Corte di Cassazione, civile, Sentenza|11 ottobre 2022| n. 29620.

Ove la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche

In tema di ricorso per cassazione, ove la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, è necessario che il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, estragga copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato) ed attesti, con propria sottoscrizione autografa, la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi dell’articolo 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994, depositando nei termini quest’ultima presso la cancelleria della Suprema Corte.

Sentenza|11 ottobre 2022| n. 29620. Ove la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche

Data udienza 1 marzo 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Danni da infiltrazioni – Irrilevanza dell’eventuale violazione di norme urbanistiche nell’ambito dei rapporti privatistici – Censure di merito – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 29533/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) del foro di (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), del foro di (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5218/2017 della Corte di appello di Roma, depositata il 1 agosto 2017 e notificata a mezzo pec in data 10 ottobre 2017;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 1 marzo 2022 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ove la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 15 settembre 2008 (OMISSIS) premesso di essere proprietaria di immobile sito in (OMISSIS), in localita’ (OMISSIS) – evocava, dinanzi al Tribunale di Rieti, (OMISSIS) e (OMISSIS) esponendo che all’ultimo piano della sua unita’ abitativa si erano verificate infiltrazioni d’acqua causate dai lavori di rifacimento del tetto effettuati nell’appartamento confinante, di proprieta’ dei convenuti, chiedendo l’accertamento della responsabilita’ degli stessi nell’occorso, con condanna alla demolizione e alla rimessione in pristino, oltre al risarcimento dei danni ex articolo 2043 c.c., e per avere generato il fenomeno dello stillicidio, nonche’ per avere occupato una porzione del fondo dell’attrice, oltre al deprezzamento della sua proprieta’.
Instaurato il contraddittorio, contestata dai (OMISSIS) – (OMISSIS) la fondatezza della pretesa, il giudice adito, con sentenza n. 136 del 2012, rigettava le domande attoree con condanna alla rifusione delle spese processuali.
In virtu’ di appello interposto dalla (OMISSIS), la Corte di appello di Roma, nella resistenza degli appellati, respingeva il gravame e per l’effetto confermava la decisione impugnata.
La Corte territoriale a sostegno della sentenza – premessa la irrilevanza quanto alla mancata considerazione da parte del giudice di prime cure dell’indagine penale avviata dalla competente Procura della Repubblica per presunta violazione da parte degli appellati di alcune norme urbanistiche – rilevava che le difese prospettate dall’appellante gia’ in primo grado erano del tutto generiche, al pari della C.T.P. dalla stessa prodotta, per cui non potevano essere neanche demandati ad un’indagine peritale di ufficio gli accertamenti perche’ avrebbe avuto carattere meramente esplorativo, sollevando l’attrice dall’onere probatorio che pure le gravava. Ne’ le oggettive carenze erano emendabili dai capitoli di prova testimoniale articolati per essere inconferenti le circostanze dedotte.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS), sulla base di due motivi, cui hanno resistito (OMISSIS) – (OMISSIS) con controricorso.
Il ricorso – previa relazione stilata dal nominato consigliere delegato – e’ stato inizialmente avviato per la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli articoli 375 e 380-bis c.p.c., avanti alla sesta – 2 sezione civile. All’esito dell’adunanza camerale fissata al 20.12.2018, con ordinanza interlocutoria n. 6574 del 2019 depositata il 06.03.2019, il Collegio rilevava l’assenza di evidenza decisoria alla luce dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione della questione della procedibilita’ del ricorso n. 28844 del 2018 depositata memoria ex articolo 380 bis.1 c.p.c., da parte ricorrente disponeva la rimessione del processo alla pubblica udienza.
Posto nuovamente in discussione il ricorso per la decisione allo stato degli atti all’udienza pubblica del 1 marzo 2022, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, conv. in L. n. 176 del 2020, in prossimita’ della quale e’ stata depositata dal sostituto procuratore Generale, Dott. Alessandro Pepe, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del ricorso.
In prossimita’ dell’udienza pubblica ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c., parte ricorrente corredata anche da documentazione.

Ove la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche

CONSIDERATO IN DIRITTO

Va preliminarmente ritenuta la procedibilita’ del ricorso.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 10266 del 27.04.2018, hanno affermato che: “Nel giudizio di cassazione, cui – ad eccezione delle comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria del Decreto Legge n. 179 del 2012, ex articolo 16, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, non e’ stato ancora esteso il processo telematico, e’ necessario estrarre copie analogiche degli atti digitali ed attestarne la conformita’, in virtu’ del potere appositamente conferito al difensore dalla L. n. 53 del 1994, articolo 6 e articolo 9, commi 1-bis e 1-ter”. Dunque, occorre ribadire che: “In tema di ricorso per cassazione, ove la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalita’ telematiche, e’ necessario che il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, estragga copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato) ed attesti, con propria sottoscrizione autografa, la conformita’ agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 9, commi 1-bis e 1-ter, depositando nei termini quest’ultima presso la cancelleria della Suprema Corte” (Cass. n. 30765 del 2017).
A cio’ deve aggiungersi che le stesse Sezioni Unite, con la sentenza n. 8312 del 25 marzo 2019, hanno affermato che: “Il deposito in Cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente (e necessariamente inserita nel fascicolo informatico) senza attestazione di conformita’ del difensore Decreto Legge n. 179 del 2012, ex articolo 16-bis, comma 9-bis, convertito dalla L. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilita’ ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non disconosca la conformita’ della copia informale all’originale della medesima decisione. Mentre se alcune o tutte le parti rimangano intimate o, comunque, disconoscano la conformita’ all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilita’ sara’ onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformita’ all’originale della copia analogica della decisione impugnata sino all’udienza di discussione o all’adunanza in Camera di consiglio”.
Nella specie parte ricorrente ha prodotto la copia analogica della sentenza impugnata, formata e notificata digitalmente, e seppure non e’ corredata dall’attestazione di conformita’ all’originale, sottoscritta dal difensore, ne’ dalla copia del messaggio di posta elettronica certificata e dei suoi allegati, tuttavia parte controricorrente nel costituirsi non ha disconosciuto la conformita’ della copia informale all’originale.
Va sempre pregiudizialmente deve rilevarsi che e’ inammissibile la produzione documentale effettuata da parte della ricorrente unitamente alla memoria ex articolo 378 c.p.c., riguardante articolo di (OMISSIS) sulle sopraelevazioni e sentenze varie della Corte di Cassazione (documenti attinenti alla fondatezza delle censure e delle tesi prospettate nel ricorso, peraltro formati prima dell’inizio della fase di merito e quindi prima della maturazione delle preclusioni istruttorie), atteso che, nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, secondo quanto disposto dall’articolo 372 c.p.c., non e’ ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilita’ del ricorso e del controricorso ovvero la nullita’ della sentenza impugnata. Ne consegue che di siffatta produzione non puo’ tenersi conto.
Passando al merito, con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione della legge edilizia Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ex articolo 44, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, quanto alla mancata considerazione delle indagini penali, svolte parallelamente al processo civile, per la violazione della disciplina edilizia e dunque anche sismica. Aggiungeva che non erano state analizzate esaustivamente le prove documentali, in particolare due c.t.p. a firma dell’arch. (OMISSIS) e le varie sequenze fotografiche allegate agli atti di causa, nonche’ le fatture accluse che documentavano i danni subiti dal fabbricato della (OMISSIS) e quantificati dallo stesso professionista in Euro 3.720,00 gia’ al dicembre 2006 gennaio 2007. Documentazione che avrebbe evidenziato la necessita’ di ammissione di una c.t.u.. Prosegue la doglianza censurando la sentenza di primo grado che su siffatto aspetto non avrebbe fornito alcuna motivazione “analitica e convincente”; del pari la sentenza del tribunale non avrebbe argomentato convincentemente sulla questione della sopraelevazione e del rigetto della richiesta attorea di disporre c.t.u., che ove disposta avrebbe accertato la sismicita’ della zona.
Il mezzo e’ inammissibile sotto molteplici profili: oltre a non confrontarsi con la ratio decidenti, censurando per un verso la sentenza di primo grado, involge l’accertamento di merito effettuato dai giudici del merito, insindacabile in sede di legittimita’.
La Corte territoriale ha respinto il gravame introdotto dalla (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Rieti che aveva rigettato la domanda avanzata dalla medesima appellante contro i (OMISSIS) – (OMISSIS), assumendo che gli stessi avevano provocato danni alla sua proprieta’ per effetto dei lavori di trasformazione del primitivo immobile destinato ad uso stalla e fienile in una civile abitazione, con connessa ristrutturazione del tetto e sopraelevazione del muro di confine, condividendo la decisione del giudice di prime cure che aveva ritenuto non provata la domanda, ne’ ammessa la richiesta c.t.u. perche’ avrebbe surrogato l’onere probatorio posto a carico dell’attrice e non assolto.
Del resto con i due motivi di gravame la ricorrente aveva insistito nella rilevanza di asserite violazioni urbanistiche oggetto di un accertamento penale e contestato la mancata ammissione delle prove testimoniali e della c.t.u..
Con la censura – per quanto sopra esposto – la ricorrente seppure la intesta in termini di “violazione della legge edilizia del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ex articolo 44”, nella sostanza la questione giuridica della rilevanza della violazione della normativa antisismica da parte degli originari convenuti viene sollevata in maniera del tutto generico, contestando peraltro le argomentazioni del giudice di prime cure (come si evince alle pagine da 5 a 8 dello stesso ricorso), non muovendo invece alcuna censura alle argomentazioni della Corte di appello, che sul punto osserva che l’eventuale violazione di alcune norme urbanistiche “non avrebbe potuto riverberare alcun effetto nei confronti del presente procedimento che, vertendo in materia di diritti soggettivi, ha ad oggetto semplicemente l’accertamento della pretesa violazione delle norme civilistiche (in tema di stillicidio e di indebita occupazione di porzione del muro dell’attrice) e dell’eventuale esistenza di danni in capo all’attrice” (v. pag. 5 della sentenza impugnata).
Dato atto della mancanza di critica a siffatta ratio decidendi, la sentenza e’ comunque in linea con la giurisprudenza di legittimita’ per essere conforme ai principi stabiliti in modo univoco dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la natura abusiva della costruzione rileva unicamente nei rapporti con l’amministrazione pubblica (cfr., sul punto, Cass. n. 21354 del 2017), e pacifica nel ritenere irrilevanti sul piano dei rapporti privatistici le eventuali violazioni delle norme urbanistiche pur se con risvolti penali.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 2697 c.c. e articolo 116 c.p.c., nonche’ degli articoli 31, 62, 63, 64, 191 e 192 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ed insiste nell’erronea valutazione delle prove allegate e dedotte.
Anche il secondo mezzo e’ privo di pregio, in quanto con lo stesso, in continuita’ con la prima doglianza, la ricorrente contesta le valutazioni di merito effettuate dai giudici di merito sui documenti prodotti, omettendo peraltro di riportarne il testo nel ricorso, e che la Corte di appello ha ritenuto inidonei a provare l’assunto attoreo.
Le doglianze sono talmente generiche e non riferiscono della puntuale descrizione delle opere come riportate anche nella CTP che – come evidenziato dai giudici di merito – non e’ possibile individuare la fattispecie di illecito in concreto denunciata.
Quanto alla mancata ammissione delle prove per testi e della mancata nomina del c.t.u., va detto che la conferma della non ammissione, motivata dalla Corte distrettuale sulla inidoneita’ delle circostanze capitolate a dimostrare la responsabilita’ dei convenuti per gli asseriti danni, non viene nemmeno specificamente censurata, vertendo essenzialmente la doglianza sulla mancata nomina dell’ausiliario, senza svolgere alcuna critica sulla ratio fondante il convincimento del giudice di appello dell’assenza di prova circa la riconducibilita’ dei lamentati danni all’operato degli appellati, pretendendo di demandare all’eventuale c.t.u. l’accertamento dei riferiti inconvenienti e il nesso di causalita’ esistente con l’attivita’ di ristrutturazione intrapresa dai (OMISSIS) – (OMISSIS) (v. pag. 5 della sentenza impugnata).
La decisione e’ conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza consolidata secondo cui la c.t.u. non e’ mezzo di prova ma uno strumento di ausilio per il giudice rispetto a questioni e dati rientranti in altre scienze, a cui va aggiunto che “in tema di risarcimento del danno, e’ possibile assegnare alla consulenza tecnica d’ufficio ed alle correlate indagini peritali funzione “percipiente””, ma a condizione che “essa verta su elementi gia’ allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone” (Cass. 22 gennaio 2015 n. 1190; Cass. 3 luglio 2020 n. 13736), giacche’, anche quando la consulenza “puo’ costituire essa stessa fonte oggettiva di prova”, resta pur sempre “necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti” (Cass. 26 novembre 2007 n. 24620).
Nel caso in esame la Corte di appello, confermando il pronunciamento del Tribunale, ha ritenuto che non fosse stata fornita la prova della riconducibilita’ dei danni dedotti all’attivita’ realizzata dai convenuti, quanto meno quale “inizio di prova”.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Ne consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dai controricorrenti nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione in favore dei controricorrenti delle spese di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

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