Corte di Cassazione, sezione sesta (prima) civile, Ordinanza 16 luglio 2019, n. 19048
Massima estrapolata:
In tema di notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento, le modalità di notifica ammesse dalla legge sono quelle via PEC e presso la sede legale della società, ed in subordine presso la casa comunale in caso di infruttuosa notifica. Sono escluse le ordinarie forme di notifica ex art. 145 c.p.c. dal momento che il procedimento concorsuale è caratterizzato da speciali e complessi interessi, anche di natura pubblica, idonei a rendere ragionevole e adeguato un diverso meccanismo di garanzia.
Ordinanza 16 luglio 2019, n. 19048
Data udienza 26 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21233-2017 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SNC, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
FALLINIENTO (OMISSIS) SRL;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1585/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – Su istanza di (OMISSIS) s.n.c. il Tribunale di Verona dichiarava il fallimento di (OMISSIS) s.r.l., che non si costituiva in giudizio.
2. – Quest’ultima societa’ proponeva reclamo che la Corte di appello di Venezia respingeva.
3. – Ricorre per cassazione (OMISSIS), facendo valere due motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso (OMISSIS).
Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione L. fall., articolo 15, comma 3, in combinato disposto con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 1229 del 1959, articolo 107, comma 1, dell’articolo 111 Cost., nonche’ dell’articolo 145 c.p.c.. Assume l’istante non vi sia in atti alcuna prova che dimostri la corretta individuazione, da parte della cancelleria del Tribunale di Verona, dell’indirizzo PEC presso cui e’ stata tentata la notificazione del ricorso per la dichiarazione del fallimento; allo stesso modo non vi sarebbe indicazione del criterio impiegato ai fini dell’identificazione del predetto indirizzo. Sostiene, inoltre, che non avrebbe potuto provvedersi alla notificazione presso la casa comunale, difettandone i presupposti, e che avrebbe errato l’ufficiale giudiziario nel tentare di eseguire l’incombente presso la sede legale della societa’, piuttosto che presso la sede effettiva della medesima. Infine, ad avviso della ricorrente, nella fattispecie avrebbe dovuto trovare applicazione l’articolo 145 c.p.c., sottolineando come la L. fall., articolo 15, comma 3, sia da considerarsi incostituzionale nella parte in cui esclude l’applicabilita’ della richiamata disposizione codicistica.
Il motivo, nelle sue diverse articolazioni, non ha fondamento.
Quanto affetniato dalla Corte di appello in merito all’impossibilita’ di notificare l’istanza di fallimento presso l’indirizzo di posta elettronica certificata della fallita non e’ stato efficacemente censurato. Ha rilevato in proposito la Corte di merito che, a fronte del tentativo di notifica effettuato, il quale non ebbe successo, avendo il sistema evidenziato che l’indirizzo indicato non era valido, la reclamante si fosse limitata a rilevare, in modo generico, che il detto indirizzo PEC non corrispondeva a quello risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti; orbene, nemmeno nel ricorso per cassazione la societa’ istante si mostra in grado di dar conto del denunciato error in procedendo precisando quale sarebbe il diverso indirizzo telematico cui dovevano essere indirizzati il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare.
E’ incontestabile, poi, che, atteso l’esito della notificazione vanamente tentata presso la sede sociale risultante dal registro delle imprese (presso locali che non risultavano contrassegnati dall’indicazione, sul campanello, del nominativo della societa’ (OMISSIS), e in cui non fu possibile comunque reperire alcuno), la notificazione venne validamente eseguita presso la casa comunale, cosi’ come previsto dall’articolo 15, comma 3,1. fall..
Ne’ la ricorrente puo’ dolersi del fatto che la notificazione non abbia avuto luogo presso la sede effettiva della societa’, giacche’ l’articolo 15, comma 3, citato non contempla tale luogo tra quelli in cui deve eseguirsi la notifica stessa e tale esclusione trova fondamento nel medesimo principio di autoresponsabilita’ che onera l’interessato di munirsi di un valido e operante indirizzo PEC. Come ricordato dal giudice delle leggi, a fronte della non utile attivazione del procedimento che si attua presso l’indirizzo telematico segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa collettiva: ossia, presso quell’indirizzo da indicare obbligatoriamente nell’apposito registro ex L. 29 dicembre 1993, n. 580, la cui funzione e’ proprio quella di assicurare un sistema organico di pubblicita’ legale, si’ da rendere conoscibili, e percio’ opponibili ai terzi, nell’interesse dello stesso imprenditore, i dati concernenti l’impresa e le principali vicende che la riguardano: onde, “in caso di esito negativo di tale duplice meccanismo di notifica, il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, dei descritti obblighi impostigli dalla legge” (Corte Cost. 16 giugno 2016, n. 146).
Per il resto, mette conto di rammentare come la L. fall., articolo 15, comma 3 (nel testo novellato dal Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 17, convertito, con modificazioni in L. n. 221 del 2012), nel prevedere che la notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento alla societa’ possa essere eseguita tramite PEC all’indirizzo della stessa e, in caso di esito negativo, presso la sua sede legale come risultante dal registro delle imprese, oppure, qualora neppure questa modalita’ sia andata a buon fine, mediante deposito dell’atto nella casa comunale della sede iscritta nel registro, introduce una disciplina speciale semplificata che, coniugando la tutela del diritto di difesa del debitore con le esigenze di celerita’ e speditezza intrinseche al procedimento concorsuale, esclude l’applicabilita’ della disciplina ordinaria prevista dall’articolo 145 c.p.c. per le ipotesi di irreperibilita’ del destinatario della notifica (Cass. 7 agosto 2017, n. 19688). E va del pari ricordato come questa Corte abbia gia’ avuto modo di rilevare essere manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., della L.fall., articolo 15, comma 3 (come sopra modificato), nella parte in cui prevede la notificazione del ricorso alla persona giuridica tramite posta elettronica certificata (PEC) e non nelle forme ordinarie di cui all’articolo 145 c.p.c.: e’ stato rilevato, in proposito, che, secondo quanto gia’ affermato dalla citata Corte Cost. 16 giugno 2016, n. 146, la diversita’ delle fattispecie a confronto giustifica, in termini di ragionevolezza, la differente disciplina, essendo l’articolo 145 c.p.c. esclusivamente finalizzato ad assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati, mentre la contestata disposizione si propone di coniugare la stessa finalita’ di tutela del medesimo diritto dell’imprenditore collettivo con le esigenze di celerita’ e speditezza proprie del procedimento concorsuale, caratterizzato da speciali e complessi interessi, anche di natura pubblica, idonei a rendere ragionevole e adeguato un diverso meccanismo di garanzia di quel diritto, che tenga conto della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, degli obblighi, previsti per legge, di munirsi di un indirizzo di PEC e di tenerlo attivo durante la vita dell’impresa (Cass. 20 dicembre 2016, n. 26333). Rispetto a tali rilievi, l’evocazione del parametro costituzionale costituito dall’articolo 111 della carta fondamentale non introduce alcun elemento di novita’ e non sollecita riflessioni diverse da quelle appena richiamate.
2. – Col secondo motivo e’ dedotta la violazione e falsa applicazione della L.fall., articolo 5. Rileva la ricorrente che lo stato di insolvenza si realizza con una situazione di impotenza strutturale, non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni: in conseguenza la Corte di Venezia avrebbe dovuto dare atto dell’insussistenza del detto presupposto. Asserisce, in particolare: che l’esistenza di un solo credito non era sufficiente a comprovare lo stato di insolvenza; che la Corte distrettuale aveva completamente travisato il fine della stipula del contratto rent lo 1219, con cui l’esponente si era procurata una “significativa entrata finanziaria mensile e costante”; che essa ricorrente aveva ottenuto la liberazione di un immobile dall’ipoteca che vi gravava e l’estinzione di una procedura esecutiva in atto.
Il motivo e’ infondato.
In primo luogo, lo stato di insolvenza rappresenta una situazione oggettiva dell’imprenditore che prescinde totalmente dal numero dei creditori, essendo ben possibile che anche un solo inadempimento possa essere indice di tale situazione oggettiva (Cass. 15 gennaio 2015, n. 583, non massimata; cfr. pure Cass. 30 settembre 2004, n. 19611). In secondo luogo, il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata con riferimento al contratto di rent lo buy, mancando di avvedersi che la Corte di appello, con giudizio non sindacabile in questa sede, ha sottolineato come, anche a seguito della conclusione del detto negozio, la societa’ appellante non era nella condizione di onorare il concordato piano di rientro del debito da essa contratto con (OMISSIS). Da ultimo, il giudice distrettuale ha conferito rilievo dirimente alla constata impossibilita’, da parte di (OMISSIS), di soddisfare il debito vantato dall’odierna controricorrente “con assorbimento di ogni ulteriore questione”: e’ evidente, pertanto, che il profilo attinente alla cancellazione dell’ipoteca e alla desistenza dal procedimento esecutivo siano stati ritenuti, sulla base di un giudizio di fatto non censurabile avanti a questa Corte di legittimita’, non decisivi nel quadro del complessivo appezzamento dell’insolvenza.
3. – Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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