Nessun effetto sospensivo può ricondursi automaticamente all’avvenuta proposizione di un ricorso giurisdizionale

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 12 agosto 2019, n. 5651.

La massima estrapolata:

Nessun effetto sospensivo può ricondursi automaticamente all’avvenuta proposizione di un ricorso giurisdizionale, tanto più nel caso in cui l’ordinanza demolitoria risulti già emanata proprio in ragione dell’accertata abusività conseguita al diniego di condono, non venendo neppure all’evidenza la temporanea sospensione dell’esecuzione conseguente all’avvenuta presentazione dell’istanza di accertamento di conformità.

Sentenza 12 agosto 2019, n. 5651

Data udienza 25 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6368 del 2008, proposto dai signori Ra. Ga. e Gi. Qu., rappresentati e difesi dall’avvocato Do. Ge., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Ga. in Roma, via (…);
contro
il Comune di Potenza, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ro. Za. e Co. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Ro. Za. in Potenza, via (…);
ed altri, non costituite in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata – Sez. I – n. 145/2008, resa tra le parti, concernente il rigetto di un’istanza di concessione edilizia in sanatoria e gli atti ad esso conseguenti, con istanza di risarcimento dei danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista l’ordinanza della Sez. IV di questo Consiglio di Stato n. 2972 in data 13 giugno 2006;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Potenza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2019 il Consigliere Antonella Manzione e udito per il Comune appellato l’avvocato St. Co., su delega dell’avvocato Ma. Ro. Za.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. I ricorrenti hanno impugnato con ricorso innanzi al T.A.R. (n. r. 506/2001) per la Basilicata il provvedimento prot. n. 8818 del 10 luglio 2001, con il quale gli uffici competenti del Comune di Potenza hanno respinto l’istanza di sanatoria presentata in data 9 novembre 1999 in relazione all’avvenuta realizzazione di un corpo di fabbrica destinato a deposito, con forno in aderenza del prospetto laterale destro, muro di contenimento in cemento armato, recinzione con paletti in cemento e rete metallica e annessa baracca in lamiera zincata, nonché la conseguente ordinanza ingiunzione a demolire n. 9172 del 17 luglio 2001, i presupposti pareri negativi della Commissione edilizia comunale n. 12 del 7 maggio 2001, dell’Ufficio igiene e sanità pubblica della A.S.L. del 18 settembre 1999 e del responsabile del procedimento; lo strumento urbanistico attuativo denominato “Piano della Campagne”, adottato con delibera n. 141 del 3 maggio 1999 e la sottesa “Carta inventario delle frane dell’Alta Valle del Basento”, predisposta dalla Regione Basilicata. Con successivi motivi aggiunti hanno altresì impugnato l’accertamento di inottemperanza alla ridetta ordinanza di demolizione n. 9172/2001, comunicato agli interessati con nota prot. n. 7680 in data 14 giugno 2002 e il successivo atto unilaterale di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune di Potenza Rep. n. 4 del 21 novembre 2005 dell’area di sedime dell’abuso edilizio; infine, con nuovo ricorso per motivi aggiunti, il provvedimento dirigenziale prot. n. 57509 in data 7 dicembre 2005, di ingiunzione di pagamento della somma di euro 2.632,92 per asserite spese di procedimento.
2. Il T.A.R. per la Basilicata ha respinto il ricorso, condannando le parti al pagamento delle spese di giudizio: in particolare, sulla base del principio della cosiddetta motivazione minima sufficiente, ha ritenuto esaustivo il riferimento contenuto nell’avversato provvedimento di diniego al contrasto dell’intervento edilizio effettuato con la variante al P.R.G. contenuta nel cosiddetto “Piano delle campagne”, ovvero il Piano particolareggiato delle zone agricole del Comune di Potenza, adottato con delibera del Consiglio comunale n. 141 del 3 maggio 1999, che ha qualificato il terreno come Zona “ETV” (area di tutela dei versanti e dell’idrografia minore), sottoponendolo a vincolo di inedificabilità assoluta. Parimenti infondati sono stati ritenuti tutti gli altri motivi di gravame, sia derivati, che propri di ciascuno degli atti nominativamente indicati.
3. Con ordinanza n. 48/2006 il T.A.R. ha altresì respinto la richiesta misura cautelare; reiezione confermata dalla Sez. IV di questo Consiglio di Stato (ordinanza n. 2972 in data 13 giugno 2006), che ha ritenuto insussistente il presupposto del potenziale danno grave e irreparabile, “anche alla luce della considerazione che la vicenda contenziosa riguarda un diniego di accertamento di conformità di edificio già realizzato ed acquisito al patrimonio indisponibile del Comune”.
4. Avverso ridetta sentenza hanno proposto appello gli interessati, contestando come erronea la ricostruzione in fatto e in diritto della vicenda operata dal Giudice di prime cure e conseguentemente riproponendo in chiave critica i motivi di doglianza già prospettati in primo grado.
5. Si è costituito in giudizio il Comune di Potenza per chiederne la reiezione, con conseguente conferma della sentenza n. 145/2008 del T.A.R. per la Basilicata.
6. All’udienza del 25 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. Al fine di perimetrare correttamente l’oggetto dell’odierna controversia, è necessario segmentare il procedimento nei singoli arresti che hanno dato luogo alla proposizione, dopo il ricorso principale, di due atti di motivi aggiunti, con i quali sono stati impugnati i provvedimenti conseguenti all’accertata inottemperanza all’ingiunta demolizione, ritenendoli affetti sia da illegittimità derivata sia da autonome mende. Quanto detto, rileva la Sezione, consente infatti di esaminare congiuntamente i motivi diffusamente articolati ai punti I e II dell’atto di appello, riproposti anche all’interno dei successivi punti III e IV (di fatto coincidenti con i ricordati motivi aggiunti), stante la sostanziale unicità contenutistica degli stessi. In sintesi, gli appellanti si dolgono a vario titolo del difetto di motivazione del diniego di sanatoria, sia in quanto indebitamente basato su un parere sanitario mal interpretato, e comunque ultroneo rispetto ad interventi di tipo non residenziale; sia soprattutto perché l’asserito contrasto con le disposizioni urbanistiche vigenti per la zona non sussisterebbe, come dimostrato a tempo debito dalla perizia geologica di parte prodotta a corredo dell’istanza di sanatoria, confermata da altra perizia, versata agli atti del giudizio, nonché, per tabulas, dalla mancata approvazione della variante contenuta nel cosiddetto “Piano della Campagne” da parte della Regione Basilicata (D.P.G.R. n. 235 del 20 ottobre 2004). In base alla normativa richiamata (artt. 13 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, 4 della l. 28 gennaio 1977, n. 10, 36 del d. P.R. 6 giugno 2001,n. 380, 4,7,8,9,10 e 11 della l. 17 agosto 1942, n. 1150, oltre che 2 e 9 della L.R. 6 agosto 1997, n. 38) il contrasto con misure contenute nel piano urbanistico in itinere non potrebbe assumere alcun rilievo ai fini della domanda di accertamento di conformità, rispetto alla quale opererebbe la sola disciplina prevista da strumenti urbanistici definitivamente approvati.
8. La censura è infondata.
8.1. L’art. 13 della l. n. 47/1985, nel declinare i requisiti cui è subordinata la concessione di una sanatoria, richiede la cosiddetta “doppia conformità “, ovvero la verifica che l’opera eseguita in assenza della concessione o dell’autorizzazione sia conforme “agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda”. Diversamente, cioè, da quanto oggi statuito nell’art. 36 del d. P.R. n. 380/2001, ove è confluita la richiamata disciplina, l’art. 13 della l. n. 47/1985 menziona, oltre agli strumenti urbanistici “approvati”, anche quelli semplicemente “adottati”, con ciò non dando adito a possibili letture divergenti circa la voluta anticipazione della soglia di tutela del territorio sin dal momento della sua individuazione preliminare, a prescindere dagli esiti del relativo procedimento. Correttamente, pertanto, il Comune di Potenza ha posto a base del proprio diniego il già ricordato “Piano delle Campagne”, il cui contenuto, non fatto oggetto a tempo debito di possibili osservazioni o opposizioni, non può essere contestato tardivamente, avuto riguardo peraltro alla asserita infondatezza “scientifica” delle scelte ivi effettuate.
8.2. Il tratto distintivo dell’istituto della “doppia conformità ” si rinviene dunque, ora come allora, nella cristallizzazione dello stato di realizzazione del manufatto, dovendo ritenersi, secondo la formulazione letterale delle norme, che oggetto della valutazione propedeutica al rilascio della sanatoria sia la regolarità edilizia degli “interventi realizzati” con riferimento sia al momento del loro originario compimento sia a quello della presentazione della domanda.
Per pacifica giurisprudenza, esso attribuisce al provvedimento una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, secondo un assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina urbanistica applicabile.
9. La tesi degli appellanti mira pertanto a dequotare tale disciplina urbanistica, ritenendo rilevante la sola conformità dell’opera abusiva alla normativa urbanistica sopravvenuta, nel senso che la mancata approvazione del cosiddetto “Piano delle campagne”, legittimando perfino interventi di nuova edificazione, non potrebbe non incidere sulla legittimità di un diniego basato su regole non consolidatesi nella disciplina sopravvenuta (rectius, stante la caducazione ex tunc, mai esistite). Essa è priva di fondamento.
9.1. In relazione alla verifica di “doppia conformità “, la Corte Costituzionale ha più volte ribadita la natura di “principio fondamentale nella materia governo del territorio”, in quanto adempimento “finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento” (Corte Cost. n. 2 del 2019). In questo senso è anche il consolidato indirizzo di questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. VI, 18 gennaio 2019, n. 470; id. 16 aprile 2018, n. 2252). Ciò in quanto “accontentarsi infatti della semplice conformità alla normativa urbanistica ed edilizia sopravvenuta si tradurrebbe in un sostanziale incentivo a commettere abusi edilizi, nella speranza di una successiva modifica in senso favorevole degli strumenti di pianificazione, con il risultato di far condizionare dal fatto compiuto il potere di governo del territorio che spetta all’amministrazione, con evidente pregiudizio al buon andamento di essa ” (Cons. Stato, Sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; Sez. VI, 5 marzo 2018, n. 1389; Sez. II, 13 giugno 2019, n. 3958).
10. Nel caso di specie, dunque, oggetto dell’istanza di sanatoria, depositata in data 20 agosto 1999, integrata in data 9 novembre 1999 – data alla quale si colloca l’avvio del relativo procedimento di esame – è l’avvenuta realizzazione di un fabbricato di superficie pari a mq. 168,88 e volume pari a mc. 675,52, asseritamente destinato a deposito e pur tuttavia munito di forno in aderenza, con annesso muro di contenimento in cemento armato, recinzione con paletti di cemento e rete metallica e baracca in lamiera zincata. Essa era stata oggetto dei rilievi tecnici dell’ufficio e della locale Polizia Municipale (rispettivamente in data 27 aprile 1999 e 24 giugno 1999), e si pone in contrasto con il vincolo riveniente dall’adozione, nelle more della presentazione della domanda, di una variante al Piano particolareggiato delle zone “E” agricole del Comune di Potenza (3 maggio 1999), che ha inteso recepire sul punto le indicazioni fornite dall’Ufficio geologico della Regione Basilicata, debitamente interpellato in corso di istruttoria, il quale a sua volta ha posto a fondamento del parere rilasciato in merito (prot. n. 107 in data 26 aprile 1999) le risultanze di uno studio confluito nel documento denominato “Carta inventario delle frane dell’Alta Valle del Basento”. Contestarne le risultanze in termini di franosità e instabilità geologica dell’area sulla base di perizie di parte contrapposte a quelle dei tecnici della Regione, si palesa oggi, oltre che tardivo, inammissibile, essendo attinente al contenuto delle scelte effettuate, come tale insindacabile se non per manifesta illogicità o irragionevolezza, certo non sussistente nel caso di specie.
11. D’altro canto, quand’anche voglia aversi riguardo alla sopravvenuta disciplina di cui all’art. 36 del d. P.R. n. 380/2001, il riferimento ivi contenuto alla necessaria “doppia conformità ” alla disciplina urbanistica ed edilizia “vigente”, non ha comunque determinato la ritenuta inapplicabilità nell’immediato dei vincoli di un atto di pianificazione semplicemente adottato, nelle more della sua approvazione, ma, casomai, la sospensione del relativo procedimento in forza della ritenuta applicabilità anche al procedimento di sanatoria dell’art. 12, comma 3, del medesimo T.U., che dispone in tal senso.
Nel caso di specie, tuttavia, la disciplina applicabile ratione temporis è esclusivamente quella di cui alla l. n. 47/1985, che non contemplava tale evenienza, essendo il d. P.R. 6 giugno 2001, pubblicato in G.U. 20 ottobre 2001, entrato in vigore il 30 giugno 2003, giusta la specifica previsione in tal senso contenuta nell’art. 138, dunque in epoca successiva finanche alla presentazione dell’istanza di revisione del diniego di sanatoria, avvenuta in data 15 febbraio 2001.
12. Chiarito quanto sopra, appare evidente che correttamente il Giudice di prime cure ha fatto applicazione del principio in forza del quale in caso di autonomi motivi posti a fondamento di un provvedimento amministrativo impugnato in via giurisdizionale, tale provvedimento deve ritenersi legittimo anche se uno solo di essi è fondato e perciò idoneo a sorreggerne la validità, considerando assorbite le altre censure avverso lo stesso (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4823; Sez. V, 14 giugno 2017, n. 2910; id., 13 luglio 2017, n. 3443).
13. Per mera completezza, tuttavia, il Collegio ritiene di poter scrutinare anche l’asserita violazione dell’art. 220 T.U.LL.SS.: la dicitura testuale utilizzata dalla norma, infatti, che parrebbe riferirsi ai soli edifici residenziali (“case, urbane o rurali”), è da sempre stata intesa in senso esteso, dovendo il controllo di salubrità essere effettuato in relazione a qualsivoglia tipologia di manufatto destinato allo stazionamento di persone, anche per mere ragioni lavorative. Esso, cioè, assorbe sia l'”abitabilità ” che l'”agibilità “, distinzione elaborata successivamente e oggi egualmente sussunta solo a tale ultima dizione, riportata nella rubrica dell’art. 24 del d. P.R. n. 380/2001, che ne disciplina l’acquisizione. Nel caso di specie, peraltro, come riferito dagli stessi ricorrenti, il parere dell’A.S.L., nella parte negativa, peraltro in data 13 agosto 1999, quindi antecedente la presentazione dell’istanza di condono, il parziale esito negativo del ridetto parere ha riguardo proprio alla parte “residenziale” dell’immobile, stante che menziona espressamente il forno, che “così come realizzato non dà sufficienti garanzie igieniche (l’apertura della camera di cottura è praticamente all’esterno)” e il locale in lamiera, “in quanto costruito in materiale non coibente e quindi non idoneo alla presenza anche momentanea dell’uomo”. Evidenzia, altresì, difformità rispetto alla planimetria evidentemente prodotta allo scopo proprio in relazione a tale ipotizzabile destinazione d’uso non a deposito-magazzino, in quanto “dall’esame della documentazione fotografica e dai prospetti si evince la presenza di una canna fumaria (oltretutto verosimilmente in materiale non idoneo) che non trova giustificazione nelle tipologie dell’immobile”.
Il riferimento, dunque, (anche) a tale parere, integra la motivazione del diniego, già di per sé sufficientemente fondata sulla ricordata inedificabilità assoluta del terreno de quo.
14. Restano ora da esaminare i profili di vizio propri degli atti successivi al diniego di concessione in sanatoria e alla conseguente ingiunzione demolitoria.
Lamentano i ricorrenti che il Comune non avrebbe tenuto conto dei contenuti della memoria del 3 giugno 2002, con la quale il Comune di Potenza veniva invitato a sospendere il procedimento sanzionatorio in attesa della decisione del ricorso, nel frattempo presentato.
In realtà, nessun effetto sospensivo può ricondursi automaticamente all’avvenuta proposizione di un ricorso giurisdizionale, tanto più che nel caso di specie l’ordinanza demolitoria risultava già emanata proprio in ragione dell’accertata abusività conseguita al diniego di condono, non venendo neppure all’evidenza la temporanea sospensione dell’esecuzione che la giurisprudenza fa conseguire all’avvenuta presentazione dell’istanza di accertamento di conformità (ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16 aprile 2019, n. 2484).
Il rigetto dell’istanza cautelare, d’altro canto, effettuato dal Giudice di prime cure con ordinanza n. 48/2006, risulta confermato con il provvedimento di questo Consiglio di Stato n. 2972/2006, citato in epigrafe.
Anche sotto tale profilo pertanto il ricorso si palesa infondato.
15. Lamentano infine i ricorrenti che l’accertamento di inottemperanza, comunicato con nota del Dirigente dell’Unità della Direzione edilizia del Comune di Potenza prot. n. 7680 del 14 giugno 2002, non reca le necessarie indicazioni circa l’esatta area di sedime da acquisire al patrimonio comunale, in dispregio dell’art. 7, comma 3, della l. n. 47/1985. Tale norma, infatti, impone suddetta individuazione, anche allo scopo di verificare che l’area acquisita, comprensiva di quella “necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”, non sia superiore “a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.
Sul punto il Giudice di prime cure ha ritenuto sufficiente controllare l’avvenuto rispetto, in sede di trascrizione nei registri immobiliari, di suddetto computo percentuale, rilevando come il relativo atto unilaterale Repertorio n. 4 del 21 novembre 2005 faccia riferimento ad una superficie acquisita pari a mq. 1.460, ovvero 9,48 volte quella utile abusivamente costruita, come tale rispettosa del limite dimensionale normativamente imposto. Con ciò esplicitamente ammettendo la mancanza di tale indicazione non tanto e non solo nell’ordinanza ingiunzione a demolire, ma anche nel “successivo atto interlocutorio e/o di natura endoprocedimentale di precisazione che l’inottemperanza all’Ordinanza di demolizione comporta ai sensi dell’art. 7, comma 4, L. n. 47/1985 l’immissione in possesso dei beni e la trascrizione nel Registri Immobiliari della loro acquisizione gratuita al patrimonio comunale”. Laddove il ridetto “atto interlocutorio” è la comunicazione dell’inottemperanza, costituente “titolo per l’immissione in possesso dei beni e per la trascrizione, nei registri immobiliari, della loro acquisizione gratuita al patrimonio del Comune”.
15.1. Ciò in realtà non appare conforme al dettato normativo, che impone tale specificazione quale elemento essenziale della mancata ottemperanza (cfr., sul punto, Cons. Stato, Sez. VI, 20 luglio 2018, n. 4422). Infatti, “il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine fissato, non deve necessariamente contenere l’esatta indicazione dell’area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione (i cui requisiti essenziali sono l’accertata esecuzione di opere abusive ed il conseguente ordine di demolizione)” proprio in quanto esso “è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, invece, è necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate” (Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 755).
15.2. Tale dicotomia procedimentale risulta confermata dalla giurisprudenza perfino dopo l’entrata in vigore del d. P.R. n. 380/2001, il cui art. 31, innovando sul punto, ha dettato analiticamente il contenuto che deve avere l’ordinanza di ingiunzione della rimozione e demolizione che il dirigente (o il responsabile del competente ufficio comunale) adotta nei confronti del proprietario e del responsabile dell’abuso, includendovi anche l’indicazione dell’area. Nel ribadire, cioè, la non necessità di tale indicazione contenutistica, benché normativamente prevista, in tale fase del procedimento, la si giustifica proprio in quanto “la posizione del destinatario dell’ingiunzione è tutelata dalla previsione di un successivo e distinto procedimento di acquisizione dell’area, rispetto al quale, tra l’altro, assume un ruolo imprescindibile l’atto di accertamento dell’inottemperanza nel quale va indicata con precisione l’area da acquisire al patrimonio comunale” (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 23 novembre 2017, n. 5471; id., 28 settembre 2017, n. 4533; 27 ottobre 2016, n. 4508; 25 novembre 2013, n. 5593; Sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 13; sul punto si veda anche Cass., Sez. III, 18 gennaio 2018, n. 1564: ” Dal tenore letterale della norma, l’effetto ablatorio si verifica ope legis alla inutile scadenza del termine fissato per ottemperare all’ingiunzione di demolire, mentre la notifica dell’accertamento formale dell’inottemperanza si configura solo come titolo necessario per l’immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari e non costituisce impedimento tecnico-giuridico alla possibilità di eseguire l’ordine di demolizione, in quanto il trasferimento dell’immobile nella disponibilità dell’ente locale è esclusivamente preordinato ad una sua più agevole demolizione – il cui onere economico va posto in ogni caso a carico dei responsabili dell’abuso edilizio – e non invece ad incrementare il patrimonio dell’ente locale con opere che contrastano con l’assetto urbanistico del territorio “).
15.3. L’obbligatorietà del provvedimento sanzionatorio di acquisizione al patrimonio comunale non esclude, infatti, l’applicazione del principio amministrativo di proporzionalità : alla luce di tale principio il bene da acquisire non solo deve essere individuato con sufficiente precisione, ma nell’applicazione della sanzione l’amministrazione comunale può acquisire l’area in misura graduata e strettamente necessaria all’obiettivo dell’interesse pubblico perseguito. Il che non è avvenuto nel caso di specie, essendo stata l’area di sedime ulteriore rispetto a quella abusivamente costruita individuata solo all’atto dell’effettiva trascrizione del provvedimento.
Sotto tale profilo l’atto di comunicazione dell’inottemperanza all’ordinanza ingiunzione a demolire si presenta pertanto carente e, conseguentemente, il ricorso avverso la stessa è fondato.
17. Egualmente fondato, infine, si palesa l’ultimo motivo di doglianza, avente ad oggetto il provvedimento dirigenziale prot. n. 57509 del 7 dicembre 2005, con il quale si è ingiunto ai responsabili dell’abuso il pagamento della somma di euro 2.632,92, a titolo di corrispettivo al professionista esterno all’Ente incaricato della gestione delle pratiche di acquisizione al patrimonio comunale, giusta apposita convenzione stipulata in data 15 maggio 2001.
Diversamente da quanto opinato dal Giudice di prime cure, infatti, esso non può trovare giustificazione nella asserita “gratuità ” dell’acquisizione del bene al patrimonio del Comune, che ha riguardo alla mancanza di corrispettivo, e non alle spese di procedimento, tanto più che esse non risultano giustificate in quanto tali, ma genericamente individuate per singola pratica, a prescindere dai costi effettivi, in virtù di una scelta organizzativa dell’Ente, che finisce per ampliare le conseguenze sanzionatorie dell’abuso. Né può sopperire a tale carenza motivazionale il richiamo, effettuato dal Comune di Potenza, al Regolamento comunale sulle tariffe per la fruizione di beni e servizi approvato con delibera del Consiglio comunale n. 70 del 20 marzo 2000, modificata con successiva delibera n. 34 dell’8 aprile 2003, stante che esso non può che riferirsi alle ipotesi di servizi erogati “a richiesta” del cittadino e non “subiti”, in ragione delle scelte gestionali dell’Ente.
18. Da tutto quanto sopra discende infine la reiezione della riproposta istanza risarcitoria, formulata peraltro in maniera generica, in quanto ipoteticamente conseguente all’eventuale avvenuta demolizione dei manufatti, legittimamente ingiunta.
19. Conclusivamente, pertanto, il primo ed il secondo motivo di gravame, nel loro vario articolarsi, vanno respinti in relazione a tutti gli atti impugnati; va accolto il terzo motivo di gravame, limitatamente alla mancata indicazione, nella comunicazione dell’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza ingiunzione a demolire, dell’esatta estensione dell’area da acquisire al patrimonio comunale; nonché il quarto motivo di gravame, per violazione degli artt. 31 e 42 del d. P.R. n. 380/2001, relativamente all’ingiunzione di pagamento in data 7 dicembre 2005, della somma di euro 2.632,92. Per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, vanno accolti i corrispondenti motivi di ricorso in primo grado e, conseguentemente, annullata la nota del Dirigente in data 14 giugno 2002, nella parte in cui non esplicita l’estensione dell’area da acquisire al patrimonio comunale e salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione; l’ingiunzione di pagamento prot. n. 57509 del 7 dicembre 2005, nei sensi e nei limiti esposti.
20. Il parziale accoglimento giustifica la regolazione del carico delle spese e delle competenze del doppio grado del giudizio e nel senso della integrale compensazione tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello n. r. 6368/2008, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, con annullamento della nota prot. n. 7680 del 14 giugno 2002, nonché dell’atto dirigenziale prot. n. 57509 del 7 dicembre 2005, di ingiunzione delle somme dovute al professionista incaricato della trascrizione, nei sensi e limiti di cui in motivazione, e lo respinge per il resto.
Compensa integralmente le spese processuali del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gabriele Carlotti – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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