Perché sia configurabile la responsabilità della Pubblica amministrazione

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 29 gennaio 2020, n. 732.

La massima estrapolata:

Perché sia configurabile la responsabilità della Pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo sono necessari: a) l’elemento oggettivo; b) l’elemento soggettivo; c) il nesso di causalità materiale o strutturale; d) il danno ingiusto, inteso come lesione della posizione di interesse legittimo e, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo. Sul piano delle conseguenze e, dunque, delle modalità di determinazione del danno, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi subiti dalla parte danneggiata.

Sentenza 29 gennaio 2020, n. 732

Data udienza 23 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 59 del 2017, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Mi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato El. Ze. in Roma, via (…);
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la revoca del porto d’armi per la difesa personale e la sospensione dal servizio di guardia giurata;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020 il Pres. Franco Frattini e udito per la parte appellante l’avvocato dello Stato Wally Ferrante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. In data 12 novembre 2010, è stato emesso dal Questore della Provincia di Udine il provvedimento prot. -OMISSIS-, con il quale è stata decretata al sig. -OMISSIS- la sospensione dal servizio di guardia particolare giurata per un periodo di trenta giorni. Tale provvedimento ha tratto fondamento dalla documentazione medico sanitaria trasmessa dalla locale Prefettura di Udine, dalla quale sono emersi elementi di dubbio circa il possesso dei requisiti psico-fisici per il possesso del porto d’armi da parte del sig. -OMISSIS-.
A seguito di ciò, in data 10 dicembre 2010, è stato emesso dalla Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Udine il decreto -OMISSIS-, con il quale sono stati revocati al sig. -OMISSIS- l’autorizzazione ed il relativo libretto di porto d’armi per difesa personale. Il successivo 14 dicembre 2010 è stato intimato al sig. -OMISSIS-, da parte del datore di lavoro -OMISSIS-, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ossia per difetto dei titoli per lo svolgimento dell’attività di guardia giurata. Tale licenziamento è stato contestato dinanzi al giudice del lavoro che, con sentenza del Tribunale di Udine -OMISSIS- del 16 ottobre 2013 – integralmente confermata con sentenza della Corte d’Appello di Trieste -OMISSIS- del 25 febbraio 2016 – ne ha statuito la legittimità .
Il sig. -OMISSIS- ha presentato istanza di riesame del provvedimento prefettizio, producendo referto medico, attestante le proprie condizioni di salute.
In data 24 gennaio 2011 il sig. -OMISSIS- ha ottenuto – a seguito dell’istanza prodotta in data 27 ottobre 2010, a cui aveva allegato un documento datato 20 ottobre 2010, emesso dall’ASS -OMISSIS- Dipartimento di prevenzione di -OMISSIS-, certificante la propria idoneità ad ottenere il rinnovo del porto d’armi per uso di difesa personale – il rinnovo del decreto di nomina a guardia giurata.
Il 27 gennaio 2011 la Prefettura, preso atto di una sostanziale discrepanza nella formulazione delle diverse relazioni cliniche prodotte in atti, ha ordinato di sottoporre l’interessato a visita medica specialistica per accertare le sue attuali condizioni psico-fisiche, al fine di garantire l’effettiva affidabilità di non abusare dell’autorizzazione al porto di pistola.
Infine, in data 11 marzo 2011 l’Azienda per i servizi sanitari -OMISSIS- “-OMISSIS-“, dopo aver proceduto alla visita collegiale finalizzata ai suddetti accertamenti, ha affermato che “appare ragionevole presumere che il soggetto possieda “l’effettiva affidabilità di non abusare dell’autorizzazione al porto di pistola””.
A fronte di tale parere, la Prefettura non ha adottato alcun provvedimento in quanto, nelle more della visita specialistica, -OMISSIS-, con nota del 7 febbraio 2011 ha comunicato la cessazione del rapporto di lavoro con il sig. -OMISSIS-.
2. Con ricorso proposto innanzi al Tar Friuli Venezia Giulia, il sig. -OMISSIS- ha avversato, tra l’altro, il provvedimento della Questura di sospensione dal servizio e il provvedimento prefettizio di revoca del porto d’armi deducendo, in particolare, la mancata comunicazione di avvio dei relativi procedimenti, nonché la mancanza di esplicitazione, da parte dell’Amministrazione, delle ragioni di necessità e di urgenza che avrebbero giustificato tale omissione; il mancato svolgimento di qualsivoglia attività istruttoria, volta ad acclarare le condizioni psico-fisiche del sig. -OMISSIS-, prima dell’adozione dei provvedimenti impugnati; il mancato ripristino, con decreto, dello status di guardia giurata, nonostante il trascorso del periodo di sospensione.
Il sig. -OMISSIS- ha, altresì, formulato richiesta risarcitoria sia del danno patrimoniale, rappresentato dalle mancate retribuzioni a partire dalla data di effettivo licenziamento sino al momento in cui troverà un’altra occupazione, sia del danno non patrimoniale, rappresentato dall’ansia e dalla sofferenza causategli dall’improvviso stato di totale indigenza in cui si è venuto a trovare.
3. Con sentenza -OMISSIS- del 12 maggio 2016, il Tar Friuli Venezia Giulia ha accolto in parte il ricorso.
In particolare, il Tar ha ritenuto fondate le censure di parte ricorrente circa la mancanza di comunicazione di avvio del procedimento e la mancanza di attività istruttoria, ma con esclusivo riferimento al provvedimento prefettizio di revoca del porto d’armi. Tale revoca, basata su generici dubbi circa la persistenza in capo al ricorrente dei necessari requisiti psico-fisici, apparirebbe non conforme al canone, costituzionale e comunitario, di proporzionalità, in quanto avrebbe sacrificato l’interesse del privato alla conservazione del posto di lavoro, senza alcuna reale necessità . La Prefettura avrebbe dovuto disporre la visita medica specialistica – rilevatasi poi risolutiva – prima dell’adozione del provvedimento di revoca del porto d’armi.
Al contrario, il giudice di prime cure ha ritenuto infondate le doglianze avverso il provvedimento della Questura di sospensione dal servizio. In tal caso, il generico dubbio circa i requisiti psico-fisici, sarebbe stato idoneo a giustificare un provvedimento non definitivo, tale da non comportare per il destinatario un sacrificio eccedente rispetto a quello strettamente necessario.
Il primo giudice, accertata l’illegittimità del provvedimento prefettizio gravato, ha, altresì, ritenuto integrato l’elemento oggettivo dell’illecito aquiliano. Ai fini della pronuncia sull’an debeatur ha accertato l’esistenza dell’elemento oggettivo della colpa in capo all’Amministrazione e del nesso casuale tra la condotta illecita e la lesione arrecata alla posizione giuridica tutelata. Nello specifico, il Tar ha ritenuto parzialmente integrata la pretesa del sig. -OMISSIS- quanto al danno patrimoniale – ordinando all’Amministrazione il pagamento della somma di denaro determinata facendo applicazione analogica del criterio ritraibile dall’art. 2, co. 3, del d.lgs. n. 23 del 2015 – e integrata la pretesa quanto al danno non patrimoniale, che ha liquidato, in via equitativa, nella percentuale del 15% sul danno patrimoniale.
4. La citata sentenza -OMISSIS- del 12 maggio 2016 è stata impugnata con appello notificato al sig. -OMISSIS- il 12 dicembre 2016 e depositato il successivo 10 gennaio 2017.
In particolare, il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere fondata la richiesta risarcitoria dell’attuale appellato. Il danno lamentato sarebbe inconfigurabile, in quanto il licenziamento sarebbe riconducibile ad una scelta insindacabile del datore di lavoro; non vi sarebbe stato alcun comportamento negligente, tale da integrare l’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano in capo all’Amministrazione, dal momento che nessuna normativa prevedrebbe la necessità di verificare le condizioni sanitarie del ricorrente, prima dell’adozione del provvedimento avversato; il provvedimento prefettizio adottato sarebbe ampiamente discrezionale ed ispirato a criteri di prudenza massima, che non sarebbero stati presi in considerazione dal primo giudice; non vi sarebbe, infine, la presenza del nesso causale, in quanto la decisione dell’-OMISSIS- di porre fine al rapporto di lavoro potrebbe essere stata facilitata dalle condizioni fisiche (-OMISSIS-) e psico-fisiche del sig. -OMISSIS-.
5. Si è costituito in giudizio il sig. -OMISSIS-, che ha sostenuto l’infondatezza dell’appello.
6. Alla pubblica udienza del 23 gennaio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare il Collegio evidenzia che in data 31 dicembre 2019 l’appellato ha depositato memoria di replica in cui lo stesso signor -OMISSIS- ha dichiarato di non aver più diritto al patrocinio a spese dello Stato, per essere le sue condizioni economiche cambiate a seguito della stipula di un contratto di lavoro.
Il Collegio dispone, quindi, la revoca del riconoscimento del diritto al gratuito patrocinio.
2. Quanto al merito l’appellante Ministero dell’Interno contesta la legittimità della pretesa risarcitoria, fatta valere dal sig. -OMISSIS- nei confronti della Pubblica Amministrazione, del danno subito in conseguenza del provvedimento con il quale la Prefettura di Udine ha definitivamente revocato il porto d’armi all’attuale appellato.
L’appello è infondato e non merita accoglimento.
Ed invero, perché sia configurabile la responsabilità della Pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo sono necessari: a) l’elemento oggettivo; b) l’elemento soggettivo; c) il nesso di causalità materiale o strutturale; d) il danno ingiusto, inteso come lesione della posizione di interesse legittimo e, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo. Sul piano delle conseguenze e, dunque, delle modalità di determinazione del danno, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi subiti dalla parte danneggiata (Cons. St., sez. VI, n. 2792 del 29 maggio 2014).
Tutti tali elementi sono presenti nel caso in esame.
Risulta innanzitutto integrato l’elemento oggettivo. Il provvedimento di revoca del porto d’armi si appalesa, infatti, illegittimo, dal momento che trova quale unico fondamento un referto medico, che ha esposto semplici “dubbi” circa la sussistenza in capo al sig. -OMISSIS- dei requisiti psico-fisici, necessari ai fini del porto d’armi. Ritiene però il Collegio che il semplice dubbio non possa considerarsi idoneo a giustificare un provvedimento definitivo, tale da cagionare un forte nocumento in capo all’interessato. Al contrario, al pari di quanto fatto dalla Questura, l’Amministrazione avrebbe dovuto e potuto adottare un provvedimento non definitivo, in attesa di espletare i dovuti accertamenti istruttori. Ed infatti, come risulta in atti, il sig. -OMISSIS-, in sede di richiesta di rinnovo del decreto di nomina di guardia giurata del 27 ottobre 2010, ha allegato un documento datato 20 ottobre 2010, emesso dall’ASS -OMISSIS- Dipartimento di prevenzione di -OMISSIS-, certificante la propria idoneità ad ottenere il rinnovo del porto d’armi per uso di difesa personale. Dunque, al momento dell’adozione del provvedimento avversato, l’Amministrazione possedeva relazioni cliniche discordanti sullo stato di salute del sig. -OMISSIS-. Avrebbe, quindi, dovuto disporre sin da subito la visita medica specialistica, in modo da chiarire gli eventuali dubbi in merito. Tale accertamento, al contrario, è stato eseguito solo in una fase successiva ed ha comportato l’affermazione circa l’effettiva affidabilità del sig. -OMISSIS- di non abusare dell’autorizzazione al porto di pistola, quando ormai era già intervenuto un irrimediabile danno (i.e. il licenziamento) in capo all’appellato.
Quanto alla presenza dell’elemento soggettivo, esso sussiste “sub specie” della colpa generica, in quanto il comportamento della Prefettura deve qualificarsi quanto meno come negligente. Infatti, nonostante il provvedimento avversato sia connotato da discrezionalità, risulta viziato dall’aver gravemente omesso i dovuti accertamenti istruttori.
A tale conclusione si giunge anche se si accede all’orientamento rigoroso – compendiato nella sentenza di questa Sezione -OMISSIS- del 6 settembre 2018 – secondo cui l’illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’Amministrazione. Osserva peraltro il collegio che esiste anche un diverso orientamento secondo cui, nell’ottica di un maggior “favor” per il soggetto privato danneggiato, questo può limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile (da ultimo, Cons. St., sez. III, n. 7192 del 22 ottobre 2019; Cons. St., sez. VI, n. 1815 del 19 marzo 2019). Anche, come si è detto, a voler preferire la linea interpretativa più rigorosa, non potrebbero negarsi nella fattispecie le condizioni per il risarcimento.
Risulta, infatti, altresì, sussistente il nesso causale intercorrente tra la condotta colposa della pubblica amministrazione e la lesione (“rectius”, il danno ingiusto) arrecata all’attuale appellato, dal momento che il licenziamento, benché legittimo, trova il suo unico fondamento nell’assenza dei titoli necessari per l’espletamento della funzione di guardia giurata, illegittimamente revocati.
4. Per le ragioni sopra esposte l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia -OMISSIS- del 12 maggio 2016.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante alle spese e agli onorari del giudizio, che liquida in Euro 2.500 (euro duemilacinquecento).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente, Estensore
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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