Corte di Cassazione, penale, Sentenza|14 aprile 2021| n. 14002.
Non è configurabile il tentativo di spendita di moneta falsa, trattandosi di reato di pericolo che si consuma con la mera detenzione al fine di mettere in circolazione la moneta falsa, senza la necessità che si dia ad esso concreta attuazione.
Sentenza|14 aprile 2021| n. 14002
Data udienza 3 marzo 2021
Integrale
Tag – parola chiave: REATI CONTRO LA FEDE PUBBLICA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente
Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere
Dott. SESSA Renata – rel. Consigliere
Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/02/2019 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SESSA RENATA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore BIRRITTERI LUIGI che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso, con requisitorie scritte, trasmesso al Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) veniva tratto a giudizio per rispondere del delitto di cui all’articolo 455 c.p., a lui ascritto, in concorso con (OMISSIS) – assolto in primo grado – per avere speso una banconota falsa di 50 Euro presso un primo esercizio commerciale nonche’ compiuto atti doni diretti in maniera non equivoca a spendere una seconda banconota di Euro 50 presso un altro esercizio commerciale, non riuscendo nell’intento perche’ il titolare del bar, avendo accertato tramite rilevatore elettronico di monete false, che la banconota era contraffatta, la restituiva. Riconosciutane la colpevolezza in sede di giudizio abbreviato, il Tribunale di Cassino lo condannava alla pena di giustizia, con statuizione che era integralmente confermata dalla Corte di appello di Roma, con sentenza del 19.2.2019.
2. Avverso la sentenza di appello ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli articoli 56 e 81 c.p. in riferimento all’articolo 455 c.p., ed assume che, essendo il reato in questione reato di pericolo e non di danno, non e’ configurabile il tentativo, esulando dalla sfera della tutela penale il danno patrimoniale eventualmente subito dal privato che non e’ assunto come elemento tipico e costante della fattispecie, laddove la Corte territoriale ha invece ritenuto di affermare la colpevolezza dell’imputato anche per l’ipotesi del tentativo.
Deduce, altresi’, vizio di motivazione evidenziando il passo ricostruttivo della motivazione da ritenersi contraddittorio nonche’ illogico rispetto non solo al normale modus operandi della polizia giudiziaria ma anche ai provvedimenti nell’immediatezza assunti che danno atto dell’arresto, della perquisizione personale e veicolare, e del sequestro di una sola banconota nonche’ di una somma di danaro rinvenuta sulle persone degli arrestati.
L’unica banconota sequestrata rimane quella ritenuta falsa dalla titolare del primo esercizio commerciale.
In altri termini, non sussistono piu’ violazioni, pur in continuazione tra loro, poiche’ i pretesi atti posti in essere in un brevissimo lasso temporale sono tutti riconducibili ad una sola azione di spenditi, sebbene frazionata, di moneta contraffatta, con conseguente unica violazione del precetto penale.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la mancata assunzione della prova della falsita’ dell’unica banconota sequestrata.
2.3. Col terzo motivo deduce il vizio argomentativo in relazione alla affermata sussistenza del dolo specifico desunto esclusivamente dal fatto che l’imputato si e’ spostato da un comune all’altro e da un esercizio commerciale all’altro nei quali venivano effettuati o si tentava di effettuare acquisti per importi modesti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile.
1. I motivi proposti in ricorso, strettamente connessi tra loro, sono del tutto aspecifici, non tenendo conto delle argomentazioni che la sentenza impugnata pone a sostegno della affermata sussistenza delle condotte contestate e della ritenuta prova della falsita’ delle banconote e della finalita’ della spendita.
Il ricorso tende a parcellizzare e quindi a invilire la portata complessiva della motivazione resa dalla corte territoriale con un’operazione protesa piu’ ad avallare la propria soggettiva ricostruzione dei fatti, che a scardinare in maniera realmente incisiva gli argomenti sviluppati nella sentenza impugnata.
1.1. Il primo motivo di ricorso e’ aspecifico posto che nella pronuncia impugnata si da’ atto della autonoma e duplice condotta di spendita e di tentata spendita di moneta falsa, evidenziando come le azioni si siano dipanate nei diversi luoghi in cui ebbe a spostarsi il (OMISSIS), e presso i due distinti esercizi commerciali in cui lo stesso ebbe a recarsi, verosimilmente al fine di scongiurare possibili individuazioni, sia pure in un circoscritto ambito temporale, e come la prima banconota fu trattenuta dal gestore del negozio, con la conseguenza che la seconda che l’imputato tento’ di smerciare presso un altro negozio era l’ulteriore dal medesimo posseduta, insita la finalita’ di spendita.
Ne’ potrebbe assumere rilievo la doglianza che solleva dubbi, in questa sede, sulla configurabilita’ del tentativo rispetto al reato di cui all’articolo 455 c.p..
Se e’ vero, infatti, che il reato di spendita di moneta falsa non e’ reato di danno, ma di pericolo, avendo per oggetto soltanto la possibilita’ della lesione giuridica, con la conseguenza che per la configurabilita’ del reato non si richiede, pertanto, che il fine di mettere in circolazione la moneta falsa riceva concreta attuazione (cfr. Sez. 5, n. 8605 del 27/05/1982 Rv. 155364 – 01 nella specie, se ne e’ dedotta la non configurabilita’ del tentativo e quindi della desistenza volontaria; Sez. 5, n. 7595 del 11/05/1999, Rv. 213788 – 01; Sez. 5″ Sentenza n. 7276 del 18/05/1984 Ud. (dep. 10/09/1984) Rv. 165590 – 01), e che esso si consuma pertanto con la detenzione al fine della messa in circolazione della banconota, senza che sia necessaria l’accettazione del prenditore. (v. mass n. 104563), cio’ nondimeno va rilevato come tale rilievo sulla qualificazione giuridica del fatto si risolva in una questione di diritto rispetto alla quale non e’ ravvisabile un interesse concreto del ricorrente a farla valere, neppure prospettato ne’ diversamente ricavabile nel ricorso, implicando essa la configurazione del reato come consumato.
Ed invero, come ha avuto gia’ modo di osservare questa Corte in diverse occasioni, l’interesse alla proposizione della impugnazione non consiste nella mera aspirazione all’esattezza tecnico-giuridica del provvedimento, dovendo essere rivolto a conseguire un concreto vantaggio, di talche’ e’ inammissibile il ricorso per cassazione che tende soltanto al mutamento della qualificazione giuridica del fatto senza incidere sul contesto del dispositivo (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 28600 del 07/04/2017, Rv. 270246 – 01, Sez. 1, n. 39215 del 03/07/2017, Rv. 270957 01). La valutazione dell’interesse ad impugnare, sussistente allorche’ il gravame sia in concreto idoneo a determinare, con l’eliminazione in tutto o in parte del provvedimento impugnato, una situazione pratica piu’ favorevole per l’impugnante, va quindi operata con riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata perche’, appunto, come detto, l’interesse alla proposizione della impugnazione deve essere concreto e rilevante, non potendosi lo stesso individuare nella pretesa di una formale applicazione della legge; laddove nel caso di specie l’esclusione dell’ipotesi del tentativo proposta in ricorso ha insita la qualificazione del fatto come consumato ossia come ipotesi di reato punita piu’ gravemente rispetto a quello per il quale l’imputato e’ stato condannato.
1.2. Manifestamente infondati sono anche il secondo e il terzo motivo coi quali si denuncia la mancata assunzione della prova della falsita’ delle banconote e, in subordine, la mancanza di prova della consapevolezza dell’imputato della falsita’ delle stesse, o del dolo specifico.
La contraffazione delle banconote e’ correttamente motivata in sentenza con riferimento al controllo eseguito dal titolare dell’esercizio commerciale, attraverso un rilevatore elettronico di monete false (cfr. inoltre Sez. 5, Sentenza n. 38291 del 06/04/2016 Rv. 267788 – 01 in punto di non obbligatorieta’ dell’accertamento peritale), e facendosi leva soprattutto sul comportamento posto in essere dall’imputato ritenuto, in buona sostanza, sintomatico sia della falsita’ delle banconote che della piena consapevolezza della falsita’ delle stesse da parte del medesimo, il quale, altrimenti, non avrebbe avuto alcun motivo – come spiegato nella pronuncia gravata – di spostarsi da un Comune all’altro e da un esercizio commerciale all’altro nei quali venivano effettuati (o si tentava di effettuare) acquisti per importi modesti con banconote di 50 Euro, se non per smerciarle nonostante la loro falsita’, e non si sarebbe, peraltro, guardato bene dal consegnare la banconota rifiutata dal secondo esercente di commercio alle forze dell’ordine ove si fosse trattato di un biglietto autentico; l’accortezza di spostarsi rapidamente era evidentemente finalizzata – come posto in rilievo dalla corte territoriale – ad evitare l’identificazione e l’arresto una volta scoperto l’inganno.
Col pur corretto procedimento inferenziale adoperato in doppia conforme dai giudici del merito, connesso alla peculiare condotta di spendita di banconote del taglio di 50 Euro, con spostamento repentino, per evitare l’identificazione una volta scoperto l’inganno, in luoghi – paesi – diversi, per acquisti di minimo impegno economico, non si confronta, in definitiva, affatto il ricorso, restando irrimediabilmente affetto da assoluta aspecificita’, anche in parte qua.
2. Dalle superiori considerazioni deriva la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso cui consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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