Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 aprile 2023| n. 10264.

Per la casa coniugale acquistata in comunione dei beni ed occupata da uno dei coniugi il coniuge non occupante ha diritto ad avere un indennizzo indiretto

Per la casa coniugale acquistata in comunione dei beni ed occupata da uno dei coniugi anche successivamente al rigetto da parte del Giudice della separazione sulla richiesta di assegnazione esclusiva, il coniuge non occupante ha diritto ad avere un indennizzo indiretto per il mancato godimento del bene a causa dell’occupazione dell’altro, per i frutti non goduti del bene in comunione, a far data non dalla sentenza di separazione bensì  da quella di un’esplicita richiesta di rilascio del bene ovvero di ricevere la propria quota dei diritti non goduti da parte del coniuga occupante.

Ordinanza|18 aprile 2023| n. 10264. Per la casa coniugale acquistata in comunione dei beni ed occupata da uno dei coniugi il coniuge non occupante ha diritto ad avere un indennizzo indiretto

Data udienza 5 dicembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave COMUNIONE E CONDOMINIO – COMUNIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19811-2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. (OMISSIS) e domiciliato “ex lege” in Roma, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, p.zza Cavour;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo Studio dell’Avv. (OMISSIS);
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 5456-2017, pubblicata il 28 dicembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre 2022 dal Consigliere Milena Falaschi.

Per la casa coniugale acquistata in comunione dei beni ed occupata da uno dei coniugi il coniuge non occupante ha diritto ad avere un indennizzo indiretto

Osserva in fatto e in diritto

Ritenuto che:
– con atto di citazione notificato nel maggio 2010, (OMISSIS) evocava, dinanzi al Tribunale di Milano, (OMISSIS) chiedendone la condanna al pagamento di un importo non inferiore ad Euro 250,00 mensili a titolo di indennita’ di occupazione dell’immobile acquistato, in costanza di matrimonio, in regime di comunione, nel quale il convenuto era rimasto ad abitare nonostante il rigetto della sua domanda di assegnazione della casa coniugale;
– instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che spiegava anche domanda riconvenzionale, deducendo che l’immobile non ricadeva tra i beni oggetto di comunione legale ai sensi dell’articolo 179 c.c. lettera b), poiche’ frutto di una donazione indiretta a lui pervenuta dai genitori, il giudice adito, con sentenza n. 3150 del 2016, condannava il (OMISSIS) al pagamento in favore dell’attrice dell’importo di Euro 3.150,00 annui, oltre rivalutazione ISTAT, dal febbraio 2007 fino allo scioglimento della comunione tra le parti sull’immobile in questione;
– in virtu’ di impugnazione interposta dal (OMISSIS), la Corte di appello di Milano, nella resistenza della (OMISSIS), con sentenza n. 5456 del 2017, rigettava l’appello e confermava la sentenza del giudice di prime cure con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese di lite.
Nel dettaglio, la Corte riteneva i motivi dell’appellante infondati, in quanto, condividendo le motivazioni del giudice di primo grado, affermava che non rilevavano le affermazioni dell’appellante in ordine all’avvenuto acquisto dell’appartamento con i proventi ricevuti dai propri genitori essendo il bene di proprieta’ di entrambi i coniugi come risultava per tabulas. La Corte infatti affermava che non si poteva in alcun caso escludere che l’immobile fosse entrato a far parte della comunione legale coniugale considerando che risultava intestato ad entrambi ed era stato acquistato in costanza di matrimonio, in regime di comunione legale dei beni.
Aggiungeva che l’appellante non aveva fornito idonea prova a far constatare che, nonostante la formale contitolarita’, l’immobile fosse in realta’ di sua proprieta’ esclusiva.
Da ultimo la Corte riteneva privo di fondamento la doglianza secondo cui il Tribunale si era limitato a una affermazione apodittica non corredata dalla indicazione delle ragioni a sostegno della decisione rendendo impossibile il controllo del proprio convincimento quanto all’entita’ dell’assegno di mantenimento della figlia minore ragguagliato tenendo conto che egli occupava in via esclusiva la casa familiare, dal momento che si trattava di circostanza vagliata al solo fine di accertare la capacita’ economica e patrimoniale dei genitori al fine di determinare il contributo in percentuale;
– avverso la sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, il (OMISSIS), cui ha resistito con controricorso la (OMISSIS);
– in prossimita’ dell’adunanza camerale parte controricorrente ha anche curato il deposito di memoria ex articolo 380 bis.1 c.p.c..
Considerato che:
– deve preliminarmente respingersi l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso in quanto privo di firma digitale dei difensori e notificato a mezzo pec in formato p.d.f. dedotta nel controricorso.
Il ricorso reca – in calce – la firma autografa del difensore e la procura risulta sottoscritta dallo stesso (OMISSIS) ricorrente con firma autenticata dal difensore. Tali elementi, unitamente all’estensione del formato digitale (pdf) del ricorso notificato a mezzo pec, escludono che l’atto sia stato originariamente creato in formato digitale.
Trattasi invece di impugnazione originariamente in formato analogico, successivamente riprodotta in formato digitale ai fini della notifica telematica ex lege n. 53 del 1994, munita di attestazione di conformita’ al documento originale, che non richiedeva, quindi, la firma digitale dei difensori (firma che e’ presente, invece, in calce alla notifica a mezzo pec), essendo sufficiente âEuroËœattestazione di conformita’ all’originale della copia telematica notificata, secondo le disposizioni vigenti “ratione temporis” (Cass. n. 26102 del 2016; Cass. n. 7904 del 2018; Cass. n. 27999 del 2019), mentre non ha alcun rilievo che il file digitale sia stato formato in formato “pdf” anziche’ “p7m” (Cass., Sez. Un., 10266 del 2018);
– venendo al merito, con l’unico motivo parte ricorrente deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e la falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ degli articoli 155 e 1102 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale aveva riconosciuto alla (OMISSIS) il diritto al risarcimento da mancato godimento del bene nonostante il mancato dissenso all’utilizzo dell’immobile oggetto del contenzioso da parte della stessa e per avere, in ogni caso, erroneamente quantificato la relativa indennita’ di occupazione. La censura e’ fondata nei limiti di seguito illustrati.
Nel sistema della comunione del diritto di proprieta’ per quote ideali ciascun partecipante gode del bene comune in maniera diretta e promiscua, cioe’ come puo’ purche’ non ne alteri la destinazione e non impedisca l’esercizio delle pari facolta’ di godimento che spettano agli altri comproprietari (articolo 1102 c.c.). Allorche’ per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, i comproprietari possono deliberarne l’uso indiretto (a maggioranza o all’unanimita’, secondo il tipo di uso deliberato: cfr. articoli 1105 e 1108 c.c.).
Se, allora, la natura del bene di proprieta’ comune non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari (come accertato in fatto per l’abitazione coniugale in questione), l’uso comune puo’ realizzarsi o in maniera indiretta oppure, appunto, mediante avvicendamento con un uso turnario da parte dei comproprietari, utilizzo che costituisce corretto esercizio del potere di regolamentazione dell’uso della cosa comune da parte della maggioranza, in quanto non ne impedisce il godimento individuale, ed evita, piuttosto, che, attraverso un uso piu’ intenso da parte di singoli comunisti, venga meno, per i restanti, la possibilita’ di godere pienamente e liberamente della cosa durante i rispettivi turni, senza subire alcuna interferenza esterna (cfr. Cass. n. 7881 del 2011; Cass. n. 20394 del 2013; Cass. n. 29747 del 2019; Cass. n. 35210 del 2021).
In tal senso rileva il Collegio che, pur essendo pacifica nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui il condividente che non tragga diretto godimento dal bene in comunione, possa chiedere la propria quota parte dei frutti del bene al condividente che invece ne abbia il concreto godimento, non appare condivisibile la decisione del giudice di secondo grado che ha ritenuto di riconoscere il diritto ad indennita’ della (OMISSIS) fin dal febbraio 2007, a far tempo dalla sentenza di separazione dei coniugi, con pronuncia n. 2643 del 2007, in mancanza di una richiesta di rilascio del bene in favore della controricorrente ovvero di istanza di uso turnario del bene medesimo o di richiesta da parte della stessa di ricevere la quota parte dei frutti non goduti (pertanto, in mancanza di accertamenti circa le concrete richieste della condividente non beneficiaria del bene a ricevere siffatti frutti). Infatti, dalla sentenza impugnata si ricava che l’oggetto di comunione e’ l’abitazione coniugale e dunque una cosa per definizione idonea a produrre frutti civili, di cui il (OMISSIS) ne ha goduto in via esclusiva. Sulla base di tali premesse di fatto, la Corte d’appello ha falsamente applicato (invece delle norme sulla comunione) l’articolo 1148 c.c., che disciplina il caso, affatto diverso, della sorte dei frutti naturali o civili percepiti dal possessore di buona fede il quale debba restituire la cosa al rivendicante. Tale norma regola l’attribuzione dei frutti nel conflitto esterno tra possessore in buona fede e proprietario, e dunque non puo’ operare per disciplinare il diverso problema della ripartizione interna fra piu’ comproprietari dei frutti ritratti o ritraibili dalla cosa comune.
Per le considerazioni svolte la sentenza impugnata va cassata in relazione alla parte di motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che nel decidere la controversia si atterra’ al principio di diritto secondo cui “in materia di comunione del diritto di proprieta’, allorche’ per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, secondo quanto prescrive l’articolo 1102 c.c., i comproprietari possono deliberarne l’uso indiretto. In mancanza di deliberazione, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili con decorrenza dalla data in cui allo stesso perviene manifestazione di volonta’ degli altri comproprietari di avere un uso turnario o comunque di godere per la loro parte del bene”.
Ai sensi dell’articolo 385, comma 3 c.p.c., il giudice di rinvio provvedera’ altresi’ sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione alla parte di motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

 

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