Notificazione dell’atto riassuntivo agli eredi della parte defunta

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|18 maggio 2022| n. 15995.

Notificazione dell’atto riassuntivo agli eredi della parte defunta

In caso di interruzione del processo per effetto della morte di una parte costituita a mezzo di procuratore, la notificazione dell’atto riassuntivo agli eredi della parte defunta, considerati collettivamente ed impersonalmente, pur comportando la rituale riattivazione e prosecuzione del processo nei confronti dei predetti, non è altrettanto idonea a consentire di pronunciare sentenza di condanna al pagamento di un debito del “de cuius” senza procedere all’individuazione nominativa dei destinatari della pronuncia, atteso che i debiti ereditari non sono solidali, essendo gli eredi tenuti verso i creditori in proporzione alle rispettive quote, e che perciò la condanna non può essere vaga o ambulatoria, ma deve essere specifica nei confronti dei debitori, individuati dall’istante e vagliati dal giudice nel rispetto degli oneri probatori previsti.

Sentenza|18 maggio 2022| n. 15995. Notificazione dell’atto riassuntivo agli eredi della parte defunta

Data udienza 9 settembre 2021

Integrale

Tag/parola chiave: ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI – AVVOCATO – ONORARIO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 603/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS);
– controricorrente –
nonche’ da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS) elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 747/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 04/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/09/2021 del Presidente Dott. PASQUALE D’ASCOLA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’avv. (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS) che si riportano agli atti difensivi;
sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

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FATTI DI CAUSA

Nel 1999 l’avvocato (OMISSIS) agiva contro lo zio (OMISSIS) chiedendo il pagamento di rilevanti somme (complessivamente Lire 1.574.893.000) per: attivita’ professionale stragiudiziale; attivita’ giudiziale e attivita’ di gestione-amministrazione del patrimonio immobiliare, nonche’ di altra somma, pari a 700milioni di lire, dovutagli ex articolo 936 c.c., in relazione a una costruzione eseguita a proprie spese.
Formatosi il contraddittorio, con sentenza parziale del maggio 2001 veniva dichiarata prescritta la pretesa nascente dalle prestazioni professionali a carattere giudiziale svolte fino al 1995.
La sentenza definitiva del Tribunale di Paola, resa nel 2008, escludeva ogni altro credito per prestazioni giudiziali; riconosceva un compenso per le ulteriori attivita’, equitativamente determinato in un importo mensile dal 1983 al 1998, per complessivi 56.400 Euro, oltre interessi legali dalla domanda. Rigettava la domanda riconvenzionale del convenuto relativa all’occupazione di alcuni immobili.
La Corte di appello di Catanzaro con sentenza 4 giugno 2015 accoglieva soltanto il quinto motivo dell’appello principale di (OMISSIS), relativo alla pretesa svolta ex articolo 936 c.c. e individuava gli importi dei costi sostenuti e del maggior valore acquisito dal fondo del (OMISSIS). Essendosi nelle more costituito in giudizio l’erede di quest’ultimo, (OMISSIS), lo condannava al pagamento, a sua scelta, di una delle somme individuate.
La Corte d’appello dichiarava inammissibile per tardivita’ l’appello incidentale (OMISSIS).
(OMISSIS) ha impugnato questa sentenza con ricorso del 28 dicembre 2015, affidato a otto motivi.
(OMISSIS) ha resistito e ha svolto ricorso incidentale Il ricorrente principale ha resistito al ricorso incidentale con controricorso e ricorso incidentale condizionato.
La causa, acquisite memorie del Procuratore generale e del ricorrente, e’ stata discussa in pubblica udienza.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Con il primo motivo parte ricorrente lamenta violazione degli articoli 342 e 348 bis c.p.c..
La sentenza di secondo grado ha ritenuto privo di specificita’ il motivo di appello con il quale era stata posta in rilievo la presunta contraddizione tra quanto deciso dal tribunale in ordine alla affermata esistenza di un mandato generale di complessiva gestione del patrimonio e l’aver ritenuto che il termine triennale di prescrizione in relazione alle singole controversie in cui l’attore aveva assistito controparte decorreva dalla definizione di ciascuna controversia o dal compimento dell’ultimo atto da parte del professionista.
Secondo parte ricorrente (ricorso pag. 11 e ss.) la censura in appello era invece adeguata e a riprova viene evocato un breve passo della comparsa conclusionale in cui si affermava che l’istruttoria aveva provato che le singole attivita’ professionali erano tutte riconducibili ad un unico “elemento cementificatore”, l’originario incarico. Essa si duole che non sia stato colto che in tal modo si chiedeva necessariamente un riesame della questione.
La doglianza e’ infondata. La Corte di appello ha ben indicato il cuore “dell’invocata rivisitazione”, individuato nella esistenza e nel rilascio di “singoli mandati professionali segmentati e peculiari”.
Ha rilevato che rispetto a questa decisiva ratio decidendi non era stata portata una critica specifica, ritenendo quindi inammissibile il motivo.

 

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Il ricorso, come si e’ visto, non riesce a spiegare dove e come la critica in appello alla prevalenza dei singoli incarichi sul piu’ ampio rapporto fiduciario tra i due congiunti fosse stata specificamente condotta. Pertanto giustamente fu ritenuto inammissibile il gravame che si risolveva in una mera richiesta di riesame.
Va aggiunto che parimenti infondato c.p.c., atteso che l’appello non e’ con l’ordinanza prevista, per le successivo articolo 348 ter c.p.c..
2.1) Restano in tal modo respintee’ il richiamo all’articolo 348 bis, stato dichiarato inammissibile ipotesi ivi contemplate, dal anche le doglianze svolte con il secondo motivo, con il quale vengono in questa sede – e dunque inammissibilmente – sviluppati e chiariti i profili per i quali parte ricorrente ritiene che la sentenza di primo grado fosse errata.
La Corte di appello a pag. 9 ha gia’ risposto, esponendo che il motivo di appello aveva apoditticamente evocato il ragionamento sulla portata del rapporto di mandato tra le parti e che, al di la’ della contraddizione asserita tra sentenza non definitiva e definitiva, il punto da criticare era quello della esistenza dei mandati specifici e che l’appello su questo era generico.
Questa non genericita’ e questa apoditticita’ sono confutate senza dimostrare la specificita’ della censura di appello, che non puo’ essere corroborata dalle deduzioni svolte in sede di legittimita’.
3) Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione dell’articolo 2956 c.c. e articolo 2959 c.c., nonche’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Sostiene che il debitore convenuto era decaduto dall’eccezione di prescrizione ex articolo 2959 c.c., perche’ nelle deduzioni difensive aveva svolto una contestazione sull’esistenza del credito; che la questione della decadenza era stata posta in appello e, a dire del ricorrente, decisa dalla Corte di Catanzaro “senza entrare nel merito”.
La censura e’ infondata sotto ogni profilo.

 

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La Corte di appello ha riportato (fine pag. 10) la frase cui si riferiva l’appellante, che riguardava effettivamente le complessive richieste rivoltele, ritenute dal convenuto “smoderate” o prive di “minimo addentellato con la realta’” o riferite “a tariffe inesistenti”.
Ne ha inferito, con argomentata motivazione, che trattavasi di una valutazione preliminare e atecnica, non riconducibile agli onorari professionali oggetto di “specifica richiesta e statuizione”. Considerata la varieta’ e complessita’ delle pretese avanzate, la peculiarita’ del rapporto intercorso tra le parti, connotato anche dalle relazioni di parentela e dal carattere fiduciario di esso, la valutazione in fatto condotta dai giudici di merito appare incensurabile in questa sede.
Quel che emerge e’ che proprio la motivazione adottata dimostra che non vi e’ stata erronea sussunzione di una fattispecie o malintesa interpretazione della norma qui invocata, ma che proprio alla luce di essa si sia ritenuto che quelle espressioni, per la sede in cui venivano enunciate e la finalita’ difensiva generale, erano volte a svilire la pretesa riferita a “tutto il mandato assunto in via unitaria”. Dunque non vi e’ stato omesso esame di alcun fatto controverso (la censura oggi esperibile ex articolo 360, n. 5), ne’ violazione di legge.
4) Il quarto motivo denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli articoli 1218, 2697, 2727, 2729 c.c., nonche’ in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Il ricorrente lamenta che la corte d’appello abbia ritenuto, in contrasto con le disposizioni in materia di onere probatorio, l’avvenuto pagamento delle prestazioni professionali rese dall’avvocato attraverso l’incameramento delle somme incassate per le singole controversie conclusesi con pronuncia favorevole e condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite.
Deduce che non c’era prova di pagamenti fatti da (OMISSIS) e che questi in un atto stragiudiziale aveva fatto riferimento a un testamento poi revocato quale strumento di gratificazione dell’attore, a riprova del fatto che “nessuna gratifica economica” avesse mai corrisposto al (OMISSIS)”.

 

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Il motivo e’ infondato. La prova dell’avvenuto pagamento mediante trattenimento delle competenze favorevoli maturate nella miriade di controversie intercorse e’ stata apprezzata in maniera sufficiente e logica, ritenendo in sostanza che se era il nipote avvocato a gestire tutto il contenzioso, era inverosimile pensare che non incassasse direttamente le somme liquidate. La valutazione risponde ai presupposti di cui all’articolo 2729, poiche’ si basa su una serie di circostanze (parentela, gestione accentrata, esito favorevole di molte liti) conferenti.
In questa sede, posto che e’ corretta la valutazione condotta dalla Corte di appello sull’esistenza di presunzioni favorevoli al convenuto circa l’avvenuto pagamento, non sussiste violazione dell’articolo 2697 c.c., poiche’ la Corte territoriale ha avuto ben presenti i principi relativi all’onere probatorio ed espressamente ha disatteso la censura sul punto, che presupponeva appunto l’insussistenza dei presupposti per l’operare delle presunzioni.
Il ricorso rifluisce quindi sulla portata del riferimento alla gratificazione testamentaria, che pero’, come deduce il controricorso, non puo’ essere specificamente riportata alla sede contenziosa, in cui si assumeva posizione sulle varie pretese e quindi non aveva portata decisiva per inficiare la complessiva valutazione circa l’insieme delle somme ricevute.
5) Con il quinto motivo il ricorso lamenta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli articolo 1226, 1709, 2225 e 2233 c.c., nonche’ dell’articolo 112 c.p.c., nonche’ la falsa applicazione dell’articolo 1226 c.c. e, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un “fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti” per avere la corte territoriale accomunato nella liquidazione equitativa del compenso sia l’attivita’ stragiudiziale di natura legale (espressa in pareri, consulenze, etc.) con quella di amministrazione e gestione del patrimonio.
Sul punto la Corte di appello ha sbrigativamente sostenuto che non era contestata la correttezza del ricorso al criterio equitativo di determinazione del compenso e che la retribuzione in questione (determinata in Euro 300 mensili dal 1983 al 1995 e Euro 350 mensili dal 1996 al 1998), da aggiungere a quella per le attivita’ processuali (di cui si e’ detto prima), ben compensava l’attivita’ svolta di natura extraprocessuale.
Parte ricorrente evidenzia, con preciso riferimento all’atto di appello, che per contro essa aveva fatto riferimento al dettaglio dell’attivita’ professionale stragiudiziale svolta, con indicazione di voci e tariffe; cio’ evidentemente implica contestazione del criterio equitativo e inficia la motivazione resa dalla Corte di appello.
Va in proposito confermato che, come vuole il ricorso, la mancata determinazione del corrispettivo consente che lo stesso sia stabilito, ai sensi dell’articolo 2225 c.c., in base alle tariffe vigenti od agli usi. (cfr. per riferimenti Sez. 6 – 2, n. 18286 del 11/07/2018).
L’appellante aveva infatti lamentato il cumulo indistinto, a fronte di specifiche parcelle (che nell’atto di appello risultano una per una menzionate), di prestazioni stragiudiziali di natura professionale e di attivita’ di gestione/amministrazione.

 

Notificazione dell’atto riassuntivo agli eredi della parte defunta

Una pronuncia corrispondente alla domanda, e poi all’appello, doveva pertanto prima individuare le attivita’ svolte, valutare la congruita’ delle pretese e successivamente determinare, anche alla luce dei rapporti tra le parti, del legame di parentela, della dinamica relazionale tra esse, se fosse applicabile un compenso secondo i criteri normativi o fosse in taluni casi da escludere o da ridimensionare, poiche’ come sottolinea il ricorso, non si verteva in tema di liquidazione del danno.
E’ stato in sostanza negato che esistesse un criterio di liquidazione, che invece la parte aveva indicato e merita di essere congruamente esaminato, sotto i molteplici profili che sorgono.
Il motivo quinto va pertanto accolto.
6) E’ invece infondato il sesto motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’articolo 345 e dell’articolo 2697 c.c., nonche’, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti.
Le censure riguardano l’accoglimento solo parziale del gravame dell’odierno ricorrente avente ad oggetto l’integrale pagamento dei crediti di cui all’articolo 936 c.c., comma 2, per avere eseguito, sul suolo di proprieta’ (OMISSIS) in (OMISSIS), la costruzione di cui alla concessione edilizia (OMISSIS) sicche’ a scelta del (OMISSIS) quest’ultimo avrebbe dovuto versare il valore dei materiali e del prezzo della mano d’opera ovvero alternativamente l’aumento del valore di mercato recato dal fondo per effetto della costruzione ai sensi dell’articolo 936 c.c., comma 2.
Parte ricorrente lamenta in primo luogo che l’accoglimento sia stato limitato alle opere eseguite dopo il 1983, rigettando “senza alcuna motivazione” le pretese relative alle opere eseguite negli anni precedenti.
La doglianza e’ palesemente infondata, perche’ la Corte di appello ha spiegato che parte convenuta aveva documentato con “quietanze dirette” pagamenti per epoche anteriori al 1983, mentre aveva potuto esibire solo estratti conto non aventi forza probatoria per “la seconda parte dei lavori”. Ha aggiunto che era consacrata la presenza in loco del (OMISSIS) sino all’anno 1982 e che era provata l’assunzione di poteri gestori onnicomprensivi da parte dell’attore solo dal 1983. E’ stato dettagliato, con ricorso alla ctu, l’interagire del (OMISSIS) con l’attivita’ edilizia
amministrativamente documentata; vi e’ stato dunque congruo e logico esame dei fatti controversi.
L’insieme di queste circostanze e’ invano impugnato, atteso che la Corte di appello ha precisato espressamente che riteneva irrilevante la documentazione “nuova” e che la tesi di parte ricorrente secondo cui la presenza in loco del (OMISSIS) non era significativa e’ la mera contrapposizione di una valutazione a quella congrua e logica svolta dalla Corte di appello, il cui perno risiede nel fatto che la portata decisiva dell’opera gestoria del ricorrente era emersa solo dopo il 1983. Non vi e’ stato quindi neppure alcun vizio ex articolo 2697 c.c., giacche’ gravava sull’attore l’onere di provare – e non solo affermare, come invoca di aver fatto in citazione – di aver svolto l’intera opera a proprie spese.
7) E’ infondato anche il settimo motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente espone la violazione degli articoli 936, 1223, 1224, 2041 c.c., nonche’, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti per avere la corte territoriale, diversamente da quanto domandato dall’attore appellante, liquidato gli interessi sull’importo riconosciuto dalla data di deposito del ctu e non dalla domanda, atteso che la costruzione era stata ultimata nel 1985 e che l’incremento di valore si era realizzato in quel momento.

 

Notificazione dell’atto riassuntivo agli eredi della parte defunta

La Corte di appello ha liquidato le somme rilevanti ex articolo 936 avendo riferimento “alla data del 31 dicembre 1984”, come si legge alla riga 2 di pag. 18 della sentenza. Pertanto, come ha osservato il controricorso, gli interessi sono stati correttamente ancorati su tale prima parte delle somme, alla data di deposito della ctu, come si legge nel periodo successivo. E’ stata fatta opportuna distinzione con le somme dovute dal 31 dicembre 1984, sulle quali gli interessi sono stati fatti decorrere “sulla somma rivalutata”.
8) Con l’ottavo motivo parte ricorrente lamenta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’articolo 112 c.p.c., per non avere la corte territoriale pronunciato la condanna nei confronti di tutti gli eredi del (OMISSIS) nei confronti dei quali, collettivamente considerati, era stato riassunto il giudizio ai sensi dell’articolo 303 c.p.c., comma 2.
La censura e’ ignorata dal controricorrente, privo di interesse specifico a dedurre su un profilo che non concerne direttamente la sua posizione. Essa e’ infondata, sebbene sussista un precedente (Sez. 3, Sentenza n. 10336 del 17/05/2005) specifico che allude alla possibilita’ di pronunciare, in ipotesi di riassunzione con atto notificato agli eredi impersonalmente ex articolo 303 c.p.c., comma 2, nei confronti degli eredi stessi, senza procedere all’individuazione nominativa dei destinatari.
Occorre distinguere pero’ la idoneita’ dell’atto di riassunzione a riattivare il processo nei confronti degli eredi citati impersonalmente – e dal suo proseguire quindi ritualmente ancorche’ uno o piu’ eredi restino contumaci – dalla possibilita’ di pronunciare sentenza di condanna nei confronti di persone non individuate, di cui sia incerta l’esistenza, cioe’ di eredi ipotetici, la cui individuazione dovrebbe essere lasciata a un incerto futuro.
Paradossalmente la parte che pretende cio’ e che abbia acquisito un siffatto titolo verso innominati eredi di dubbia esistenza potrebbe agire esecutivamente contro chiunque, imponendo all’intimato di opporsi esecutivamente.
Per contro va chiarito che e’ il giudizio di cognizione in cui si stanno definendo i debiti del de cuius la sede in cui l’attore deve, anche dopo la riassunzione favorita dalla notifica.
Ne’ potrebbe essere diversamente, se si pon mente alla normativa successoria. Gli articoli 752 e 754 c.c., a tacer d’altro, precisano che i debiti ereditari non sono solidali, ma che i coeredi vi contribuiscono pro quota e sono tenuti verso i creditori in proporzione alla loro quota ereditaria, cosicche’ la condanna nel giudizio di riassunzione non puo’ essere vaga o ambulatoria, ma deve essere specifica nei confronti dei debitori, individuati dall’istante e vagliati dal giudice nel rispetto degli oneri probatori incombenti su chi vanta la pretesa.
Giova richiamare, in proposito, il caso regolato dalle Sezioni Unite (SU 19280/2018) in ordine alla giurisdizione in controversia instaurata da eredi di un pubblico dipendente per opporsi alla pretesa esecutiva relativa a una condanna per danno erariale, non emessa nei loro confronti.
Nella specie, peraltro, l’odierno resistente si e’ costituito quale erede senza neppure indicare l’esistenza di coeredi e contro di lui soltanto e’ stata riversata la pretesa di indennizzo ex articolo 936 c.c., accolta dai giudici di appello, come si legge all’ultima riga di pag. 13 della sentenza impugnata, ditalche’ l’odierno motivo di ricorso e’ sotto ogni aspetto privo di fondamento.
Il ricorso incidentale
9) E’ inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale con il quale, oltre a vizi di motivazione, parte controricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli articoli 116, 83 c.p.c., e degli articoli 1703, 1709, 1712, 1713, 2946, 2956, 2957, 2958 c.c., per la condanna al pagamento di Euro 56.400,00 quale corrispettivo della complessiva attivita’ di gestione del patrimonio.
La censura si riferisce all’accertamento di un mandato generale al (OMISSIS). L’appello di parte (OMISSIS) e’ stato pero’ dichiarato inammissibile dalla Corte di Catanzaro per motivi di rito, cosicche’, come rilevato nel controricorso al ricorso incidentale e dal procuratore generale, (OMISSIS) avrebbe dovuto superare questa ratio decidendi prima di poter svolgere in questa sede le doglianze sul merito della questione a suo tempo inammissibilmente rivolta al giudice di appello.
Gli altri tre motivi di ricorso incidentale non incontrano questo limite, perche’ si rivolgono contro la parte della pronuncia del giudice di appello che ha riformato la sentenza di primo grado e che quindi viene per la prima volta qui impugnata.
Essi non meritano pero’ accoglimento.
10) Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nonche’, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli articoli 116, 194, 195, 196 e 201 c.p.c., per aver la corte territoriale erroneamente condannato parte convenuta al pagamento di rilevanti somme ritenendo provato che era stato (OMISSIS) a provvedere con mezzi propri alla realizzazione dello stabile di (OMISSIS).

 

Notificazione dell’atto riassuntivo agli eredi della parte defunta

Parte ricorrente incidentale si duole che sia stato ritenuto che i pagamenti fossero effettuati dal nipote del (OMISSIS), perche’ afferma che dalla documentazione bancaria – genericamente evocata a pag. 33 – si evincerebbe che nessuna prestazione era riconducibile all’attore (OMISSIS). La censura, come e’ evidente, si risolve in una inammissibile richiesta di rivisitazione complessiva delle risultanze istruttorie: non si fa carico di specificare – con puntuali indicazioni documentali di cui si dovrebbe dimostrare la decisivita’ – quali fatti controversi siano stati ignorati o illogicamente apprezzati.
Del pari, non rientra tra i canoni di ammissibilita’ la censura relativa alle osservazioni del ctu in ordine alle opere ritenute indennizzabili ed in particolare alla presenza di un abuso edilizio non sanato.
Il ricorso incidentale (pag. 35) deduce che il punto non sarebbe stato preso in esame, ma cosi’ non e’, perche’ la sentenza impugnata (pag. 15 e 16) nel riferire il contenuto della perizia (OMISSIS) da’ conto della concessione iniziale, della presentazione di istanza di sanatoria e dell’attivarsi di parte appellante avv. (OMISSIS) per “evitare la decadenza della concessione”. Dunque non si e’ in presenza di un fatto controverso (la legittimita’ urbanistica delle opere) di cui sia stato omesso l’esame, ma di una contrapposta lettura delle valutazioni che ne sono state date, contrapposizione che non e’ consentita dalla vigente normativa sul giudizio di legittimita’ (SU 8053/2014). Peraltro mette conto notare che a fronte di una violazione urbanistica cosi’ grave come quella lamentata, non viene indicata alcuna risultanza amministrativa (provvedimento sanzionatorio, risposta a quesito o interpello della parte, etc.) idonea a dimostrare decisivamente l’inutilizzabilita’ o incommerciabilita’ dei beni immobili costruiti in epoca anteriore quantomeno all’ultimo condono edilizio generalizzato del 1992.
Del tutto inammissibili sono infine le censure attinenti, sempre nel secondo motivo, la valutazione delle opere sotto i profili estimativi, esposti sostanzialmente chiedendo al giudice di legittimita’ un apprezzamento di fatto.
10) Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 934, 935, 2935 e 2946 e 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Parte ricorrente incidentale lamenta che la Corte di appello abbia disatteso l’eccezione “in ordine al diritto azionato ex articolo 935 c.c.” adducendo che fino al 1998, epoca del termine del suo mandato, l’attore era nel possesso dell’immobile costruito entro il 1985, sicche’ non decorreva a suo carico la prescrizione.
La censura, come rilevato dalla difesa dell’avv. (OMISSIS), e’ inammissibile nella parte in cui si riferisce agli articoli 934 e 935 c.c., posto che i giudici di merito hanno riconosciuto un indennizzo per opere fatte dal terzo con materiali propri ex articolo 936 c.c., accertamento non impugnato e sulla cui esattezza questa Corte non puo’ quindi pronunciarsi.
Parte resistente al ricorso incidentale ha pero’ evidenziato efficacemente anche un altro profilo di inammissibilita’ dell’eccezione, relativo alla sua mancata proposizione, in questi termini, nel giudizio di merito. Ha riportato puntualmente gli atti difensivi di controparte – comparsa di costituzione, varie note di replica in cui risulta evidente la mancanza dell’eccezione de qua ovvero la sua genericita’ al punto da apparire riferita all’altro profilo di prescrizione coltivato, quello relativo alle pretese per la gestione e l’amministrazione degli affari del convenuto e non alla pretesa ex articolo 936 c.c..
Ha quindi censurato la circostanza che la Corte di appello si sia addentrata fino a disattendere nel merito l’eccezione specificata solo in sede di gravame e ne ha fatto oggetto di ricorso incidentale condizionato.
Non v’e’ necessita’ di scrutinare quest’ultimo ricorso, giacche’ gia’ il controricorso dell’avv. (OMISSIS) vale ad evidenziare che il terzo motivo del ricorso incidentale e’ inammissibilmente proposto. La parte (OMISSIS) avrebbe infatti dovuto articolare il mezzo di impugnazione, recante un intreccio di profili sostanziali e processuali, specificando come e dove fosse stata tempestivamente e specificamente (Cass. 3798/1999) sollevata l’eccezione di prescrizione, di cui non a caso il motivo dice che fu sollevata “in via generale”.
A fronte delle specifiche contestazioni non e’ stata articolata difesa idonea a smentire i rilievi di parte avv. (OMISSIS) circa l’inammissibilita’ del motivo. Tali rilievi sono sufficienti ad argomentare l’inammissibilita’ della doglianza qui esposta, restando superflue le osservazioni quanto alla valutazione di merito (come tale insindacabile) circa il possesso del bene in capo al nipote fino al 1998 e al momento della restituzione del bene, momento dal quale e’ stata fatta decorrere la prescrizione, che secondo la Corte di appello non era quindi maturata.
11) Non puo’ essere accolto neppure il quarto motivo del ricorso incidentale, che concerne la errata interpretazione degli articoli 2721 e 2726 c.c., in tema di limiti della prova per testi.
(OMISSIS) si duole dell’ammissione in appello di prove testimoniali riguardanti la esecuzione a spese dell’attore dell’opera sull’immobile (OMISSIS), prove che erano state respinte dai giudici di primo grado e che sarebbero state ammesse con motivazione incongrua dalla Corte di appello, trattandosi di pagamenti che parte attrice intendeva provare a mezzo testi.
Parte ricorrente invoca i limiti di cui all’articolo 2721, che considera inammissibile, salvo diversa decisione del giudice, la prova relativa a valori superiori a 2,58 Euro, limite che si applica anche al pagamento ex articolo 2726 c.c..
La censura e’ priva di pregio, giacche’ la prova di aver sostenuto le spese per i lavori non afferiva ad un contratto tra le parti, ne’ al pagamento di un una obbligazione tra esse intercorrente, ma al fatto storico dell’esecuzione di opere a proprie spese, senza aiuto di altri e dello zio in particolare, in guisa da dar titolo, stando alla domanda accolta, per un indennizzo ex articolo 936 c.c..
Si ricordi in proposito che i limiti di valore previsti dall’articolo 2721 c.c., per la prova testimoniale operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti (da ultimo: Cass. 5880/2021), cosa che all’evidenza non si verificava in relazione alla pretesa ex articolo 936, che ha tutt’altro presupposto.)
Cio’ e’ quanto ritenuto dalla Corte di appello relativamente ai due articoli oggetto del motivo, con affermazione che e’ giuridicamente corretta.
12) Dal rigetto del ricorso incidentale di (OMISSIS) discende l’assorbimento del ricorso incidentale proposto, in replica, da (OMISSIS), della cui astratta ammissibilita’ non v’e’ luogo di discutere.
Conclusivamente va accolto il solo quinto motivo del ricorso principale, con la cassazione in parte qua della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso principale, rigettato nel resto.
Rigetta il ricorso incidentale di (OMISSIS); dichiara assorbito il ricorso incidentale proposto dal ricorrente principale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvedera’ anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17), si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

Notificazione dell’atto riassuntivo agli eredi della parte defunta

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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