Non sussiste vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa

Consiglio di Stato, Sentenza|30 marzo 2021| n. 2668.

Non sussiste vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa, che si sostanzia nella supposizione dell’esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero nella supposizione dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è positivamente stabilita, ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice.

Sentenza|30 marzo 2021| n. 2668

Data udienza 4 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Corpo di polizia penitenziaria – Idoneità – Art. 123, comma 7, lett., c), D.Lgs. n. 443/1992 – Cicatrice con relativa alterazione cutanea – Errore revocatorio – Valutazione ed interpretazione delle risultanze processuali – Escluso

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7319 del 2020, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Mo. e Gi. Ca. Pa. Za., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ca. Pa. Za. in Roma, via (…);
contro
il Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei (…);
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato – SEZ. IV n. -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2021 il Cons. Oberdan Forlenza;
Visto l’art. 4 del decreto legge n. 137 del 2020, convertito nella legge n. 176 del 2020;
nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.Con il ricorso in esame, il sig. -OMISSIS- chiede che questo Consiglio di Stato voglia disporre la revocazione della propria sentenza -OMISSIS-, con la quale, in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero della Giustizia ed in riforma della sentenza del TAR per il Lazio, sez. I, -OMISSIS-, è stato rigettato il suo ricorso proposto avverso il provvedimento del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, 4 ottobre 2017.
Con tale provvedimento il ricorrente veniva dichiarato “non idoneo” per l’assunzione straordinaria nel Corpo di polizia penitenziaria quale allievo agente del ruolo maschile per “esiti cicatriziali da rimozione tatuaggio -OMISSIS-“.
Il TAR Lazio, con la citata sentenza n. -OMISSIS-, ha accolto il ricorso, poiché nel caso di specie “il tatuaggio risulta essere stato completamente rimosso con un adeguato trattamento sanitario, come provato dalla documentazione fotografica in atti”. Inoltre “dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato, riferita ad esiti cicatriziali della rimozione del tatuaggio, risulta confermato che il tatuaggio non era più visibile all’atto della visita di idoneità “, di modo che “non essendo contemplata tra le cause di esclusione la cicatrice derivante dalla rimozione del tatuaggio…. non sussistevano i presupposti per la valutazione di non idoneità “.
Il Consiglio di Stato, diversamente pronunciando con la sentenza n. -OMISSIS- (della quale si chiede la revocazione), ha invece affermato che “le risultanze del processo di rimozione configurano una causa di inidoneità ai sensi dell’art. 123, comma 7, lett., c) d.lgs. n. 443/1992, trattandosi (come si evince dalla stessa foto depositata dal ricorrente in primo grado) di una cicatrice con relativa alterazione cutanea che corre all’incirca dal -OMISSIS-“.
Aggiunge, inoltre, la sentenza che “in ogni caso, per quanto risulta dagli atti, questa specifica censura accolta dal TAR non era stata in realtà dedotta nel ricorso introduttivo ove si fa questione soltanto del tatuaggio, con conseguente sussistenza nella decisione di primo grado del profilo di extrapetizione ugualmente stigmatizzato dall’amministrazione appellante”.
Infine, la sentenza afferma che è “fondato il motivo mediante il quale l’appellante amministrazione deduce che la rimozione del tatuaggio completata in epoca successiva alla prima visita idoneativa è sostanzialmente irrilevante atteso che – pena la violazione della parità di condizioni tra i concorrenti – la sussistenza dei requisiti di idoneità va verificata al momento della visita medica, con irrilevanza di successive modificazioni”.
E, in fatto, dagli atti si evince che a ben vedere alla data del 9 maggio il processo di rimozione era soltanto avviato, tanto che il 25 maggio 2017 la commissione di II istanza ebbe a differire l’esame proprio per poter valutare gli esiti del procedimento”.
Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di revocazione:
errore di fatto ex art. 395 n. 4 c.p.c.; in quanto:
a) la sentenza omette di pronunciare sulla censura di difetto di motivazione, espressamente formulata nel corso del primo grado del giudizio, poiché l’amministrazione “avrebbe dovuto certamente motivare sulla natura infossata o aderente (requisito medico) della cicatrice e sulla sua capacità di alterare l’estetica o la funzione”, dato che “una cicatrice non infossata ed aderente, anche se alterante l’estetica e la funzione, non può essere di per sé impeditiva dell’arruolamento”. Al contrario, la sentenza “ha soprasseduto sulla doglianza in parola, ritenendo erroneamente che non vi fossero state in primo grado censure afferenti alla cicatrice, non percependo che il provvedimento di esclusione era stato invece censurato per difetto di motivazione ed anzi rinvenendo una (non esistente) eccezione di extrapetizione formulata dall’appellante amministrazione”;
b) la rimozione del tatuaggio “è certamene avvenuta all’interno della selezione concorsuale… ad opera della commissione di II istanza, e quindi all’interno del concorso, sulla base di un rinvio della visita accordato dalla stessa amministrazione”, di modo che “non può disquisirsi di alterazione della par condicio competitorum e di irrilevanza delle modifiche delle situazioni di fatto sussistenti al momento della visita concorsuale”.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia.
All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. Il ricorso è inammissibile.
3. Si ricorda che l’orientamento costante di questo Consiglio di Stato (sez. IV, 25 novembre 2016 n. 4983; 24 gennaio 2011 n. 503) è nel senso che la “svista” che autorizza e legittima la proposizione del rimedio della revocazione, tendenzialmente eccezionale anche nei casi di c.d. revocazione ordinaria (cfr. Cass., n. 1957/1983), è rappresentata o dalla mancata esatta percezione di atti di causa, ovvero dall’omessa statuizione su una censura o su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale.
Secondo, infatti, il principio enunciato dall’Adunanza Plenaria (dec. 22 gennaio 1997, n. 3; in senso conf., Ad. plen. nn. 3 del 2001, 2 del 2010, 1 del 2013, 5 del 2014;,Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3499; sez. IV, 23 settembre 2008, n. 4607; sez. IV, 19 ottobre 2006, n. 6218; Sez. IV, 16 maggio 2006, n. 2781; sez. VI, 23 febbraio 2011 n. 1145), non v’è dubbio che l’errore di fatto revocatorio debba cadere su atti o documenti processuali.
Tuttavia, non sussiste vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa – che si sostanzia nella supposizione dell’esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero nella supposizione dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è positivamente stabilita – ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice (cfr, Cons. St., sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3343; Cass. Civ., Sez. II, 12 marzo 1999 n. 2214).
Ed infatti, in questi casi (cioè nei casi di dedotto errore di fatto su un punto che ha costituito un punto controverso), ogni ipotizzabile errore non può che essere ricondotto ad un errore di valutazione del dato fattuale e non già di percezione del medesimo (dunque, un eventuale errore di diritto, ma mai un errore sul fatto).
L’errore di fatto revocatorio si configura, quindi, come un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa; esso può essere apprezzato solo quando risulti da atti o documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio, con esclusione, quindi, delle produzioni inammissibili.
È stato pertanto ritenuto inammissibile il rimedio della revocazione per un errore di percezione rispetto ad atti o documenti non prodotti ovvero per un errore di fatto la cui dimostrazione avviene mediante deposito di un documento prodotto per la prima volta in sede di revocazione (Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 2010, n. 8061; sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7487).
Per contro, si prospettano vizi logici e dunque errori di diritto quando si deducono quelli consistenti nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599).
Infine, l’errore di fatto deve essere elemento determinante della decisione, la quale “è l’effetto” del primo. Di conseguenza, l’errore revocatorio può ammissibilmente essere invocato solo quando vi sia un rapporto di causalità necessaria fra l’erronea od omessa percezione fattuale e documentale e la pronuncia in concreto adottata dal Giudice. Con l’ulteriore conseguenza della non rilevanza dell’errore quando la sentenza si fondi su fatti, seppur erronei, che non siano decisivi in se stessi ai fini del decidere, ma debbano essere valutati in un più ampio e complesso quadro probatorio (Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2011, n. 15882).
4. Entrambi i motivi proposti dal ricorrente prospettano errori di fatto in realtà non sussistenti; e ciò sia con riferimento ad una mancata decisione di un motivo di ricorso, che, secondo il ricorrente, sarebbe stato proposto ma non percepito (lett. a), sia con riferimento alla rilevanza del momento in cui il tatuaggio è stato rimosso.
4.1. Quanto al primo aspetto, occorre osservare che la sentenza impugnata, dopo aver ricordato come “le risultanze del processo di rimozione configurano una causa di inidoneità “, ha espressamente affermato che, nel caso di specie, risulta “una cicatrice con relativa alterazione cutanea che corre all’incirca dal -OMISSIS-“.
In sostanza, la sentenza ha ritenuto che, sulla base degli elementi riscontrati (cicatrice con relativa alterazione cutanea), il provvedimento impugnato con il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado risultava sufficientemente motivato quanto alle ragioni determinanti l’esclusione.
Solo ad abundantiam, la sentenza ha poi aggiunto che “in ogni caso, questa specifica censura accolta dal TAR non era stata in realtà dedotta nel ricorso introduttivo”.
In definitiva, la sentenza ha pronunciato proprio sull’oggetto del motivo (“difetto di motivazione”) che il ricorrente ritiene non essere stato percepito (e dunque non aver formato oggetto di pronuncia); di modo che l’affermazione circa la sua effettiva proposizione o meno (pur contenuta in sentenza), risulta del tutto irrilevante ai fini della decisione.
Inoltre, eventuali profili afferenti alla congruità o aderenza al dato normativo della motivazione della sentenza di cui si chiede la revocazione, ove anche fossero sussistenti, costituirebbero eventualmente errori di diritto, come tali non determinanti la revocazione.
4.3. Quanto al secondo aspetto – in disparte ogni considerazione in ordine al fatto che lo stesso, ove anche sussistente, non sarebbe determinante ai fini della revocazione (essendo sufficiente per la riforma della sentenza di primo grado quanto già affermato dal giudice di appello con riferimento alla presenza della cicatrice) – giova osservare che la sentenza ha affermato come “la sussistenza dei requisiti di idoneità va verificata al momento della visita medica, con irrilevanza di successive modificazioni”; e, in punto di fatto, ha sottolineato come in data 9 maggio 2017 “il processo di rimozione era soltanto avviato” e in data 25 maggio 2017 la commissione di II istanza dispose il differimento dell’esame “proprio per poter valutare gli esiti del procedimento”.
Non vi è, dunque, alcun errore di fatto, ma solo valutazioni della sentenza di appello che, ove anche non coincidono con le prospettazioni del ricorrente, non per questo costituiscono errore di fatto revocatorio.
Né, ovviamente, è significativa la maggiore o minore aderenza al caso di specie di un precedente giurisprudenziale all’uopo citato.
5. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dal signor-OMISSIS-(n. 7319/2020 r.g.), lo dichiara inammissibile.
Compensa tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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