Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 30 maggio 2019, n. 24146.
La massima estrapolata:
La questione attinente alla procedibilità dell’azione penale è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento e, quindi, anche davanti alla Corte di cassazione, sebbene non dedotta nel grado di appello.
Sentenza 30 maggio 2019, n. 24146
Data udienza 14 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/05/2018 della Corte d’appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dr. Salzano Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell’imputato avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso o, in subordine, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’11 maggio 2018, la Corte d’appello di Firenze, giudicando sul gravame proposto dall’odierno ricorrente, ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Arezzo lo aveva condannato alle pene di legge per il reato di violenza sessuale commesso per aver costretto una ragazza sedicenne a subire un rapporto orale completo.
2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
3. Con il primo motivo si deduce l’erronea applicazione della legge penale con riguardo all’articolo 429 c.p.p., comma 1, lettera c), con conseguente improcedibilita’ dell’azione ai sensi del successivo articolo 529, comma 1. Benche’ la sentenza impugnata menzioni un’inesistente denuncia-querela che sarebbe stata sporta dai genitori della persona offesa minorenne, si lamenta che il giudice di merito abbia implicitamente ritenuto la procedibilita’ d’ufficio ex articolo 609 septies c.p., senza tuttavia mai richiamare la disposizione, ne’ specificare quale delle ipotesi ivi disciplinate ricorra nel caso di specie, e senza che il presupposto di fatto che giustifica tale speciale regime di procedibilita’ fosse stato contestato in forma chiara e precisa nel decreto che dispone il giudizio.
4. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge in relazione al combinato disposto dell’articolo 192 c.p.p., comma 1 e articolo 603 c.p.p., comma 3, per non essere stati acquisiti, anche d’ufficio, i tabulati telefonici dell’utenza fissa dell’abitazione dell’imputato, prova ritenuta decisiva ai fini di una valutazione maggiormente attenta della credibilita’ della deposizione della persona offesa. La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, della cui omessa disposizione ci si duole, avrebbe infatti fornito un riscontro oggettivo ed esterno alle dichiarazioni della ragazza circa la telefonata che, a dire della persona offesa, l’imputato avrebbe ricevuto mentre sarebbe stato in corso il reato per cui e’ processo, essendo peraltro singolare che ella non abbia approfittato di tale interruzione della condotta criminosa per andarsene.
5. Con terzo ed ultimo motivo, si lamenta la violazione del combinato disposto degli articoli 530 e 533 c.p.p., rilevandosi che, anche per l’omessa acquisizione della menzionata prova decisiva, mancherebbe un supporto probatorio idoneo e sufficiente a consentire un convincimento della sussistenza della responsabilita’ penale che superi ogni ragionevole dubbio. Sotto altro profilo, ci si duole poi che la Corte territoriale non abbia considerato alternative spiegazioni del fatto, senza argomentare perche’ erano state disattese le deposizioni rese dalla madre e dal fratello dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso che il primo motivo di ricorso e’ formalmente ammissibile, benche’ la violazione di legge non sia stata proposta nel gravame di merito, come il Collegio ha potuto verificare dalla disamina dell’atto d’impugnazione, e cio’ anche a prescindere dal fatto che, non comparendo essa nel dettagliato riepilogo dei motivi di appello fatto a pagg. 1, 2 e 3 della sentenza qui impugnata, ne’ avendo il ricorrente specificato che il motivo era stato dedotto e contestato l’omessa indicazione di esso nella sentenza impugnata, lo stesso dovrebbe per cio’ solo ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, con conseguente preclusione, ove applicabile, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, u.p. (cfr. Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066).
Ed invero, detta disposizione non puo’ trovare applicazione nel caso di specie perche’, trattandosi di questione attinente alla procedibilita’ dell’azione penale, la stessa e’ rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., comma 1, sicche’, ex articolo 609 c.p.p., comma 2, – ipotesi fatta salva dalla preclusione stabilita dall’articolo 606 c.p.p., comma 3, – la mancata deduzione della questione nel giudizio d’appello non impedisce a questa Corte di esaminare la doglianza.
1.1. Cio’ posto, osserva tuttavia il Collegio come il motivo sia manifestamente infondato, essendo stata espressamente contestata in imputazione la minore eta’ della vittima, cio’ che rende il reato procedibile d’ufficio ai sensi dell’articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 1), senza che – viepiu’ a fronte della mancata espressa devoluzione della questione sulla procedibilita’ – fosse necessario richiamare nella motivazione della sentenza la disposizione in parola, che neppure doveva necessariamente essere indicata nel capo d’imputazione. Ed invero, a prescindere dal fatto che nella formulazione dell’imputazione cio’ che rileva e’ la compiuta descrizione del fatto e non l’indicazione dei relativi articoli di legge, la cui omissione non genera nullita’ (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 9706 del 30/01/2015, Rossitto, Rv. 262592; Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv..258920; Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013, Nappello, Rv. 255772), le disposizioni processuali che disciplinano il contenuto dell’imputazione fanno esclusivo riferimento all’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza (cfr. articolo 417 c.p.p., lettera b, articolo 429 c.p.p., comma 1, lettera b e articolo 552 c.p.p., comma 1, lettera c) e non richiedono invece che siano indicate le circostanze, in fatto o diritto, che rendono il reato procedibile (v. Sez. 3, n. 48829 del 04/05/2018, M., Rv. 274833).
2. E’ manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso. Ed invero, la mancata assunzione di prova decisiva puo’ essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione, anche nel corso dell’istruzione dibattimentale, a norma dell’articolo 495 c.p.p., comma 2, non essendo neppure consentito laddove il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’articolo 507 c.p.p. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (cfr. Sez. 2, n. 841 del 18/12/2012, dep. 2013, Barbero, Rv. 254052; Sez. 2, n. 41744 del 06/10/2015, D’Attilo, Rv. 264659; Sez. 6, n. 33105 del 08/07/2003, Pacor, Rv. 226534).
Non solo il ricorrente non deduce di aver richiesto la prova in questione, nel giudizio di primo grado, ai sensi dell’articolo 495 c.p.p., comma 2, ma non allega neppure di averlo fatto in appello sollecitando la Corte territoriale a fare ricorso del potere di rinnovazione istruttoria d’ufficio di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 3, – cio’ che peraltro trova conferma nella lettura dell’atto di proposizione del gravame (cfr. pag. 22, ove l’appellante si limita ad osservare come sarebbe stata auspicabile l’indagine in tal senso da parte della polizia giudiziaria, senza tuttavia richiedere l’assunzione di prove) – sicche’ nessuna doglianza e’ al proposito consentita in questa sede, posto che la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, e’ un istituto di carattere eccezionale al quale puo’ farsi ricorso esclusivamente allorche’ il giudice ritenga, nella sua discrezionalita’, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820).
2.1. Quanto al fatto che la minore non si fosse allontanata dalla casa dell’imputato mentre questi aveva sospeso la condotta abusante per rispondere al telefono – cio’ che inficerebbe l’attendibilita’ della sua deposizione – la sentenza impugnata (pagg. 6 e 8) spiega il comportamento con una motivazione non illogica, ponendo in luce il forte stato di choc della ragazzina, la sua inesperienza ed il rapporto di subalternita’ che la legava all’imputato. La deposizione della persona offesa viene peraltro ritenuta attendibile – oltre che per l’intrinseca linearita’ del narrato, essendo state ritenute insussistenti, o comunque non dirimenti, le pretese contraddizioni segnalate dall’appellante (non fatte piu’ oggetto di contestazione in ricorso) – in base ad una serie di riscontri esterni deducibili dalla reazione sconvolta avuta dalla vittima nell’immediatezza del fatto, quale ricavabile dalle deposizioni delle amiche e delle figure adulte di riferimento a cui la minore confido’ l’abuso subito e della consulenza tecnica psicologica sulla medesima effettuata, oltre che dell’insussistenza di indizi che possano far pensare ad una calunnia.
3. Manifestamente infondato, e pure generico, e’ il terzo motivo.
Quanto alla violazione del principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, deve rilevarsi che la sua introduzione nell’articolo 533 c.p.p. ad opera della L. n. 46 del 2006 non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non puo’ essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicita’ di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicita’ sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacche’ la Corte e’ chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e a., Rv. 270519; Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600).
Cio’ premesso, osserva il Collegio che la sentenza impugnata spiega in modo non illogico le ragioni per cui le deposizioni rese dalla madre e dal fratello dell’imputato non inficiano la credibilita’ della persona offesa e – diversamente da quanto allega il ricorrente – argomenta come non sia nella specie ravvisabile alcuna alternativa ricostruzione dei fatti, che l’appellante neppure aveva allegato, tale non potendo ritenersi la mera negazione dell’addebito. Non essendo state nel ricorso dedotte specifiche doglianze di manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata, deve dunque richiamarsi il principio secondo cui alla Corte di cassazione sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Dispone, a norma del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196, articolo 52, che – a tutela dei diritti o della dignita’ degli interessati – sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.
Motivazione semplificata.
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