Perché una sentenza possa considerarsi contraria ad un precedente giudicato

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 20 marzo 2020, n. 1996.

La massima estrapolata:

Ai fini dell’applicazione dell’art. 395, n. 5), cod. proc. civ., perché una sentenza possa considerarsi contraria ad un precedente giudicato, occorre che le decisioni a confronto risultino fra loro incompatibili in quanto dirette a tutelare beni ed interessi di identico contenuto, nei confronti delle stesse parti, con riferimento ad identici elementi di identificazione della domanda (petitum e causa petendi) confluiti nel decisum.

Sentenza 20 marzo 2020, n. 1996

Data udienza 6 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4592 del 2019, proposto dal signor Ro. Iu., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero della Difesa e il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – Centro Nazionale Amministrativo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via (…);
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 6734/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale dei Carabinieri – Centro Nazionale Amministrativo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti l’avvocato Fr. Pa. e l’avvocato dello Stato Da. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’odierno ricorrente, maresciallo capo dell’Arma dei Carabinieri, partecipava, nel periodo dal 21 gennaio 2013 al 7 agosto 2013 alla missione internazionale denominata “Eupol” (European Police mission in Afghanistan), sede di Herat, quale “mentor advisor”, per l’addestramento delle forze di polizia afgane.
1.1. Con nota provvedimentale dell’11 marzo 2014 veniva disposto il recupero della somma corrisposta all’interessato a titolo d’indennità di contingentamento (in totale Euro 24.345,23 mediante ritenute di Euro 405,76 per sessanta mensilità ), sul presupposto che essa costituisse pagamento di indebito, e ciò perché :
a) ai sensi dell’art. 3 della legge 3 agosto 2009, n. 10, al personale partecipante alle missioni internazionali ivi contemplate (tra cui Eupol) “è corrisposta, al netto delle ritenute, per tutta la durata del periodo, in aggiunta allo stipendio o alla paga e agli altri assegni a carattere fisso e continuativo, l’indennità di missione di cui al regio decreto 3 giugno 1926, n. 941 (nelle misure di seguito indicate), detraendo eventuali indennità e contributi corrisposti allo stesso titolo agli interessati direttamente dagli organismi internazionali”;
b) al personale della missione Eupol è corrisposta la c.d. indennità “per diem, hardship and risk allowance” (ossia per il distacco presso missione europea di gestione di crisi, con condizioni di particolare difficoltà e rischio nel contesto di missione), da considerare quale duplicazione dell’indennità di missione estera.
2. Con ricorso avanti al T.a.r. per la Lombardia (R.G. n. 521/2014) l’interessato chiedeva cumulativamente l’annullamento della nota provvedimentale, l’accertamento negativo in ordine alla ripetizione delle somme e la condanna dell’Amministrazione al pagamento ossia alla restituzione delle somme già trattenute.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Brescia, sez. I, con la sentenza n. 1106 del 21 agosto 2015, respingeva il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione delle spese del giudizio.
3. Nel conseguente giudizio di appello (R.G. n. 10326/2015), il Consiglio di Stato, Sezione IV, con sentenza n. 6734/2018 depositata in data 28 novembre 2018, ha respinto l’appello e ha compensato le spese del giudizio tra le parti.
3.1. In particolare, secondo la Sezione:
a) l’indennità prevista dall’art. 1 del r.d. n. 941/1926 (c.d. indennità di missione all’estero) copre ogni sorta di disagio e rischio correlati all’impiego in territorio estero, tant’è che risulta preclusa la possibilità di considerare che essa abbia natura differente rispetto all’indennità “per diem, hardship and risk allowance”, che è correlata appunto ai peculiari disagi e rischi connessi all’impiego nella missione “Eupol to Afghanistan”, con la conseguenza che poiché il “titolo” è costituito dai disagi e rischi collegati all’impiego in missione estera, la percezione della indennità “per diem, hardship and risk allowance” assorbe ed esclude quella dell’indennità “comune” di missione estera;
b) rilevata “la piena legittimità del disposto recupero, e in funzione della doverosità del medesimo, deve comunque escludersi, ai sensi dell’art. 21 octies comma 2 della legge n. 241/1990, il rilievo invalidante vizi formali relativi all’omessa comunicazione d’avvio del procedimento”;
c) non può annettersi alcun rilievo invalidante:
– alla circostanza che il recupero sia stato disposto dal Centro Nazionale Amministrativo del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, anziché dal Centro Amministrativo d’Intendenza Interforze (C.A.I.I.) di Herat;
– alla circostanza relativa a modalità procedimentali diverse di recupero intervenute nei confronti di altri militari;
– al fatto che il recupero non sarebbe stato disposto nei confronti di appartenenti ad altre forze di polizia impegnate nella missione “Eupol”;
– al fatto che il recupero veniva disposto al lordo piuttosto che al netto;
– all’invocato affidamento dell’interessato, il che di per sé non può escludere la restituzione delle somme indebitamente percepite.
4. Con ricorso in revocazione ex art. 395, primo comma, numero 4), c.p.c. e ss. l’originario ricorrente agisce avverso la sentenza n. 6734/2018 del Consiglio di Stato, Sezione IV, depositata in data 28 novembre 2018, chiedendone la riforma per il seguente motivo, così rubricato: “violazione e falsa applicazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c., la decisione è il risultato della supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è invece positivamente stabilita, inoltre tale fatto non ha costituito un punto controverso sul quale il C.d.S. è stato chiamato a pronunciare. Estensibilità, all’errore revocatorio dedotto, dell’omessa valutazione di due sentenze antecedenti, di cui una già passata in giudicato, vertenti su questione identica”.
4.1. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Difesa e il Comando Generale dei Carabinieri – Centro Nazionale Amministrativo – Ufficio Contenzioso.
5. All’udienza del 6 febbraio 2018 la causa è stata discussa e trattenuta in decisione dal Collegio.
6. Il ricorrente lamenta che la decisione assunta dal Consiglio di Stato con la sentenza impugnata sarebbe fondata sulla supposta inesistenza di un fatto (la diversità sostanziale delle indennità ) la cui verità è stata, al contrario, definitivamente stabilita, dal momento che sono intervenute sul punto della diversità sostanziale delle indennità prima la sentenza del Tar Lazio n. 12153 del 29 novembre 2017, pubblicata il 7 dicembre 2017 e non appellata, con scadenza del termine per la proposizione dell’appello al 7 giugno 2018 e, come già segnalato in calce all’iniziale ricorso al T.a.r., la sentenza del T.a.r. Lazio n. 2305/15 del 29 ottobre 2014.
Pertanto, ad avviso del ricorrente, la rilevanza dell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4) c.p.c. potrebbe essere estesa all’aver ignorato l’esistenza di tali sentenze, in quanto tale omissione si tradurrebbe nella mancata considerazione di un fatto processuale.
7. Il Collegio rileva l’inammissibilità del motivo di revocazione, risolvendosi nella contestazione della decisione su un punto controverso su cui la sentenza ha espressamente pronunciato.
7.1. Al riguardo, il Collegio in primo luogo rileva che, come noto, l’errore di fatto – idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli artt. 106, c.p.a. e 395, n. 4, c.p.c., – deve rispondere a tre requisiti:
a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non ha espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.
7.2. Inoltre, l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive od indagini ermeneutiche. In tale ottica, l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.
7.3. Nel caso di specie, nella sentenza impugnata non è rilevabile alcuna errata od omessa percezione del contenuto materiale degli atti del giudizio, non potendo la presenza di un precedente contrario essere qualificata alla stregua di un presupposto fattuale. Peraltro, la domanda di revocazione prende a riferimento un punto oggetto di specifico contraddittorio nel corso del precedente giudizio, in ordine al quale la decisione ha peraltro motivato in maniera espressa.
7.4. Invero, si tratta, come è palese, di argomentazioni inerenti proprio a un “punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”, sicché l’eventuale loro erroneità, derivante dall’asserita incompatibilità con quanto è stato statuito con le diverse pronunce citate, non può dare luogo a revocazione, come il ricorrente pretende, chiedendo in sostanza a questa Sezione di ripetere – ma con esito opposto – quello stesso giudizio che ha già reso.
L’eventuale accoglimento di una tale istanza condurrebbe, invero, ad una evidente violazione dei principi di intangibilità del giudicato.
8. Peraltro, fermo restando che il motivo di revocazione azionato nel caso di specie è espressamente quello previsto dall’art. 395, n. 4), c.p.c., va ravvisato che, ai sensi del seguente n. 5): “Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione:… 5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione”.
8.1. A tal riguardo, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1 del 6 aprile 2017, ha precisato che, ai fini dell’integrazione del motivo revocatorio di cui all’art. 395, n. 5), c.p.c., devono concorrere, in via cumulativa, i seguenti presupposti:
a) il contrasto della sentenza revocanda con un’altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata sostanziale;
b) la mancata pronuncia sulla relativa eccezione da parte del giudice della sentenza revocanda.
Con riferimento al primo presupposto, inoltre, ha chiarito che, “come ripetutamente statuito dal Consiglio di Stato (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 31 luglio 2008, n. 3816, e l’ivi richiamata giurisprudenza amministrativa e civile), ai fini dell’applicazione dell’art. 395, n. 5), cod. proc. civ., perché una sentenza possa considerarsi contraria ad un precedente giudicato, occorre che le decisioni a confronto risultino fra loro incompatibili in quanto dirette a tutelare beni ed interessi di identico contenuto, nei confronti delle stesse parti, con riferimento ad identici elementi di identificazione della domanda (petitum e causa petendi) confluiti nel decisum”.
8.2. Ciò considerato, il Collegio, attesa l’insussistenza nel caso di specie di entrambi i richiamati presupposti, rileva – anche sotto questo aspetto – l’inammissibilità della domanda revocatoria, ove diversamente qualificata.
9. Conclusivamente, il ricorso per revocazione è inammissibile, non ricorrendo le condizioni previste dal combinato disposto degli artt. 106 e segg. c.p.a. e 395, n. 4 c.p.c., in linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di presupposti per la revocazione (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 2018, n. 1297).
10. Le spese della presente fase del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione R.G. n. 4592/2019, dichiara inammissibile la domanda di revocazione.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore delle Amministrazioni resistenti delle spese della presente fase del giudizio, nella misura di euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020, con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore

 

 

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