Il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di demolizione

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 7 gennaio 2020, n. 106

La massima estrapolata:

Il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di demolizione non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio, ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario, che il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi; il soggetto passivo dell’ordine di demolizione viene, quindi, individuato nel soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta; pertanto, affinché il proprietario di una costruzione abusiva possa essere destinatario dell’ordine di demolizione, non occorre stabilire se egli sia responsabile dell’abuso, poiché la stessa disposizione si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all’esecuzione dell’ordine di demolizione, senza richiedere l’effettivo accertamento di una qualche sua responsabilità.

Sentenza 7 gennaio 2020, n. 106

Data udienza 26 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9376 del 2013, proposto dalla signora Io. Ma. Ro. Lo., rappresentata e difesa dall’avvocato Vi. Gi. Co., elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato Al. La., in Roma, via (…),
contro
– il Comune di Catanzaro, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Ma. Pa., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Va. Zi., in Roma, via (…);
– il Settore Edilizia Privata (SUE) e lo Sportello Attività Produttive (SUAP) del Comune di Catanzaro, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituitisi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Calabria, sede di Catanzaro, Sezione I, n. 509 del 24 aprile 2013, resa inter partes, concernente un’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Catanzaro;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 novembre 2019 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, l’avvocato Vi. Gi. Co. e l’avvocato Va. Zi., su delega dell’avvocato An. Ma. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 1505 del 2011, proposto innanzi al T.a.r. per la Calabria, sede di Catanzaro, l’odierna appellante aveva chiesto l’annullamento dei seguenti atti:
a) dell’ordinanza di demolizione di opere abusivamente realizzate n. 89 del 26 settembre 2011;
b) del previo rapporto di sopralluogo del 9 maggio 2011.
2. A sostegno dell’impugnativa la ricorrente aveva dedotto quanto segue:
i) ella non sarebbe responsabile dell’abuso, avendo acquistato l’immobile soltanto nel 2004, e nemmeno proprietaria del muro, in quanto condominiale, utilizzato per il contestato ampliamento;
ii) non sarebbe stato acquisito il previo necessario previo parere dell’autorità preposta alla tutela dei beni culturali, essendo situato l’immobile in Zona omogenea (omissis);
iii) sarebbe stata non esattamente individuata l’unità immobiliare interessata dalle opere abusive;
iv) le opere abusive sarebbe state accertate sulla base di una copia della variante del 1965, oggetto però di interpolazioni, aggiunte e modificazioni che ne inficiano l’attendibilità ;
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale in resistenza, il Tribunale adì to, Sezione I, dopo apposita verificazione, ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha respinto il ricorso, reputando infondate tutte le censure articolate;
– ha compensato le spese di lite, ad eccezione di quelle per la verificazione, che sono state poste a carico di parte ricorrente.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– è da premettere che è irrilevante la circostanza dell’estraneità all’abuso della ricorrente, vertendosi su un’ordinanza di demolizione e non sulla identificazione dell’autore dell’abuso;
– va respinto il primo motivo, in quanto “il soggetto tenuto a rimettere in pristino stato il muro non può farsi scudo dell’affermata natura condominiale del muro stesso al fine di sottrarsi a quanto ordinato con il provvedimento impugnato”;
– va respinto il secondo motivo “in punto di fatto, giacché, come precisato nelle difese del Comune, l’ordinanza è stata notificata alla competente Soprintendenza, che non ha adottato alcuna determinazione al riguardo”;
– va respinto il terzo motivo, in quanto “non è dato ravvisare alcun ragionevole dubbio in ordine all’esatta individuazione dell’immobile di cui si tratta e dell’abuso cui fa riferimento l’Amministrazione comunali”;
– va respinto il quarto motivo, in quanto “alla luce di un criterio di ragionevolezza, debba ammettersi che la copia dell’elaborato grafico presente in atti, per le caratteristiche evidenziate, ben possa ritenersi utilizzabile al fine di rilevare l’esistenza dell’abuso” pur dovendosi evidenziare “un errore nella misurazione della superficie abusiva (mq 7,62 anziché mq 14,60 circa, come indicato nell’ordinanza)”.
5. Avverso tale pronuncia si è interposto appello, notificato il 9 dicembre 2013 e depositato il 22 ottobre 2013, lamentandosi, attraverso cinque motivi di gravame (pagine 6-23), quanto di seguito sintetizzato:
I) il Tribunale avrebbe errato nel non dichiarare il difetto di legittimazione passiva della ricorrente, pur riconoscendo la natura condominiale del muro in questione, tanto più che la stessa è estranea all’abuso ed è impedita materialmente all’esecuzione dell’ordine demolitorio per non avere la disponibilità di detto manufatto;
II) il Tribunale avrebbe errato nel non avere rilevato la fondatezza della censura relativa alla mancata acquisizione del parere della Soprintendenza, richiesto dall’art. 33, comma 4, del testo unico edilizia;
III) erroneo sarebbe anche il capo della sentenza con cui il Tribunale ha respinto le censure di difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto l’Amministrazione ha fondato la sua determinazione su un documento “alterato ed infedele” nel ritrarre lo stato dei luoghi, tanto è vero che lo stesso Tribunale aveva disposto il riesame del provvedimento in sede cautelare, mai effettuato;
IV) erroneo sarebbe anche il capo della sentenza col quale il Tribunale ha disatteso la censura di difetto di motivazione, tanto più necessaria in considerazione della consistenza delle opere sanzionate;
V) il Tribunale avrebbe infine errato nel respingere la censura relativa al contesto temporale delle opere, essendo provato per tabulas che le opere sono risalenti a prima del 1967 e questo è sufficiente per reputarle sottratte alla necessità di apposito titolo edilizio, rimasta indimostrata la loro riconduzione al perimetro del centro storico.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’annullamento dell’atto impugnato in primo grado.
7. In data 9 gennaio 2014, si è costituito il Comune appellato con memoria di controdeduzioni, chiedendo il rigetto dell’appello.
8. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti hanno svolto difese scritte, insistendo per le rispettive conclusioni.
9. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza del 26 novembre 2019, è stata ivi introitata in decisione.
9.1 Deve essere preliminarmente disposto lo stralcio della memoria di parte appellata dell’8 novembre 2019 perché, come eccepito da parte appellante, è stata depositata tardivamente per la violazione del termine di cui all’art. 73 c.p.a. (“venti giorni prima dell’udienza”). Nemmeno si può tenere conto dell’identica memoria del 25 ottobre 2019, siccome priva della firma digitale, tanto da essere riprodotta agli atti del giudizio, però, tardivamente.
9.2 Il Collegio ritiene che l’appello sia fondato nei sensi di cui alla motivazione che segue.
9.3 Assume rilievo preliminare, oltre dirimente, quanto dedotto con il secondo motivo di gravame, a proposito della mancata previa acquisizione del parere della Soprintendenza ai sensi dell’art. 33, quarto comma, d.P.R. n. 380 del 2001, che così recita: “Qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee (omissis), di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile dell’ufficio richiede all’amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente”.
Va evidenziato, al riguardo, che il provvedimento impugnato è stato espressamente emesso ai sensi di tale comma, avendo quindi l’Amministrazione qualificato l’intervento quale ristrutturazione di un immobile sito in zona omogenea (omissis), tant’è che essa si preoccupava di coinvolgere la locale Soprintendenza attraverso la trasmissione a tale organo dell’ordinanza demolitoria una volta emessa. Tale adempimento tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, non può reputarsi satisfattivo degli obblighi di legge, in quanto, come evidenziato da questo Consiglio esprimendo un orientamento che si ritiene di confermare in questa sede, la scelta tra la sanzione demolitoria e quella pecuniaria è riservata alla Soprintendenza.
Si è infatti osservato che “non vi è motivo per affermare che la ratio ispirante la norma venga a cadere per il solo fatto che quanto alla sanzione decide l’Ufficio competente (del comune, nella specie), senza il parere della Soprintendenza, per l’inutile decorso del relativo termine, significando la norma che in questa ipotesi l’Ufficio è legittimato a provvedere in mancanza del parere, e quindi “autonomamente”, ma non che ciò escluda la valutazione della scelta in questione la quale, in caso contrario, risulterebbe necessaria e vincolante soltanto ove intervenga la Soprintendenza e, immotivatamente, non necessaria quando l’Ufficio competente provveda senza il relativo parere, nonostante si tratti dei medesimi immobili. Considerato dunque che la restituzione in pristino, sanzione non a caso elencata per prima nell’art. 33, comma 4, cit. testo unico, costituisce lo strumento normale per “riportare lo stato di fatto al paradigma legittimamente delineato per lo sviluppo edilizio del territorio” (Cons. Stato, sez. VI, sent. 27 marzo 2012 n. 1793), nella specie si deve ritenere, secondo la ratio propria della norma, che nel provvedimento sanzionatorio debba risultare comunque valutata l’ipotesi del ricorso alla sanzione pecuniaria, in assenza del relativo parere dell’organo preposto alla tutela dei beni culturali e ambientali” (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1084).
Ordunque, tale necessario diaframma valutativo non si è compiutamente realizzato nel caso di specie, in quanto esso deve precedere e non seguire l’adozione del provvedimento demolitorio, cosicché ciò che rileva, in definitiva, è che il Comune non ha consentito alla Soprintendenza, in violazione dell’invocata disposizione di legge, di previamente verificare l’opportunità di irrogare la sanzione demolitoria.
Il motivo in esame, che denota il difetto di motivazione della scelta tra la sanzione demolitoria e quella pecuniaria, è pertanto da accogliere e la sentenza impugnata merita di essere riformata.
9.4 Stante il tenore della censura accolta, che importa la necessità di rinviare alle ulteriori determinazioni dell’Amministrazione in sede di riedizione del potere, sussiste l’esigenza, a scopo conformativo della futura azione amministrativa, di esaminare sinteticamente le ulteriori deduzioni sollevate dall’appellante e che si palesano, per le seguenti ragioni, infondate:
– non si può configurare il lamentato difetto di legittimazione passiva, in quanto “Il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di demolizione non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio, ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario, che il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi; il soggetto passivo dell’ordine di demolizione viene, quindi, individuato nel soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta; pertanto, affinché il proprietario di una costruzione abusiva possa essere destinatario dell’ordine di demolizione, non occorre stabilire se egli sia responsabile dell’abuso, poiché la stessa disposizione si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all’esecuzione dell’ordine di demolizione, senza richiedere l’effettivo accertamento di una qualche sua responsabilità ” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 12 settembre 2019, n. 6147);
– la natura reale della sanzione demolitoria comporta quindi che la legittimazione passiva non richieda la necessità di accertare alcun profilo di responsabilità personale in ordine all’accertato abuso ed essa si radica, nel caso di specie, in considerazione del vantaggio, in termini plano-volumetrici, che deriva all’unità immobiliare di cui l’appellante è intestataria, a prescindere dalla proprietà o meno del muro interessato dall’intervento di traslazione;
– non sussistono gli ulteriori profili del lamentato difetto di motivazione (salvo quello sopra accolto), atteso che “In ragione della sua natura di atto vincolato, ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive che ne rendono doverosa l’adozione da parte dell’amministrazione, l’ordine di demolizione non richiede una specifica motivazione sulla ricorrenza del concreto interesse pubblico alla loro rimozione, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato già compiuta, a monte, dal legislatore, né la preventiva comunicazione di avvio del procedimento, e ciò in base ad un principio che non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ordine di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7103);
– inoltre “La motivazione dei provvedimenti finalizzati alla repressione di abusi edilizi, trattandosi di atti di natura dovuta e rigorosamente vincolata, è adeguata e sufficiente qualora contenga la descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro abusività ” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7094);
– non sussiste, altresì, il difetto di istruttoria, in quanto “Il verbale redatto e sottoscritto dagli agenti e dai tecnici del Comune a seguito di sopralluogo, attestante l’esistenza di manufatti abusivi, costituisce atto pubblico, fidefaciente fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 c.c., delle circostanze di fatto in esso accertate sia relativamente allo stato di fatto e sia rispetto allo status quo ante” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1 luglio 2019, n. 4472);
– inoltre la esatta natura e consistenza delle opere abusive sono state comunque accertate in sede di verificazione;
– per la provvisorietà che connota la decisione cautelare nessuna influenza essa può avere ai fini della definizione del giudizio nel merito e parte ricorrente aveva a disposizione i rimedi processuali previsti per il caso di inottemperanza del provvedimento cautelare propulsivo;
– dalle risultanze della verificazione è emerso che le opere sono complessivamente successive alla soglia temporale dell’anno 1967 e per esse era senz’altro necessario il previo rilascio del titolo edilizio; se è vero, infatti, che con la legge urbanistica nazionale (n. 1150 del 1942) viene introdotto l’obbligo del previo titolo edilizio per i centri abitati, esso – salve le molteplici ulteriori fonti legislative e regolamentari, che qui non rilevano, che avevano già previsto per molteplici comuni la l’indefettibile rilascio della licenza – veniva esteso a tutto il territorio nazionale con la legge n. 765 del 1967, di tal che per le opere in questione si poneva la necessità dell’assenso edilizio a prescindere dalla loro effettiva collocazione nel centro abitato al tempo della loro realizzazione;
– più precisamente, il verificatore ha accertato che le opere in questione sono state realizzate in due distinte fasce temporali, di cui la prima (quella relativa al vano WC della superficie di mq. 3,00) risale al periodo tra l’11 marzo 1965 ed il 27 settembre 1968;
– è rimasta, quindi, indimostrata la risalenza delle opere, affermata dall’appellante, ad un periodo antecedente all’entrata in vigore della disciplina legislativa che ha imposto la necessità del titolo abilitativo al di fuori dei centri abitati, cosicché, nell’incertezza, essa è da escludere, gravando il relativo onere probatorio sulla parte privata;
– secondo consolidato orientamento di questo Consiglio (sentenza, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903), infatti, “l’onere della prova in ordine alla data di realizzazione dell’opera edilizia, al fine di poter escludere la necessità di titolo abilitativo per essere realizzata al di fuori del centro abitato in epoca antecedente alla legge “ponte” n. 761 del 1967, grava sul privato”.
10. In conclusione, l’appello è, nei termini anzidetti, fondato e pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, va accolto il ricorso di primo grado n. 1505 del 2011 e va annullata l’ordinanza n. 89/2011, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
11. Le spese del doppio grado di giudizio vanno compensate, attesa la complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 9376/2013), lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado n. 1505 del 2011 e, quindi, annulla l’ordinanza n. 89/2011, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019 con l”intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Davide Ponte – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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