Onere della prova in ordine alla data di realizzazione dell’opera edilizia

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 6 febbraio 2019, n. 903.

La massima estrapolata:

L’onere della prova in ordine alla data di realizzazione dell’opera edilizia, sia al fine di poter fruire del beneficio del condono edilizio sia al fine di poterne escludere la necessità di titolo abilitativo per essere realizzata al di fuori del centro abitato in epoca antecedente alla legge “ponte” n. 761 del 1967, grava sul privato.

Sentenza 6 febbraio 2019, n. 903

Data udienza 24 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8573 del 2012, proposto da
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ev. To., con domicilio eletto presso lo studio legale Clarizia, in Roma, via (…);
contro
En. Pa., rappresentato e difeso dall’avvocato Ga. Lo., domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO – L’AQUILA (SEZIONE I) n. 451/2012, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig. En. Pa.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2019 il Cons. Francesco Mele; nessuno è presente per le parti costituite;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza n. 451/2012 del 27-6-2012 il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo Sezione Prima accoglieva il ricorso proposto dal signor En. Pa., diretto ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 7/2011 del 4-3-2011, notificatagli il 16-5-2011, relativa ad un manufatto in muratura individuato sulla planimetria allegata al verbale di sopralluogo con il n. 14 ed insistente sulla particella (omissis), al foglio (omissis) del NCT.
La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.
“Il signor En. Pa. è comproprietario dell’immobile sito in (omissis)….ereditato dal di lui padre Al. Pa..
Con ordinanza del 4-3-2011, il Comune di (omissis) – richiamando un sopralluogo del 21-1-2011 – ha intimato agli eredi del sig. Al. Pa. la demolizione di un manufatto in muratura, posto come pertinenza del citato immobile ad uso deposito, risultato privo di permesso di costruire.
Tale provvedimento è stato impugnato con il presente gravame dal sig. En. Pa., che ha sostenuto in primis un vizio istruttorio collegato alla mancata individuazione dei destinatari del provvedimento medesimo (genericamente diretto nei confronti del sig. Al. Pa., laddove una semplice visura catastale avrebbe evidenziato gli effettivi proprietari del manufatto).
In secondo luogo, si deduce che l’opera in questione altro non sarebbe che un modesto locale-deposito in muratura a suo tempo realizzato dal sig. En. Pa. ben prima della legge-ponte 765/1967, in periodi pertanto durante i quali non vigeva alcun obbligo di licenza edilizia, per manufatti – come nella specie- realizzati al di fuori del centro urbano (vengono allegate anche conformi dichiarazioni di alcuni paesani sull’esistenza dell’opera fin dal 1965)….”.
Avverso la predetta sentenza di accoglimento ha proposto appello il Comune di (omissis), deducendone l’erroneità e chiedendone l’integrale riforma, con il conseguente rigetto del ricorso di primo grado.
Ha dedotto: 1) Violazione degli artt. 27 e segg. del d.P.R. n. 380/2001- erronea valutazione e travisamento degli atti e dei fatti – difetto di motivazione e di istruttoria – violazione ed erronea applicazione dell’art. 64 c.p.a.; 2) Violazione dell’articolo 64 c.p.a.
Si è costituito in giudizio il signor En. Pa., il quale ha rilevato violazione dell’articolo 104 c.p.a., avendo il Comune, nell’atto di appello, proposto eccezioni ed argomenti nuovi, non palesati in primo grado, in uno alla produzione di documentazione mai ritualmente introdotta nel giudizio dinanzi al Tribunale Amministrativo.
Ha evidenziato, inoltre, che l’ente locale avrebbe ampliato l’oggetto del giudizio, nonché fornito il provvedimento impugnato di motivazione postuma, adducendo, a sostegno della disposta demolizione, ragioni nuove non indicate nella emanata ingiunzione.
Ha, infine, riproposto i motivi del ricorso di primo grado non esaminati dal Tribunale Amministrativo in quanto assorbiti.
Con ordinanza n. 4938/2012 del 19-12-2012, in accoglimento della domanda cautelare del Comune, è stata disposta la sospensione della esecutività della sentenza appellata
Il Comune di (omissis) ha depositato memoria conclusionale, nella quale ha controdedotto ai rilievi formulati dall’appellato.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 24-1-2019.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello il Comune lamenta: violazione e falsa applicazione degli artt. 27 e ss. del d.P.R. n. 380/2001 – erronea valutazione e travisamento degli atti e dei fatti – difetto di motivazione e di istruttoria – violazione ed erronea applicazione dell’art. 64 c.p.a.
L’ente censura la gravata sentenza, laddove ha rilevato che, a fronte della evidente risalenza del manufatto, il comportamento del Comune è stato connotato da superficialità istruttoria e motivazionale, avendo disposto la demolizione senza prima procedere ad accertamenti sulla risalenza dell’immobile, evidenziando pure che, non costituendosi in giudizio, questo avrebbe rinunciato a confutare il dato storico invocato dal privato, idoneo ad escludere il carattere abusivo dell’opera.
Espone che esso ha dovuto porre in essere l’attività repressiva a seguito di sopralluogo, effettuato il 21 gennaio 2011, con il quale è stato accertato che per il manufatto in questione non risultano titoli abilitativi urbanistico-edilizi, che l’area di sedime ove ricade il manufatto è di pertinenza degli edifici ERP, parte dei quali proprietà comunale, che difetta nella specie sia autorizzazione ambientale sia autorizzazione degli aventi diritto.
Il Tribunale Amministrativo, poi, non avrebbe preso in considerazione le motivazioni addotte nell’ordinanza, da cui emergeva che l’area di insistenza del manufatto era pubblica, onde la necessità di un titolo autorizzativo.
L’ente locale evidenzia ancora che sull’area medesima grava il vincolo idrogeologico nonché vincolo paesaggistico-ambientale, in relazione ai quali alcuna autorizzazione era stata rilasciata, sottolineando che gli impianti ed i materiali di costruzione erano di tipologie messe in commercio successivamente agli anni sessanta e che il sito in cui il manufatto era stato realizzato (complesso di edilizia residenziale per i senza tetto) costituiva centro abitato.
Il giudice di primo grado, a dire di parte appellante, avrebbe erroneamente attribuito rilievo alle deduzioni del ricorrente in ordine all’epoca di realizzazione del manufatto.
Il Comune assume che, per costante giurisprudenza, l’onere di fornire la prova in ordine all’epoca di realizzazione dell’abuso edilizio ricade sull’interessato e non sull’amministrazione, traslando detto onere probatorio sull’amministrazione solo nel caso in cui il ricorrente abbia fornito concreti elementi, altamente probanti, in ordine alla data di realizzazione dell’abuso.
Non risulterebbero all’uopo sufficienti le generiche asserzioni del privato e le dichiarazioni rilasciate da terzi.
Con il secondo motivo di appello il Comune di (omissis) denunzia la violazione dell’articolo 64 del c.p.a., laddove il Tribunale ha fatto discendere dalla carenza di difese da parte dell’ente il “ragionevole affidamento alla ricostruzione dei fatti operata dal ricorrente”.
Evidenzia che nella specie non era applicabile il principio di non contestazione di cui al comma 2 della richiamata norma, operando lo stesso solo con riferimento alle parti costituite, mentre nella specie esso non aveva partecipato al primo grado di giudizio.
Né era possibile – a detta del Comune – ricorrere alla disposizione dell’ultimo comma della norma, in quanto il “comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo”, da cui poter desumere argomenti di prova doveva pure esso riferirsi alle parti costituite.
Con il terzo motivo il Comune lamenta: travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.
Rileva che erroneamente la sentenza avrebbe indicato l’immobile in questione quale sito in “(omissis), piazza (omissis)”, essendo questo l’indirizzo dello stabile in cui si trova il Municipio di (omissis), ad oltre (omissis) Km di distanza dall’area interessata dall’abuso, nonché quale “a suo tempo realizzato dal signor En. Pa.”, mentre l’autore del manufatto era il padre di questi, signor Al. Pa..
Tali imprecisioni denoterebbero un esame superficiale degli atti di causa.
L’appello è fondato, per le ragioni che di seguito si espongono.
L’ordinanza oggetto di impugnativa, n. 7/2011 del 4-3-2011, così motiva l’irrogata sanzione demolitoria:
“Visto il verbale di sopralluogo del 21.1.2011, redatto dall’I. Is. D’A. e dall’arch. Lu. Pa., dal quale si rileva che il signor Pa. Al., nato a (omissis) il (omissis), residente in Roma, via (omissis), ha realizzato un manufatto in muratura, individuato sulla planimetria allegata al verbale di sopralluogo con il numero 14 sulla particella distinta al NCT al foglio (omissis) part. (omissis);
Dato atto che a seguito di ricerca presso l’ufficio urbanistico e l’archivio comunale, non risultano atti abilitativi urbanistico-edilizi, relativi al manufatto di che trattasi, indicato nella planimetria allegato 1 del verbale di sopralluogo sopra richiamato;
Dato atto che l’area di sedime ove insiste il manufatto è distinta in catasto al foglio (omissis) con il mappale (omissis) ed è di pertinenza degli edifici ERP parte di proprietà comunale, altri riscattati dagli aventi diritto;
Ritenuto pertanto di dover ordinare la demolizione in quanto eseguiti in assenza di atti abilitativi urbanistici e di autorizzazione ambientale, oltre che di autorizzazione degli aventi diritto;
Visti gli artt. 27, 31, 41 del DPR 380/2001 e s.m.i.; ……..
Ordina la demolizione del manufatto individuato con il n. 14 della planimetria allegato 1 del verbale di sopralluogo ed il ripristino dello stato dei luoghi ex ante e delle condizioni di sicurezza agli eredi del sig. Pa. Al., nato a (omissis) il 7.5.1920….individuato sulla planimetria allegata al verbale di sopralluogo con il numero 14, a sua cure e spese, in relazione ai lavori eseguiti senza titolo abilitativo rilevati con verbale di sopralluogo del 21.1.2011 che si allega alla presente……”.
Osserva il Collegio che dalla lettura della motivazione della predetta ordinanza si evince chiaramente che l’ingiunta demolizione è stata precipuamente disposta in relazione alla carenza di titolo urbanistico-edilizio per la realizzazione del manufatto in questione.
Tanto emerge dal rilievo che “non risultano atti abilitativi urbanistico-edilizi relativi al manufatto”, dalla affermazione di “dover ordinare la demolizione in quanto eseguiti in assenza di atti abilitativi urbanistici…”, nonché dal richiamo alle norme di cui agli artt. 27 e 31 del D.P.R. n. 380/2001, i quali prevedono la sanzione demolitoria per gli interventi eseguiti in assenza del prescritto permesso di costruire.
Ciò posto, la Sezione rileva che l’ente locale ha esaurientemente adempiuto al proprio obbligo motivazionale.
Costituisce costante affermazione giurisprudenziale che l’attività di repressione degli abusi edilizi non costituisce attività discrezionale, ma del tutto vincolata (cfr., ex multis, Cons. Stato, VI, 6-9-2017 n. 4243).
Ne consegue che l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività (cfr. Cons.Stato, IV, 5-11-2018, n. 6246).
La legittimità dell’ingiunzione demolitoria richiede, dunque, l’affermazione della accertata abusività dell’opera, attraverso la descrizione delle opere, la constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo e l’individuazione della norma applicata, ogni altra indicazione esulando dal contenuto tipico del provvedimento.
Orbene, tali indicazioni risultano contenute nel provvedimento impugnato, laddove si opera riferimento ad un manufatto in muratura individuato al numero 14 della planimetria allegata al verbale di sopralluogo, se ne specifica l’area di insistenza e si chiarisce che lo stesso manca di “atti abilitativi urbanistici e di autorizzazione ambientale, oltre che di autorizzazione degli aventi diritto”.
Rileva, in particolare, la Sezione che l’Amministrazione non doveva dare indicazioni in ordine all’epoca di realizzazione dell’illecito, non rientrando tale verifica tra i contenuti dell’ordinanza di demolizione avente ad oggetto l’accertamento dell’abuso esistente (cfr. T.A.R. Campania- Salerno, II, 19-5-2015, n. 1038).
Invero, l’esistenza nell’attualità sul territorio comunale dell’opera abusiva la rende illecito connotato da caratteri di permanenza, con la conseguenza che l’ente locale può ordinarne la demolizione sulla base della riscontrata assenza del titolo abilitativo.
Non grava, invero, sull’Amministrazione l’onere di fornire prova della data di realizzazione dell’abuso, al fine di supportare la legittimità della ingiunta demolizione.
Sotto tale profilo deve, pertanto, ritenersi l’erroneità della sentenza gravata laddove rileva “la superficialità istruttoria e motivazionale con cui la PA civica ha proceduto ad ingiungere la demolizione senza prima aver disposto accertamenti (neanche di primo livello) sul tempo di realizzazione dell’immobile, accertamenti di cui l’ordinanza non fa per l’appunto alcun cenno”.
Risulta, pertanto, infondato il secondo motivo del ricorso di primo grado, laddove il signor Pa. lamenta che “nell’iter motivazionale della ordinanza nulla si legge circa un’eventuale attività istruttoria finalizzata all’individuazione della data di realizzazione del manufatto. Ciò manifesta ancora una volta la superficialità della condotta dell’ente pubblico”.
Il Collegio, in proposito, condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’onere della prova in ordine alla data di realizzazione dell’opera edilizia – sia al fine di poter fruire del beneficio del condono edilizio sia al fine di poterne escludere la necessità di tiolo abilitativo per essere realizzata al di fuori del centro abitato in epoca antecedente alla legge “ponte” n. 761 del 1967 – grava sul privato (cfr. Cons. Stato, VI, 24-5-2016, n. 2179).
Invero, ai sensi dell’art. 63, comma 1, e dell’art. 64, comma 1, c.p.a. spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità .
La prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie, è dunque, posta sul privato e non sull’amministrazione, atteso che solo questi può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto; mentre l’Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo territorio.
Orbene, l’appellato ha nel giudizio di primo grado supportato la propria affermazione circa la realizzazione del manufatto in data antecedente all’entrata in vigore della legge “ponte” sulla base di due dichiarazioni, rese dai signori Mo. Fr. e Le. An. Ro., del seguente tenore: “…consapevole delle conseguenze penali che conseguono a una dichiarazione falsa e/o mendace, dichiara che il sigg. Al. Pa…..-ha realiizzato il manufatto in muratura, individuato nella planimetria, allegata alla presente, con il numero 14, sulla particella distinta al NCT al foglio (omissis), particella n. (omissis), negli anni sessanta; -alla data del 31-12-1965 detto manufatto era già esistente nello stato di fatto e di diritto in cui il medesimo attualmente si trova”.
Rileva il Collegio che tali dichiarazioni non sono sufficienti a fornire prova dell’epoca di realizzazione del manufatto, operandosi riferimento all’orientamento giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, VI, 24-5-2016, n. 2179) secondo il quale le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà non sono utilizzabili nel processo amministrativo e non rivestono alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l’attività istruttoria dell’amministrazione.
Esse, infatti, non sono sufficienti alla prova della data di ultimazione dei lavori, dovendo essere supportate da ulteriori riscontri documentari, eventualmente indiziari, purchè altamente probanti (cfr. Cons. Stato, VI, 15-10-2013, n. 5007), ritenendosi all’uopo utili peculiari atti, quali fatture, ricevute relative all’esecuzione dei lavori ed all’acquisto dei materiali, bolle di consegna (cfr. Cons. Stato, V, 14-3-2007, n. 1249; T.A.R. Latina, I, 19-5-2015, n. 401).
Orbene, rileva la Sezione che il signor Pa. non ha offerto, a dimostrazione della realizzazione del manufatto in data antecedente al 1967, ulteriori riscontri documentari, onde deve ritenersi che la prova dallo stesso offerta risulti insufficiente e, pertanto, legittima l’irrogazione della sanzione demolitoria da parte dell’amministrazione.
Allo stesso modo non può accedersi alla richiesta di accertamento tecnico, osservandosi che tale mezzo istruttorio non può essere invocato al fine di supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato.
Né può, ritenersi – contrariamente a quanto emerge dalla sentenza gravata – che la prova possa dirsi raggiunta sulla base della mancata costituzione in giudizio del Comune di (omissis).
La sentenza di primo grado così motiva sul punto: “…a fronte del proposto gravame, prevalentemente mirato ad evidenziare la preesistenza dell’immobile in questione fin dalla metà degli anni sessanta (e cioè prima della legge ponte in un regime ancora di libera edificabilità ), il comune intimato non ha ritenuto di costituirsi in giudizio, rinunciando pertanto a confutare – magari ricorrendo ad istruttorie tardive – il dato storico invocato ex adverso, idoneo di per sé ad escludere quei connotati abusivi presupposti dell’ordinanza impugnata. In tal senso, le regole processuali sulla valutazione della prova, stabilite dall’art. 64 CPA, conducono a dare ragionevole affidamento alla ricostruzione dei fatti operata dal ricorrente, atteso che i riferimenti operati dal comma 3 della citata norma alle parti costituite debbano intendersi applicabili anche nel caso in cui la mancata contestazione dei fatti riguardi un’amministrazione non costituita (diversamente opinando la contumacia potrebbe essere strumentalizzata dalla PA resistente per sottrarsi alle presunzioni di legge e per aggravare gli oneri probatori del ricorrente, in frontale contrasto con l’art. 2 del CPA sul giusto processo e sulla leale cooperazione delle parti alla celere definizione del giudizio).Pari considerazioni vanno formulate in ordine all’ultimo comma del predetto art. 64 CPA, ove si ha riguardo al comportamento “tenuto dalle parti nel corso del processo”, senza con ciò escludere dalla valutazione giudiziale il comportamento della PA che decide di non partecipare alla vertenza”.
La Sezione non condivide le argomentazioni motivazionali del giudice di primo grado, con riferimento alla interpretazione offerta dell’articolo 64 del codice del processo amministrativo.
Il comma 2 di tale norma prevede che “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite”.
Dalla lettura della norma si evince che i fatti non contestati devono essere posti a fondamento della decisione, senza che residui margine di discrezionalità in capo al giudicante; evidenziandosi, altresì, che la indicazione dei “fatti non specificamente contestati” in uno alle “prove proposte dalle parti” lascia intendere che i fatti non contestati confluiscono nel concetto di prova.
Costituendo questi “prova” nel processo amministrativo e, dunque, elementi sui quali il giudice deve fondare la propria decisione, si impone una interpretazione rigorosamente letterale della disposizione, la quale opera espresso riferimento alle “parti costituite”.
Deve, di conseguenza, ritenersi che la mancata contestazione di un fatto allegato dal ricorrente da parte dell’Amministrazione intimata ma non costituita in giudizio non rientri nel paradigma di operatività della richiamata disposizione.
D’altra parte, il rilevante effetto del principio di non contestazione, che porta a ritenere provati fatti allegati dal ricorrente senza che questi ne fornisca una dimostrazione puntuale e specifica, induce a ritenere che la mancata contestazione debba essere univocamente indice della volontà dell’altra parte di ritenerli esistenti, situazione che può configurarsi solo nell’ipotesi in cui quest’ultima sia costituita in giudizio e non abbia mosso specifiche contestazioni.
Il principio di non contestazione di cui al richiamato comma 2 dell’articolo 64 c.p.a. non è, pertanto, applicabile alla vicenda in esame, non essendosi il Comune di (omissis) costituito in giudizio.
Resta, a questo punto, da chiedersi se la prova della realizzazione del manufatto in epoca antecedente alla data di entrata in vigore della legge “ponte” possa trarsi dalla mancata costituzione in giudizio in sé del Comune, quale comportamento processuale dal quale trarre argomenti di prova.
A tale quesito la Sezione ritiene di dover dare risposta negativa.
La giurisprudenza (cfr. Cass. 9-12-1994, n. 10554) ritiene che la contumacia del convenuto, di per sé sola considerata, non può assumere alcun significato probatorio in favore della domanda dell’attore, poiché, al pari del silenzio nel campo negoziale, non equivale ad alcuna manifestazione di volontà favorevole alla pretesa di controparte, ma lascia del tutto inalterato il substrato di contrapposizione su cui si articoli il contraddittorio.
E’ stato, pure affermato (cfr. Cass.civ., III, 13-6-2013, n. 14860) che la disciplina della contumacia non attribuisce a questo istituto alcun significato sul piano probatorio, salva previsione espressa, con la conseguenza che si deve escludere non solo che essa sollevi la controparte dall’onere della prova, ma anche che rappresenti un comportamento valutabile, ai sensi dell’articolo 116, primo comma, c.p.c., per trarne argomenti di prova in danno del contumace.
Traslati tali principi giurisprudenziali nel processo amministrativo, con riferimento alla mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione, deve ritenersi che tale comportamento non possa suffragare la bontà della tesi del signor Pa. in ordine all’epoca di realizzazione dell’opera antecedentemente alla entrata in vigore della legge “ponte”, non avendo questi adempiuto al proprio onere probatorio sul punto.
Ed, invero, la mancata costituzione in giudizio non viene a costituire alcuno degli elementi “oggettivi” sopra menzionati, i quali, secondo la giurisprudenza innanzi richiamata, devono integrare la mera produzione di dichiarazioni sostitutive, affinchè possa dirsi dimostrata la data di realizzazione del manufatto.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte deve ritenersi, pertanto, la fondatezza del primo e del secondo motivo di appello, sufficiente all’accoglimento del gravame; con conseguente assorbimento dell’esame del terzo motivo di appello.
Risultando tale fondatezza scrutinata sulla base dei soli elementi presenti nel giudizio di primo grado, ne consegue l’irrilevanza, ai fini di una diversa conclusione, delle contestazioni mosse dall’appellato in ordine alla violazione, da parte del Comune, dell’articolo 104 c.p.a., deducendosi che l’ente locale avrebbe proposto in grado di appello eccezioni e documentazione non prodotta in primo grado, nonché diretti alla dimostrazione di fatti neppure dedotti nel provvedimento gravato.
Resta a questo punto da esaminare i motivi di ricorso di primo grado assorbiti dalla sentenza del Tribunale Amministrativo e riproposti nella presente sede di appello.
Questi sono infondati.
Con il primo motivo il signor Pa. lamenta: violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241 del 1990; mancata individuazione del soggetto destinatario del provvedimento; carenza nell’attività istruttoria.
Evidenzia che l’ente ha ordinato la demolizione agli eredi del signor Al. Pa., senza individuare chi essi siano e omettendone le generalità .
La doglianza non merita pregio, osservandosi che l’indicazione nell’ordinanza di demolizione degli eredi dell’autore dell’abuso senza indicazione delle relative generalità non determina l’illegittimità del provvedimento, atteso che tali persone fisiche, pur non specificate nelle precise generalità, sono comunque soggetti individuati in relazione al dato certo ed inequivoco della loro qualità di eredi.
Dalla copia del provvedimento impugnato, depositato nella produzione del ricorrente di primo grado, risulta che lo stesso è stato notificato ad uno degli eredi, il signor Pa. Gi..
Di poi, la contestata indicazione, quali destinatari del provvedimento, degli “eredi del signor Al. Pa.”, non ha impedito la proposizione di ricorso giurisdizionale, la quale è avvenuta da parte dell’erede signor En. Pa..
Quanto al riproposto secondo motivo del ricorso originario (difetto di motivazione in ordine all’iter logico seguito nella irrogazione della sanzione, con specifico riguardo alla risalenza temporale delle opere; carenza dell’attività istruttoria), si osserva che la sua infondatezza è già stata più innanzi scrutinata, nella disamina dei primi due motivi dell’appello, alla quale non può che operarsi rinvio.
L’ulteriore deduzione, attraverso il richiamo a giurisprudenza sul punto, secondo cui, in relazione alla risalenza nel tempo delle opere realizzate, occorrerebbe congrua motivazione che indichi il pubblico interesse idoneo a sacrificare il contrapposto interesse del privato, è anch’essa infondata.
Basti al riguardo richiamare il principio di diritto recentemente espresso dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio con la sentenza n. 9 del 17-10-2017, in base al quale “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pur tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.
Conclusivamente, dunque, sulla base delle argomentazioni sopra svolte, l’appello è fondato.
Segue, pertanto, la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo ed il rigetto del ricorso di primo grado.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’articolo 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (cfr., ex multis, Cass. civ., V, 16-5-2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese del doppio grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, tenendosi conto nella loro quantificazione che il Comune di (omissis) non si è costituito nel giudizio di primo grado, onde non ha sopportato spese di causa in tale fase processuale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza n. 451/2012 del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, rigetta il ricorso di primo grado.
Condanna il signor Pa. Enzo al pagamento, in favore del Comune di (omissis), delle spese del doppio grado del giudizio, che si liquidano in complessivi euro 2000 (duemila), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF
Marco Buricelli – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere, Estensore
Dario Simeoli – Consigliere

Per aprire la mia pagina facebook avvocatorenatodisa
cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *