Per accedere alla sanatoria edilizia

Consiglio di Stato, Sentenza|22 marzo 2021| n. 2450.

Per accedere alla sanatoria edilizia è indispensabile che venga identificato l’oggetto, ossia la costruzione abusiva, che il richiedente si propone di legittimare; individuazione che il mero pagamento di una somma di denaro con bollettino postale non è idonea a fornire. Tale pagamento, su c/c destinato alle oblazioni per abusivismo edilizio, lascia intendere l’intenzione di oblare un qualche illecito di natura edilizia ma certamente non vale a determinare lo specifico abuso da condonare. Per quanto libera possa intendersi la forma della domanda, essa nondimeno deve presentare gli elementi essenziali per renderla riconoscibile come tale e l’indicazione dell’oggetto è uno di questi elementi; va, quindi, escluso che il mero pagamento di una parte dell’oblazione sia idoneo al raggiungimento dello scopo o valga inequivocabilmente a manifestare la volontà di chi ha effettuato il versamento di perseguire il condono.

Sentenza|22 marzo 2021| n. 2450

Data udienza 29 settembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Ingiunzione di demolizione – Fabbricato realizzato senza concessione – Oblazione – Art. 39, L. n. 724/1994 – Attivazione del procedimento di sanatoria – Volontà di chiedere il condono – Forma libera per la redazione della domanda – Domanda tardiva – Omessa indicazione specifica dell’abuso da condonare

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1817 del 2011, proposto dalla signora Si. Co., rappresentata e difesa dagli avvocati El. Ga. e Ma. Me., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Ma. in Roma, viale (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Cr. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Gi. Ri. in Roma, via (…);
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione terza, n. 6429/2010, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
visti tutti gli atti della causa;
relatore, nell’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2020, il consigliere Francesco Frigida e dati per presenti, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, gli avvocati Ma. Me. e Cr. Ca.;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il padre dell’odierna appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. 1105 del 1996 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, avverso l’ordinanza sindacale del Comune di (omissis) prot. n 43887/7384 del 27 dicembre 1995, notificata il 3 gennaio 1996, con cui gli è stata ingiunta la demolizione di un fabbricato realizzato senza concessione e con inizio lavori nell’anno 1994, con struttura portante in cemento armato e copertura a solaio, delle dimensioni di metri 10,5 x 9 x 3,40, in area soggetta a vincolo di inedificabilità per fascia di rispetto stradale.
1.1. Il Comune di (omissis) si è costituito in questo giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.
2. L’odierna appellante ha proposto, dinanzi al medesimo T.a.r., l’ulteriore ricorso di primo grado n. 1552 del 1996, avverso il provvedimento sindacale del Comune di (omissis) prot. n. 4760 del 13 febbraio 1996, ricevuto per posta il 14 febbraio 1996, con cui è stata dichiarata inammissibile la sua domanda di concessione in sanatoria ex art. 39 della legge n. 724/1994, presentata il 15 maggio 1995, in quanto la domanda “doveva essere presentata, a pena di decadenza, entro la data del 31.03.1995”.
2.1. Il Comune di (omissis) si è costituito anche in tale giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.
3. Con l’impugnata sentenza n. 6429 del 4 ottobre 2010, il T.a.r. per la Toscana, sezione terza, ha riunito i due ricorsi e li ha respinti entrambi; ha altresì condannato, in solido, i ricorrenti in primo grado al pagamento, in favore del Comune di (omissis), delle spese di litte, liquidate in euro 3.000 oltre agli accessori.
4. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 10 febbraio 2011 e in data 10 marzo 2011 – la sola ricorrente del secondo ricorso di primo di grado ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando un unico motivo, in relazione al rigetto del ricorso n. 1552 del 1996, sicché per la restante parte la pronuncia del T.a.r. è passata in giudicato.
5. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio, eccependo l’inammissibilità del gravame e comunque la sua infondatezza.
6. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 29 settembre 2020.
7. In limine litis, si rileva che: il 28 febbraio 2020 il Comune di (omissis) ha depositato memoria ex art. 73 del codice del processo amministrativo; il 10 marzo 2020 l’appellante ha depositato memoria di replica ex art. 73 c.p.a.; a causa dell’emergenza sociosanitaria causata dal Covid-19, l’udienza del 31 marzo 2020 è stata rinviata al 29 settembre 2020; il 29 luglio 2020 il Comune di (omissis) ha depositato una nuova memoria ex art. 73 c.p.a.; l’8 settembre 2020 l’appellante ha depositato una nuova memoria di replica ex art. 73 c.p.a., in cui ha eccepito l’inammissibilità dell’ultima memoria del Comune di (omissis).
Tanto premesso, il Collegio stralcia la memoria del Comune di (omissis) depositata il 29 luglio 2020 e la memoria di replica dell’appellante depositata l’8 settembre 2020, trattandosi di terze memorie non previste dall’art. 73 del codice del processo amministrativo.
8. In via pregiudiziale, va respinta l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione formulata dal Comune di (omissis). Ed invero, non sussiste, a differenza di quanto sostenuto dall’appellato, la mancata impugnazione dell’altra parte della sentenza non determina la carenza di interesse dell’appellante alla statuizione circa la tempestività della propria domanda di condono presentata ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724/1994, che qualora venisse accolta potrebbe tuttora recare benefici all’odierna appellante, in quanto il condono non sarebbe precluso da una precedente diffida a demolire il fabbricato, ormai non più annullabile in sede giurisdizionale, ma recessiva rispetto ad un’eventuale sanatoria.
9. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.
10. L’appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza di primo grado, laddove il T.a.r. ha respinto l’unico motivo del ricorso di primo grado n. 1552 del 1996, inerente ad un’asserita violazione dei principi recati dalle leggi numeri 47/1985 e 724/1994, ad una violazione dell’art. 39 della legge n. 724/1994, della legge n. 241/1990 e del principio del giusto procedimento, nonché alla presenza di eccesso di potere per illogicità manifesta.
In particolare, ad avviso dell’interessata, il pagamento dell’oblazione avvenuto il 27 marzo 1995 e, quindi, entro il termine del 31 marzo 1995, previsto dall’art. 39 della legge n. 724/1994, renderebbe tempestiva l’attivazione del procedimento di sanatoria, siccome il predetto pagamento costituirebbe mezzo idoneo a manifestare inequivocabilmente la volontà di chiedere il condono, non essendo imposta una forma vincolata per la redazione della domanda.
La parte privata ha dedotto che i principi di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa derivanti dalla legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo e quelli sottesi alla disciplina dei condoni edilizi dovrebbero dequotare la rilevanza del termine finale legislativamente imposto, che non dovrebbe, pertanto, essere considerato di tipo perentorio.
L’appellante ha richiamato altresì il principio dell’assenza di forme vincolate per la domanda di sanatoria e la regola del raggiungimento dello scopo mutuata dalla disposizione di cui all’art. 156, comma 3, del codice di procedura civile.
Tali doglianze sono infondate.
Del tutto correttamente, infatti, il T.a.r. ha osservato che “Per accedere alla sanatoria edilizia è indispensabile che venga identificato l’oggetto, ossia la costruzione abusiva, che il richiedente si propone di legittimare; individuazione che il mero pagamento di una somma di denaro con bollettino postale non è idonea a fornire. Tale pagamento, su c/c destinato alle oblazioni per abusivismo edilizio, lascia intendere l’intenzione di oblare un qualche illecito di natura edilizia ma certamente non vale a determinare lo specifico abuso da condonare. Per quanto libera possa intendersi la forma della domanda, essa nondimeno deve presentare gli elementi essenziali per renderla riconoscibile come tale e l’indicazione dell’oggetto è uno di questi elementi; va, quindi, escluso che il mero pagamento di una parte dell’oblazione effettuato entro il termine del 31.03.1995 sia idoneo al “raggiungimento dello scopo” o valga “inequivocabilmente” a manifestare la volontà di chi ha effettuato il versamento di perseguire il condono dello specifico manufatto di cui si discute (tra l’altro di proprietà di altro soggetto), come sostiene la ricorrente”.
Al riguardo si evidenzia che la domanda di sanatoria (datata 15 maggio 1995) è stata presentata dall’interessata il 16 maggio 2016 e, quindi, dopo la scadenza del termine finale fissato dall’art. 39 della legge n. 724/1994 (ovverosia il 31 marzo 1995) e che, prima di siffatta scadenza, l’odierna appellante aveva versato la prima rata dell’oblazione senza indicare in alcun modo l’abuso edilizio a cui tale pagamento si riferiva.
Orbene, innanzi tutto si rileva che la domanda del 16 maggio 2016 è certamente tardiva. Il termine finale per la presentazione delle domande di condono, infatti, è senza dubbio perentorio, stante il tenore letterale dell’art. 39, comma 4, della legge n. 724/1994 (“La domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria, con la prova del pagamento dell’oblazione, deve essere presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31 marzo 1995”).
Ciò posto, va sottolineato che il pagamento del 27 marzo 1995 non può essere assimilato ad una domanda di condono, poiché, a differenza dell’effettiva domanda del 16 marzo 1995, esso (bollettino postale) indicava solo l’importo, nonché il nome, il cognome, e la residenza dell’interessata, senza alcuna indicazione del fabbricato da condonare (ubicazione, destinazione, dimensioni e datazione).
Ne discende che tale pagamento non ha il carattere di esplicita, formale ed inequivoca manifestazione di volontà idonea ad attivare il procedimento di condono su basi di ragionevole certezza giuridica.
Va specificato altresì che il su citato comma 4 dell’art. 39, prevedendo che, entro il termine di decadenza, debbano essere effettuate sia la presentazione della domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria sia la presentazione della prova del pagamento dell’oblazione, esclude logicamente che quest’ultimo adempimento possa surrogare il primo.
Sono peraltro inconferenti i richiami ai principi di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, atteso che essi traggono linfa dal rigoroso rispetto di termini acceleratori, mentre la possibilità, sostenuta dall’appellante, di procrastinare in modo incerto la scansione temporale di un procedimento ad istanza di parte andrebbe a detrimento dell’effettività di siffatti principi.
Inoltre l’asserito scopo legislativo di legittimare in via generale gli abusi edilizi e l’interesse del soggetto pubblico alla riscossione delle oblazioni non possono minimamente condurre all’ampliamento del perimetro delle norme della legislazione condonistica, sia in senso materiale che temporale, poiché si tratta di una disciplina eccezionale, che non può essere applicata oltre i tempi e i modi in essa stabiliti.
Infine nel caso di specie nessun rilievo assume il principio recato dall’art. 156, comma 3, c.p.c., in quanto afferente agli processuali e non ai termini di avvio di un procedimento amministrativo.
11. In conclusione l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
12. In applicazione del principio della soccombenza, al rigetto dell’appello segue la condanna dell’appellante al pagamento, in favore del Comune di (omissis), delle spese di lite del presente grado di giudizio, che, tenuto conto dei parametri stabiliti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e dall’art. 26, comma 1, del codice del processo amministrativo, si liquidano in euro 2.500 (duemilacinquecento), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali), se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1817 del 2011, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata; condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di (omissis), delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate in euro 2.500 (duemilacinquecento), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali), se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2020, con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Francesco Frigida – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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