Corte di Cassazione, penale, Sentenza|9 aprile 2021| n. 13263.
Per la valutazione sulla particolare tenuità dell’offesa di cui all’art. 131 bis cod. pen. non è del tutto indifferente considerare se, e fino a quando, perdurino le conseguenze lesive di un reato permanente; da un lato va ribadito che per tale giudizio occorre innanzitutto esaminare l’oggettiva gravità del danno arrecato all’interesse protetto al momento della consumazione del reato, d’altro lato non può appunto attribuirsi valore positivo ad una condotta riparatrice non immediata e, soprattutto, non spontanea, ma imposta sotto minaccia dell’applicazione di ulteriori sanzioni, anche gravi (si allude all’acquisizione gratuita dell’area interessata al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.P.R. 380/2001).
Sentenza|9 aprile 2021| n. 13263
Data udienza 10 febbraio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: EDILIZIA ED URBANISTICA – REATI EDILIZI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente
Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/06/2019 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere REYNAUD Gianni Filippo;
lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale FIMIANI Pasquale, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv., con modiff., dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
lette le conclusioni depositate, nell’interesse del ricorrente, dall’avv. (OMISSIS), la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con sentenza del 20 giugno 2019, la Corte d’appello di Brescia, rimediando, in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero, all’illegale determinazione della pena che era stata fatta in primo grado, ha confermato l’affermazione di penale responsabilita’ di (OMISSIS) per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, comma 1, lettera b), condannandolo alla pena di giorni cinque di arresto e 5.164 Euro di ammenda.
2. Avverso la predetta sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deducono carenza di motivazione e violazione dell’articolo 131 bis c.p., per essere stata respinta la richiesta di declaratoria di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, omettendosi una valutazione complessiva della vicenda e limitandosi a considerare la superficie dell’area oggetto di intervento e la tipologia delle strutture abusivamente realizzate, senza tuttavia tener conto che le baracche non erano ancorate al suolo e che erano state immediatamente rimosse dall’imputato il quale, anche in ragione della giovanissima eta’, aveva erroneamente ritenuto di non compiere alcuna violazione.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’articolo 62 bis c.p., per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il ricorso e’ inammissibile per genericita’ e manifesta infondatezza e perche’ sottopone a questa Corte valutazioni di merito incompatibili con lo scrutinio di legittimita’.
3.1. L’applicazione della causa di non punibilita’ invocata postula che l’offesa sia di particolare tenuita’ “per le modalita’ della condotta e per l’esiguita’ del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1” (cosi’, l’articolo 131 bis c.p., comma 1).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudizio sulla tenuita’ del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita’ della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita’ della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entita’ del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590), ma, da un lato, non e’ necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647) e, d’altro lato, e’ da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’articolo 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta e a., Rv. 273678; Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647).
Con specifico riguardo all’applicabilita’ dell’articolo 131-bis c.p., nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, i parametri di valutazione utilizzabili sono stati indicati nella consistenza dell’intervento abusivo – data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive – nella destinazione dell’immobile, nell’incidenza sul carico urbanistico, nell’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici con impossibilita’ di sanatoria, nel mancato rispetto di vincoli e nella conseguente violazione di piu’ disposizioni, nell’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, nella totale assenza di titolo abilitativo o nel grado di difformita’ dallo stesso, nel rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente, nelle modalita’ di esecuzione dell’intervento (Sez. 3, n. 19111 del 10/03/2016, Mancuso, Rv. 266586).
3.2. Diversamente da quanto opina il ricorrente, la Corte territoriale, con valutazione di merito non illogicamente argomentata e qui non sindacabile, ha fatto buon governo di tali principi. Si e’ infatti osservato che l’imputato aveva realizzato su terreno agricolo – modificandone quindi la destinazione – un piazzale destinato alla sosta di automezzi su un’area di oltre 600 mq., collocandovi altresi’ due strutture in metallo ed edificando, su due lati del lotto, una recinzione in blocchi di calcestruzzo e lamiera dell’altezza di ben due metri. Il giudizio, dunque, non ha riguardato soltanto le caratteristiche delle opere abusive in se’, ma anche l’impatto che le stesse avevano determinato nella trasformazione urbanistica di un’area di apprezzabili dimensioni in contrasto con la destinazione agricola, e percio’ non sanabile. La sentenza impugnata, concordando con la conforme valutazione fatta dal primo giudice, ha peraltro valutato anche l’intensita’ dell’elemento soggettivo che, lungi dal poter consentire di qualificare la condotta – come sostiene l’imputato – come un mero “errore”, ha indotto a ritenerne la natura dolosa perche’ espressione “di uno stile di vita fondato sulla soddisfazione dei propri interessi, seppure confliggenti con la legge”.
Del pari incensurabile e’ la mancata valorizzazione della successiva rimozione delle opere abusive, in quanto effettuata – nota la sentenza – non gia’ spontaneamente ed immediatamente dopo la contestazione, ma solo a seguito, ed in ottemperanza, all’ordinanza di demolizione adottata dal Comune. Pur essendo vero che per la valutazione sulla particolare tenuita’ dell’offesa di cui all’articolo 131 bis c.p., non e’ del tutto indifferente considerare se, e fino a quando, perdurino le conseguenze lesive di un reato permanente (cfr. Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, Derossi, Rv. 265448), da un lato va ribadito che per tale giudizio occorre innanzitutto esaminare l’oggettiva gravita’ del danno arrecato all’interesse protetto al momento della consumazione del reato, d’altro lato non puo’ appunto attribuirsi valore positivo ad una condotta riparatrice non immediata e, soprattutto, non spontanea, ma imposta sotto minaccia dell’applicazione di ulteriori sanzioni, anche gravi (si allude all’acquisizione gratuita dell’area interessata al patrimonio comunale, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, comma 3).
3.3. Gli stessi argomenti sfavorevoli – non sminuiti dalla giovane eta’ dell’imputato, chiosa la sentenza – sono stati correttamente e non illogicamente valutati, ai sensi dell’articolo 133 c.p., per escludere che sussistessero le ragioni invocate per ottenere le circostanze attenuanti generiche.
Nel ribadire, in ricorso, la mancata valorizzazione dei medesimi elementi piu’ sopra richiamati, il ricorrente sottopone a questa Corte una doglianza non consentita posto che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ – come nella specie – sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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