grado di giudizio. Nell’un caso, come nell’altro si tratta di dati e notizie tutt’altro che “nuovi” in appello, anzi strettamente inerenti al presente giudizio, quantunque privi di qualunque giudizio di valore sui fatti di causa. In tal caso, non si può dar seguito all’istanza del patrono di parte appellante, giacché detti documenti, al di là della suggestione della tesi di quest’ultimo sulla posteriorità del documento n. 5) rispetto al giudizio di primo grado -in realtà esso afferisce all’appello-, non sono nuovi e nulla aggiungono o tolgono a quel che è già noto al Collegio dal giudizio di prime cure, né peraltro innovano il thema decidendum fissato coi motivi e coi documenti innanzi al TAR.
Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo ai primi tre documenti depositati il 28 luglio u.s.
Infatti, il documento 1) accorpa alla relazione di Polizia di -OMISSIS- prot. n. 43271 del 5 agosto 2015 (indirizzata all’UO Tecnica del Municipio XI, all’AGO, alla Regione Lazio e ad altri uffici e recante la descrizione dell’opera abusiva), la relativa documentazione fotografica, il verbale d’accertamento tecnico in situ del 27 agosto 2015, l’ordinanza di sospensione lavori n. 1329 del 15 settembre 2015 (notificata il successivo giorno 14 al sig. -OMISSIS- nel domicilio di questi), l’ordinanza di demolizione n. 49/2016 (notificatogli presso l’XI Gruppo di P.M.), il verbale d’inottemperanza all’ordine di demolizione (notificato al sig. -OMISSIS- il 4 aprile 2016), l’ordinanza n. 639 del 21 aprile 2016 (recante l’esecuzione d’ufficio dell’ordinanza di demolizione in danno al sig. -OMISSIS-) ed il verbale di sopralluogo in situ del 3 maggio 2016: trattasi o di atti già in possesso dell’appellante o prodromici a questi ultimi, che non ne alterano l’oggetto e gli effetti. Lo stesso si può dire circa il documento 2), che accorpa all’ordinanza n. 639/2016 (notificata all’appellante il 5 ottobre 2016), i verbali della Polizia di -OMISSIS- sullo stato del manufatto abusivo, l’interlocuzione descrittiva del 2 maggio 2016 tra quest’ultima e l’avv. Si. ed altri atti già contenuti nel documento 1). Il documento 3) è la nota prot. n. 158756 del 13 settembre 2016, con cui l’UO Condoni descrisse l’oggetto dei tre condoni citati con riguardo al gravame straordinario proposto dal sig. -OMISSIS-.
Sicché anche in questo caso, va respinta la richiesta di stralcio tanto di tali documenti (la cui novità in appello o è nulla o è meramente ripetitiva delle vicende del primo grado), quanto di eccezioni nuove in appello (essendo generico il riferimento e tale da impedirne al Collegio la verifica).

 

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5. – In realtà, già dalla serena lettura del ricorso in epigrafe e dell’impugnata sentenza s’evince che, in raffronto con l’oggetto delle ripetute tre istanze di condono edilizio dei sigg. -OMISSIS-, le opere colà dedotte nulla hanno a che vedere con l’opera sanzionata nel 2016.
Infatti, l’oggetto del contendere è “… un capannone, accanto ad un preesistente, di m 13,50 x 6,00 x h variabile da m 5,00 a 5,50, tamponato su tre lati in muratura e parte in pannelli di plexiglass, di cui uno con funzione di lato perimetrale del capannone preesistente… coperto con ferro e pannelli di plexiglass a due falde e chiuso con cancello in ferro. Inoltre altro locale, in ampliamento, di m 8,00 x 2,50 x h variabile da m. 2,20 a 3,00 con copertura in lamiera. Entrambi i locali risultano pavimentati in calcestruzzo…”.
Quest’ultimo è un corpo di fabbrica in aderenza al capannone di mq 284, oggetto del non ancora esitato condono edilizio del sig. G. -OMISSIS- (che nel 2017 risultava locato alla Officina meccanica Elettro-diesel), di superficie pari a mq 81. Esso, com’è descritto, è un volume nuovo ed aggiuntivo rispetto al predetto capannone e del tutto distinto dall’annesso pari mq 11,16 (laboratorio sito nella corte di pertinenza) che formò oggetto dell’istanza n. 87/116371 del sig. Romolo -OMISSIS- ed oggetto di concessione edilizia in sanatoria n. 269250 del 22 novembre 2001. Non sfugge al Collegio che, oltre al secondo capannone di mq 81 annesso a quello più grande, -OMISSIS- accertò un altro volume, pari a mq 20, che s’appalesa ulteriore rispetto all’ampliamento oggetto dell’istanza di condono proposto dalla sig. Ed. -OMISSIS- ed esitato con la concessione in sanatoria n. 255994 del 6 marzo 2001, tant’è che quest’ultima parlò d’un volume aggiuntivo di mq 94,80 (suddiviso in tre vani), non corrispondente né a ciascuno dei volumi sanzionati, né alla loro somma (mq 101).
Ha allora ragione il TAR a predicare, per un verso, che la dimostrazione sulla congruenza delle opere sanzionate con quelle sanate con la predetta concessione in sanatoria spettasse esclusivamente all’odierno appellante. Egli avrebbe potuto, anzi sarebbe stato onerato a, dimostrare pure prima che il ricorso in appello fosse trattenuto in decisione tal identità fisica e non lo ha fatto, pur essendo più vicino alla prova e senza necessità d’invocare una CTU esplorativa, peraltro inammissibile ove orientata alla qualificazione giuridica di fatti o tipi d’interventi edilizi (che debbono essere oggetto di prova e non di valutazione).
Nel processo amministrativo la consulenza tecnica d’ufficio, che è un mezzo istruttorio e non una prova vera e propria, può essere disposta da questo Giudice ove sia necessario misurare determinati elementi o fatti di causa con metodi scientifici, fisici, o tecnici; in tali casi la relazione del CTU si pone sul piano dell’integrazione delle prove allegate dalle parti (c.d. consulenza deducente); oppure quando il giudice non è in grado di formarsi un proprio convincimento utilizzando gli elementi di prova acquisiti, per cui è necessario accertare o apprezzare l’esistenza, l’entità o la rilevanza di un dato o di fatto mediante l’uso di specifiche conoscenze anche di carattere extrascientifico (c.d. consulenza percipiente) (cfr. Cons. St., IV, 17 settembre 2013 n. 4624).
In tal senso è anche la giurisprudenza della Cassazione secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario e potendo la motivazione dell’eventuale diniego del giudice di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (Cass. civ. [ord.], VI, 13 gennaio 2020 n. 326).
Nella specie gli elementi acquisiti al processo e le argomentazioni svolte consentono di non accogliere l’istanza di svolgimento della consulenza tecnica di ufficio.
Per altro verso, è corretta la statuizione del TAR sull’inutilità di sapere se l’opera abusiva rientrasse, o meno, tra gli interventi edilizi minori (assentibili, cioè, con CIL o, al più, con SCIA) e ciò per un duplice ordine di ragioni. Anzitutto, che l’opera abusiva fu una nuova costruzione rispetto al capannone oggetto dell’istanza di sanatoria del sig. G. -OMISSIS-. In secondo luogo, si trattò di un edificio aggiunto e non già di lavori per l’ultimazione funzionale del bene la cui sanatoria è tuttora in itinere. Al riguardo è ben noto il divieto di prosecuzione dei lavori abusivi in aggiunta ad opere abusive, con conseguente obbligo del comune di ordinarne la demolizione. Ciò in quanto l’istituto del condono edilizio non può esser utilizzato per legittimare attività edilizia nuova ed ulteriore rispetto a quella oggetto di richiesta di sanatoria, come s’evince dalla corretta interpretazione dell’art. 43, V co. della l. 47/1985, richiamato dal precedente art. 32, XXVIII co., per cui è possibile ultimare il bene sanando, non già ottenere un nuovo titolo in sanatoria per eseguire ulteriori lavori o nuove strutture aggiuntive sul manufatto (cfr. Cons. St., VI, 13 novembre 2018 n. 6367; id., II, 13 novembre 2020 n. 7006).
L’appellante confessa infine, come in effetti ha detto il TAR, d’aver chiesto (e, ovviamente, non ottenuto) il dissequestro dei manufatti abusivi a suo vantaggio e non per la spontanea esecuzione dell’ordinanza di demolizione, donde il rigetto dell’appello anche per l’ultimo mezzo di gravame.
6. – In definitiva, l’appello va respinto. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
Giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 6270/2017 in epigrafe), lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità delle parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio dell’8 ottobre 2020, con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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