Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 settembre 2021| n. 25936.

Perché un atto costituisca disposizione testamentaria, è necessario che lo scritto contenga la manifestazione di una volontà definitiva dell’autore, compiutamente e incondizionatamente formata, diretta allo scopo di disporre attualmente dei suoi beni, in tutto o in parte, per il tempo successivo alla propria morte; pertanto, ai fini della configurabilità di una scrittura privata come testamento non è sufficiente il riscontro dei requisiti di forma, occorrendo, altresì, l’accertamento dell’oggettiva riconoscibilità nella scrittura della volontà attuale del suo autore di compiere non già un mero progetto, ma un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al suo decesso. Siffatto accertamento – che, ove le espressioni contenute nel documento risultino ambigue o di valore non certo, presuppone la necessaria indagine su ogni circostanza, anche estrinseca, idonea a chiarire la portata, le ragioni e le finalità perseguite con la disposizione – involge un apprezzamento di fatto spettante al giudice del merito che, se adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità.

Ordinanza|24 settembre 2021| n. 25936. Perché un atto costituisca disposizione testamentaria

Data udienza 5 marzo 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Successioni – Testamento – Perché un atto costituisca disposizione testamentaria- Configurabilità di una scrittura privata come testamento – Oggettiva riconoscibilità nella scrittura della volontà attuale del suo autore – Atto di disposizione del proprio patrimonio – Accertamento – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 38167-2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avv.ti (OMISSIS), (OMISSIS);
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 5058/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 05/03/2021 dal Consigliere Dott. TEDESCO GIUSEPPE.

Perché un atto costituisca disposizione testamentaria

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Napoli, nella causa inizialmente proposta da (OMISSIS) nei confronti dei germani (OMISSIS) e (OMISSIS), ha riconosciuto che una scrittura proveniente dalla comune madre delle parti in causa ( (OMISSIS), deceduta il (OMISSIS)), non conteneva disposizioni testamentarie.
Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso sulla base di tre motivi: con il primo, proposto in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si sostiene che la corte d’appello, nella interpretazione dello scritto, non ha tenuto conto della reale volonta’ della defunta e del principio di conservazione del testamento e dei suoi effetti; con il secondo motivo si censura la sentenza perche’ la corte d’appello, dopo avere constatato l’esistenza di disposizioni equivoche, avrebbe dovuto circoscrivere la nullita’ a queste stesse disposizioni, preservando la validita’ delle altre disposizioni; il terzo motivo riguarda la regolamentazione delle spese.
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con separati controricorsi.
La causa e’ stata fissata dinanzi alla sesta sezione civile della Suprema corte con proposta di manifesta infondatezza del ricorso.
Il primo motivo e’ inammissibile.
Perche’ si abbia testamento e’ necessario che lo scritto contenga la manifestazione di una volonta’ definitiva dell’autore, compiutamente e incondizionatamente formata, diretta a disporre attualmente, in tutto o in parte, dei propri beni per il tempo successivo alla morte (Cass. n. 150/2014; n. 8668/1990). Pertanto, ai fini della configurabilita’ di una scrittura privata come testamento, non e’ sufficiente il riscontro dei requisiti di forma, ma occorre altresi’ l’accertamento dell’oggettiva riconoscibilita’ nella scrittura della volonta’ attuale del suo autore di compiere non gia’ un mero progetto, ma un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al suo decesso (Cass. n. 8490/2012).
E’ stato anche chiarito che al fine di accertare se una dichiarazione scritta, con la quale un soggetto disponga in favore di altra persona di tutte o parte delle proprie sostanze, configuri una disposizione testamentaria, e’ necessario indagare, ove le espressioni contenute nel documento risultino ambigue, o comunque di valore non certo, su ogni circostanza, anche estrinseca, idonea a chiarire la portata, le ragioni e le finalita’ perseguite con la disposizione medesima (Cass. n. 1086/1976). Il giudizio espresso dal giudice di merito circa la definitivita’ della manifestazione di volonta’ involge un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, e’ incensurabile in cassazione (Cass. n. 834/1965; n. 8490/2012 cit.).
La Corte d’appello, nell’esame del documento oggetto di causa, e’ partita da una nozione del testamento in linea con tali principi; quindi ha evidenziato che, non essendo state riproposte le istanze di prova orale non ammesse dal primo giudice, erano rimaste prive di riscontro le considerazioni, proposte da (OMISSIS), sul comportamento della de cuius prima della morte, volte a sostenere il carattere testamentario dello scritto; e’ poi passata all’esame dello scritto, dal punto di vista formale e sostanziale, e l’ha inteso come un semplice rendiconto indirizzato verosimilmente ai figli come mero progetto relativo al godimento dei suoi beni. In particolare, la corte di merito ha posto l’accento su alcune previsioni ritenendole indice chiaro di un’assenza di volonta’ di disporre delle proprie sostanze per il tempo successivo alla morte.
L’esito di tale indagine, esente da errori logici o giuridici, costituisce apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione.
Si deve sottolineare che non e’ prospettabile in sede di legittimita’ un confronto di maggiore o minore plausibilita’ di due diverse interpretazioni (Cass. n. 15471/2017). Diversamente la ricorrente, sotto la veste della violazione di legge, propone proprio un confronto di questo tipo. Si sostiene essere “estremamente piu’ plausibile che la redigente abbia deciso di disporre dei suoi beni e distribuirli pensando al momento prossimo in cui non ci sarebbe stata piu'” (pag. 14 del ricorso).
Non e’ neanche pertinente il richiamo al principio di conservazione della volonta’ testamentaria. Infatti, l’applicazione del principio suppone il preventivo riconoscimento che una data scrittura contiene una disposizione di ultima volonta’, cio’ che la Corte d’appello ha escluso nel caso di specie. E’ del tutto ovvio che si puo’ discutere della nullita’ di una disposizione solo dopo averne accertato il contenuto (Cass. n. 1369/1970).
Il secondo motivo e’ inammissibile. La Corte d’appello ha negato il carattere testamentario della scrittura nel suo complesso e non di una parte di essa, per cui la censura, con la quale si rimprovera alla corte di merito di non avere dichiarato la nullita’ solo parziale del supposto negozio testamentario, costituisce pur sempre censura dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito.
Il terzo motivo e’ inammissibile: si tratta di censura priva di autonomia, assumendosi la necessita’ della diversa regolamentazione delle spese di lite in conseguenza dell’assunta fondatezza del ricorso.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con addebito di spese.
Ci sono le condizioni per dare atto Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 ex articolo 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, favore di ciascuno dei controricorrenti, nell’importo di Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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