La possibilità per l’amministrazione di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 24 giugno 2019, n. 4330.

La massima estrapolata:

La possibilità per l’amministrazione di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, pur potendo intervenire prima della demolizione escludendola in radice, in realtà è potere che attiene piuttosto alla fase esecutiva del procedimento, dunque ad un momento successivo ed autonomo rispetto all’ordine di demolizione, sulla cui legittimità non influisce.

Sentenza 24 giugno 2019, n. 4330

Data udienza 9 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3904 del 2015, proposto da
Ly. Gu., rappresentata e difesa, in forza della procura speciale autenticata il 6 febbraio 2014 per atto del notaio Du. Gu. di (…) al n. 7826 di rep., dall’avvocato Gi. De Ro., con domicilio eletto presso lo studio Al. Sa. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fa. Pi., con domicilio eletto presso lo studio Cl. Co. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche, 20 febbraio 2015 n. 144, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Al. Sa., per delega di Gi. De Ro., e Fa. Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 3904 del 2015, Ly. Gu. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche, 20 febbraio 2015 n. 144 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di (omissis) per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 113 del 10 gennaio 2014.
Davanti al giudice di prime cure, la parte ricorrente premetteva di aver presentato in data 12 marzo 2009 un piano di recupero a iniziativa privata avente ad oggetto: “lavori di ristrutturazione edilizia con aumento di volume di un fabbricato ad uso civile abitazione sito in (omissis), loc. (omissis), distinto al foglio (omissis), particelle (omissis)”, approvato poi dal Consiglio comunale di (omissis), con delibera n. 97 del 30 novembre 2009. Successivamente, in data 31 marzo 2009, le era stata rilasciata l’autorizzazione paesaggistica n. 418 ed il permesso di costruire in data 9 gennaio 2010, prot. n. 269.
In data 6 dicembre 2012, l’originaria ricorrente presentava un’istanza di variante al piano di recupero; tuttavia, a seguito di una segnalazione di un privato cittadino, il Comune effettuava un sopralluogo nel quale rilevava l’intervenuta esecuzione di opere richieste con la variante e non ancora assentite. Per questo motivo, in data 12 febbraio 2013, il Comune emetteva ordinanza di sospensione dei lavori.
La ricorrente richiedeva, in data 13 maggio 2013, di modificare la domanda di variante al piano di recupero, ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380 del 2001. Tuttavia, secondo la prospettazione dal Comune, sull’accertamento di conformità si era formato il silenzio rifiuto, a causa del decorso del termine di legge.
In data 13 novembre 2013, su richiesta verbale dell’ufficio tecnico, il direttore dei lavori depositava documentazione integrativa dell’istanza di sanatoria, evidenziando una differenza di calcolo della volumetria, che postulava la necessità di annullamento pressoché totale dell’aumento di volumetria rilevato.
L’ufficio tecnico riteneva di non poter prendere in esame detta nuova produzione e, ritenendo impossibile il rilascio della sanatoria, anche in relazione alla posizione del fabbricato – che ricadeva all’interno di area sottoposta al vincolo paesaggistico di cui al D.P.G.R. Marche n. 222111 del 3 luglio 1985 – emanava l’ordinanza di demolizione n. 113 del 10 gennaio 2014, oggetto del giudizio.
Costituitosi il Comune di (omissis), il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, soprattutto sulla base dell’assunto che l’ordinanza di demolizione sia un atto dovuto a carattere vincolato, che costituisce esercizio dei poteri doveri di vigilanza sull’attività edilizia spettanti all’autorità preposta al governo del territorio, in questo caso il Comune e che, correttamente, il Comune avesse ritenuto la domanda di sanatoria denegata per silentium ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n 380 del 2001.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, di seguito meglio indicate in parte motiva.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di (omissis), chiedendo di rigettare il ricorso.
All’udienza del 16 maggio 2015, l’istanza cautelare veniva respinta con ordinanza n. 2691 del 17 maggio 2015.
Alla pubblica udienza del 9 maggio 2019, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. – Con il primo motivo di diritto, viene dedotta la violazione degli artt. 167, comma 4, e 181, commi 1 ter e 1 quater, d.lgs n. 42 del 2004; violazione degli artt. 31 e 32, d.P.R. n. 380 del 2001; violazione dell’art. 3, legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per travisamento del fatto, sviamento, irragionevolezza, illogicità . In concreto, si lamenta, in primo luogo, un errore di diritto, dato dalla circostanza che il Comune di (omissis) avrebbe dovuto considerare l’integrazione documentale presentata il 13 novembre 2013 alla stregua di una “riapertura dei termini per la domanda di sanatoria”; e, in secondo luogo, dall’erroneo computo ai fini del calcolo dei volumi e delle superfici che ha condotto all’adozione dell’ordinanza impugnata.
2.1. – La doglianza non ha pregio.
È del tutto predominante in giurisprudenza l’orientamento interpretativo, a cui il Collegio intende conformarsi dandone continuità, (ex multis, Cons. Stato, VI, 6 giugno 2018, n. 3417), secondo il quale il silenzio sull’istanza di accertamento di conformità urbanistica ex art. 36 del d.P.R. 6 Giugno 2001 n. 380, presenta natura di atto tacito di reiezione dell’istanza. In dettaglio, il silenzio dell’amministrazione protratto oltre il termine di sessanta giorni costituisce senza dubbio o riserve (quali, appunto, un presunto obbligo di preavviso) un’ipotesi di silenzio significativo, avente valore provvedimentale, al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento di rigetto dell’istanza.
Contro questo atto la parte ha l’onere di agire tempestivamente in giudizio affinché sia dimostrata la natura solo formale e non sostanziale dell’abuso a fronte di una presunzione relativa di non conformità urbanistico – edilizia dei lavori realizzati senza titolo.
Nel caso di specie, essendo trascorso il termine di legge ed essendo il silenzio rimasto inoppugnato, è indubitabile che si sia formato il silenzio rigetto nei confronti dell’istanza di sanatoria avanzata dall’odierna appellante.
Di contro, l’odierna appellante sostiene che, avendo depositato ulteriore documentazione circa la legittimità dell’istanza di sanatoria, debba ritenersi che la produzione di tale documentazione abbia valore di ripresentazione dell’istanza di sanatoria, poiché basata su presupposti di fatto diversi rispetto a quelli contenuti nella prima istanza.
La doglianza sollevata in questi termini da parte appellante deve esser senz’altro rigettata. Infatti, non può attribuirsi ad un atto una valenza diversa da quella originaria: se la documentazione viene presentata quale elemento integrativo di domanda di sanatoria, non si potrebbe – solo in ragione delle esigenze dell’istante – considerarla quale vera e propria ripresentazione della domanda, alla scadenza dei termini di legge per impugnare il silenzio-rigetto da parte dell’Amministrazione. Né, tantomeno, potrebbe essere rimessa ad libitum dell’interessato la possibilità di incidere sul decorso di termini procedimentali decadenziali.
Inoltre, l’istruttoria svolta in giudizio ha rivelato che i presupposti di fatto che potevano giustificare la ripresentazione di una nuova istanza di sanatoria non erano affatto mutati tra la prima e la seconda domanda. Pertanto, anche un’eventuale nuova domanda di sanatoria riguardante la fattispecie in esame sarebbe rientrata nell’alveo procedimentale già segnato dalla precedente.
L’accertato rigetto dell’istanza di sanatoria impedisce altresì l’esame del secondo profilo del motivo, relativo alle modalità di calcolo della volumetria, atteso che, stante il consolidamento della decisione e la sua non impugnabilità, non possono esserne valutati gli elementi decisori ivi contenuti.
Il motivo di ricorso va quindi respinto.
3. – Gli ulteriori motivi, rubricati al n. 2 del ricorso in appello vanno parimenti respinti, attesa la loro dipendenza diretta dal motivo appena ritenuto infondata.
Si tratta infatti di una serie di censure che sono state riproposte in vista dell’auspicato accoglimento del motivo, già ritenuto assorbente dal primo giudice con una valutazione che va qui condivisa. Le ulteriori doglianze riguardano in dettaglio: gli esiti della considerata erroneità del ragionamento del Comune che, se fosse stato corretto, avrebbe dovuto condurre all’irrilevanza del fatto; le presunte difformità delle opere realizzate che risultano tali da non dover essere prese in considerazione alcuna, in quanto inferiori alla percentuale del 2% indicata dalla norma dell’art. 34, comma 2 ter, d.P.R. 380 del 2001. Si tratta quindi effettivamente di argomentazioni scrutinabili solo a seguito dell’eventuale accoglimento del primo motivo del quale, invece, si è vista l’infondatezza.
4. – Con l’ultimo motivo, indicato nel corpo della seconda ragione di doglianza, ma non avente numerazione autonoma, viene lamentata la violazione dell’art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto all’interno dell’ordinanza di demolizione viene predisposta l’acquisizione gratuita al patrimonio del comune dell’intero edificio, per un totale di mq. 440, senza invece considerare che, essendo impossibile la demolizione senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, al limite doveva essere applicata una sanzione pecuniaria.
4.1. – Anche tale ultima censura va disattesa, evidenziando come la possibilità per l’amministrazione di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, pur potendo intervenire prima della demolizione escludendola in radice, in realtà è potere che attiene piuttosto alla fase esecutiva del procedimento, dunque ad un momento successivo ed autonomo rispetto all’ordine di demolizione, sulla cui legittimità non influisce (da ultimo, Cons. Stato, VI, 7 settembre 2018, n. 5271, Consiglio di Stato, sez. VI 29 novembre 2017, n. 5585; sez. VI, 12 aprile 2013, n. 2001).
5. – L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge l’appello n. 3904 del 2015;
2. Condanna Ly. Gu. a rifondere al Comune di (omissis) le spese del presente grado di giudizio che liquida in Euro. 3.000,00 (euro tremila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere

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