Per potersi integrare un contrasto di giudicati rilevante in termini revocatori

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 17 marzo 2020, n. 1919.

La massima estrapolata:

Per potersi integrare un contrasto di giudicati rilevante in termini revocatori occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi su cui si sia espresso il secondo giudizio.

Sentenza 17 marzo 2020, n. 1919

Data udienza 30 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4152 del 2019, proposto da
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Bo., Li. Bu. e Gi. Te., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Città Metropolitana di Napoli, Comune di Benevento, Comune di Salerno, non costituiti in giudizio;
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Fa. Ma. Fe. e Ga. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Le. in Roma, via (…);
An. – Az. Na. Mo. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Ab., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 2323/2019 resa tra le parti.
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli e della An. – Az. Na. Mo. s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2020 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti gli avvocati Bu., Ab., e Ba. per delega di Ro.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con il ricorso introduttivo la Regione Campania ha agito in revocazione per errore di fatto e contrarietà a precedente giudicato, ai sensi degli artt. 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4 e 5, Cod. proc. civ., avverso la sentenza n. 2323 del 9 aprile 2019 di questa Sezione che aveva accolto il ricorso in riassunzione della An. – Az. Na. Mo. s.p.a. dichiarando la nullità della delibera di Giunta Regionale n. 158 del 21 marzo 2017 e i relativi atti presupposti ed attuativi per violazione del giudicato di cui alle precedenti sentenze n. 6205 del 2014, n. 4451 del 2015 e n. 5330 del 2016.
2. Il giudizio definito con la sentenza qui impugnata verteva – sulla base di quanto riportato dalla stessa sentenza – sulla violazione dei precedenti pronunciamenti di questa Sezione in ordine al riparto del fondo regionale trasporti fra gli enti locali campani per l’anno 2011 (sentenza n. 6205 del 2014 e relativa ottemperanza, n. 5330 del 2016) e 2012 (sentenza n. 4451 del 2015).
La Sezione, qualificato detto ricorso in termini d’ottemperanza, lo accoglieva secondo quanto suindicato, dichiarando la nullità degli atti impugnati dalla An..
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per revocazione la Regione Campania coi seguenti motivi:
I) art. 395, n. 5 Cod. proc. civ.: contrasto con precedente giudicato tra le parti n. 2686 del 2018 di questo Consiglio di Stato; omessa considerazione e pronuncia in ordine alla carenza di legittimazione attiva in capo alla ricorrente;
II) art. 395, n. 4, Cod. proc. civ.: errore di fatto; erronea estensione della domanda all’anno 2012 e omessa considerazione dell’esistenza del giudicato di cui alla sentenza n. 3487 del 2018 di questo Consiglio di Stato sull’annualità 2012;
III) art. 395, n. 4 e 5, Cod. proc. civ.; errore di fatto; omessa considerazione del giudicato di cui alla detta sentenza n. 3487 del 2018; contrasto con il precedente giudicato fra le parti di cui alla medesima sentenza;
IV) art. 395, n. 5, Cod. proc. civ.: contrasto con i precedenti giudicati di cui alle suddette sentenze n. 6205 del 2014 e n. 5330 del 2016 relative all’anno 2011, puntualmente richiamate dalla difesa regionale in memoria e nella relazione della D.G. Mobilità, agli atti del giudizio;
4. Resistono al ricorso la An. s.p.a. e il Comune di Napoli – anch’esso costituito nel precedente giudizio definito con sentenza n. 2323 del 2019 – chiedendone la reiezione.
5. Con ordinanza n. 3506 del 12 luglio 2019 la Sezione ha respinto l’istanza cautelare proposta dalla Regione Campania.
6. Sulla discussione delle parti all’udienza pubblica del 30 gennaio 2020, come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Col primo motivo di revocazione la ricorrente lamenta l’omessa considerazione e pronuncia sull’eccezione di carenza di legittimazione attiva della An., sollevata dalla Regione sulla base del precedente giudicato maturato sul punto alla luce della sentenza di questa Sezione n. 2686 del 2018, con la quale la decisione impugnata si porrebbe in contrasto.
1.1. Il motivo non è condivisibile.
1.1.1. La deduzione relativa alla carenza di legittimazione attiva non costituisce un’eccezione in senso stretto ai sensi dell’art. 112 Cod. proc. civ., atteso che la legitimatio ad causam e l’interesse ad agire configurano condizioni dell’azione che il giudice è sempre chiamato a scrutinare, anche in via officiosa (cfr. Cons. Stato, IV, 5 marzo 2015, n. 1116; sulla qualificazione della legittimazione e dell’interesse a ricorrere alla stregua di condizioni dell’azione, cfr., inter multis, Cons. Stato, II, 20 giugno 2019, n. 4233; IV, 1 giugno 2018, n. 3321; 19 luglio 2017, n. 3563; 1 marzo 2017, n. 934; 11 ottobre 2016, n. 4180; VI, 21 marzo 2016, n. 1156).
Per tale ragione, l’eventuale “svista” o “abbaglio dei sensi” consistente nell’omessa percezione di una siffatta deduzione e nella conseguente omessa pronuncia in parte qua, si appalesa in sé priva di apprezzabili conseguenze in diritto, atteso che non risulta trascurata – per effetto dell’eventuale errore percettivo – una domanda o eccezione che partecipa alla definizione del petitum devoluto al giudice, bensì una questione che egli è tenuto in ogni caso ad esaminare, e rispetto alla quale la deduzione di parte (così come la relativa obliterazione) risulta irrilevante.
In tale prospettiva, l’errore denunciato dalla Regione rifluisce e si risolve in nient’altro che in un (eventuale) errore di giudizio consistente nell’omesso scrutinio preliminare delle condizioni dell’azione (o nell’erronea valutazione implicita delle stesse, su cui v. infra), sempre incombente in capo al giudice a prescindere dalle deduzioni di parte, la cui omessa percezione e considerazione è perciò in sé ininfluente rispetto alla decisione.
Per questo, la fattispecie non dà luogo ad alcun errore revocatorio, analogamente a quanto avviene per l’ipotesi di omessa pronuncia su una delle argomentazioni svolte dalle parti (su cui cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 27 luglio 2016, n. 21).
A ciò si aggiunga, in ogni caso, che la sentenza impugnata espressamente prende ad esame la specifica posizione della An., affermando in alcuni passaggi che “esattamente An. lamenta di essere stata penalizzata in danno di aziende con minori risorse umane operanti su base provinciale”, e che “la Regione avrebbe in realtà dovuto assegnare ad An. un valore pari al 87.62% dei fondi del FRT (…)”, e ancora che “è stata operata un’illegittima detrazione compensativa in danno (…) di An. (…)”.
Per questo, la stessa questione della legittimazione e dell’interesse dell’An. all’azione proposta risulta implicitamente respinta dalla sentenza dando luogo semmai (ancora una volta) a un errore di giudizio, ma non già a un errore di fatto revocatorio.
1.1.2. Né la medesima doglianza può essere favorevolmente apprezzata in termini di violazione di un precedente giudicato – in specie costituito dalla sentenza n. 2686 del 2018 di questo Consiglio di Stato – ai sensi dell’art. 395, n. 5, Cod. proc. civ.
Il precedente invocato, infatti, pur trattando questioni parzialmente analoghe a quelle affrontate dalla sentenza impugnata, riguarda una controversia del tutto diversa, relativa all’annullamento di tutt’altri provvedimenti e al riparto di risorse per il trasporto pubblico locale per annualità ben distinte (in specie, l’annualità 2016), così come riconosciuto nello stesso ricorso per revocazione: per questo, il difetto di legittimazione è stato affermato dalla sentenza in relazione a tutt’altro rapporto processuale.
Il che emerge del resto dalla stessa invocata sentenza n. 2686 del 2018 che, in termini speculari, nega la sussistenza d’un giudicato implicito in ordine alla legittimazione a impugnare dell’An. riveniente dai precedenti maturati in relazione a differenti annualità e provvedimenti.
È principio consolidato, in proposito, che per potersi integrare un contrasto di giudicati rilevante in termini revocatori occorre che “tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi su cui si sia espresso il secondo giudizio”; in tale prospettiva, “perché una sentenza possa considerarsi contraria ad un precedente giudicato, occorre che le decisioni a confronto risultino fra loro incompatibili in quanto dirette a tutelare beni ed interessi di identico contenuto, nei confronti delle stesse parti, con riferimento ad identici elementi di identificazione della domanda (petitum e causa petendi) confluiti nel decisum” (Cons. Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2017, n. 1).
Per tali assorbenti ragioni il motivo di ricorso non è suscettibile di favorevole apprezzamento.
2. Col secondo motivo la Regione si duole dell’errore di fatto revocatorio commesso dalla sentenza nell’estendere la propria decisione, oltre la domanda della An., anche al riparto dei fondi per l’annualità 2012, per la quale già sussisteva, peraltro, un giudicato d’ottemperanza (i.e., sentenza n. 3487 del 2018 di questa Sezione) rispetto a cui la revocanda sentenza darebbe luogo a un inammissibile bis in idem (cfr. al riguardo, più in dettaglio, infra, sub § 3 ss.).
2.1. Neanche tale motivo è condivisibile.
2.1.1. Sotto un primo profilo, la doglianza non enuclea alcuno specifico fatto materiale che sarebbe stato malamente avvertito o percepito dai giudici, appuntandosi piuttosto su elementi d’interpretazione degli atti processuali e del contenuto delle domande: il che esorbita dal sindacato revocatorio rientrando invece fra le questioni interpretative interne al giudizio (cfr., inter multis, Cons. Stato, VI, 7 ottobre 2019, n. 6749; 1 febbraio 2019, n. 814; 14 gennaio 2019, n. 326; IV, 4 settembre 2018, n. 5187; V, 7 febbraio 2018, n. 833, che affermano tutte il principio secondo il quale “l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento).
L’errore di fatto ex art. 395, n. 4, Cod. proc. civ. ricorre infatti nel (diverso) caso di “errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto” (Cons. Stato, V, 1 ottobre 2018, n. 5608; 17 dicembre 2019, n. 8533; cfr. anche Cons. Stato, IV, 2 aprile 2019, n. 2163; V, 20 marzo 2019, n. 1818; 10 giugno 2019, n. 3880; 26 ottobre 2018, n. 6113).
Di tale errata od omessa percezione “del contenuto meramente materiale degli atti processuali” la ricorrente non offre qui alcuna specifica evidenza, cosicché la doglianza si appalesa non condivisibile.
2.1.2. A ciò si aggiunga che gli stessi atti processuali della precedente fase del giudizio presentano svariati riferimenti al riparto delle risorse del fondo regionale in relazione all’annualità 2012, sia nell’individuazione dei provvedimenti impugnati, idonei a definire il petitum (fra di essi, in particolare, i decreti dirigenziali n. 51, 12 e 36 del 3 luglio 2017, riguardanti proprio le risorse per il 2012, oltre alla delibera di G.R. n. 158 del 2017, relativa ad entrambe le annualità ; in tal senso, cfr. già il ricorso per motivi aggiunti davanti al Tar), sia nell’articolazione delle doglianze (cfr., ad es., pag. 22-23 del ricorso in riassunzione, sulle censure alla delibera n. 158 e ai riparti eseguiti dalla Regione: “analoghe considerazioni [rispetto al 2011] si possono sviluppare sul riparto 2012 di cui al D.D. 51/2017”; pag. 27, sulla determinazione del riparto per l’annualità 2012; pag. 30, sulla “destinazione a ‘premialità per l’efficientamentò […] per il 2012”), anche attraverso i richiami alle sentenze di cui si domandava l’ottemperanza (cfr., ad es., i motivi IV e V, che lamentano la violazione del giudicato in relazione alla sentenza n. 4451 del 2015, relativa proprio all’annualità 2012).
Per questo, alla luce del contenuto del ricorso dell’An., si appalesa l’effettiva natura del vizio invocato dalla ricorrente, che involge non già un errore di fatto o percettivo commesso dal Collegio, bensì l’interpretazione e definizione delle domande e dell’oggetto del giudizio, anche eventualmente alla luce dei profili di aporia o modifica delle domande emergenti dal complesso degli atti processuali (cfr., ad es., la memoria dell’An. depositata il 27 settembre 2018, spec. pag. 8, ove la ricorrente si soffermava specificamente sull’annualità 2011 e sulla sentenza n. 6205 del 2014 relativa a tale annualità, pur chiedendo nelle conclusioni l’annullamento o dichiarazione di nullità degli atti impugnati nell’epigrafe del ricorso introduttivo, fra i quali erano ricompresi anche quelli suindicati).
Di qui il rigetto della doglianza, in quanto priva del dedotto, imprescindibile, tono revocatorio.
3. Col terzo motivo (e parte del secondo) la ricorrente lamenta l’errore di fatto e la “omessa considerazione del giudicato”, nonché il bis in idem e la violazione di giudicato in cui la sentenza sarebbe incorsa pronunciandosi sul riparto del fondo regionale per l’annualità 2012, già oggetto del precedente giudicato di cui alla sentenza n. 3487 del 2018 di questo Consiglio di Stato, resa proprio nel giudizio d’ottemperanza sulla sentenza n. 4451 del 2015 riguardante la medesima annualità .
In particolare, la decisione impugnata avrebbe superato e disatteso quanto già statuito dalla detta sentenza n. 3487 del 2018, “lasciando intendere” che il rimborso a mezzo di procedura per riconoscimento di debiti fuori bilancio debba riguardare tutte le somme mancanti, illegittimamente detratte dal fondo secondo il Collegio, e non solo quelle relative al “rinnovo CCNL” accertate dalla suddetta sentenza n. 3487/2018.
3.1. Il motivo non è condivisibile.
3.1.1. Come emerge dalla lettura della sentenza, il precedente evocato dalla ricorrente è espressamente menzionato nella decisione impugnata, la quale afferma: “su questi temi la citata sentenza n. 3487/2018 richiamava l’obbligo della Regione Campania di rispettare, preliminarmente, la quota corrispettivi per servizi già riconosciuti ad An. e al Comune di Napoli e specificava che: ‘Le prestazioni eseguite, e il relativo corrispettivo per servizi, devono essere pagate secondo la deliberazione Regionale citata n. 37/2002 (per l’anno 2011 è la delibera 964/10) e le somme mancanti devono essere rimborsate a mezzo procedura di liquidazione dei debiti fuori bilancio…'”.
Il che esclude di per sé un contrasto di giudicati rilevante ex art. 395, n. 5, Cod. proc. civ., il quale presuppone l’ignoranza, da parte del giudice, del fatto che dà adito alla revocazione, occorrendo in specie che “il precedente giudicato formatosi sulle sentenze, con le quali la sentenza revocanda si assume essere in contrasto, sia rimasto del tutto estraneo al thema decidendum su cui si sia pronunciata la sentenza revocanda” (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1 del 2017, cit.).
In tale contesto, “essendo (…) la sussistenza della cosa giudicata esterna rilevabile d’ufficio dal giudice (v., ex plurimis, Con. Stato, Sez. III, 11 febbraio 2015, n. 725; Cass. Civ., 27 luglio 2016, n. 15627; id., 6 giugno 2011, n. 12159), il rimedio della revocazione per contrasto con un precedente giudicato è sperimentabile non per il semplice fatto che non sia stata sollevata in proposito un’eccezione, ma perché la circostanza del mancato rilievo dell’eccezione sia accompagnata da una situazione processuale che non abbia consentito al giudice di rilevarne d’ufficio l’esistenza, ossia dalla mancata allegazione (e produzione) in giudizio della sentenza passata in giudicato prima della pubblicazione della sentenza revocanda, con la quale quest’ultima si assume essere in contrasto” (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1 del 2017, cit.).
Nel caso di specie, la pacifica presenza in atti della sentenza n. 3487 del 2018 (sub all. 4 prodotto da An. il 27 settembre 2018) e il suo espresso richiamo negli atti processuali (cfr. memoria An. in pari data), oltre all’espressa menzione e finanche parziale trascrizione della sentenza esclude l’esistenza di un contrasto di giudicati apprezzabile ai sensi dell’art. 395, n. 5, Cod. proc. civ.
Né la ricorrente fornisce evidenza di elementi che avrebbero, in tale contesto, potuto pregiudicare la percezione del giudicato da parte del Collegio.
3.1.2. Allo stesso modo, non è ravvisabile l’ipotetico errore di fatto od “abbaglio dei sensi” in relazione alla suddetta sentenza n. 3487 del 2018, percepita ed espressamente richiamata dalla decisione impugnata; né rileva al riguardo la parziale omissione operata nella trascrizione di un passo di detta sentenza, omissione inespressiva di un errore di fatto revocatorio in quanto avente a oggetto la mera citazione d’un precedente – di cui la revocanda sentenza non costituiva peraltro decisione d’ottemperanza – non qualificabile alla stregua di elemento di “fatto” presupposto della decisione, rilevante a fini revocatori, bensì di mero arresto richiamato in relazione alla valutazione di giudizio espressa dal Collegio.
Per questo, neanche tale motivo è condivisibile, mentre la dedotta violazione del principio del ne bis in idem è in sé priva di rilievo a fini revocatori nella misura in cui non rifluisce in un errore di fatto ex art. 395, n. 4, Cod. proc. civ., ovvero in un rilevante contrasto di giudicati ai sensi dell’art. 395, n. 5.
4. Con il quarto motivo di doglianza la ricorrente lamenta il contrasto con i precedenti giudicati di cui alle sentenze n. 6205 del 2014 e n. 5330 del 2016 concernenti, rispettivamente, la cognizione e relativa ottemperanza del riparto del fondo regionale controverso per l’annualità 2011.
4.1. Neanche tale motivo è passibile di favorevole considerazione.
4.1.1. Seguendo i principi affermati dalla citata Adunanza Plenaria n. 1 del 2017, va anzitutto escluso un contrasto di giudicati rilevante ex art. 395, n. 5, Cod. proc. civ. con la sentenza n. 6205 del 2014, attesa la chiara diversità dell’oggetto fra le due decisioni, l’una di cognizione volta all’annullamento di provvedimenti ritenuti illegittimi, l’altra d’ottemperanza diretta alla declaratoria di nullità di atti contrastanti con precedenti giudicati (cfr. retro, sub § 1.1.2): di qui l’inammissibilità della censura.
A ciò si aggiunga che entrambe le sentenze rispetto alle quali viene denunciato il contrasto sono variamente richiamate da quella revocanda, che espressamente si auto-qualifica, anzi, quale decisione di “ottemperanza ex art. 113 c.p.a. [del] giudicato formatosi sulle predette decisioni” (ciò che implicitamente consentiva di radicare la competenza funzionale del Consiglio di Stato a seguito della declinatoria pronunciata dal Tar).
Il che, nuovamente, preclude una censura di carattere revocatorio, che presuppone la non consapevolezza del giudicato violato da parte del giudice che ha adottato la sentenza revocanda (v. retro, sub § 3.1.1).
4.1.2. Nel presente contesto, peraltro, considerato che la sentenza revocanda costituisce ottemperanza delle precedenti decisioni n. 6205 del 2014 e 5330 del 2016, il contrasto invocato dalla ricorrente si risolve in realtà in nient’altro che nella (eventuale) erronea ottemperanza disposta sulle sentenze oggetto d’esecuzione, ovvero nell’erronea interpretazione del contenuto dei precedenti giudicati ottemperandi, di cui il Collegio era comunque ben consapevole (cfr. in proposito, ad es., i riferimenti da cui si ricava la prospettiva assunta dalla sentenza, consistente proprio nell’attuazione delle precedenti decisioni n. 6205 del 2014 e 5330 del 2016: “gli adempimenti posti in essere dalla Regione con riferimento all’annualità 2011 costituiscono una modalità del tutto sviatoria, parziale ed inesatta di ottemperanza dei diversi giudicati di cui sulle sentenze n. 6205/14 e n. 5330/16”).
A tale proposito, anche la già richiamata pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 2017 ha chiarito che “qualora le sentenze poste a raffronto costituiscano l’esito, rispettivamente, del giudizio di cognizione e di quello di esecuzione, ciò che viene dedotto come contrasto fra giudicati è l’interpretazione che il giudice dell’ottemperanza ha dato dell’ambito della statuizione della sentenza da eseguire, onde la richiesta di revocazione si risolve, in realtà, nel chiedere il riesame delle conclusioni, cui detto giudice è pervenuto, non nell’assenza di consapevolezza dell’esistenza di un giudicato facente stato fra le stesse parti, ma proprio nell’espresso apprezzamento dell’ambito di quest’ultimo e degli adempimenti amministrativi necessari per la sua corretta esecuzione” (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1 del 2017, cit., e richiami ivi).
Sicché anche tale motivo di doglianza non può essere favorevolmente scrutinato.
5. In conclusione, per tutte le suesposte ragioni, il ricorso per revocazione si appalesa inammissibile.
5.1. Le spese di lite sono poste a carico della ricorrente, secondo criterio di soccombenza ex artt. 26, comma 1, Cod. proc. amm. e 91, comma 1, Cod. proc. civ., e liquidate nella misura di cui in dispositivo in favore di ciascuna parte resistente costituita in giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile;
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida nella misura di Euro 5.000,00, oltre accessori di legge, in favore di ciascun resistente costituito.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *