Presentazione della domanda di accertamento di conformità

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 24 giugno 2019, n. 4304.

La massima estrapolata:

L’intervenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali e non determina, pertanto, alcuna inefficacia sopravvenuta o invalidità di sorta dell’ingiunzione di demolizione, comportando che l’esecuzione della sanzione è da considerarsi solo temporaneamente sospesa.

Sentenza 24 giugno 2019, n. 4304

Data udienza 14 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5575 del 2008, proposto dal signor
Ci. Er., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lo. Br. An. Mo., domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 07467/2007, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 maggio 2019 il Cons. Giovanni Orsini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’appello in esame è volto ad attenere l’annullamento della sentenza n. 7467/2007, resa in forma semplificata e depositata in data 18 agosto 2007, emessa dal T.A.R. Campania – Napoli, Sez. VI, con la quale è stato respinto il ricorso, nonché i successivi motivi aggiunti, proposti dal Sig. Ci. Er..
In particolare, il ricorrente, con il ricorso notificato in data 13 aprile 2007, intendeva ottenere l’annullamento dei seguenti atti:
a) ordinanza n. 77 dell’11 aprile 2007, notificata in data 12 aprile 2007, con cui il Dirigente dell’U.T. del Comune di (omissis) ingiungeva la demolizione di opere realizzate sine titulo in (omissis), alla Via (omissis);
b) di ogni atto preordinato antecedente, presupposto, connesso, collegato e conseguente.
Con il successivo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 26 giugno 2007, impugnava altresì :
c) il provvedimento del 28 maggio 2007, prot. n. 14107, successivamente modificato con il quale il Dirigente del Settore Tecnico del Comune di (omissis) ha rigettato l’istanza di accertamento di conformità urbanistica ex art. 36 del D.P.R. n. 380/01, del 10 aprile 2007, relativa alle medesime opere;
d) ogni altro atto preordinato antecedente, presupposto, connesso, collegato e conseguente.
2. Il Sig. Ci. Er., odierno appellante, è proprietario di due unità abitative in località (omissis), riportate al catasto al foglio (omissis), p.lla (omissis), sub. (omissis).
In data 07 marzo 2007, i Carabinieri della Stazione di (omissis) contestavano la realizzazione, senza alcun titolo, delle seguenti opere:
“- manufatto in ampliamento al piano terra ad altro esistente, ubicato al lato sud allo stato grezzo, della superficie coperta di mq 46,00 circa, costituito da travi di fondazione in cemento armato, muratura perimetrale in tufo con paramento in pietre a vista e solaio piano in latero – cemento e sovrastante -massetto delle pendenze, il tutto svuotato dal terreno all’interno per un’altezza di mt. 2,45 circa e parzialmente mt. 2,85;
– area antistante il sopraindicato manufatto lato est, della superficie di mq. 180 circa oggetto di innalzamento della quota mediamente di mt. 0,50 circa e muro di contenimento dello sviluppo lineare di mt. 26,00 circa, alto 2,40 circa con paramento in pietra a vista.”.
In data 10 aprile 2007, l’appellante ha presentato al Comune di (omissis), l’istanza di accertamento di conformità urbanistica prot. n. 9701, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/01.
Il responsabile dell’U.T.C. ha adottato, in data 11 aprile 2007, l’ordinanza n. 77/07, con cui ha ingiunto al Sig. Cimmino la demolizione, ex art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 delle opere in questione e in data 28 maggio 2007 ha rigettato l’istanza di accertamento di conformità urbanistica.
3. Il T.A.R., con la sentenza impugnata, ha dichiarato improcedibile il ricorso originario e rigettato i motivi aggiunti, con contestuale condanna del ricorrente alle spese di giustizia.
4. Avverso tale sentenza è stato proposto l’appello in esame, volto a censurare, innanzitutto, l’erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto circa la sopravvenuta carenza di interesse.
Ad avviso dell’appellante l’interesse sarebbe stato ancora sussistente, dal momento che l’istanza di permesso di costruire in sanatoria sarebbe stata inoltrata in data 10 aprile 2007, e dunque prima che il responsabile dell’U.T.C. provvedesse ad adottare l’ordinanza di demolizione impugnata e prima che la stessa fosse notificata all’odierno appellante.
Il T.A.R. avrebbe dovuto, secondo la prospettazione dell’appellante, rilevare l’illegittimità dell’atto impugnato, con conseguente annullamento dello stesso ed obbligo, per l’amministrazione comunale, di procedere alla rideterminazione.
Inoltre, anche la sopravvenienza del diniego di sanatoria, di cui al provvedimento prot. n. 14107 del 28 maggio 2007, impugnato con motivi aggiunti, non potrebbe inficiare la procedibilità del ricorso.
Ciò in quanto, ad avviso dell’appellante, la presentazione di una siffatta istanza di sanatoria non determinerebbe acquiescenza al provvedimento sanzionatorio originario, lasciando intatto l’interesse ad ottenere una eventuale pronuncia di illegittimità dello stesso.
5. In ordine ai motivi aggiunti, nel ribadirne la fondatezza, l’appello evidenzia che il T.A.R. avrebbe completamente omesso di esaminare e pronunciarsi sui motivi di censura fatti valere con il ricorso introduttivo del giudizio, limitandosi a riportare la motivazione presente nell’atto impugnato.
Nel caso in esame, il responsabile dell’U.T.C. non avrebbe mai comunicato “i motivi che ostano all’accoglimento della domanda”, in violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/90. Comunicazione dei motivi ostativi che, secondo l’appellante, per assolvere alla propria funzione, dovrebbe essere data al soggetto interessato contestualmente all’atto da adottarsi, così da non precludergli la possibilità di scongiurare l’iniziativa della pubblica amministrazione. Conseguentemente, gli atti sarebbero da dichiararsi illegittimi.
Il T.A.R. avrebbe, inoltre, errato nel ritenere che “correttamente l’Amministrazione ha rigettato l’istanza di concessione in sanatoria, in considerazione dell’enunciato contrasto sia con il P.T.P. dell’Isola d'(omissis) (il cespite sul quale è stato realizzato l’ampliamento abusivo ricade in zona P.I. a protezione integrale) sia con il P.R.G. (il manufatto si trova in zona omogenea (omissis) agricola), secondo quanto sancito espressamente nel provvedimento impugnato”.
Il provvedimento di rigetto della istanza di accertamento urbanistico risulterebbe, infatti, illegittimo in quanto assunto in violazione dell’art. 3 della L. n. 241/90, che impone la necessaria motivazione degli atti, dal momento che il dirigente non fornirebbe i presupposti di fatto e di diritto alla base della determinazione assunta.
Il Dirigente si sarebbe limitato ad affermare che l’opera contestata sarebbe consistita in “ampliamento abusivo di un edificio anch’esso abusivo su cui è stata avanzata richiesta di condono edilizio ai sensi della l. 236/03”, che l’opera ricadrebbe in zona P.I. del vigente P.T.P. ed in zona (omissis) del vigente P.R.G., ove è consentito il rilascio di titoli abilitativi ad edificare solo ai coltivatori diretti con indice di 0,003 mc/mq per uso abitativo ed indice aggiuntivo di 0,002 mc/mq per attività agricola.
Nel merito, l’appellante ribadisce la piena assentibilità delle opere realizzate, in quanto conformi alla normativa regolamentare vigente nell’ambito del territorio comunale, applicabili ratione temporis.
Ciò in quanto quelle eseguite presso il corpo di fabbrica principale sarebbero riconducibili alla nozione di “manutenzione ordinaria”, mentre quelle eseguite presso i comodi annessi alla “ristrutturazione edilizia”.
A sostegno delle proprie argomentazioni, l’appellante evidenzia quanto segue:
l’art. 10 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha stabilito che sono soggetti a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione e gli interventi di ristrutturazione urbanistica ed edilizia, quest’ultima solo in caso di aumento di unità immobiliare, modifica di volume, sagoma, prospetti, superfici o, per le zone (omissis), della destinazione d’uso;
con l’entrata in vigore della legge regionale 28 novembre 2001, n. 19, è stata data la possibilità di realizzare gli interventi di ristrutturazione edilizia, compresa la demolizione e ricostruzione, con l’unica limitazione del rispetto dell’ingombro volumetrico originario;
l’art. 22 del DPR 380/01 ha, inoltre, stabilito che sono soggetti a semplice denuncia di inizio attività tutti gli altri interventi, non elencati all’art. 10.
Le opere in questione, pertanto, dovrebbero essere ricondotte al novero di quelle assoggettate a D.I.A., la cui mancanza comporta l’applicazione di una semplice sanzione pecuniaria.
Da ultimo, segnala che l’ampliamento contestato avrebbe natura di pertinenza, in quanto costituente manufatto adeguato all’uso degli occupanti l’abitazione e, come tale, rientrante tra gli interventi assoggettati a semplice denuncia di inizio attività, in quanto:
ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 380/01, sono da inquadrare tra gli interventi di “nuova costruzione” solo gli interventi pertinenziali che comportano la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale, mentre nel caso di specie non hanno comportato ampliamenti della volumetria originaria;
l’area dove insorgono le opere in questione ricade in zona Agricola (omissis) in conformità a quanto previsto dal P.R.G. adottato con delibere consiliari n. 17 del 12 dicembre 1973 e n. 22 del 18 dicembre 1973, approvato con decreto dell’Assessore Regionale all’Urbanistica n. 5071, del 22 giugno 1983;
Ai sensi dell’art. 12 delle norme di attuazione, sono consentiti interventi di recupero delle costruzioni esistenti, anche con piccoli ampliamenti nella misura del 20% dell’esistente.
Ciò sarebbe confermato anche dall’art. 9 delle norme di attuazione del Piano Territoriale Paesistico dell’Isola di (omissis), avente ad oggetto “interventi consentiti per tutte le zone”, che ammetterebbe l’esecuzione di interventi di recupero previsti dall’art. 31, lett. a), b), c), d), della L. n. 457/78, anche in deroga alle prescrizioni e norme delle singole zone.
6. Nell’udienza pubblica del 14 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
7. L’appello non è fondato.
7.1. In primo luogo, il diniego deliberato dall’amministrazione sulla istanza di accertamento di conformità richiede che il giudizio si concentri su tale ultima determinazione dato che, ove fosse confermata, si confermerebbe anche la validità dell’ordine di demolizione. Pertanto, non è rilevante che tale ultimo provvedimento sia stato notificato successivamente alla istanza di sanatoria, dato che il Comune ha poi stabilito che le opere non fossero sanabili in quanto non conformi alle norme vigenti. La giurisprudenza amministrativa ha infatti chiarito da tempo che “l’intervenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali e non determina, pertanto, alcuna inefficacia sopravvenuta o invalidità di sorta dell’ingiunzione di demolizione, comportando che l’esecuzione della sanzione è da considerarsi solo temporaneamente sospesa” (Cons. Stato, Sez.VI, nn. 6233 del 2018, 1909 del 2013). Ciò anche al fine di evitare che pur in presenza del rigetto dell’istanza di sanatoria l’amministrazione debba reiterare l’ordine di demolizione (Cons. Stato, Sez. VI, nn. 6233 del 2018, 446 del 2015).
7.2. Deve essere confermato, in secondo luogo, il pronunciamento del giudice di primo grado sui motivi dedotti dall’appellante per sostenere la illegittimità del diniego di sanatoria. Le opere realizzate, benchè l’appellante ritenga che non vi sia stato incremento di volume, costituiscono comunque (si pensi in particolare al non contestato innalzamento dell’area antistante) una violazione dei limiti sussistenti in area vincolata e sono state eseguite senza titolo. Devono pertanto applicarsi al caso di specie i principi affermati dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017 in ordine alla natura vincolata del provvedimento sanzionatorio di demolizione da cui deriva la non obbligatorietà della motivazione sulle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso e delle comunicazioni previste dagli articoli 7 e 10 bis della legge n 241. Peraltro, l’amministrazione non è tenuta ad effettuare alcuna comunicazione, ai sensi dell’art. 7 della L. n. 241/90, ogni qual volta il procedimento sia avviato ad istanza di parte, come nel caso di specie. Inoltre, l’applicazione dell’articolo in questione sarebbe esclusa dall’art. 21 octies che prevede la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Nelle ipotesi di accertamento di conformità, infatti, l’Amministrazione è chiamata a svolgere valutazioni doverose e vincolate, prive di margine di discrezionalità .
Nella vicenda in esame, pertanto, l’Amministrazione ha correttamente rigettato l’istanza di concessione in sanatoria, in ragione della violazione del P. T. P. dell’Isola d'(omissis) (il cespite sul quale è stato realizzato l’ampliamento abusivo ricade in zona P.I. a protezione integrale) sia con il P.R.G. (il manufatto si trova in zona omogenea E agricola).
Quanto riscontrato nel verbale di accertamento, sia con riferimento al manufatto principale che all’innalzamento dell’area antistante, non poteva peraltro essere oggetto di autorizzazione paesaggistica ex post e non è provato il carattere pertinenziale dell’opera, che in ogni caso non è motivata da strumentalità all’attività agricola.
8. L’appello deve quindi essere respinto.
Le spese di giudizio seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate nella misura stabilita in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 4000,00 (quattromila,00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Presidente FF
Fulvio Rocco – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere, Estensore

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