Occupazione illegittima di un fondo per scopi di pubblica utilità

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 27 aprile 2020, n. 2661.

La massima estrapolata:

L’occupazione illegittima di un fondo per scopi di pubblica utilità, seguita dalla effettiva realizzazione di opere riconosciute di pubblica utilità, non solo non produce ex se, a favore dell’Amministrazione che ha occupato il fondo, l’acquisizione della proprietà dell’opera e del fondo sul quale l’opera insiste, ma neppure può essere all’origine dell’estinzione del diritto di proprietà vantato dal privato sul fondo oggetto di occupazione.

Sentenza 27 aprile 2020, n. 2661

Data udienza 13 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Opere pubbliche – Proprietà privata – Occupazione abusiva – Acquisizione della proprietà dell’opera e del fondo sul quale l’opera insiste – Inconfigurabilità – Azione di risarcimento danni

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 4203 del 2013, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
i signori Vi. Ro. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Do. Ge., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tar per la Basilicata, n. 132 del 13 marzo 2013, resa tra le parti, concernente il risarcimento dei danni a seguito di occupazione di aree necessarie alla realizzazione di infrastrutture di pubblica utilità .
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Vi. Ro. ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2020 il consigliere Nicola D’Angelo e udito, per il Comune appellante, l’avvocato Mi. Mi., su delega dell’avvocato Gi. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. I signori Vi. Ro. ed altri hanno chiesto al Tar per la Basilicata il risarcimento dei danni subiti per l’occupazione di alcuni terreni di loro proprietà, siti nel Comune di (omissis) nella contrada (omissis).
1.2. Le aree sono state occupate per l’esecuzione di lavori di urbanizzazione primaria necessari alla vicina area PAIP a seguito dell’approvazione, con delibera n. 54 del 20 giugno 2006 della Giunta comunale, del progetto preliminare degli stessi. Con la delibera n. 128 del 30 dicembre 2006 venivano poi approvati il progetto esecutivo e il piano parcellare degli espropri. Con decreto n. 11490 del 4 settembre 2007, il Comune disponeva l’occupazione d’urgenza dei terreni e, dopo l’immissione in possesso, avviava e completava i lavori previsti.
1.3. Le opere di urbanizzazione previste dalla procedura espropriativa erano tuttavia state già oggetto nel 1980 di un piano particolareggiato per gli insediamenti artigianali e produttivi nella stessa zona. In ragione di numerose richieste era stata dunque prevista una “seconda fase” nel 2006 anche per rendere il piano più coerente con il PRG approvato il 23 ottobre 1987.
1.4. Dopo l’occupazione d’urgenza e l’accertamento dello stato dei luoghi e l’immissione in possesso (l’11 ottobre 2007), i ricorrenti inoltravano il 22 novembre 2007 richiesta di nomina della terna di tecnici ai sensi dell’art. 21 del DPR n. 327/2001 al fine di determinare il giusto valore da attribuire alle aree, confermando al contempo di voler cedere bonariamente le stesse.
1.5. A seguito dell’accettazione dell’indennità offerta da parte di solo due comproprietari Pi. Ro. e Vi. Ro., con determinazione n. 393 del 9 dicembre 2009 il Comune procedeva all’avvio delle procedure di erogazione delle somme in favore di coloro che le avevano accattate e metteva a disposizione le restanti, così come determinate, presso la Cassa Depositi e Prestiti per gli altri proprietari che non avevano sottoscritto l’accordo bonario.
1.6. Quanto alla qualificazione dei terreni di cui è causa, nel PRG gli stessi sono stati classificati come suoli per gli insediamenti produttivi ed artigianali (Zona (omissis)) e la loro edificabilità è stata subordinata alla redazione e alla approvazione di un piano attuativo. Inoltre la proprietà dei signori Ro. solo in parte è stata soggetta ad esproprio e comunque è restata indivisa anche con i due fratelli, che hanno accettato le relative somme.
1.8. I signori Vi. Ro. ed altri hanno tuttavia sostenuto che al decreto di occupazione non ha mai fatto seguito alcun provvedimento di esproprio nel quinquennio di efficacia della connessa dichiarazione di pubblica utilità . Pertanto, in ragione della realizzazione dei lavori e della conseguente trasformazione dei suoli si sarebbe formata una ‘accessione invertità in favore del Comune a partire dalla scadenza dei cinque anni dall’immissione nel possesso.
1.9. Di conseguenza, essi hanno chiesto al Tar il risarcimento del danno per l’irreversibile trasformazione del suolo per un ammontare da commisurarsi secondo i parametri di cui all’art. 42 bis del DPR n. 327/2001.
1.10. Il Tar adito, anche all’esito di una CTU disposta con ordinanza collegiale n. 354/2012, con la sentenza indicata in epigrafe ha riconosciuto la sussistenza del danno lamentato, circoscrivendolo però ai soli terreni interessati in via diretta dall’irreversibile trasformazione, con l’esclusione di quelli residui non occupati da opere.
2. Contro la predetta decisione ha proposto appello il Comune di (omissis), sulla base dei seguenti motivi di censura.
2.1. Error in procedendo. Difetto di motivazione ed errata e insufficiente motivazione. Violazione di legge. Violazione del diritto di difesa. Non regolare instaurazione del contraddittorio su un punto decisivo della controversia.
2.1.1. Secondo il Comune appellante, il Tar avrebbe erroneamente trascurato l’eccezione di inammissibilità del ricorso, in ragione della circostanza che lo stesso ha avuto ad oggetto solo la domanda risarcitoria senza impugnare gli atti della connessa procedura espropriativa. Inoltre, la durata decennale del piano attuativo non sarebbe decorsa, con la conseguenza di rendere inammissibile l’azione risarcitoria proposta.
2.2. Error in iudicando. Difetto di motivazione ed errata e insufficiente motivazione. Violazione di legge.
2.2.2. I giudici di prime cure non hanno condiviso la tesi del Comune in ordine al fatto che il piano particolareggiato relativo all’area PAIP fosse stato riapprovato nel 2006 per la cosiddetta fase due, nonostante la Regione Basilicata con delibera n. 2051/2005 avesse assegnato al Comune una specifica dotazione finanziaria, pari ad euro 1.000.000,00, per i nuovi interventi. In sostanza, secondo l’appellante si è trattato di una procedura avente ad oggetto un piano attuativo finalizzato all’approvazione di un progetto esecutivo per i lavori relativi alle opere di urbanizzazione primaria dell’area PAIP di (omissis) con durata fissata in dieci anni.
2.3. Error in iudicando. Errore e difetto di motivazione sulla richiesta risarcitoria. Violazione di legge. Inaccoglibilità della domanda di risarcimento del danno.
2.3.1. L’Amministrazione ricorrente ripropone poi le eccezioni formulate in primo grado e non valutate dal Tar, sia in relazione ai profili di inammissibilità del ricorso, sia sulla non accoglibilità della richiesta risarcitoria in assenza della prova dell’illegittimità dell’iter procedurale seguito dal Comune. In ogni caso, non sarebbe stato possibile giungere ad una condanna risarcitoria in assenza del trasferimento della proprietà del bene in capo alla stessa Amministrazione che se ne era illegittimamente impossessata.
2.4. Error in iudicando. Erronea e insufficiente motivazione anche delle risultanze della CTU. Violazione di legge. Sviamento erronea e insufficiente valutazione della CTP resistente. Violazione del diritto alla difesa e del contraddittorio processuale.
2.4.1. Il CTU nominato dal giudice di primo grado non avrebbe riscontrato adeguatamente le osservazioni del consulente tecnico del Comune. In particolare, egli non ha evidenziato la disagevole conformazione dell’area e la presenza di un elettrodotto ai fini della valutazione delle stessa. Inoltre le spese dell’incombente istruttorio sono state poste a capo di entrambe le parti, anche se lo stesso è stato espletato per supplire le mancanze sul piano probatorio della richiesta risarcitoria.
2.5. Error in iudicando. Erronea e insufficiente motivazione. Violazione di legge. Mancanza dei presupposti di diritto sostanziale dell’azione del danno. Assenza della prova materiale.
2.5.1. La CTU non poteva essere utilizzata ai sensi dell’art. 63, coma 4, del c.p.a., non avendo gli interessati fornito un principio di prova.
2.6. Assenza della prova del danno e sul suo ammontare.
2.6.1. La sentenza sarebbe errata laddove ha determinato l’ammontare del risarcimento, senza valutare le eccezioni sollevate anche in relazione al periodo di occupazione legittima.
2.7. Error in iudicando. Errore e difetto di motivazione. Violazione di legge. Inammissibilità della domanda di risarcimento danni per genericità . Infondatezza delle richiesta CTU.
2.7.1. Il Tar ha erroneamente quantificato il danno non patrimoniale, calcolato nella generica misura del 10% del valore venale del bene, non considerando che alcuni dei suoli non sono entrati a far parte della procedura espropriativa.
3. I signori Vi. Ro. ed altri si sono costituiti in giudizio il 27 giugno 2013, chiedendo il rigetto dell’appello, ed hanno presentato ulteriori documenti e per ultimo una memoria il 9 gennaio 2020.
4. Anche il Comune di (omissis) ha depositato ulteriori documenti e per ultimo una memoria di replica il 22 gennaio 2020.
5. Con ordinanza cautelare n. 2502 del 3 luglio 2013, questa Sezione ha accolto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, presentata contestualmente al ricorso, con la seguente motivazione: “Considerato che, ad un primo sommario esame, appaiono sussistere i presupposti per l’accoglimento della domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, avuto riguardo ai profili afferenti alla proposizione della domanda risarcitoria accolta in primo grado, sia in punto di ammissibilità (sollevati dal Comune anche nel presente grado), che di tempestività (rilevabile ex officio)”.
6. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 13 febbraio 2020.
7. L’appello è fondato per le ragioni di seguito indicate.
8. Con delibera giuntale n. 54/2006, il Comune dì (omissis) approvava il progetto preliminare dei lavori di infrastrutturazione dell’area PAIP, sita alla contrada (omissis) e dichiarava di pubblica utilità le relative opere. Con successiva delibera n. 128/2006, il Comune approvava il progetto esecutivo dei lavori e il piano parcellare degli espropri, includendovi i terreni dì proprietà dei signori Ro.. Con decreto n. 11490 del 4 settembre 2007, il Comune disponeva infine l’occupazione d’urgenza dei terreni
8.1. Effettuata l’immissione in possesso in data 18 ottobre 2007, i lavori venivano avviati da parte dell’impresa appaltatrice ed erano completati. Poiché però al decreto di occupazione non ha fatto seguito alcun atto di esproprio entro il quinquennio di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, secondo i ricorrenti in primo grado si sarebbe verificata una ‘accessione invertità in favore del Comune.
8.2. In particolare, tale perdita di efficacia si sarebbe originata, in assenza di un termine nella dichiarazione di pubblica utilità nella delibera giuntale n. 54/06, per l’applicazione dell’art. 13 del T.U. sugli espropri (DPR n. 327/2001). La delibera, infatti, in quanto immediatamente esecutiva, avrebbe avuto scadenza cinque anni dopo, cioè l’11 luglio 2011 (a tale data si sarebbe dunque formata l’acquisizione del suolo, irreversibilmente trasformato e incorporato nell’opera pubblica, con la conseguenza che i ricorrenti avrebbero avuto diritto, in assenza di indennizzo, al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. secondo i parametri di cui all’art. 42 bis del DPR n. 327/01).
8.3. Per queste ragioni, i signori Vi. Ro. ed altri (comproprietari che non avevano accettato l’indennità determinata dalla terna di tecnici ai sensi dell’art. 21 del DPR n. 327/2001) hanno chiesto al Tar per la Basilicata il risarcimento del danno per l’illegittima occupazione dei loro terreni. In particolare, essi hanno chiesto.
– una somma commisurata al valore venale del bene, che nella specie sarebbe stato un terreno edificabile incluso nel PAIP;
– il calcolo degli interessi al 5% sulla somma predetta per tutto il periodo di occupazione temporanea e urgente;
– una somma pari al 10% di quelle di cui ai punti precedenti per danno non patrimoniale, ad oggi stimata in via equitativa nella somma di euro 50.000,00;
– il risarcimento anche per la parte di lotto non occupata da opere perché residua e ormai priva di utilizzabilità .
8.4. Il Tar adito, dopo aver disposto una CTU, ha accolto il ricorso limitatamente ai terreni interessati in via diretta dall’irreversibile trasformazione, riconoscendo il risarcimento secondo i parametri di valore indicati dal CTU.
9. Nei motivi di appello, il Comune di (omissis) censura sotto molteplici aspetti la decisione del giudice di primo grado.
10. Talune di queste censure non risultano fondate.
10.1. Va respinto il primo motivo di appello, secondo cui la domanda risarcitoria non poteva essere proposta in assenza dell’impugnazione degli atti della procedura ablativa, poiché la causa non riguarda tale impugnazione.
10.2. Il secondo motivo (relativo alla riapprovazione del piano) è improcedibile per difetto di interesse, perché nel corso del giudizio è comunque venuta meno l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, pur a voler considerare rilevanti gli atti indicati dal Comune.
10.3. Il quarto ed il quinto motivo di appello sono anch’essi improcedibili, in quanto le questioni sul dovuto ai ricorrenti non attengono al giudizio, dovendosi verificare preliminarmente se sarà emesso l’atto di acquisizione dell’area, con la conseguente inevitabile giurisdizione del giudice ordinario sulla quantificazione del dovuto.
10.4. Il sesto ed il settimo motivo sono, infine, inammissibili, perché solo dopo l’atto di acquisizione del Comune può subentrare la pretesa alla corresponsione dell’indennizzo e di un risarcimento (a seconda se vi sarà o meno lo stesso atto di acquisizione)
11. Fatte queste premesse, va invece ritenuta fondata ed assorbente la censura dedotta nel terzo motivo di appello.
11.1. Il ricorrenti in primo grado, a presupposto delle loro pretese risarcitorie, hanno prospettato che sia intervenuta una accessione invertita a favore del Comune.
Tale circostanza tuttavia non può ritenersi configurabile (al di là dell’impreciso riferimento alla accessione invertita, che non è stata ravvisata in materia anche quando nella prassi – poi risultata contrastante con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo – si ravvisavano casi di occupazione appropriativa o di ‘espropriazioni di fattò o di espropriazioni indiretta ).
11.2. Allo stato attuale del diritto positivo, l’occupazione illegittima di un fondo per scopi di pubblica utilità, seguita dalla effettiva realizzazione di opere riconosciute di pubblica utilità, non solo non produce ex se, a favore dell’Amministrazione che ha occupato il fondo, l’acquisizione della proprietà dell’opera e del fondo sul quale l’opera insiste, ma neppure può essere all’origine dell’estinzione del diritto di proprietà vantato dal privato sul fondo oggetto di occupazione.
In sostanza, il proprietario il cui fondo sia utilizzato “per scopi di interesse pubblico” non perde la proprietà .
11.3. A questo punto soccorre, come peraltro indicato anche dagli appellati nella loro memoria del 9 gennaio 2020, l’applicazione dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001 (TU sugli espropri) in ordine alla possibile adozione da parte del Comune di un provvedimento di acquisizione, con tutte le conseguenze anche di ordine patrimoniale.
11.4. Quanto alla evocata rinuncia abdicativa che sarebbe stata implicita nella domanda di risarcimento dei danni (cfr. citata memoria degli appellati del 9 gennaio 2020), va evidenziato che il citato art. 42 bis attribuisce alla pubblica amministrazione il potere, valutati gli interessi in conflitto, di disporre l’acquisizione (al patrimonio indisponibile) dell’immobile appartenente al privato e utilizzato senza titolo, in presenza dei presupposti e alle condizioni da essa stabiliti, e disciplina la misura dell’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale conseguente alla perdita definitiva del bene, valutato al valore venale (al momento del trasferimento, alla stregua del criterio della taxatio rei, senza che, dunque, ci siano somme da rivalutare ma, in ogni caso, tenuto conto degli ulteriori parametri individuati dagli artt. 33 e 40 DPR n. 327/2001), maggiorato della componente non patrimoniale (dieci per cento senza onere probatorio per l’espropriato), e con salvezza della possibilità, per il proprietario, di provare ulteriori autonome voci di danno.
Come ha chiarito l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (con le sentenze nn. 2, 3 e 4 del 2020), l’art. 42 bis ha esaurito la disciplina della fattispecie e – dovendosi applicare il principio di legalità previsto dall’art. 42 della Costituzione e rimarcato dalla Corte di Strasburgo – non consente di attribuire rilevanza a istituti che, sia pure sorti nella prassi, non siano disciplinati dalla legge.
11.5 Di conseguenza, la pubblica amministrazione, all’esito della valutazione delle circostanze e comparati gli interessi in conflitto secondo i criteri previsti dal comma 4 dell’art. 42 bis, è posta dinanzi all’alternativa, oggetto di valutazione provvedimentale, o di disporre l’acquisizione o di restituire l’area al proprietario previo ripristino dello stato anteriore (affrontando le spese di demolizione e di ripristino).
11.6. In questo quadro, la sopra citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 20 gennaio 2020 ha in particolare evidenziato che “nello specifico contesto procedimentale e provvedimentale delineato dall’art. 42-bis, la misura della restituzione previa rimessione allo stato pristino dell’immobile illegittimamente occupato e trasformato non possa essere ri(con)dotta al mero obbligo di natura civilistica conseguente alla lesione del diritto di proprietà e, dunque, a un mero effetto legale della determinazione di non acquisire l’immobile, ma costituisca espressione di una specifica volontà provvedimentale.
Infatti, in sede di bilanciamento dei contrapposti interessi privati e pubblici, ed attesa la necessità di motivare in ordine all’assenza di ragionevoli alternative alla adozione del provvedimento di acquisizione (tra le quali rientra la restituzione del bene previa rimessione in pristino), dovranno essere prese in considerazione anche le specifiche circostanze in tesi ostative all’alternativa restitutoria (quali, ad es., eventuali costi eccessivi e sproporzionati rispetto al valore del bene illegittimamente modificato, con la precisazione che si tratta di uno solo dei possibili elementi valutativi, da solo insufficiente a giustificare l’acquisizione, restando primario e prioritario quello relativo alla sussistenza di ragioni attuali ed eccezionali di prevalenti esigenze pubbliche, e non bastando un mero riferimento generico ad eccessive difficoltà ed onerosità dell’alternativa a disposizione dell’amministrazione).
L’inestricabile interdipendenza reciproca delle valutazioni da porre a base dei diversi esiti procedimentali e provvedimentali comporta che l’eventuale concreta restituzione del bene previa riduzione in pristino, disposta all’esito di siffatta valutazione, non può che costituire espressione dell’esercizio della (doverosa) funzione attribuita alla pubblica amministrazione in materia espropriativa nel contesto dello speciale procedimento ablativo all’esame, sebbene contenutisticamente coincidente con l’obbligo restitutorio di stampo civilistico.
Sotto altro profilo, il dovere dell’amministrazione di far venir meno la occupazione sine titulo, ossia di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto non incisa dall’occupazione medesima (in primis, attraverso la restituzione previa rimessione in pristino), costituisce espressione del principio generale di legalità dell’azione amministrativa (particolarmente stringente nel settore espropriativo, ai sensi dell’art. 42, secondo e terzo comma, Cost.; v. infra sub § 15.2.), nella specie convogliata nella procedura speciale quale delineata dall’art. 42-bis, nonché dei principi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.). Deve pertanto ritenersi la sussistenza di un obbligo di provvedere ex art. 2 l. n. 241/1990 sull’istanza del proprietario volta a sollecitare il potere di acquisizione ex art. 42-bis (o, in alternativa, a disporre la restituzione del bene), fermo restando il carattere discrezionale della valutazione rimessa alla pubblica amministrazione sul merito dell’istanza”.
11.7. In sostanza, per le fattispecie, come quella in esame, rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001, la rinuncia abdicativa del proprietario del bene occupato sine titulo dalla pubblica amministrazione, anche a non voler considerare i profili attinenti alla forma, non costituisce causa di cessazione dell’illecito permanente dell’occupazione senza titolo e comunque non può essere ravvisata fino a quando sia applicabile la stessa disposizione.
12. Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va quindi accolto e, per l’effetto va riformata la sentenza impugnata, con la conseguente reiezione della domanda risarcitoria formulata in primo grado.
Tali statuizioni non privano di tutela le posizioni degli appellati, poiché – come rilevato dalla sopra richiamata giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria – l’Amministrazione appellante deve attivare le procedure di cui all’art. 42 bis del DPR n. 327/2001.
13. In ragione della complessità della controversia, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate, comprese quelle relative al compenso al CTU nominato in primo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 4203 del 2013, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, in riforma della sentenza impugnata, respinge la domanda formulata col ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate, comprese quelle relative al compenso a CTU nominato in primo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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