Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 4 maggio 2020, n. 2805.
La massima estrapolata:
L’onere di motivare in ordine alla compatibilità ambientale di un’opera non può essere integrato con gli argomenti introdotti in un giudizio amministrativo; d’altra parte, il medesimo giudizio di compatibilità ambientale non può certo essere assolto attraverso il richiamo ad un circolare che, per il suo carattere generale, non può spiegare le ragioni dell’incompatibilità di una specifica opera nel peculiare contesto in cui si colloca.
Sentenza 4 maggio 2020, n. 2805
Data udienza 16 aprile 2020
Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Zona vincolata – Autorizzazione paesaggistica – Motivazione per relationem – Illegittimità – Integrazione postuma – Non è ammessa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5915 del 2019, proposto da
Anas s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. St. Ma. e Vi. Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. St. Ma. in Roma, via (…);
contro
Ed. S.r.l., So. S.r.l. (Già No. S.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Mi. Pa., Ma. Pe. e Lu. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Gr. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 8389/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 aprile 2020 il Cons. Giordano Lamberti e rilevato che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84 comma 5, del D.L.n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – No. s.r.l. (poi So. s.r.l.) ha acquistato da Pa. Ce. Co. s.p.a. il complesso immobiliare sito a Roma, in Via (omissis) n. (omissis) (foglio (omissis), mapp. nn. (omissis), (omissis) e (omissis)). Trattasi di costruzioni realizzate senza titolo edilizio prima dell’anno 1961, costituite da: un capannone industriale, una cabina elettrica, un’unità adibita ad uffici, uno spazio commerciale ed abitazione dei custodi con annesso piazzale, per una superficie complessiva (coperta e scoperta) di complessiva di 2.098 mq circa.
2 – Pur essendo stati realizzati prima del 1967, tali edifici devono considerarsi abusivi, in quanto il Comune di Roma, sin dagli anni Trenta, si è dotato di un Regolamento edilizio che imponeva di richiedere la licenza edilizia anche per costruire fuori dai centri abitati.
3 – Successivamente ai tre edifici è stato realizzato il Grande Raccordo Anulare nelle immediate vicinanze, sicché i tre manufatti di cui sopra sono venuti a trovarsi all’interno della relativa fascia di rispetto (autostradale).
4 – La dante causa delle società appellate nel 1986 ha presentato domanda di condono edilizio ai sensi della L. 47/85.
Nel 2012, l’ANAS ha espresso il parere previsto dall’art. 32 L. 47/85 in senso negativo, richiamando la Circolare del MIT 224 del 16 giugno 1995 (che indica criteri per individuare edifici pericolosi per il traffico).
Il parere recita quanto segue: “dal sopralluogo effettuato dalla competente area tecnica, questo compartimento ha rilevato per le suddette costruzioni le seguenti distanze dal confine autostradale: – foglio (omissis) particella (omissis) a 14 metri; – foglio (omissis) particella (omissis) a 6,20 metri; – foglio (omissis) particella (omissis) a 7,70 metri. L’attuale sede stradale ha una larghezza di 33,50 metri. In merito si rappresenta che anche se l’edificazione è stata realizzata nell’anno 1961, in base alle risultanze del suddetto sopralluogo, considerato che la distanza degli immobili dal confine stradale risulta inferiore alla metà dell’attuale sede stradale, l’abuso non rientra tra i criteri di sanabilità stabiliti dall’art. 32 della L. 47/85 e relativa circolare applicativa della L. 47/85 del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2241/u.l. del 17.6.95 lettera A, punto 4, cap. 7 che ha emanato specifiche direttive tutt’ora vigenti”.
5 – Tale atto è stato impugnato da No. avanti il T.A.R. per il Lazio che, con la sentenza n. 8389 del 2019, ha accolto il ricorso.
6 – Avverso tale sentenza ha proposto appello l’ANAS, deducendo con il primo motivo la violazione delle norme e dei principi del d.lgs n. 285/1992 (Codice della Strada) in materia di sicurezza stradale e delle relative fasce di rispetto, nonché la violazione della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 16 giugno 1995.
L’appellante circoscrive il tema oggetto di causa all’individuazione dell’operatività del vincolo derivante dalla esistenza della fascia di rispetto autostradale nell’ipotesi di manufatti situati sotto la carreggiata, che nella fattispecie in esame corre in sopraelevazione sopra gli stessi.
Secondo l’appellante, il T.A.R. avrebbe escluso l’operatività del vincolo perché ha interpretato il cap. 7.4. lettera a) della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 16 giugno 1995 – che individua la fascia di rispetto in “almeno 5 m, ovvero almeno metà della larghezza della strada, se superiore tale frazione a 5 m” di “distanza dalla strada” – come riferita esclusivamente alla “traiettoria orizzontale di un automezzo fuori dalla carreggiata che andrebbe ad intersecarsi con la verticale dell’edificio oggetto di sanatoria”, escludendo la sua applicabilità nell’ipotesi in cui il piano campagna degli edifici non si trovi sullo stesso piano della carreggiata, ma sia più basso rispetto a questa.
A tal fine, ricorda che il vigente Codice della Strada (d.lgs n. 285/1992) è teso alla sicurezza delle persone e delle cose coinvolte nella circolazione stradale (art. 5 1: “La sicurezza delle persone, nella circolazione stradale, rientra tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato”). Il vincolo di inedificabilità all’interno delle fasce di rispetto ha la stessa ratio, e per questa ragione “non può essere inteso restrittivamente essendo correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni” (Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 485; Cons. Stato, Sez. V, 23 giugno 2014, n. 3147).
Per tale ragione, sarebbe assolutamente irrilevante la posizione dell’immobile sopra o sotto il rilevato stradale, atteso che lo stesso ricade in ogni caso all’interno della fascia di rispetto autostradale e comunque in ogni caso è in contrasto sia con la legge n. 47/1985, sia con la circolare sopra richiamata.
7 – Con il secondo motivo di appello si deduce la violazione, per errata applicazione, degli artt. 32, legge n. 47/1985 e 7.4 lett. a) della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 16 giugno 1995; l’eccesso di potere per illogicità e l’errore sui presupposti di fatto e di diritto.
Richiamando le considerazioni svolte nel primo motivo di impugnazione, secondo l’appellante il divieto di costruire all’interno della fascia di rispetto autostradale si traduce in un divieto assoluto di costruire, che rende legalmente inedificabili le aree site in fascia di rispetto indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale.
Sarebbe dunque errata la conclusione del T.A.R., secondo cui il parere impugnato è “privo di una adeguata motivazione su un punto sostanziale… essendo stata omessa una valutazione in concreto della minaccia al traffico derivante dagli edifici che la ricorrente ha chiesto di dover sanare”.
8 – Le censure, che, stante la loro connessione possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate, travisando il significato della pronuncia di primo grado, che merita integrale conferma.
Non è infatti dirimente il fatto che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale abbia carattere assoluto e che, pertanto, lo stesso prescinda dalle caratteristiche dell’opera realizzata.
Ciò che caratterizza la fattispecie in esame è che i fabbricati erano stati edificati in epoca antecedente la realizzazione del raccordo anulare. Invero, nel momento in cui sono stati edificati, l’area non era assoggettata ad alcun vincolo. Tali opere hanno integrato un abuso edilizio, in quanto privi del relativo titolo ad edificare, ma, in origine, non si ponevano in contrasto con il vincolo di inedificabilità, che è sopravvenuto solo in seguito.
Tanto precisato, l’art. 33 della l. 47/1985 (Opere non suscettibili di sanatoria) prevede testualmente che: “le opere di cui all’articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse”.
Rileva allora l’art. 32, in base al quale, fatte salve le fattispecie previste dall’articolo 33, “il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”.
Di conseguenza, per gli edifici oggetto di causa, in base agli artt. 32 e 33 della l. 47/1985, non è precluso puramente e semplicemente il rilascio della sanatoria, come pare voler sostenere l’ANAS nel proprio atto di appello. Tali immobili sono invece soggetti alla previsione generale del citato art. 32 al comma 1, che consente la sanatoria se vi è il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
Come già argomentato dalla giurisprudenza, in tali evenienze, le valutazioni dell’autorità preposta alla tutela del vincolo devono essere rapportate al caso concreto, e non possono tradursi nella mera applicazione delle norme vincolistiche: se ciò avvenisse non potrebbe che trattarsi di un parere negativo, perché ci si trova per ipotesi di fronte ad un’inedificabilità, che non consentirebbe in linea generale di realizzare opera alcuna (cfr. Cons. St., sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5549, e 6 maggio 2013, n. 2409).
Alla luce di tali coordinate, le valutazioni del T.A.R. – che hanno sostanzialmente ritenuto inadeguata la motivazione del parere negativo, in quanto non teneva in debita considerazione l’effettiva situazione di fatto che caratterizza il luogo, ovvero il posizionamento dell’immobile rispetto all’arteria stradale ad esso sopraelevata – sono assolutamente condivisibili.
9 – In coerenza con tale assunto, deve confermarsi anche la parte della sentenza del T.A.R., criticata con il terzo motivo di appello, in cui si demanda all’ANAS di effettuare “una valutazione in concreto della minaccia al traffico derivante dagli edifici che la ricorrente ha chiesto di poter sanare”.
Al riguardo, deve infatti precisarsi che, da un lato, l’onere di motivare in ordine alla compatibilità ambientale di un’opera non può essere integrato con gli argomenti introdotti nel presente giudizio (cfr. Consiglio di Stato n. 1629/2014: “è inammissibile l’integrazione postuma operata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi. La motivazione costituisce infatti il contenuto infungibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti”); dall’altro, il medesimo giudizio di compatibilità ambientale non può certo essere assolto attraverso il richiamo ad un circolare che, per il suo carattere generale, non può spiegare le ragioni dell’incompatibilità di una specifica opera nel peculiare contesto in cui si colloca.
Al riguardo la giurisprudenza si è già espressa nel senso che non appare ammissibile che la motivazione di un provvedimento autorizzatorio paesaggistico possa esaurirsi nell’integrale richiamo “per relationem”, senza esprimere un’autonoma valutazione dell’ente chiamato a pronunciarsi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 4481/2013).
La necessità di una valutazione specifica, non surrogabile con l’applicazione indiscriminata di criteri generali, appare a maggior ragione esigibile nel caso di specie, in cui la convivenza tra il raccordo anulare e le opere oggetto dell’istanza di condono perdura da diversi decenni, senza che, per quel consta agli atti di causa, si sia mai manifestata alcuna problematica viaria o alcuna interferenza tra l’arteria stradale e le opere oggetto di causa, tanto più che, per quanto riferito da parte appellata, nel frattempo l’ANAS ha dato addirittura corso all’ampliamento a tre corsie del preesistente tratto stradale, incrementando le situazioni di “vicinanza” con i fabbricati sottostanti.
Ne consegue che l’amministrazione appellante dovrà riesaminare l’istanza, prendendo in considerazione la concreta compatibilità degli edifici con il contesto stradale circostante, tenendo conto del vincolo di cui si discute e motivando puntualmente in positivo o in negativo al riguardo.
10 – Le spese di lite del presente grado di giudizio, ad una valutazione globale della vicenda, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta rigetta l’appello e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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