Peculato e le “spese di rappresentanza”

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|29 aprile 2021| n. 16465.

In tema di peculato, rientrano tra le “spese di rappresentanza” dei consiglieri regionali legittimamente rimborsabili soltanto quelle destinate a soddisfare un’esigenza funzionale del gruppo consiliare, strumentale all’operatività del consiglio, e non un bisogno o un’esigenza personale. Attengono, in particolare, alla funzione di rappresentanza dell’ente quelle spese che, per consuetudine o per motivi di reciprocità, sono sostenute in occasione di rapporti di carattere ufficiale tra soggetti aventi veste rappresentativa del gruppo e soggetti esterni, appartenenti ad altri enti o rappresentativi della società civile, nonché le spese connesse a eventi ed iniziative di carattere istituzionale, sempre che tali esborsi siano rivolti a beneficio di soggetti esterni all’ente e che ne sia data giustificazione causale, con indicazione dell’interesse perseguito, dell’occasione e del destinatario.

Sentenza|29 aprile 2021| n. 16465

Data udienza 23 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Peculato e le “spese di rappresentanza”: Peculato – Spese – Componenti dei gruppi del consiglio regionale – Rimborso con soldi pubblici – Esclusione – Spese non legate alla funzione svolta

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. GIORGI Maria S – rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

Dott. DI GERONIMO Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/11/2019 della Corte d’appello di Cagliari;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Maria Silvia Giorgi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Angelillis Ciro, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione per gli episodi commessi fino al 24/11/2008 e il rigetto nel resto del ricorso con conseguente rideterminazione della pena;
udito il difensore dell’imputato, Avv. (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Peculato e le “spese di rappresentanza”:

1. Con sentenza del 17 aprile 2018 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cagliari, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava (OMISSIS) colpevole del reato di peculato continuato (dal 13 giugno 2006 al 22 dicembre 2009), previsto dagli articoli 81 cpv. e 314 c.p., perche’, nella qualita’ di consigliere del gruppo UDC costituito in seno all’Assemblea della Regione Sardegna e di tesoriere del medesimo gruppo dal 23 marzo 2009 al 18 gennaio 2010, s’era appropriato delle somme di denaro erogate dal Consiglio regionale come contributo per il funzionamento del gruppo di appartenenza, per complessivi Euro 168.552,00 di cui Euro 78.552,00 tramite assegni e bonifici tratti dal conto corrente del gruppo da luglio 2006 a febbraio 2009 ed Euro 90.000,00 prelevati in contanti dal medesimo conto da luglio a dicembre 2009, indebitamente utilizzando tali somme per finalita’ estranee alle previsioni normative.

Peculato e le “spese di rappresentanza”:

 

2. La Corte d’appello di Cagliari, pur confermando la responsabilita’ dell’imputato, dichiarava non doversi procedere per nove episodi commessi fino al (OMISSIS) perche’ estinti per prescrizione, rideterminando la pena in anni 1 mesi 11 e giorni 6 di reclusione (p.b. anni 3 per il piu’ grave episodio del 30 luglio 2009, ridotta ad anni 2 per le attenuanti generiche, aumentata di mesi 10 e gg. 25 per la continuazione, nella misura di gg. 5 per ciascuno dei 19 episodi residui della XIII legislatura, e di mesi 7 e gg. 20 per i prelievi in contanti del 2009, infine diminuita di un terzo per il rito).
L’enunciato di accusa, confermato nei giudizi di merito, assume che la destinazione effettiva delle somme percepite da (OMISSIS) sarebbe stata incompatibile con quanto dichiarato in sede di rendiconto annuale, cioe’ inconferente rispetto alla attivita’ politica e istituzionale del gruppo di appartenenza. Non risultava documentato che i contributi destinati al gruppo consiliare UDC fossero stati utilizzati per l’organizzazione, l’attivita’, gli studi, le consulenze e gli aggiornamenti, gli eventi e incontri conviviali, i viaggi e le missioni riferibili agli interessi del medesimo gruppo, al soddisfacimento dei quali era esclusivamente mirata l’erogazione. (OMISSIS) aveva in realta’ destinato larga parte di quelle somme alla promozione dell’attivita’ individuale, al rafforzamento del suo prestigio politico nella circoscrizione di Sassari, territorio elettorale di riferimento, con un ufficio politico gestito a tal fine dal collaboratore (OMISSIS), ritenuto un semplice “portaborse”, non incaricato del raccordo con gli altri uffici del gruppo e da lui direttamente retribuito. I Giudici del merito hanno escluso che tali spese – come pure quelle inerenti all’uso della propria autovettura per trasferte e viaggi di tipo politico o quelle consegnate per rimborso forfettario pro quota ai singoli consiglieri del gruppo – fossero giustificate o potessero qualificarsi “di rappresentanza”, in assenza di un collegamento funzionale di tali spese con gli interessi del gruppo di appartenenza e di una puntuale e coeva documentazione contabile, a riscontro delle deposizioni a discarico dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). D’altra parte, anche a voler accreditare le generiche giustificazioni di spesa fornite dall’imputato, resterebbe privo di giustificazione contabile il consistente importo di Euro 30.149,83.

Peculato e le “spese di rappresentanza”:

A prescindere da un obbligo normativo di rendiconto, sussisteva un obbligo costituzionale di giustificazione delle spese, quale indicazione puntuale e coeva della destinazione nell’ambito delle finalita’ connesse alle specifiche competenze, integrando il reato di peculato l’utilizzo di denaro pubblico di cui non venga data giustificazione certa, nel rispetto delle norme generali della contabilita’ pubblica o di quelle derogative previste dalla legge nella singola fattispecie. Sicche’, l’eventuale esistenza di una pur diffusa prassi illegittima non esimeva affatto (OMISSIS) dal corretto utilizzo delle risorse percepite.
L’incensuratezza e la parziale restituzione dell’indebito consentivano tuttavia il riconoscimento delle attenuanti generiche.
3. Il difensore dell’imputato, premesso che era stata prodotta documentazione giustificativa delle spese per Euro 131.207,17 e che la residua somma di Euro 37.349,73 era stata restituita al Consiglio regionale in data 15 novembre 2017, proponeva ricorso avverso la suindicata decisione per i seguenti profili.
Con il primo e il secondo motivo, si denunzia la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto al giudizio di colpevolezza per il delitto di peculato, in relazione alla individuazione e all’erronea interpretazione della norma extrapenale integratrice del precetto penale, circa la disciplina dettata per lo speciale contributo riservato ai gruppi consiliari della Regione Sardegna, nonche’ con riferimento all’erronea inversione dell’onere probatorio e al travisamento delle prove. Si e’ ritenuta automaticamente sussistente la condotta appropriativa sia in caso di mancato o incompleto rinvenimento a distanza di anni di giustificativi di spesa, sia in presenza di giustificativi generici (“muti”) di spese per ogni attivita’ che e’ stata giudicata inadeguata o non strettamente funzionale alle attivita’ politiche, di propaganda e rappresentanza del gruppo consiliare, pur non essendone stata dimostrata dall’accusa l’illecita destinazione. Si e’ negata la finalita’ istituzionale di spese effettuate e considerate viceversa legittime e rimborsabili dagli organi regionali di controllo (Collegio dei Questori e Ufficio di Presidenza, che avevano approvato il rendiconto), ai quali non occorreva allegare alcun documento giustificativo, ad una serie di costi niente affatto singolari ma che inerivano viceversa a tale finalita’: quelli per il funzionamento dell’ufficio politico di Sassari, per la retribuzione del collaboratore esterno (OMISSIS) (il quale aveva supportato il gruppo UDC anche negli anni 2011-2012 dopo la fuoruscita di (OMISSIS)), per gli spostamenti e i viaggi fuori sede, per eventi politici e relativi incontri conviviali, per i contributi ad associazioni culturali, per i(rimborso delle spese sostenute dai singoli componenti del Gruppo.

Peculato e le “spese di rappresentanza”:

Con il terzo motivo si censura l’illogicita’ e l’apparenza della motivazione quanto all’asserita assenza di coeva produzione dei giustificativi di spesa, avendo la Corte travisato il contenuto delle dichiarazioni dei testi (OMISSIS), gia’ dipendente del Consiglio regionale, e (OMISSIS), gia’ consigliere regionale, i quali avevano invece confermato l’esistenza di documentazione giustificativa delle spese per ogni consigliere del gruppo, raccolte dall’amministratore del gruppo in cartelline nominative.
Con il quarto motivo si deduce l’omessa o apparente motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato, con riguardo alla portata delle prescrizioni della normativa nazionale e regionale vigente all’epoca dei fatti, cui il ricorrente si sarebbe uniformato, e agli opposti esiti archiviativi o assolutori, per insussistenza del dolo del peculato, cui s’era pervenuto nei confronti di numerosi altri Consiglieri regionali che avevano seguito la medesima prassi per tipologie di spesa e rimborsi.
Con il quinto motivo si denunzia il vizio di motivazione circa il trattamento sanzionatorio con riferimento all’aumento di pena fissato oltre il minimo di un giorno per ciascun episodio in continuazione.
Con successiva memoria il difensore dell’imputato ribadisce la censura di indebita inversione dell’onere probatorio in punto di interversione del possesso nel reato di peculato, con particolare riguardo all’analisi delle giustificazioni per le singole tipologie di spesa oggetto di rimborso. Fra esse: le spese di viaggio; le spese per eventi e incontri conviviali; le spese per il funzionamento dell’ufficio politico di Sassari; le retribuzioni per la collaborazione esterna di (OMISSIS), che era proseguita a favore del gruppo anche dopo la fuoruscita di (OMISSIS); le somme consegnate pro quota ai consiglieri del gruppo, registrate dall’amministratore secondo la testimonianza (OMISSIS). La documentazione faticosamente recuperata a distanza di anni e fornita dalla difesa, copiosa anche se non esaustiva (rispetto ai contestati Euro 168.552,00 mancano giustificativi per soli Euro 37.349,73), comprovava per tali spese la destinazione istituzionale all’assolvimento di impegni politici all’interno del Gruppo di appartenenza, che, siccome ritenute pertinenti e rimborsabili, avevano sempre superato il vaglio amministrativo-contabile di congruita’ da parte dei competenti organi regionali.
In via subordinata, infine, il difensore chiede dichiararsi l’estinzione del reato per gli episodi in relazione ai quali e’ intervenuta la prescrizione in epoca successiva alla sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Peculato e le “spese di rappresentanza”:

1. Il ricorso non e’ fondato.
2. Vanno preliminarmente, seppure sinteticamente, rimarcati i piu’ recenti approdi giurisprudenziali in tema di natura giuridica dei gruppi consiliari e di vincolo di destinazione delle somme ad essi erogate, rilevanti ai fini della corretta definizione delle finalita’ per le quali e’ lecito fare uso delle somme messe a disposizione dei gruppi consiliari da parte del Consiglio regionale della Regione Sardegna.
Secondo la Corte costituzionale (sentenze n. 1130 del 1988; n. 187 del 1990; n. 39 del 2014; n. 107 del 2015) i gruppi consiliari sono organi del Consiglio regionale al cui interno esprimono i partiti o le correnti che hanno presentato liste di candidati e ogni consigliere deve essere messo in condizione di concorrere all’espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale, contribuendo cosi’ al funzionamento dell’attivita’ assembleare mediante l’elaborazione di proposte e realizzando, nel confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica. Sicche’ risulta valorizzata la connotazione pubblicistica delle funzioni svolte dai gruppi, definiti organi del Consiglio e proiezioni dei partiti politici nell’assemblea regionale, ma anche uffici necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del Consiglio, in quanto funzionalmente inerenti all’istituzione regionale.
Si tratta di principi recepiti dal Consiglio di Stato (sentenza n. 8145 del 2010) e dalla giurisprudenza elaborata dalle Sezioni Unite civili (n. 23257/2014; nn. 8077 e 8622/2015; n. 6895/2016; n. 21927/2018; n. 32618/2018; nn. 1034 e 1035/2019), riguardo alla gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei Consigli regionali ed alla ritenuta giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla responsabilita’ erariale del componente del gruppo, autore di “spese di rappresentanza” prive di giustificativi. Si e’ affermato che: a) i contributi pubblici sono erogati ai gruppi consiliari con gli specifici vincoli ad essi impressi dalla legge, dettagliatamente predefiniti con esplicito ed esclusivo asservimento a finalita’ istituzionali del Consiglio regionale e non a quelle delle associazioni partitiche o, tantomeno, alle esigenze personali di ciascun componente; b) il presidente del gruppo, nel suo ruolo, partecipa alle modalita’ progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonche’ alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo. In questo contesto assume speciale rilievo la sentenza delle Sez. Un. civili, n. 10772/2019, in cui la Corte ha ulteriormente chiarito che la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali e’ soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilita’ erariale, sia perche’ a tali gruppi va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell’organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell’origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo. Nell’occasione, le Sezioni unite, richiamando Corte Cost. n. 235 del 2015, hanno precisato i profili rilevanti, e cioe’: 1) un collegamento teleologico tra spese e finalita’ di preminente interesse pubblico da verificare in termini di congruita’;

Peculato e le “spese di rappresentanza”:

2) una verifica che non attiene al merito delle scelte ovvero all’attivita’ politica, ma alla conformita’ alla legge dell’azione amministrativa, in cui l’astratta riconducibilita’ delle spese a determinate categorie, pur teoricamente previste, non esclude che le stesse siano non inerenti rispetto all’attivita’ del gruppo; 3) una verifica che si realizza anche attraverso il parametro di ragionevolezza, in relazione all’entita’, alla proporzionalita’, alla effettivita’ delle spese, alla veridicita’ della relativa documentazione e che puo’ condurre alla manifesta difformita’ della spesa rispetto al perseguimento delle finalita’ sottese al funzionamento dei gruppi consiliari. Un denaro, quello attribuito ai gruppi, pubblico, gestito da pubblici ufficiali, funzionalmente vincolato nel senso indicato, perche’ il gruppo non e’ un’appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere.
Il tema, decisivo rispetto ai fatti oggetto del processo, attiene dunque al se e in che limiti l’attivita’ del singolo consigliere componente di un gruppo consiliare, esterna rispetto alla diretta partecipazione ai lavori dell’assemblea regionale, debba essere scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, nel senso indicato dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza richiamata. La questione e’ quella di definire la portata del vincolo di destinazione impresso ai contributi erogati dall’ente al gruppo e, quindi, i limiti entro cui di quei contributi e’ possibile fare uso legittimo da parte del singolo consigliere. Limiti in relazione ai quali divenga possibile tracciare, con criteri compatibili con il principio di determinatezza delle condotte penalmente rilevanti, la pertinenzialita’ e la congruita’ dell’avvenuto impiego dei contributi da parte del gruppo (e per esso del suo presidente e dei singoli consiglieri) con riguardo agli scopi e agli obiettivi che di essi contributi costituiscono causa.

Peculato e le “spese di rappresentanza”

3. Con riguardo al quadro normativo vigente all’epoca dei fatti per la Regione Sardegna, correttamente ricostruito dai giudici di merito, occorre premettere che non e’ applicabile la piu’ rigorosa disciplina legislativa, nazionale e regionale, in materia di gestione, rendicontazione e controlli dei contributi versati ai gruppi consiliari regionali, entrata in vigore solo a partire dal 2012. Di talche’, la disciplina delle quote del contributo a favore dei gruppi consiliari e delle indennita’ spettanti ai consiglieri della Regione Sardegna, applicabile all’epoca dei fatti, e’ costituita dalla Legge Regionale n. 2 del 1966, modif. dalla Legge Regionale n. 37 del 1995, secondo cui l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale determina le modalita’ e i termini della rendicontazione finale sull’utilizzo del contributo.
A sua volta, la normativa regolamentare applicabile all’epoca dei fatti e’ costituita dal Delib. dell’Ufficio di Presidenza n. 293 del 1993, articolo 1 della, per la quale:
– i gruppi sono tenuti ogni anno a presentare il rendiconto sull’utilizzo del contributo ricevuto;
– il rendiconto si articola in una situazione finanziaria (redatta secondo un modello vincolato per voci e importi) e in una relazione illustrativa, sottoscritta dal presidente e dall’amministratore del gruppo, sull’andamento generale, recante informazioni specifiche su determinate voci di spesa;
– la situazione finanziaria e la relazione illustrativa sono presentate entro il mese di marzo al Collegio dei Questori, i quali controllano la regolarita’ dei rendiconti e ne riferiscono all’Ufficio di Presidenza in sede di esame del conto consuntivo, cui sono allegati i rendiconti dei singoli gruppi, e di approvazione definitiva da parte del Consiglio regionale;
– i contributi devono essere destinati all’organizzazione del gruppo consiliare e alla relativa attivita’ politica, convegnistica, di studio, aggiornamento e consulenza, ufficio stampa, spese generali e per provvista di beni e servizi, spese per il personale e di amministrazione, rimborso spese ai componenti del gruppo per viaggi e missioni, spese di rappresentanza e per altre attivita’, comunque funzionali all’esistenza, al funzionamento e agli obiettivi del gruppo, quale articolazione dell’Assemblea legislativa regionale;
– ai fini della rendicontazione non e’ prescritta la documentazione delle spese.
Si e’ chiarito anche che: a) i fondi erogati ai gruppi erano trasferiti sui conti correnti di questi ed i fondi erano immediatamente a disposizione del gruppo; b) la gestione e l’operativita’ del conto su cui confluivano i fondi era devoluta al presidente o all’amministratore del gruppo, che aveva accesso diretto al denaro e predisponeva ogni fine anno una nota riepilogativa riguardante l’utilizzazione dei fondi erogati, articolata per categorie, voci e importi; c) non erano previsti controlli di funzionari regionali sulla tipologia di spese effettuate dai gruppi, ne’ la verifica dei documenti giustificativi; d) ciascun gruppo curava, con proprio personale, la gestione dei giustificativi di spesa e la tenuta della contabilita’.

Peculato e le “spese di rappresentanza”

Ne deriva che al presidente o all’amministratore dei gruppi, nella veste di pubblico ufficiale, era attribuita una funzione di vigilanza, che trovava la sua ragione nel vincolo di destinazione pubblica del denaro e nel dovere di predisporre la nota riepilogativa di fine anno – articolata per categorie, voci e importi – relativa alla utilizzazione dei fondi erogati al gruppo, in funzione della quale s’indicava la idoneita’ della documentazione strumentale a consentire la liquidazione delle somme (Sez. 6, n. 1561 del 01/09/2018, dep. 2019, Fiorito, Rv. 274940; Sez. 6, n. 14580 del 02/02/2017, Narduzzi, Rv. 269536; Sez. 6, n. 49976 del 03/12/2012, Fiorito, Rv. 254033).
Dunque, ai sensi della regolamentazione regionale vigente al momento in cui i fatti furono commessi, le spese di cui i consiglieri chiedevano il rimborso potevano essere imputate al fondo per il funzionamento dei gruppi solo se connesse alle funzioni istituzionali – intesi quali organi o articolazioni strumentali rispetto all’operativita’ del Consiglio regionale e non come appendici dei partiti di appartenenza – e alle iniziative in senso lato politiche dei medesimi gruppi, attingendo ai fondi pubblici in modo conforme alle iniziative individuate dal gruppo per le finalita’ istituzionali dello stesso.
Viceversa, si desume a contrario che non potevano essere imputate: a) le spese connesse all’attivita’ politica dei partiti, di cui i consiglieri erano espressione, che non fossero connesse a specifiche iniziative decise dal gruppo e mirate al funzionamento del gruppo; b) le spese che i singoli consiglieri sostenevano per la personale attivita’ politica o per la cura e l’incremento del personale consenso politico e delle relazioni personali sul territorio, ma del tutto scissi da puntuali iniziative del gruppo; c) le spese che i consiglieri avevano per l’organizzazione di iniziative politiche che non trovassero nel gruppo la fonte di riferimento; d) le spese connesse alle esigenze private del consigliere.
4. Cio’ posto, risultano infondati tutti i motivi di ricorso che, pur analiticamente distinti, sono strettamente connessi nell’enunciazione delle linee di fondo che postulano una diversa ricostruzione sistematica dei principi giuridici affermati in materia e che mirano a disegnare il senso e la portata della “inerenza” del potere di spesa rispetto allo scopo istituzionale in modo ingiustificatamente estensivo, al punto da farvi ricomprendere qualunque spesa e qualunque attivita’ latamente politica del singolo consigliere, pur se in realta’ slegata dal funzionamento dei gruppi, perche’ volta al perseguimento di personali o private finalita’. Affermare che anche il singolo consigliere potesse dare attuazione alle iniziative del gruppo di appartenenza non consente affatto di ritenere che le spese derivanti da ogni atto, comportamento, partecipazione del singolo consigliere a un evento fosse espressione dell’iniziativa del gruppo e che quindi ogni spesa – in quanto di per se’ legata all’attivita’ politica del singolo consigliere – fosse imputabile al fondo.

Peculato e le “spese di rappresentanza”

Il tema non e’ quello, prospettato dal ricorrente, se l’iniziativa del gruppo potesse essere attuata dal singolo consigliere, quanto, piuttosto, se esistesse una iniziativa del gruppo in ragione delle spese, ad esempio di rappresentanza, di cui il consigliere chiedeva il rimborso. Le somme con cui veniva formato il fondo per il funzionamento dei gruppi non costituivano una sorta di elargizione liberale di denaro da parte della Regione che i singoli consiglieri potevano “modellare” liberamente, in ragione del loro status di consigliere e del personale attivismo politico, non costituendo somme di cui si poteva disporre per gestire il consenso politico del singolo o per tessere relazioni personali in prospettiva di utilita’ della propria carriera politica, all’interno o all’esterno del partito di appartenenza.
Dunque, non sono spese legittimamente rimborsabili quelle prive di uno specifico collegamento con il gruppo, quelle cioe’ non imputabili a iniziative o attivita’ facenti capo al gruppo, bensi’ giustificate in ragione dell’attivita’ politica della sola persona del consigliere o della remunerazione dovuta ai propri collaboratori; quelle cioe’ non destinate all’accrescimento della capacita’ operativa del gruppo all’interno del Consiglio, ma connesse solo alla proiezione esterna del singolo consigliere o del partito di appartenenza – quali la cura del proprio consenso, l’incremento della personale visibilita’, le relazioni personali sul territorio, con l’informazione e con gli elettori – (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-04).
5. Pertanto, una volta precisati i termini del thema decidendum, la tesi difensiva non coglie nel segno e rivela la sua infondatezza perche’ si e’ accertato nel giudizio di merito che le spese, per le quali, nella specie, e’ stato chiesto e ottenuto il rimborso, non erano inerenti alle finalita’ istituzionali del gruppo.
E’ vero che nelle rendicontazioni presentate da (OMISSIS), consigliere e tesoriere del Gruppo UDC, per gli esercizi della XIII e XIV legislatura dal 2006 al 2009, non e’ stata rilevata alcuna irregolarita’ o incongruita’ da parte degli organi preposti al controllo sull’utilizzo dei fondi erogati per l’attivita’ del gruppo, cioe’ dal Collegio dei Questori, dall’Ufficio di Presidenza o dal Consiglio regionale: controllo di merito che – come si e’ detto – prescindeva dall’allegazione dei giustificativi di spesa.
Tuttavia, l’imputazione assume che la destinazione effettiva delle somme percepite da (OMISSIS) sarebbe stata incompatibile con quanto dichiarato in sede di rendiconto annuale, cioe’ inconferente rispetto all’attivita’ politica e istituzionale del gruppo di appartenenza. Non risultava documentato che i contributi destinati al gruppo consiliare UDC fossero stati effettivamente utilizzati per l’organizzazione, la rappresentanza, l’attivita’, gli studi, le consulenze e gli aggiornamenti, gli eventi e incontri conviviali, i viaggi e le missioni, decisi dal gruppo o comunque riferibili esclusivamente agli interessi dello stesso. (OMISSIS) avrebbe in realta’ destinato larga parte di quelle somme alla promozione dell’attivita’ politica individuale, al rafforzamento del personale prestigio nella circoscrizione di Sassari, territorio elettorale di riferimento, con un ufficio gestito a tal fine dal collaboratore personale (OMISSIS), da lui direttamente retribuito.

Peculato e le “spese di rappresentanza”

I Giudici del merito hanno escluso che tali spese – come pure quelle inerenti all’uso della propria autovettura per trasferte e viaggi di tipo politico o quelle consegnate per rimborso forfettario pro quota ai singoli consiglieri del gruppo – fossero giustificate o potessero qualificarsi “di rappresentanza”, in assenza di un comprovato collegamento funzionale di esse con gli interessi del gruppo di appartenenza e di una puntuale e coeva documentazione contabile.
Di cio’ nella sentenza si offre ampiamente conto con analisi specifiche delle destinazioni allegate dal ricorrente rispetto ad attivita’ latamente politiche, senza alcuna connessione con la finalita’ istituzionale per cui le somme sono state erogate.
D’altra parte, l’eventuale esistenza di una pur diffusa prassi illegittima non esimeva affatto (OMISSIS) dal corretto utilizzo delle risorse percepite, escludendo la rilevanza penale dell’illecita interversione del possesso del denaro (Sez. 6, n. 10020 del 03/10/1996, Pravisani, Rv. 206365). Deve ribadirsi, in proposito, l’insegnamento di questa Corte (Sez. 6, n. 22523 del 20/03/2018, Aliberti, Rv. 273102), secondo cui nessuna valenza scriminante puo’ attribuirsi a un comportamento contra legem alla cui formazione lo stesso pubblico ufficiale abbia contribuito: grava, infatti, su chi e’ professionalmente inserito in un settore collegato alla materia disciplinata dalla norma integratrice del precetto penale, un dovere di diligenza “rafforzato” di informazione e di rispettare la legge ed i regolamenti che ne contemplano l’attivita’.
Le considerazioni esposte assumono rilievo anche per quel che concerne la prova della condotta appropriativa, che non coincide affatto – come sostiene il ricorrente – con l’assenza di giustificazione della spesa. Ai fini della prova della responsabilita’ penale e della condotta di appropriazione, si ripete da parte della giurisprudenza di legittimita’ che, da un lato, non puo’ darsi di per se’ rilievo alla mancanza di coeva giustificazione, nel senso che non puo’ intendersi come intrinsecamente illecita la spesa per il solo profilo formale salva la sua concreta verifica, e dall’altro che la prova della condotta appropriativa deve essere fornita dalla pubblica accusa, senza meccanismi presuntivi nella distribuzione del relativo onere (Sez. 6, n. 11001 del 15/11/2019, dep. 2020, Valenti, Rv. 278809; Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, De Luca, Rv. 276712; Sez. 6, n. 21166 del 09/04/2019, Marino, Rv. 276067; Sez. 6, n. 35683 del 01/06/2017, Adamo, Rv. 270549).
Si tratta di un tema che, in relazione alla specifica imputazione, risente di quanto gia’ in precedenza detto in ordine: a) all’onere oggettivo in capo ai consiglieri di documentazione della spesa e della sua giustificazione, derivante dalla natura pubblica del denaro e dalla sua destinazione funzionale; b) al dovere intrinseco di verifica e vigilanza che incombeva sul presidente o amministratore del gruppo consiliare, circa la capacita’ dimostrativa della documentazione prodotta al momento in cui veniva chiesto il rimborso; c) alla necessita’ che la spesa fosse strutturalmente compatibile, siccome finalizzata al perseguimento delle reali finalita’ istituzionali del gruppo; d) alle giustificazioni eventualmente offerte nell’ambito del processo per rafforzare la valenza indiziaria della documentazione originaria, causalmente “muta”, generica o opaca.

Peculato e le “spese di rappresentanza”

Laddove le risultanze pongano in esplicita evidenza la sostanziale inesistenza di una iniziativa del gruppo consiliare a sostegno della documentazione originaria o di quella successivamente offerta, non puo’ non desumersene il significato sul piano probatorio dell’interversione del possesso e della condotta appropriativa, penalmente rilevante. In tal caso, le risultanze investigative fanno emergere una “situazione altamente significativa”, in cui il difetto di giustificazione della spesa si manifesta in modo chiaro e stringente, attesa l’incoerenza della causale esterna della spesa rispetto alle finalita’ attributive del potere (Sez. 6, n. 16765/2020, cit., Rv. 279418-01/08).
Ad esempio, con riferimento alle c.d. “spese di rappresentanza” dei consiglieri regionali, si e’ affermato che rientrano in quelle legittimamente rimborsabili soltanto quelle che rivestono rilievo esterno per l’istituzione, percio’ destinate a soddisfare un’esigenza funzionale del gruppo consiliare, strumentale all’operativita’ dell’assemblea regionale, e non un bisogno o un’esigenza personale, seppure lato sensu politica, del consigliere (Sez. 6, n. 11001 del 15/11/2019, dep. 2020, Valenti, Rv. 278809). Attengono alla funzione di rappresentanza dell’ente quelle spese che, per consuetudine o per motivi di reciprocita’, sono sostenute in occasione di rapporti di carattere ufficiale tra soggetti aventi veste rappresentativa del gruppo e soggetti esterni, appartenenti ad altri enti o rappresentativi della societa’ civile, nonche’ le spese connesse ad eventi ed iniziative di carattere istituzionale, sempre che tali esborsi siano rivolti a beneficio di soggetti esterni all’ente e che ne sia data giustificazione causale, con indicazione dell’interesse perseguito, dell’occasione e del destinatario (Sez. 6, n. 16765/2020, cit., Rv. 279418-06).
6. Sono dunque infondati tutti i motivi che ruotano sull’assunto secondo cui la prova della condotta appropriativa sarebbe stata raggiunta sulla base di una non consentita inversione della prova.

Peculato e le “spese di rappresentanza”

Nella specie, la prova del fatto reato e’ stata raggiunta in forza di un corretto ragionamento indiziario. Appare infatti lecito affermare – senza con questo legittimare un’inammissibile inversione dell’onere probatorio – che la documentazione giustificativa prodotta, in mancanza di ogni indicazione sintomatica di un qualche collegamento con l’esercizio delle funzioni politiche riconducibili a iniziative del gruppo di appartenenza, sia inidonea a riscontrare la pretesa valenza pubblicistica di spese non destinate alla realizzazione del fine istituzionale per il quale erano assegnate. In effetti, esse non risultavano strumentali a soddisfare la funzione politica e rappresentativa all’esterno del gruppo di appartenenza del singolo consigliere, da cui erano impiegate, e percio’ a riscontrare la concreta esistenza di un plausibile collegamento funzionale con il ruolo, i compiti e le finalita’ di natura pubblicistica per cui erano assegnate al gruppo consiliare, al precipuo scopo di accrescerne il prestigio dell’immagine nel contesto sociale in cui si collocava (Sez. 6, n. 53331 del 19/09/2017, Piredda, Rv. 271654).
Con speciale riguardo alle giustificazioni fornite, alla prova della condotta appropriativa, al dolo e alla buona fede dell’imputato, i motivi di ricorso si rivelano strutturati facendo riferimento a un diverso e non condivisibile quadro generale di riferimento, sia normativo che giurisprudenziale.
La Corte di appello ha spiegato che le spese, per le quali l’imputato ha indebitamente chiesto ed ottenuto il rimborso, non corrispondevano affatto a dichiarate e accertate attivita’ istituzionali facenti capo al gruppo consiliare di appartenenza. Un ragionamento probatorio, questo, che ha come punto di riferimento un dato obiettivo, e cioe’ che l’imputato chiese ed ottenne il rimborso facendo riferimento alla mera, formale riconducibilita’ della spesa alle categorie e voci previste a tal fine; un ragionamento che si sviluppa attraverso la valutazione di risultanze investigative chiare ed univoche nella loro valenza accusatoria in ordine alle ragioni per cui quella documentazione rivelerebbe un uso delle somme del fondo di funzionamento dei gruppi consiliari del tutto scisso dalle finalita’ pubbliche perseguite. A fronte di tale quadro accusatorio, nel senso della incongruita’ probatoria del pur rilevante numero di giustificativi delle spese presentati, quel che rileva e’ che nessuna spiegazione nel corso del processo e’ stata prospettata in ordine alle iniziative facenti capo al gruppo per le quali quelle spese furono sostenute, alle finalita’ istituzionali perseguite, al di la’ della cura di personali relazioni politiche nel territorio di riferimento.

Peculato e le “spese di rappresentanza”

Rispetto a una documentazione muta o generica, la Corte territoriale ha correttamente rilevato che l’imputato, in realta’, non ha fornito una valida alternativa all’assunto accusatorio, avendo fatto generico riferimento ad attivita’ lato sensu politiche dettate dal legame politico con il territorio, senza tuttavia mai indicare quali sarebbero state le iniziative del gruppo a cui stava dando attuazione, non adempiendo all’onere di allegazione sullo stesso gravante che solo avrebbe potuto generare l’onere di un approfondimento dell’accusa sulla diversa destinazione.
Dunque, una illecita interversione del possesso del denaro che, lungi dall’essere desunta da mere irregolarita’ o incompletezze nella formazione di documenti giustificativi delle relative spese, risulta indirettamente provata alla stregua di una “situazione altamente significativa”, quale la totale mancanza di allegazioni che permettano di collegare l’impiego del denaro alle specifiche funzioni istituzionali di pertinenza del gruppo consiliare di appartenenza, essendo chiaro che dette spese non erano strumentali al funzionamento o all’immagine esterna del gruppo, quanto legate piuttosto alla visibilita’ individuale e al consenso personale del consigliere, in quanto tale e non come rappresentante del gruppo.
Nel caso di specie, non si e’ in presenza di giustificazioni incomplete che, doverosamente, imporrebbero di ricercare la prova della colpevolezza aliunde, ma di giustificazioni che finiscono per assumere una valenza sostanzialmente ammissiva. Si ribadisce, quindi, che il giudizio di colpevolezza e’ stato formulato non sulla base di una non consentita inversione dell’onere della prova, ma attraverso un ragionamento probatorio coerente e logico, anche in ordine alla configurabilita’ del dolo del reato contestato e della prospettata buona fede, considerata l’evidente estraneita’ di quelle spese alle finalita’ del gruppo. Ne’ puo’ seriamente dubitarsi che l’imputato, consigliere regionale, fosse consapevole del fatto che i fondi consiliari erogati al gruppo di appartenenza, e a lui pro quota, costituissero erogazioni pubbliche finalizzate all’espletamento delle funzioni istituzionali del gruppo medesimo di cui faceva parte come consigliere e quindi pubblico ufficiale, e che dovesse puntualmente giustificare il loro utilizzo.

Peculato e le “spese di rappresentanza”

7. Su tali snodi essenziali, oggetto del corretto e adeguato percorso argomentativo delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito, il ricorso e’ silente o rivela la sua genericita’ strutturale, nel richiamare una differente -e per le considerazioni gia’ esposte- non condivisa ricostruzione del quadro di riferimento e del perimetro entro il quale i fatti oggetto del processo devono essere valutati. Un percorso motivazionale, quello di entrambi i giudici di merito, che fa leva su un ragionamento indiziario che, prendendo le mosse dalla documentazione contabile, ha ricostruito analiticamente il contesto sistematico e le risultanze di indagini ed e’ giunto, attraverso la corretta applicazione del quadro normativo esistente al momento in cui furono commessi i fatti, all’affermazione della responsabilita’ penale, anche in ragione delle giustificazioni a discarico fornite dall’interessato, considerate nel contesto della corretta cornice normativa di riferimento.
Per contro, a ben vedere, l’apparato critico dei motivi di ricorso si fonda su un assunto implicito, per cui, in considerazione del mero status di consigliere regionale, all’imputato fosse consentito fare un uso indifferente e totalizzante del denaro pubblico purche’ in astratto riconducibile alla sua attivita’ latamente politica. Si tratta di un assunto giuridicamente non apprezzabile, anche per i profili riguardanti il dolo, l’errore sul fatto, la buona fede o l’ignoranza scusabile, oltre che smentito dalla presenza di uno specifico divieto di utilizzazione di tali fondi per finanziare il partito, contenuto nella L. 2 maggio 1974, n. 195, articolo 7.
Del tutto coerente con il quadro di principi delineato da questa Corte deve conseguentemente ritenersi, per il metodo impiegato nella valutazione delle prove offerte dal processo, l’impostazione ricostruttiva della sentenza impugnata. Sono legittime e rimborsabili solo quelle spese destinate – secondo le precisazioni definitorie della disciplina normativa e della giurisprudenza di legittimita’ – alla realizzazione di un fine istituzionale, per essere strumentali a soddisfare la funzione politica e rappresentativa all’esterno del gruppo di appartenenza del singolo consigliere da cui esse sono impiegate e percio’ a riscontrare la concreta esistenza di un plausibile collegamento funzionale con il ruolo, i compiti e le finalita’ di natura pubblicistica facenti capo al gruppo, quale reale beneficiario.

Peculato e le “spese di rappresentanza”

Per contro, secondo i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimita’, la sentenza non puo’ essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perche’ considerati maggiormente plausibili: trattasi infatti di censure di merito, inammissibili nel giudizio di legittimita’.
In particolare, irrilevante in argomento e’ il richiamo alla cooptazione di (OMISSIS) al servizio del gruppo dopo il 2011, stante la mancata dimostrazione della conclusione di un contratto di consulenza con il gruppo, prima di tale data, unica forma giuridica di collaborazione consentita in favore dei gruppi, che, in alternativa, poteva assumere solo attingendo ai ruoli regionali.
Irrilevante, ai fini della configurabilita’ del reato in esame, deve ritenersi, peraltro, la parziale restituzione effettivamente avvenuta di quanto sottratto (Sez. 6, n. 11425 del 20/11/2012, dep. 2013, Serritiello, Rv. 254868; Sez. 6, n. 8162 del 21/05/1987, Di Gianni, Rv. 176373), consumandosi il delitto di peculato nel momento in cui ha luogo l’appropriazione della res o del danaro da parte dell’agente, la quale, anche quando non arreca, per qualsiasi motivo, un danno patrimoniale alla P.A., e’ comunque lesiva dell’ulteriore interesse tutelato dall’articolo 314 c.p., che si identifica nella legalita’, imparzialita’ e buon andamento del suo operato (Sez. U., n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244190; Sez. 6, n. 26476 del 09/06/2010, Rao, Rv. 248004).

Peculato e le “spese di rappresentanza”

8. Va rilevata infine la genericita’ e la manifesta infondatezza del quinto motivo di ricorso, col quale si censura il trattamento sanzionatorio con riferimento all’aumento di pena fissato in giorni 5 -oltre il minimo di un solo giorno- per ciascun episodio in continuazione, a fronte della evidente congruita’ e mitezza della determinazione da parte della Corte territoriale, a fronte della reiterata acquisizione di denaro pubblico, di entita’ ragguardevole, attraverso il compimento di atti che ha portato alla ripetizione dell’attivita’ illecita, di pari gravita’, un notevole numero di volte. In relazione a tale specifica situazione di fatto, chiaramente tratteggiata in sentenza, neppure la difesa illustra quale specifico deficit argomentativo attinga la pronuncia sul punto.
9. Considerato che la fattispecie di cui all’articolo 314 c.p. era punita all’epoca dei fatti con la pena massima di anni 10 di reclusione e tenuto conto dell’incidenza del periodo di sospensione dal 13 febbraio 2018 al 29 marzo 2018 (giorni 45) in corso di giudizio e dell’ulteriore periodo di sospensione di giorni 64 causa COVID-19 (per il tempo di deposito della motivazione), il termine massimo di prescrizione e’ maturato con riferimento alle condotte antecedenti al 5 giugno 2008, ivi compreso l’episodio del 21 dicembre 2007, reati dei quali va accertata l’estinzione per il decorso dello stesso termine.
Si puo’ quindi procedere agevolmente alla rideterminazione della pena per i residui (11) episodi in continuazione, con conseguente rimodulazione – secondo i criteri gia’ indicati dalla Corte di appello e ritenuti congrui – in anni uno, mesi dieci e giorni tre di reclusione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alle condotte consumate entro il 5 giugno 2008, perche’ i reati sono estinti per prescrizione e per l’effetto ridetermina la pena per la residua imputazione in anni uno, mesi dieci e giorni tre di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.

Peculato e le “spese di rappresentanza”

 

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