Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 9 gennaio 2019, n. 285.
La massima estrapolata:
In tema di società di capitali, l’amministratore è legato a quest’ultima da un rapporto di tipo societario, il quale esula dall’ambito dell’art. 409 cod. proc. civ., essendo, viceversa, egli il “vero egemone dell’ente sociale”: la tipicità e la specificità del rapporto di amministrazione consistendo nell’essere appunto un “rapporto di tipo societario”. Infatti, i compiti che la società affida al suo amministratore riguardano la gestione stessa dell’impresa, costituita da un insieme variegato di atti materiali, negozi giuridici ed operazioni complesse, sicché quand’anche taluni di questi atti ed operazioni possano compararsi all’attività di un prestatore d’opera, il rapporto che intercorre tra amministratore e società non può essere equiparato, in ragione del rapporto di immedesimazione organica tra essi esistente, a quello derivante dal contratto d’opera, intellettuale o non intellettuale. Ne deriva, in ragione della specialità del rapporto, l’inapplicabilità dell’art. 36 Cost. e la legittimità della previsione statutaria di gratuità delle funzioni di amministratore di società. Parimenti, deve ritenersi pienamente lecita la clausola statutaria che preveda la gratuità dell’incarico.
Ordinanza 9 gennaio 2019, n. 285
Data udienza 10 ottobre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2325/2014 proposto da:
(OMISSIS), nella qualita’ di erede di (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 385/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 12/03/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/10/2018 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto che Codesta Corte di Cassazione voglia rigettare il ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 12 marzo 2013, la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’impugnazione avverso la decisione di primo grado pronunciata dal Tribunale di Livorno il 7 ottobre 2008, con la quale era stata disattesa la domanda dell’odierno ricorrente, volta alla corresponsione del compenso per avere ricoperto la carica di amministratore della (OMISSIS) s.r.l. dal 1978 al 2004.
Ha ritenuto infatti la corte territoriale, per quanto ancora rileva, che sussista la prova della gratuita’ della carica, ai sensi dell’articolo 12 st., il quale prevede solo un rimborso spese, salva sempre la diversa deliberazione assembleare, nel caso di specie mai assunta, essendo cio’ suffragato dalla mancata richiesta del compenso per quasi tre decenni; e che la relativa eccezione, sollevata tempestivamente nel corso del giudizio di primo grado, sia stata espressamente riproposta in appello; ha, quindi, ritenuto superfluo l’esame delle questioni afferenti il concreto svolgimento dell’incarico e le sue modalita’.
Avverso questa sentenza propone ricorso la parte soccombente, affidato a due motivi.
La societa’ si difende con controricorso.
La ricorrente ha depositato, altresi’, la memoria.
RITENUTO IN DIRITTO
1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. e dell’articolo 346 c.p.c., perche’ controparte non ha affatto sollevato l’eccezione di gratuita’ dell’incarico in primo grado, ne’ l’ha quindi riproposta in appello, in entrambi i casi essendosi limitata a negare il diritto dell’amministratore al compenso e sostenere la spettanza di un mero rimborso spese, e ad affermare che l’assemblea non lo aveva mai deliberato.
Con il secondo motivo, deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 2389 e 2475 c.c., oltre alla insufficiente ed incongrua motivazione, in quanto nella specie e’ stata provata l’attivita’ gestoria durata ventisei anni e la mancata percezione dei compensi o del rimborso delle spese, donde il diritto dell’istante di ricorrere al giudice per ottenere la determinazione del suo compenso, che gli spetta in ogni caso, essendo tale attivita’ presunta onerosa e sussistendo con la societa’ un rapporto di parasubordinazione, laddove l’eventuale rinuncia tacita potrebbe ricavarsi solo da un comportamento assolutamente incompatibile con detta pretesa; ne’ il diritto si e’ mai prescritto, decorrendo il termine solo dal momento della sua sostituzione nella carica.
2. – E’ infondata l’eccezione in senso lato di nullita’ della procura, sollevata dalla controricorrente, essendo essa apposta a margine del ricorso, nella sua prima pagina, e dunque permettendo la riferibilita’ alla causa e la limitazione dell’errore ad un mero refuso materiale, superabile dalla lettura integrale dell’atto.
3. – Il primo motivo e’ manifestamente infondato.
Dallo stesso contenuto della memoria Decreto Legislativo n. 5 del 2003, ex articolo 7, come della comparsa di costituzione in grado di appello – che il ricorrente ripropone nel suo ricorso – risulta che l’eccezione fu ritualmente sollevata: la negazione di ogni diritto al compenso, invero, non puo’ che equivalere, secondo la connessione propria delle parole, proprio a sostenerne la gratuita’.
4. – Il secondo motivo e’, del pari, manifestamente infondato, ed in parte inammissibile.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno ormai chiarito che l’amministratore e’ legato alla societa’ da un rapporto di tipo societario, il quale esula dall’ambito dell’articolo 409 c.p.c., essendo viceversa egli “il vero egemone dell’ente sociale”: la tipicita’ e la specificita’ del rapporto di amministrazione consistendo nell’essere appunto un “rapporto di tipo societario”. Sono state, cosi’, respinte tutte le altre qualificazioni in passato da altri avanzate (lavoro subordinato o parasubordinato, prestazione d’opera professionale, mandato), (Cass., sez. un., 20 gennaio 2017, n. 1545).
Cio’ perche’ i compiti che la societa’ affida al suo amministratore riguardano la gestione stessa dell’impresa, costituita da un insieme variegato di atti materiali, negozi giuridici ed operazioni complesse, sicche’, quand’anche taluni di questi atti ed operazioni possano compararsi all’attivita’ di un prestatore d’opera, il rapporto che intercorre tra amministratore e societa’ non puo’ essere equiparato, in ragione del rapporto di immedesimazione organica tra essi esistente, a quello derivante dal contratto d’opera, intellettuale o non intellettuale(Cass. 17 ottobre 2014, n. 22046).
Ne deriva, per la specialita’ del rapporto, l’inapplicabilita’ dell’articolo 36 Cost. (Cass. 13 novembre 2012, n. 19714) e la legittimita’ della previsione statutaria di gratuita’ delle funzioni di amministratore di societa’ (Cass. 1 aprile 2009, n. 7961).
Ed e’ certamente lecita la clausola statutaria che preveda la gratuita’ dell’incarico, come questa Corte ha gia’ avuto occasione di affermare (Cass. 21 giugno 2017, n. 15382).
Ne deriva che non merita censura la sentenza impugnata, la quale si e’ pienamente uniformata al principio esposto in punto di diritto, ed, in punto di fatto, ha accertato come l’articolo 12 dello statuto prevedesse detta clausola di gratuita’ per la prestazione dell’attivita’ di amministrazione.
Ogni altra censura si risolve in una inammissibile questione di fatto; del pari inammissibile e’ la reiterata insistenza circa il diritto dell’amministratore di ricorrere al giudice per ottenere la determinazione del suo compenso non determinato (esula dalla ratio decidendi), l’insussistenza di una rinuncia tacita al compenso (del pari questione non oggetto del thema decidendum) ed il mancato decorso del termine prescrizionale (questione assorbita, onde al riguardo il motivo si palesa inammissibile).
5. – Le spese seguono la soccombenza. Deve, altresi’, provvedersi alla dichiarazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge.
Dichiara che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
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