L’onere della prova dell’ultimazione entro una certa data di un’opera edilizia abusiva

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 3 giugno 2019, n. 3696.

La massima estrapolata:

L’onere della prova dell’ultimazione entro una certa data di un’opera edilizia abusiva, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale ovvero fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, perché realizzate legittimamente senza titolo, incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l’epoca di realizzazione del manufatto. Per quanto riguarda, poi, la gamma degli strumenti probatori ammissibili ai fini della prova del momento di realizzazione dell’abuso, un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che le dichiarazioni sostitutive di notorietà non siano utilizzabili nel processo amministrativo e che non rivestano alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l’attività istruttoria dell’amministrazione – ovvero, le deduzioni con cui la stessa amministrazione rileva l’inattendibilità di quanto rappresentato dal richiedente.

Sentenza 3 giugno 2019, n. 3696

Data udienza 11 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4833 del 2012, proposto dai signori Do. Fe. e Fi. Fe., rappresentati e difesi dagli avvocati Fa. Ma. e An. No. ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato Si. Ro. in Roma, largo (…);
contro
la signora Lu. Ce., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Na., Am. Vi. e Fa. Ra. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo dei suindicati difensori in Roma, via (…);
nei confronti
del Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ga. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Si. Di Mu. in Roma, via (…);

sul ricorso numero di registro generale 5135 del 2012, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ga. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Si. Di Mu. in Roma, via (…);
contro
la signora Lu. Ce., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Na., Am. Vi. e Fa. Ra. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo dei suindicati difensori in Roma, via (…);
nei confronti
dei signori Do. Fe. e Fi. Fe., rappresentati e difesi dall’avvocato Fa. Ma. ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato Si. Ro. in Roma, largo (…);
per la riforma
(con riferimento ad entrambi i ricorsi) della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede staccata di Latina, 10 febbraio 2012 n. 105, resa tra le parti.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della signora Lu. Ce. in entrambi i giudizi;
Esaminate le memorie difensive e gli ulteriori atti depositati;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 giugno 2018 il Cons. Stefano Toschei e uditi per le parti gli avvocati An. No. e Ni. Pa., in sostituzione dell’avvocato Fa. Ra.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – La signora Lu. Ce. (odierna parte resistente) proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede staccata di Latina, per ottenere l’annullamento giudiziale dei provvedimenti con i quali erano state rilasciate, dai competenti uffici del Comune di (omissis), le concessioni edilizie in sanatoria 8 agosto 2000 nn. 12650/2000 e 13098/2000, all’esito del procedimento ex art. 31 l. 28 febbraio 1985, n. 47 avviato con istanza presentata il 31 dicembre 1986 dalla signora Fi. Fe. e relativo ad un fabbricato sito in (omissis), contrassegnato in catasto al foglio n. (omissis), particelle nn. (omissis).
Si legge negli atti prodotti in entrambi i gradi di giudizio, che la signora Fe. aveva in precedenza ottenuto dal Comune di (omissis) il rilascio della concessione edilizia n. 3253 del 21 maggio 1983 per la realizzazione di un fabbricato costituito da un portico di mq. 77 e da un piano primo avente superficie utile residenziale di mq. 66,55.
Il fabbricato in questione, però, veniva realizzato in totale difformità dal progetto assentito ed è per tale ragioni che la signora Fe. presentava domanda di condono edilizio, che veniva accolta con le due concessioni in sanatoria rilasciate dal Comune di (omissis). In particolare tali concessioni attenevano alla sanatoria:
a) della trasformazione ed ampliamento dell’abitazione del piano terra (concessione edilizia in sanatoria n. 12650/2000, relativa alla particella n. 56/5 e ad una superficie utile di mq. 113,02);
b) dell’ampliamento del primo piano (concessione edilizia in sanatoria n. 13098/2000, relativa alla particella 56/6 e a una superficie utile di mq. 46,47, pari alla differenza tra l’intera superficie del primo piano, pari a mq. 113,02 e la superficie autorizzata nel 1983, pari a mq. 66,55).
La confinante, signora Ce., proponeva ricorso per ottenere l’annullamento delle due concessioni in sanatoria contestandone la legittimità dal momento che il fabbricato oggetto di condono era stato realizzato ad una distanza dal confine inferiore a quella minima di 5 metri, per come era previsto dal regolamento edilizio comunale.
La signora Ce. proponeva anche un ricorso recante motivi aggiunti con il quale contestava, quale ulteriore profilo di illegittimità dei condoni rilasciati alla signora Fe., il completamento del fabbricato oggetto di condono in data posteriore rispetto al 1° ottobre 1983, ultima data utile di realizzazione degli abusi per poter beneficiare del condono edilizio di cui alla l. 47/1985, circostanza essenziale che, peraltro, non era stata neppure verificata dagli uffici del Comune di (omissis).
2. – Il Tribunale amministrativo regionale, con sentenza parziale n. 436 del 26 maggio 2011 respingeva il ricorso principale e disponeva una istruttoria finalizzata a verificare come il Comune di (omissis) avesse appurato il completamento delle opere oggetto di sanatoria entro il termine ultimo fissato dalla legge e, quindi, accoglieva il ricorso (nella parte superstite relativa alle censure dedotte con motivi aggiunti) con sentenza 10 febbraio 2012 n. 105.
In tale decisione il giudice di prime cure, dopo aver constatato che la ricorrente aveva depositato nel corso del giudizio una memoria – nella quale segnalava, oltre a quanto già contestato, la illegittimità dei provvedimenti di sanatoria per la incompletezza della documentazione allegata alla memoria di condono – che essendo stata notificata alle controparti doveva essere considerata quale motivo aggiunto, ma presentato tardivamente rispetto all’epoca della piena conoscenza della documentazione (avvenuta nell’anno 2000 al momento del ricevimento dei documenti richiesti con la procedura di accesso documentale) e quindi non scrutinabile, ha riferito che dall’esame della documentazione prodotta in esecuzione della istruttoria è dimostrato che gli uffici comunali non effettuarono alcuna verifica circa il completamento delle opere abusive oggetto di domanda di condono entro il 1° ottobre 1983, oltre al fatto che dalla documentazione non emerge alcuna prova che le opere furono effettivamente realizzate in epoca antecedente rispetto alla data ultima indicata dalla legge per godere del beneficio condonistico.
3. – Con un primo ricorso in appello (n. R.g. 4833/2012) i signori Do. Fe. e Fi. Fe. contestavano la correttezza della decisione alla quale era pervenuto il giudice di primo grado, specificando come dalla documentazione prodotta, anche in esecuzione dell’ordine istruttorio rivolto dal quel giudice con la sentenza parziale n. 436 del 2011, non si evince alcun elemento che possa indurre a pensare che le opere oggetto di condono non fossero state già ultimate alla data del 1° ottobre 1983.
Inoltre si precisa, nell’atto di appello, che il Tribunale non ha fatto corretto utilizzo dei precedenti giurisprudenziali richiamati atteso che “la dichiarazione sostitutiva di notorietà circa la data di ultimazione delle opere abusive resa dall’interessato a corredo dell’istanza di condono edilizio, da un lato non precludeva all’Amministrazione, in sede di esame della stessa, la possibilità di raccogliere nel corso del procedimento elementi in contrario e pervenire a risultanze diverse, dall’altro imponeva alla stessa di effettuare una specifica attività istruttoria per constatare la data di ultimazione rispetto a quella dichiarata dall’interessato (…)” sicché “(…) in difetto di contestazioni sul punto dell’Amministrazione in sede di procedimento, era il terzo interessato che doveva fornire gli elementi in contrario, e non viceversa” (così, testualmente, alle pagg. 4 e 5 dell’atto di appello).
In altri termini, dunque, ad avviso degli appellanti, avrebbe dovuto essere la ricorrente (in primo grado) signora Ce. a dimostrare, affinché fosse conclamata la illegittimità dei provvedimenti di condono impugnati, la realizzazione delle opere abusive oggetto di sanatoria in epoca successiva rispetto all’1 ottobre 1983.
Va poi, secondo altro profilo, ritenuta errata la sentenza con riferimento allo scrutinio della documentazione dalla quale emerge che le opere abusive sono state realizzate in sede di costruzione del fabbricato, per effetto della concessione 21 maggio 1983 n. 3253 e ciò in ragione della natura di dette opere consistenti nella realizzazione di un appartamento al piano terra, non previsto nel progetto assentito e nell’ampliamento del (previsto) appartamento posto al primo piano, tenuto conto che i lavori furono iniziati in data 27 maggio 1983, per come risulta dalla documentazione prodotta.
4. – Anche il Comune di (omissis) proponeva ricorso in appello (n. R.g. 5135/2012) nei confronti della sentenza n. 105 del 2012 del TAR Latina segnalando come le norme di legge non impongono ai comuni di effettuare approfondite istruttorie circa il tempo di ultimazione delle opere oggetto di domanda di condono laddove, come è avvenuto nel caso in esame, non vi siano “(…)elementi tali da far ritenere la necessità di procedere ad una più articolata istruttoria in difetto di ogni indizio di falsità negli atti depositati dagli istanti (…)” (così, testualmente, nell’atto di appello del Comune alla pag. 6).
In ragione di quanto sopra il Comune chiedeva la riforma della sentenza appellata.
5. – Si costituiva in entrambi i giudizi di appello la signora Ce. confermano la correttezza della sentenza fatta oggetto di appello e ribadendo che in nessun documento depositato nel primo grado di giudizio, anche in seguito alla richiesta istruttoria disposta dal Tribunale amministrativo, si fornisce la indispensabile prova circa l’epoca del completamento del fabbricato recante le opere abusive.
6. – I due mezzi di gravame proposti in grado di appello nei confronti della medesima sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, debbono essere riuniti, ai sensi dell’art. 70 c.p.a..
Va a tal proposito rammentato, in via generale e per completezza espositiva, che nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello, sussiste l’obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.c.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell’art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l’unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 2018 n. 3109).
Al di là dell’obbligo di riunione dei due ricorsi in appello qui in esame, in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza di primo grado, emerge poi, in tutta evidenza, la integrale connessione soggettiva ed oggettiva tra gli stessi, recando quali parti processuali le stesse già costituite nel giudizio di primo grado ed avendo ad oggetto la delibazione di motivi di appello dal contenuto pressoché sovrapponibile.
Deriva da quanto sopra che va disposta la riunione del ricorso in grado di appello n. R.g. 5135/2012 al ricorso n. R.g. 4833/2012, in quanto quest’ultimo ricorso in appello è stato proposto in epoca antecedente rispetto al precedente, perché siano decisi in un unico contesto processuale e ciò sia per evidenti ragioni di economicità e speditezza dei giudizi sia al fine di prevenire la possibilità (eventuale) di un contrasto tra giudicati (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2013 n. 22 e 23 luglio 2012 n. 4201).
7. – Va premesso, in linea di diritto, che l’onere della prova dell’ultimazione entro una certa data di un’opera edilizia abusiva, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale ovvero fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, perché realizzate legittimamente senza titolo, incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l’epoca di realizzazione del manufatto (cfr., in tal senso tra le molte e più di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 5 marzo 2018 n. 1391).
Per quanto riguarda, poi, la gamma degli strumenti probatori ammissibili ai fini della prova del momento di realizzazione dell’abuso, un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che le dichiarazioni sostitutive di notorietà non siano utilizzabili nel processo amministrativo e che non rivestano alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l’attività istruttoria dell’amministrazione – ovvero, le deduzioni con cui la stessa amministrazione rileva l’inattendibilità di quanto rappresentato dal richiedente – (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 29 maggio 2014 n. 2782 e 27 maggio 2010 n. 3378).
Ed infatti, anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l’ultimazione dell’edificio entro la data fissata dalla legge, atteso che la detta dichiarazione di notorietà non può assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull’epoca dell’abuso – non si può ritenere raggiunta la prova circa la data certa di ultimazione dei lavori (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24 dicembre 2008 n. 6548).
L’indagine sulla veridicità ed effettività di quanto viene dichiarato nell’istanza di condono edilizio costituisce compito specifico dell’amministrazione comunale che, fin dal sistema complessivamente risultante dalla l. 47/1985, in particolare dall’art. 4 (oggi trasfuso nel sistema di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale è riservata al Comune e detto potere/dovere di vigilanza concerne anche la attenta verifica circa la sussistenza dei presupposti per il rilascio di provvedimenti di condono edilizio.
Quindi, a carico dell’amministrazione comunale raggiunta dall’istanza di condono edilizio l’art. 31, comma 2, l. 47/1985 pone una indagine istruttoria per la verifica del requisito dell’ultimazione, rilevante ai fini del rilascio del condono, che si sviluppa attraverso due criteri alternativi: il criterio “strutturale”, che vale nei casi di nuova costruzione e del criterio “funzionale”, che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti.
Quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici “ultimati”, si intendono quelli completi almeno al “rustico”. Costituisce principio pacifico che per edificio al rustico si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 16 ottobre 1998 n. 130).
La nozione di completamento funzionale implica invece uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione. In altri termini l’organismo edilizio non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planovolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione “al rustico”, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno) sebbene una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale, che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d’uso. La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato ai predetti fini che siano state realizzate le opere indispensabili a renderne effettivamente possibile un uso diverso da quello a suo tempo assentito, come nel caso in cui un sottotetto, trasformato in abitazione, venga dotato di luci e vedute e degli impianti di servizio (gas, luce, acqua, telefono, impianti fognari, ecc.), cioè di opere del tutto incompatibili con l’originaria destinazione d’uso (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14 luglio 1995 n. 1071), ossia quelle opere che qualifichino in modo inequivoco la nuova e diversa destinazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 4 luglio 2002 n. 3679).
8. – Premesso quanto sopra in punto di diritto, sotto il profilo fattuale non è contestato nel presente giudizio che la signora Fe., al momento della presentazione della domanda di condono edilizio, non abbia prodotto tutta la documentazione che l’art. 35 l. 47/1985 impone di depositare con la domanda di condono, vale a dire una dettagliata descrizione delle opere, una apposita dichiarazione circa lo stato dei lavori, corredata da documentazione fotografica, una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere ed una certificazione di un tecnico attestante l’idoneità statica,
Agli atti del processo, invece, precipuamente per effetto dell’ordine istruttorio disposto dal giudice di primo grado con la sentenza non definitiva n. 436 del 2011, peraltro non completamente eseguita dal Comune di (omissis), sicché non si ha certezza completa del tipo e del numero degli atti che furono allegati al momento della presentazione della domanda di condono, né però, pur avendone avuto la possibilità, la signora Fe. ha provveduto a colmare tale deficit probatorio, sono presenti l’atto di compravendita del 6 febbraio 1995 nonché la relazione tecnica illustrativa del 1999 del tecnico che ha curato la pratica di condono ed una perizia giurata di detto tecnico del 2000.
La proprietaria dell’immobile che ebbe a richiedere il condono ha prodotto, dunque, nel corso del procedimento amministrativo di condono e nell’ambito del giudizio di primo grado, una relazione tecnica illustrativa redatta dal geometra Do. Me., tecnico di parte per la cura delle pratiche di sanatoria edilizia per gli eredi del signor Vi. Fe. (la moglie An. An. ed i figli Fi. Fe. (odierna parte appellata) ed altri), conclusasi con concessione edilizia n. 3253 del 21 maggio 1983 per la realizzazione di una palazzina per civile abitazione in (omissis) (depositata in data 12 febbraio 1999 e seguita da una perizia giurata del 12 maggio 2000) nella quale si precisa che gli interventi edilizi abusivi furono realizzati durante la “costruzione” del fabbricato.
Successivamente il predetto consulente di parte, con una dichiarazione del 21 maggio 2012 (prodotta in atti), specificava che con l’espressione “in sede di costruzione”, utilizzata nella perizia di cui sopra, egli “intendeva indicare (che) le sopra dette opere costruite in difformità alla predetta concessione erano state completate nel medesimo periodo, e cioè dichiara che tali opere sono state completate entro l’estate dell’anno 1983, e quindi ampiamente entro il termine del 1 ottobre 1983” (così, testualmente, nella citata dichiarazione del 2012).
Pare evidente che, come ha avuto modo di rilevare il giudice di primo grado, tali elementi documentali prodotti non sono idonei (anche per l’orientamento giurisprudenziale del quale si è sopra dato conto e che il Collegio ritiene di condividere pienamente) a comprovare con certezza l’epoca di ultimazione dei lavori ritenuti abusivi, in assenza, peraltro, della certificazione di ultimazione dei lavori.
9. – L’affermazione secondo la quale le opere abusive sarebbero state realizzate durante la costruzione dell’edificio assentito con la concessione edilizia n. 3253 del 21 maggio 1983, in disparte la surriferita insufficienza probatoria trattandosi di dichiarazione proveniente da un tecnico della parte interessata, non costituisce elemento a favore della preesistenza delle opere abusive alla data del 1° ottobre 1983 e ciò a causa della stretta vicinanza di tempo tra i due eventi che lascia presumere piuttosto, in assenza di altri elementi probatori, che la costruzione del fabbricato non fosse “completata” secondo le indicazioni di cui all’art. 31, comma 2, l. 47/1985 sia sotto il profilo strutturale che sotto quello funzionale (in ragione dei criteri che più sopra sono stati descritti).
Parimenti, se è vero che nel giudizio amministrativo, ai sensi dell’art. 64 c.p.a., l’onere della prova impone a carico del ricorrente, nel caso di specie la parte ricorrente in primo grado, contestando la legittimità delle concessioni in sanatoria rilasciate perché il relativo procedimento era stato svolto dal comune senza appurare l’epoca di ultimazione delle opere abusive, ha fornito prova della fondatezza dei propri assunti, facendo emergere l’assenza di tutta la necessaria documentazione a corredo dell’istanza di condono e la mancata verifica in sede istruttoria, circa l’epoca di ultimazione degli abusi, che doverosamente il comune avrebbe dovuto svolgere prima di rilasciare i provvedimenti di sanatoria.
Va dunque escluso che in capo alla ricorrente in primo grado dovesse spettare anche di dimostrare che le opere oggetto di condono fossero state realizzate in epoca successiva al 1° ottobre 1983.
Sia il Comune di (omissis) che la signora Fe. avrebbero potuto produrre nel corso di tutto il presente processo elementi documentali idonei a dimostrare il completamento delle opere in epoca antecedente il 1° ottobre 1983, ma ciò non è avvenuto, se non con documentazione inidonea a tale scopo, come – ad esempio – le pose fotografiche depositate ma prive di ogni possibile o utile elemento idoneo a comprovare l’epoca della costruzione in parte abusiva.
10. – Dalle considerazioni che precedono discende che entrambi gli appelli, siccome riuniti, debbano essere respinti, con conferma della sentenza di primo grado qui gravata.
Sussistono, nondimeno, giusti motivi legati alla peculiarità della vicenda sottesa al presente contenzioso per disporre, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a, l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti:
1) dispone la riunione dell’appello n. R.g. 5153/2012 all’appello n. R.g. 4833/2012; 2) li respinge entrambi e, per l’effetto, conferma la impugnata sentenza di primo grado (Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede staccata di Latina, 10 febbraio 2012 n. 105), confermando altresì l’accoglimento del ricorso con motivi aggiunti (n. R.g. 1842/2000) in quella sede proposto e l’annullamento degli atti impugnati;
3) compensa le spese del presente grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio del 21 giugno 2018, del 29 novembre 2018 e dell’11 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore

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