Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 settembre 2022| n. 26810.
Notifica a mezzo PEC della sentenza d’appello al difensore extra districtum
Nel caso in cui la notifica a mezzo PEC della sentenza d’appello al difensore della parte domiciliato “extra districtum” non vada a buon fine per fatto imputabile a quest’ultimo (nella specie, a causa del riempimento della relativa casella), la tempestiva rinnovazione della stessa presso la cancelleria della Corte d’appello ove pendeva la lite è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c..
Ordinanza|12 settembre 2022| n. 26810. Notifica a mezzo PEC della sentenza d’appello al difensore extra districtum
Data udienza 21 giugno 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Locazione – Notificazione degli atti giudiziari a mezzo PEC – Applicazione dell’art. 16 sexies d.l. n. 179/2012 – Onere di notificazione presso gli indirizzi pec dei difensori risultanti dagli elenchi o registri pubblici – Non configurabilità dell’impedimento non imputabile al difensore nel caso di mancata notifica per casella piena – Censure di merito – Inammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere
Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21313/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale a
margine del ricorso, dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. (OMISSIS), e dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 2408/2018, pubblicata in data 18 gennaio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21 giugno 2022 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.
Notifica a mezzo PEC della sentenza d’appello al difensore extra districtum
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Agrigento (OMISSIS) al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dello sprofondamento di parte dell’immobile adibito ad uso commerciale condotto in locazione, causato dal cedimento del costone retrostante il fabbricato.
A sostegno della domanda evidenziava che la convenuta, in violazione dei canoni di buona fede e correttezza, aveva omesso di rappresentarle che l’immobile si trovava in grave stato di pericolo gia’ prima della stipula del contratto di locazione e che il crollo del costone aveva determinato lo sprofondamento di una parte dell’immobile locato adibito a magazzino, con conseguente distruzione di tutta la merce ivi depositata.
La (OMISSIS) dedusse l’inammissibilita’ della domanda, facendo presente che aveva richiesto ed ottenuto Decreto Ingiuntivo dell’importo di Euro 14.000,00, a titolo di canoni di locazione non corrisposti, nei confronti della (OMISSIS), la quale aveva proposto opposizione facendo rilevare in quella sede le medesime pretese risarcitorie azionate nel presente giudizio.
Disposto il mutamento del rito, il Tribunale di Agrigento, respinte le richieste istruttorie, dichiaro’ risolto il contratto di locazione per impossibilita’ sopravvenuta ex articolo 1256 c.c. e condanno’ la convenuta al pagamento, in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, dell’importo di Euro 1.000.000,00, gia’ comprensivo di rivalutazione monetaria ed interessi legali maturati alla data di deposito della sentenza, nonche’ al rimborso delle spese di lite.
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2. Avverso la predetta sentenza la (OMISSIS) propose appello, sostenendo, tra l’altro, che il giudice di primo grado aveva errato nel rigettare l’eccezione di improponibilita’ delle domande proposte dalla (OMISSIS) per violazione del divieto di frazionamento della domanda, ribadendo che, antecedentemente all’introduzione del presente giudizio, aveva ottenuto dal Tribunale di Agrigento decreto ingiuntivo per canoni non pagati e che, proponendo opposizione, la (OMISSIS) aveva replicato che la locatrice non le aveva fatto presente che l’immobile versava in grave stato di pericolo, ma aveva anzi garantito che l’immobile non presentava pericolo alcuno di crollo, cosicche’, a fronte del grave inadempimento, non era tenuta al pagamento dei canoni di locazione.
In riforma parziale della sentenza impugnata, la Corte d’appello di Palermo rigetto’ la domanda di risarcimento danni proposta dall’appellata, annullando la statuizione della sentenza di primo grado che condannava la (OMISSIS) al pagamento di somme a titolo risa rcitorio.
Osservo’, in particolare, che:
a) la (OMISSIS) aveva ottenuto dal Tribunale di Agrigento, in data 13 marzo 2015, Decreto Ingiuntivo nei confronti della (OMISSIS) per canoni non pagati; avverso il decreto ingiuntivo era stata proposta opposizione dalla (OMISSIS) che aveva lamentato il grave inadempimento della locatrice, negando di essere obbligata al versamento dei canoni di locazione;
b) con l’atto introduttivo del presente giudizio la (OMISSIS) aveva chiesto il risarcimento dei danni fondato sullo stesso fatto posto a fondamento delle difese svolte nell’opposizione a Decreto Ingiuntivo;
c) non era ravvisabile il frazionamento della domanda da parte della (OMISSIS), in quanto quest’ultima, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non aveva proposto alcuna domanda risarcitoria nei confronti della (OMISSIS), ma si era limitata, in via di eccezione, ad esporre che il diritto al pagamento dei canoni non sussisteva, in quanto non le era stato rappresentato il grave stato di pericolo in cui si trovava l’immobile oggetto di locazione;
d) in assenza di impugnazione, si era formato il giudicato interno sul capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione stipulato tra le parti per impossibilita’ sopravvenuta ex articolo 1256 c.c., cosicche’ non era possibile verificare se l’obbligo della locatrice di garantire l’idoneita’ dell’immobile locato da vizi che ne impedivano in modo apprezzabile l’idoneita’ all’uso pattuito, per tutta la durata del rapporto contrattuale, fosse o meno possibile all’atto della conclusione del contratto;
e) per effetto del giudicato interno formatosi, non poteva trovare applicazione il disposto di cui all’articolo 1578 c.c., che faceva riferimento ai vizi dell’immobile esistenti all’atto della sua consegna;
f) nella fattispecie era da escludersi la configurabilita’ di un comportamento in mala fede della locatrice nell’avere locato l’immobile, dato che lo stesso, al momento della stipula del contratto di locazione, appariva perfettamente idoneo all’uso concordato poiche’ non esistevano segni apparenti dell’imminente crollo del costone roccioso e del muro di contenimento posti sul retro dell’immobile, ne’ poteva ritenersi che, all’atto della stipula del contratto di locazione, fosse prevedibile che in futuro, nel corso della durata del contratto di locazione, non sarebbe stato possibile utilizzare l’immobile locato;
g) antecedentemente alla stipula del contratto di locazione si erano verificati soltanto fenomeni di colamento di detriti di terra a monte del banco calcarenitico, ma tali fenomeni si erano interrotti al limite delle gabbionate che sovrastavano il muro di sostegno posto dietro l’edificio dove si trovava l’immobile locato; a seguito di sopralluoghi effettuati dal Comune di Agrigento era stata emanata l’ordinanza sindacale n. 52 del 7 marzo 2011, con la quale era stato inibito l’uso degli spazi condominiali adibiti a garage retrostanti l’edificio dal n. (OMISSIS) al n. (OMISSIS) fino alla messa in sicurezza del sovrastante terreno, ma i predetti numeri civici non afferivano alla proprieta’ (OMISSIS); nessun pericolo di instabilita’ del costone e del muro posti a tergo dell’immobile era stato ravvisato dalle autorita’ intervenute il (OMISSIS);
h) dalla consulenza tecnica eseguita dalla Procura della Repubblica di Agrigento risultava che: il muro di sostegno della montagna posto dietro l’edificio non presentava dissesti all’atto degli eventi verificatisi in data (OMISSIS); la causa del crollo del costone roccioso e di parte del muro di contenimento retrostanti era riconducibile alla formazione di una frattura del terreno di fondazione calcarenitico al piede del muro di sostegno, con conseguente perdita di equilibrio del muro e frana a tergo del muro stesso; la propagazione della frattura era avvenuta in un intervallo temporale ampio, via via che si incrementavano le pressioni neutre per effetto della perdita di efficienza dei drenaggi esistenti del pendio, a causa di una miscela di acque di falda ed acque potabili provenienti da consistenti perdite della rete idrica dell’ex Ospedale (OMISSIS) poste a monte del pendio;
i) gli ulteriori avvenimenti verificatisi successivamente al (OMISSIS) erano del tutto irrilevanti; infatti, la circostanza che la societa’ (OMISSIS) s.r.l., amministrata dal figlio della (OMISSIS), avesse stipulato, in data 1 marzo 2014, ossia quattro giorni prima della frana, un contratto di locazione di altro immobile nello stesso fabbricato, era del tutto irrilevante, in quanto era ben possibile che l’amministratore della societa’ non fosse a conoscenza degli eventi o che, pur essendone a conoscenza, avesse comunque inteso stipulare il contratto di locazione, ritenendo che gli eventi del (OMISSIS) fossero insignificanti in relazione all’utilizzabilita’ dell’immobile locato; parimenti irrilevante era la circostanza che la (OMISSIS) fosse a conoscenza degli eventi del (OMISSIS), in quanto proprietaria dell’immobile ed in quanto il fratello, per sua delega, aveva partecipato all’assemblea condominiale del 17 marzo 2011, in cui si era discusso della nomina di un legale a tutela del danno temuto a causa dello smottamento che si era verificato e dell’ordinanza del 9 marzo 2011 inviata dal Comune con la quale si inibiva l’uso degli spazi condominiali retrostanti l’immobile.
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3. (OMISSIS) ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta decisione d’appello, sulla base di due motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato, con un unico motivo.
4. La trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380-bis.1. c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero presso la Corte.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 380-bis.1. c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione si deduce la violazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli articoli 1571, 1575, 1578 e 1256 c.c., nonche’ “l’omessa valutazione di un fatto decisivo risultante dagli atti di causa ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.
Segnatamente, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere non provata la responsabilita’ della (OMISSIS), pur a fronte della prova documentale della sussistenza dei vizi dell’immobile in data antecedente alla stipula del contratto di locazione, e ribadisce che la locatrice l’aveva indotta in errore garantendo che l’immobile si trovava in ottime condizioni e che era esente da pericolo di crollo, pur essendo a conoscenza che l’immobile locato fosse affetto da vizi gravi che ne impedivano l’utilizzo, presentando il costone retrostante, di natura argillosa, gia’ a far data dal 2010, fenomeni di colamento gravitativo con grave rischio di crollo sull’immobile condotto in locazione.
Rimarca, in particolare, la ricorrente, a comprova che la (OMISSIS) fosse a conoscenza dello stato di pericolo dell’immobile locato, che:
a) nei primi mesi del 2011, ossia prima della stipula del contratto di locazione, avvenuta in data 31 maggio 2011, si erano verificati consistenti smottamenti e caduta di abbondante terriccio sull’edificio ove era ubicato l’immobile locato;
b) in data 17 marzo 2011 era stata convocata una assemblea condominiale – alla quale aveva partecipato il fratello della (OMISSIS), su delega di quest’ultima – avente come ordine del giorno la “nomina di legale a tutela per danno temuto a causa dello smottamento verificatosi nel terreno lato nord dell’edificio”; nel corso dell’assemblea l’amministratore aveva comunicato di avere ricevuto in data 9 marzo 2011 l’ordinanza del Sindaco di Agrigento, datata 7 marzo 2011, con cui si inibiva l’utilizzo degli spazi condominiali retrostanti l’immobile ed in quella stessa sede era stata istituita una commissione composta da alcuni condomini, tra i quali (OMISSIS), fratello della controricorrente, al fine di affiancare l’amministratore del Condominio per la risoluzione del problema;
c) il Condominio, in data 11 marzo 2011, aveva inviato atto di costituzione in mora a diversi enti e, in data 20 marzo 2011, al Comune e a (OMISSIS), rappresentando che vi era grave pericolo sull’immobile a causa degli “smottamenti nel costone (OMISSIS) e retrostante edificio (OMISSIS)”;
d) il Comune di Agrigento aveva inviato al Condominio (OMISSIS) una nota datata 14 giugno 2012, nella quale si faceva riferimento ad una ordinanza sindacale n. 52/2011 in cui si prescriveva all’amministratore dell’edificio e, quindi, ai proprietari degli immobili, di inibire l’utilizzo degli spazi condominiali retrostanti l’edificio fino ad avvenuta eliminazione del pericolo;
e) il Condominio (OMISSIS) in precedenza aveva inviato al Comune di Agrigento una missiva chiedendo di revocare l’ordinanza sindacale n. 52/2011, che era stata riscontrata dal Comune con nota del 27 marzo 2012, con cui era stato comunicato che l’ordinanza non poteva essere revocata in quanto il pericolo era imminente e sussistente.
Ad avviso della ricorrente, pertanto, gia’ dal mese di (OMISSIS) la (OMISSIS) era a conoscenza dei vizi da cui era affetto l’immobile, ma, nonostante cio’, pur non essendo stati effettuati i lavori di messa in sicurezza dell’immobile, lo aveva concesso in locazione, omettendo di comunicare alla conduttrice il grave stato di pericolo.
A seguito della stipula del contratto di locazione – soggiunge la ricorrente – aveva effettuato ingenti investimenti, sostenendo elevati costi per l’acquisto di attrezzature, arredamenti e per interventi di manutenzione edilizia, aveva inoltre assunto dipendenti e proceduto all’acquisto di un vasto assortimento di merce; il fatto verificatosi in data (OMISSIS) aveva comportato una improvvisa interruzione dell’attivita’ commerciale, dato che l’Autorita’ pubblica aveva disposto l’evacuazione dell’intero condominio, con conseguente impossibilita’ di utilizzare l’immobile locato che era crollato. Erra, pertanto, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata laddove afferma che non vi era prova che il vizio fosse esistente al momento della stipula del contratto e che l’evento verificatosi nel (OMISSIS) non fosse strettamente collegato agli eventi verificatisi nel (OMISSIS), essendo al contrario la (OMISSIS) incorsa in grave inadempimento contrattuale, a nulla valendo che l’evento dannoso si fosse verificato a distanza di tre anni dalla stipula del contratto. Dalle stesse argomentazioni esposte dalla Corte di appello, prosegue la ricorrente, si evince che la causa del crollo del costone roccioso era da ascrivere alla formazione della frattura del terreno di fondazione calcarenitico al piede del muro di sostegno e la stessa consulenza tecnica disposta dalla Procura della Repubblica di Agrigento aveva chiarito che gli eventi erano iniziati nel (OMISSIS) e poi terminati nel (OMISSIS) quando si era verificato l’evento dannoso.
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La ricorrente sottolinea, quindi, che la locatrice avrebbe violato i canoni di buona fede e correttezza, avendo l’obbligo di mantenere il bene locato in buone condizioni di utilizzo, e addebita alla Corte d’appello di avere erroneamente affermato che si fosse formato il giudicato interno sulla dichiarata risoluzione del contratto per impossibilita’ sopravvenuta, posto che in appello aveva insistito nel sostenere che si era in presenza di una risoluzione contrattuale per inadempimento, contestando dunque la impossibilita’ sopravvenuta; in ogni caso, l’impossibilita’ sopravvenuta, seppure sussistente, era addebitabile a colpa della locatrice che era a conoscenza dell’evento che aveva reso impossibile la prestazione ed era pertanto tenuta al risarcimento del danno. In ogni caso, secondo la ricorrente, la sentenza gravata sarebbe censurabile per avere trascurato di valutare fatti storici decisivi, quali le delibere condominiali, le ordinanze del Comune di Agrigento e la consulenza disposta dalla Procura della Repubblica di Agrigento.
2. Con il secondo motivo d’impugnazione si deduce nullita’ della sentenza, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 1223 c.c..
La ricorrente, partendo dalla premessa che si verte in ipotesi di inadempimento contrattuale per grave responsabilita’ della locatrice, sostiene che quest’ultima era tenuta al risarcimento sia del danno emergente che del lucro cessante, di cui era stata fornita piena prova mediante la documentazione prodotta.
3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., articoli 645, 647 e 653 c.p.c., nonche’ dell’articolo 111 Cost..
Precisa che nel giudizio di appello aveva dedotto che le domande proposte dalla (OMISSIS) erano inammissibili, poiche’ l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo richiesto per il pagamento dei canoni era stata dichiarata inammissibile con sentenza passata in giudicato, di cui era stata depositata copia. La Corte d’appello aveva ritenuto che la (OMISSIS) con l’instaurazione del giudizio di risarcimento dei danni non avesse frazionato la domanda, ma tale statuizione, ad avviso della controricorrente, non teneva conto degli effetti del giudicato che si era formato nel giudizio sulla debenza dei canoni, che copriva il dedotto ed il deducibile, precludendo l’esame delle domande proposte dalla (OMISSIS) che erano basate su fatti costitutivi incompatibili con l’accertamento passato in giudicato.
4. In controricorso la (OMISSIS), in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione perche’ tardivamente proposto dopo il decorso di sessanta giorni dalla notifica della sentenza impugnata, avvenuta presso la cancelleria della Corte d’appello in data 22 gennaio 2019. Ha spiegato che in data 18 gennaio 2019, pur avendo tentato la notifica della sentenza d’appello alle caselle p.e.c. dei difensori della odierna ricorrente, questa non e’ andata a buon fine: la notifica all’avv. (OMISSIS) non e’ stata consegnata per “casella piena”, mentre quella all’avv. (OMISSIS) non si e’ perfezionata per “errore tecnico presso il gestore ricevente”. Considerato che la (OMISSIS) non aveva eletto domicilio nel circondario in cui aveva sede l’ufficio giudiziario dinanzi al quale si era svolto il giudizio d’appello, bensi’ presso lo studio dei suoi difensori, sito in (OMISSIS), in data 22 gennaio 2019 aveva eseguito la notifica presso la cancelleria della Corte d’appello di Palermo, ai sensi del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, articolo 82 e Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16-sexies, posto che la notifica a mezzo Pec aveva avuto esito negativo per cause imputabili ai destinatari delle caselle di posta elettronica.
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4.1. L’eccezione e’ fondata.
4.2. Occorre osservare che il Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, articolo 16-sexies, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 – articolo rubricato “Domicilio digitale” e introdotto dal Decreto Legge n. 90 del 2014, articolo 52, convertito, con modificazioni, nella L. n. 114 del 2014 -prevede testualmente: “Salvo quanto previsto dall’articolo 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalita’ puo’ procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, articolo 6-bis, nonche’ dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.
Tale disposizione normativa, nell’ambito della giurisdizione civile (e fatto salvo quanto disposto dall’articolo 366 c.p.c., per il giudizio di cassazione), impone alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INI PEC di cui al Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, articolo 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero presso il Re.G.Ind.E, di cui al Decreto Ministeriale 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, escludendo che tale notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilita’ a procedersi a mezzo p.e.c., per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.
La prescrizione del Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16-sexies, prescinde dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri da cui e’ dato attingere l’indirizzo p.e.c. del difensore, stante l’obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio ordine e dell’ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel Re.G.Ind.E. La norma in esame, dunque, depotenzia la portata dell’elezione di domicilio fisico, la cui eventuale inefficacia non consente, pertanto, la notificazione dell’atto in cancelleria, ma la impone pur sempre e necessariamente alla p.e.c. del difensore domiciliatario, salvo l’impossibilita’ per causa al medesimo imputabile, e, al contempo, svuota di efficacia prescrittiva anche il Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82, che, stante l’obbligo di notificazione tramite p.e.c. presso gli elenchi/registri normativamente indicati, puo’ assumere rilievo unicamente in caso di mancata notificazione via p.e.c. per causa imputabile al destinatario della stessa, quale localizzazione dell’ufficio giudiziario presso il quale operare la notificazione in cancelleria (Cass., sez. 3, 11/07/2017, n. 17048; Cass., sez. 3, 08/06/2018, n. 14914; Cass., sez. 6-2, 23/05/2019, n. 14140; Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532; Cass., sez. 3, 29/01/2020, n. 1982; Cass., sez. 6-3, 11/02/2020, n. 3164; Cass., sez. 1, 03/02/2021, n. 2460).
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Da quanto esposto discende che, nel caso di specie, essendo il Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16-sexies, entrato in vigore il 19 agosto 2014 e trovando esso immediata efficacia nei giudizi in corso per gli atti compiuti successivamente alla sua vigenza, in applicazione del principio del tempus regit actum (Cass., sez. 3, 18/07/2013, n. 17570; Cass., sez. 1, 24/03/2016, n. 5925; Cass., sez. 6-5, 20/01/2017, n. 1635; Cass., sez. 6-3,14/12/2017, n. 30139), la notificazione della sentenza di appello a (OMISSIS) avrebbe dovuto essere effettuata presso l’indirizzo p.e.c. dei difensori della stessa risultante dagli elenchi/registri indicati dall’articolo 16-sexies citato e, soltanto ove impossibile per causa imputabile a detti difensori, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pendeva la lite
4.3. Come emerge dagli atti, il difensore della (OMISSIS) ha effettuato la notificazione della sentenza d’appello nei confronti dei difensori della odierna ricorrente a mezzo p.e.c., ma il sistema ha generato un avviso di mancata consegna, segnalando, con riguardo all’avv. (OMISSIS), che la casella risultava “piena” e, quanto all’avv. (OMISSIS), che “presso il gestore ricevente si era verificato un errore tecnico che impediva la consegna”.
4.4. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la notifica a mezzo Pec della L. n. 53 del 1994, ex articolo 3-bis, di un atto del processo ad un legale implica l’onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalita’ dell’attivita’ del notificante essere rimessa alla mera discrezionalita’ del destinatario, salva l’allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto; peraltro, costituendo la normativa sulle notifiche telematiche la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico, l’onere in questione non puo’ dirsi eccezionale od eccessivamente gravoso, in quanto la dotazione degli strumenti informatici integra un necessario complemento dello strumentario corrente per l’esercizio della professione (Cass., sez. 6-3, 25/9/2017 n. 22320).
4.5. In particolare, con specifico riferimento alla ipotesi di saturazione della casella PEC, e’ stato escluso che essa configuri un impedimento non imputabile al difensore (Cass., sez. 6-1, 12/11/2018 n. 28864, in motivazione; Cass., sez. 1, 20/05/2019, n. 13532; Cass., sez. 3, 09/01/2020, n. 3164; Cass., sez. 3, 20/12/2021, n. 40758). Tale affermazione si pone in continuita’ con precedenti pronunzie di questa Corte che hanno sottolineato come, una volta ottenuta dall’ufficio giudiziario l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia per il tramite del Consiglio dell’Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l’onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attivita’ processuali (Cass., sez. L, 02/07/2014 n. 15070; Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532).
4.6. Va, peraltro, evidenziato, come precisato da Cass., sez. 6-5, 18/02/2020, n. 3965, che, in caso di mancata ricezione della comunicazione per causa a lui imputabile, il destinatario e’ comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell’avvenuto deposito. Infatti, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 44 del 2011, articolo 16, comma 4, “nel caso in cui viene generato un avviso di mancata consegna previsto dalle regole tecniche della posta elettronica certificata (…) viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori”.
4.7. Per completezza espositiva il Collegio deve pure rilevare che, secondo alcune pronunce di questa Corte (Cass., sez. 5, 20/07/2018, n. 19397; Cass., sez. L, 30/12/2019, n. 34736; Cass., sez. 6-3, 26/05/2021, n. 14446; Cass., sez. 3, 20/12/2021, n. 40758), il mancato perfezionamento della notifica telematica effettuata dall’avvocato per non avere il destinatario reso possibile la ricezione di messaggi sulla propria casella p.e.c. impone alla parte notificante di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli articoli 137 c.p.c. e segg., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui al Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16, comma 6, u.p., prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione di avvenuta consegna. Secondo altro orientamento (Cass., sez. 6-3, 11/02/2020, n. 3164), “la notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi”.
Notifica a mezzo PEC della sentenza d’appello al difensore extra districtum
4.8. Nella fattispecie in esame si puo’, tuttavia, prescindere da ogni valutazione sulla questione prospettata dalle pronunce sopra richiamate. E cio’ in quanto, a fronte del mancato perfezionamento della notifica all’avv. (OMISSIS) a causa del riempimento della casella p.e.c., e dunque per una ragione non imputabile al notificante, ma piuttosto addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532), il difensore della (OMISSIS) ha comunque proceduto (anche in un tempo adeguatamente contenuto, in conformita’ ai principi espressi da Cass., sez. U., 15/07/2016, n. 14594) alla notificazione della sentenza d’appello mediante deposito dell’atto presso la cancelleria della Corte di appello presso la quale pendeva la lite, considerato che entrambi i difensori della odierna ricorrente erano domiciliati extra discrictum, cosicche’ da tale momento e’ sicuramente iniziato a decorrere il termine breve ex articolo 325 c.p.c., per la impugnazione della sentenza d’appello.
Resta, peraltro, del tutto irrilevante che la notificazione telematica della sentenza di appello eseguita nei confronti dell’altro difensore della (OMISSIS), avv. (OMISSIS), non sia stata consegnata a causa di un errore tecnico imputabile al gestore, e non al titolare della casella di posta elettronica, posto che la notificazione della sentenza ad uno soltanto dei difensori nominati dalla parte e’ idonea a far decorrere il termine breve per impugnare, di cui all’articolo 325 c.p.c. (Cass., sez. 1, 31/08/2017, n. 20625; Cass., sez. 6-3, 27/05/2011, n. 11744; Cass., sez. 2, 31/05/2006, n. 12963).
Ne deriva che il ricorso per cassazione, notificato in data 28 giugno 2019, e’ stato tardivamente proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza previsto dall’articolo 325 c.p.c., avvenuta presso la cancelleria della Corte d’appello in data 22 gennaio 2019.
5. In ogni caso, il primo motivo del ricorso non si sottrae alla declaratoria di inammissibilita’.
Con tale doglianza, in realta’, non si denuncia la violazione delle norme di diritto invocate, ma si sollecita la rivalutazione della quaestio facti mediante la reiterazione di deduzioni difensive gia’ svolte e mediante il richiamo a circostanze di fatto gia’ sottoposte all’esame dei giudici di merito e da questi gia’ adeguatamente valutate.
In sostanza, la ricorrente muove una contestazione alla motivazione resa dai giudici di appello, non consentita dall’attuale articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra l’altro invocato non gia’ secondo il paradigma dell’omesso esame, ma secondo il paradigma della omessa valutazione e, comunque, senza rispettare, quanto alle emergenze fattuali richiamate, i criteri di deduzione fissati da Cass., sez. U., n. 8053 e n. 8054 del 7 aprile 2014, ossia senza specificare se e dove le circostanze di fatto di cui si denuncia l’omesso esame siano state oggetto di deduzione in giudizio.
Occorre, invero, ribadire che, dopo la modifica dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, non trova piu’ accesso al sindacato di legittimita’ di questa Corte il vizio di mera insufficienza ed incompletezza dell’impianto motivazionale per inesatta valutazione delle risultanze istruttorie, qualora dalla sentenza sia evincibile una regula iuris che, prendendo le mosse da una determinata premessa, conduca ad una determinata conseguenza (in diritto) idonea a giustificare il decisum.
Rimangono, pertanto, estranei al perimetro del vizio di legittimita’ ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contestazione volta a criticare, come nel caso in esame, il convincimento che il giudice si e’ formato ex articolo 116 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilita’ delle fonti di prova, ed operando il conseguente giudizio di prevalenza (Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892), come pure asseriti errori attinenti alla preminente rilevanza attribuita a talune “questioni” o alle stesse argomentazioni nelle quali si estrinseca l’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove, restando precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori.
Notifica a mezzo PEC della sentenza d’appello al difensore extra districtum
Quanto ai denunciati vizi di violazione di legge, le doglianze prospettate dalla ricorrente non sono riconducibili nell’ambito della previsione normativa dettata dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poiche’ si risolvono nella denuncia di violazione di disposizioni normative sulla base di una errata ricognizione della fattispecie concreta, laddove, invece, tale vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, o ancora nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perche’ la fattispecie astratta da essa prevista non e’ idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass., sez. 1, 5/02/2019, n. 3340; Cass., sez. 1, 14/01/2019, n. 640; Cass., sez. 5, 25/09/2019, n. 23851). Viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
6. Il secondo motivo del ricorso, con il quale si lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato le norme che regolano la quantificazione del danno, resta assorbito, in quanto presuppone l’accoglimento nell’an della domanda di risarcimento dei danni.
7. Il ricorso incidentale condizionato, in ragione dell’inammissibilita’ del ricorso principale, resta parimenti assorbito.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore di (OMISSIS), delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificati pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Notifica a mezzo PEC della sentenza d’appello al difensore extra districtum
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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