Consiglio di Stato, Sentenza|20 maggio 2021| n. 3901.
Nelle ipotesi di intese restrittive della concorrenza (articolo 2 legge n. 287/1990), la definizione del mercato rilevante risulta ex se funzionale all’individuazione delle caratteristiche stesse del contesto nel cui ambito si colloca l’illecito coordinamento delle condotte d’impresa, atteso che è proprio l’ambito di tale coordinamento a delineare e definire l’ambito stesso del mercato rilevante. La definizione dell’ambito merceologico, operativo e territoriale in cui si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall’illecito concorrenziale risulta funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell’illecito. In tale ottica anche una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a mercato rilevante, qualora in essa abbia luogo l’incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui e, quindi, esista una concorrenza suscettibile di essere alterata. La definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa, atteso che l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa medesima circoscrivono il mercato.
Sentenza|20 maggio 2021| n. 3901
Data udienza 5 ottobre 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Autorità garante della concorrenza e del mercato – Bando di gara per lo smaltimento dei rifiuti da raccolta differenziata – Procedimento istruttorio – Intesa restrittiva della concorrenza – Definizione del mercato rilevante – Individuazione delle caratteristiche stesse del contesto nel cui ambito si colloca l’illecito coordinamento delle condotte d’impresa – Assenza di sovrapposizione competitiva dei partecipanti – Infrazione art. 101 TFUE – Calcolo sanzione – Principio di proporzionalità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1803 del 2018, proposto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via (…);
contro
la società Fe. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Si. Ga., domiciliata presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 1952 del 2018, proposto dalla società Fe. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Si. Ga., domiciliata presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia;
contro
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la Società Es. se. am. S.p.a. e la società Ec. S.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I, 5 dicembre 2017 n. 11985, resa tra le parti.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio della società Fe. S.r.l. e i documenti prodotti;
Esaminate le memorie difensive, anche di replica e gli ulteriori atti depositati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020 il Cons. Stefano Toschei e uditi per le parti l’avvocato Si. Ga. nonché l’avvocato dello Stato Ba. Ti.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – La presente controversia, nella sede d’appello, muove dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I, 5 dicembre 2017 n. 11984 con la quale è stato parzialmente accolto il ricorso (n. R.g. 13521/2015) proposto dalla società Fe. S.r.l. (d’ora in poi, per brevità, Fe.) nei confronti del provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in poi, per brevità Autorità o AGCM) n. 25584, adottato in data 29 luglio 2015, con il quale, a conclusione del procedimento istruttorio I 784 (Ec.-Bando di gara per lo smaltimento dei rifiuti da raccolta differenziata), ha deliberato che le società Ni. S.r.l., Nu. Am. S.r.l., Fe. S.r.l e Se. S.p.a. hanno posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza avente per oggetto il coordinamento del proprio comportamento per la partecipazione alla procedura di gara bandita dalla società Ec. S.r.l. nel marzo 2013 per l’affidamento del servizio di trattamento e smaltimento delle frazioni “umido organico” e “verde” derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti dei comuni della Provincia di Rovigo ed irrogato alla Fe. una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad euro 214.567.
Nei confronti della suindicata sentenza di primo grado propongono appello, per ovvi opposti motivi e con due distinti mezzi di gravame, l’AGCM e la Fe. chiedendone la riforma secondo le prospettazioni contrastanti tra di loro che qui di seguito saranno illustrate.
2. – In via preliminare e prima ancora di descrivere la vicenda fattuale, identica per i due ricorsi in appello, in quanto entrambi i gravami attengono alla medesima controversia e hanno quale bersaglio la stessa sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (n. 11985/2017), deve disporsi fin d’ora (anche per motivi di logica espositiva) la riunione degli stessi.
Va a tal proposito rammentato, in via generale e per completezza espositiva, che nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello, sussiste l’obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.c.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell’art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l’unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 2018 n. 3109).
Al di là dell’obbligo di riunione dei due ricorsi in appello qui in esame, in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza di primo grado, emerge poi, in tutta evidenza, la integrale connessione soggettiva ed oggettiva tra gli stessi, recando quali parti processuali le stesse già costituite nel giudizio di primo grado ed avendo ad oggetto la delibazione di motivi di appello dal contenuto pressoché sovrapponibile.
Deriva da quanto sopra che va disposta la riunione del ricorso in grado di appello n. R.g. 1952/2018 al ricorso in grado di appello n. R.g. 1803/2018, in quanto quest’ultimo ricorso (in appello) è stato proposto in epoca antecedente rispetto al precedente, perché siano decisi in un unico contesto processuale e ciò sia per evidenti ragioni di economicità e speditezza dei giudizi sia al fine di prevenire la possibilità (eventuale) di un contrasto tra giudicati (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2013 n. 22 e 23 luglio 2012 n. 4201)
3. – Dalla documentazione versata dalle parti qui in controversia nei due gradi di giudizio con riferimento ai due contenziosi qui in decisione nonché dalla lettura della sentenza qui fatta oggetto di gravame si può ricostruire la vicenda contenziosa che ha condotto a questo giudizio in sede di appello come segue:
– il 24 settembre 2014, l’Autorità avviava un procedimento istruttorio (I784-Ec.-Bando di gara per lo smaltimento dei rifiuti da raccolta differenziata), che vedeva coinvolte le società Fe., Ni., Nu. Am. e Se., al fine di accertare l’esistenza (o meno) di un’intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’articolo 2 l. 10 ottobre 1990, n. 287;
– detto procedimento traeva origine da una segnalazione pervenuta all’Autorità il 25 novembre 2013, successivamente integrata da altre segnalazioni del 20 dicembre 2013 e del 6 giugno 2014, trasmessa da un privato cittadino che denunciava l’esistenza di un presunto cartello tra le imprese Fe., Ni., Nu. Am. e Se. nell’ambito della partecipazione ad una gara svoltasi nel 2013 per la gestione del servizio di trattamento e di smaltimento delle frazioni “umido organico” (la cd. FORSU, Frazione organica del rifiuto solido urbano) e “verde” derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti di tutti i comuni della Provincia di Rovigo, bandita dalla società Ec. S.r.l.;
– durante lo svolgimento dell’istruttoria partecipavano al procedimento tutte le società coinvolte, che venivano sentite in audizione, prendendo contezza di tutti gli atti della procedura per il tramite di ostensione documentale infraprocedimentale agli atti del fascicolo istruttorio;
– l’Autorità inviava alle parti coinvolte, in data 22 maggio 2015, la comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI);
– successivamente nell’adunanza del 29 luglio 2015 l’Autorità adottava il provvedimento di chiusura del procedimento n. 25589 con il quale deliberava: a) che le società sottoposte alla procedura avviata dall’Autorità (Fe. S.r.l., Ni. S.r.l., Nu. Am. S.r.l. e S.E.. – Società Es. se. am. S.p.A.) avevano effettivamente posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’articolo 2 l. 287/1990, avente per oggetto il coordinamento del proprio comportamento per la partecipazione alla procedura di affidamento del servizio di trattamento e smaltimento delle frazioni “umido organico” e “verde” derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti di tutti i comuni della Provincia di Rovigo, bandita da parte della società Ec. S.r.l. nel marzo 2013; b) di diffidare le suddette imprese dal porre in essere in futuro comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata; c) di irrogare alle predette società, in ragione della gravità e della durata delle infrazioni contestate e comprovate come sussistenti, le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie: A) a Fe. euro 214.567; B) a Ni. euro 259.733; C) a Nu. Am. euro 639.888; D) a Se. euro 67.328;
– nei confronti del suddetto provvedimento insorgeva dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (per quanto riguarda il contenzioso qui in esame) la società Fe. contestando numerose illegittimità e chiedendone l’annullamento;
– il TAR per il Lazio, con la sentenza n. 11985/2017, ha accolto parzialmente il ricorso proposto dalla Fe., annullando il provvedimento impugnato nella parte in cui l’Autorità aveva calcolato e definito le sanzioni inflitte, in primo luogo considerando utile ai fini del calcolo l’intero periodo di svolgimento del servizio, ivi compreso il periodo della proroga (e quindi due anni, piuttosto che uno), in secondo luogo utilizzando l’aggravante del c.d. entry fee, rideterminando ai sensi dell’art. 134 c.p.a. e, quindi, in ribasso, le sanzioni inflitte alle società coinvolte.
4. – Come si è già più sopra riferito, nei confronti della sentenza del TAR per il Lazio n. 11985/2017 propongono ora appello sia l’Autorità che la Fe..
Ad avviso del Collegio, per ragioni di logica espositiva, va anzitutto esaminato l’appello proposto dalla società Fe., avendo ad oggetto la contestazione circa la correttezza della più parte della sentenza fatta qui oggetto di appello e ritenendo che il primo giudice abbia errato a considerare illegittima la condotta posta in essere dalle società coinvolte procedimento istruttorio (I784-Ec.-Bando di gara per lo smaltimento dei rifiuti da raccolta differenziata).
Pare evidente dunque che, qualora dovesse affermarsi la fondatezza dei motivi di appello dedotti dalla suindicata società con riferimento alla illegittimità del provvedimento sanzionatorio adottato dall’Autorità nei suoi confronti (oltre che nei confronti delle altre società coinvolte nella procedura attivata dall’Autorità ) sotto il profilo sostanziale e, quindi, si dovesse manifestare immune da censure la condotta dalla stessa posta in essere (insieme con le “consorti”) nel periodo fatto oggetto di osservazione, il profilo della corretta individuazione della sanzione da irrogarsi (oggetto della contestazione espressa nell’appello proposto dall’Autorità ) verrebbe inesorabilmente travolto dalla illegittimità della scelta repressiva effettuata dall’AGCM.
5. – La società Fe., con il ricorso in appello n. R.g. 1952/2018, sintetizza anzitutto sia la vicenda oggetto di contestazione sia il contenuto della sentenza n. 11985/2017.
Essa, nell’atto introduttivo del presente giudizio di secondo grado rammenta, in punto di fatto, che:
– la Fe. è una società da lungo tempo attiva “nel settore della progettazione, realizzazione e conduzione di impianti per il trattamento aerobico e anaerobico di rifiuti organici. Gestisce un impianto di compostaggio, due impianti per la digestione anaerobica con produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica, un impianto di depurazione con sistema di ultrafiltrazione e osmosi inversa” (così, testualmente, a pag. 3 dell’atto di appello). Essa non era mai stata oggetto di procedimenti istruttori ai sensi della legge antitrust prima del procedimento I-784;
– fermo quanto sopra e per quanto è qui di interesse, la società Ec. S.r.l., nella qualità di gestore del servizio di raccolta dei rifiuti di Rovigo e Provincia, con bando pubblicato in data 1 marzo 2013, indiceva una gara per l’affidamento del servizio di trattamento della F.O.R.S.U. e del verde prodotti nel relativo territorio provinciale;
– in particolare la legge speciale di gara, dopo avere previsto la suddivisione dell’appalto in quattro lotti corrispondenti ad altrettante aree territoriali di esecuzione (“Delta del Po”, “Rovigo-Adria”, “Badia-Lendinara” e “Occhiobello-Trecenta”), stabiliva che il criterio di aggiudicazione fosse quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa e che il totale di 100 punti sarebbe stato attribuito: a) per un massimo di 80 punti alla componente economica, costituita dal ribasso del prezzo unitario a base d’asta; b) per un massimo di 20 punti all’offerta tecnica, di cui 17 punti da assegnarsi in relazione alla distanza dell’impianto di trattamento rispetto al baricentro operativo di ciascun lotto, per come individuato dalla stazione appaltante e 3 punti in ragione del possesso di talune certificazioni di qualità ambientale;
– inoltre la partecipazione alla procedura di scelta era limitata ai soggetti in possesso di un impianto sito in un raggio massimo di 60 km dal baricentro operativo del relativo lotto, con possibilità di aggiudicazione di soli 2 lotti per ciascuna impresa partecipante;
– per quel che poteva evincersi dalla lettura del bando emergeva che (a parere di Fe., ved. pag. 7 dell’atto di appello), tenendo conto dei limiti quantitativi stabiliti nell’autorizzazione ad operare rilasciata a Fe., dei limiti tecnici derivanti dalle modalità di trattamento della frazione verde e degli spazi disponibili nell’impianto per tale trattamento e degli impegni di ritiro di rifiuti per l’anno 2013 già contrattualizzati al momento della gara, Fe. non avrebbe potuto partecipare alla gara singolarmente e non avrebbe comunque potuto parteciparvi per più di un lotto;
– sicché, con specifico riferimento ai criteri di partecipazione e di selezione da esso recati, a Fe. apparve congeniale partecipare per un solo lotto (il n. 3), peraltro in ATI con la società Se., “in modo da poter avere un supporto in caso i quantitativi superassero il limite e in caso di picchi giornalieri o periodici, tipici della frazione verde” (così, testualmente, a pag. 8 dell’atto di appello);
– all’esito della procedura Ec. aggiudicava i primi due lotti alla società Nu. Am., il terzo lotto a favore delle imprese Fe. e Se. (che, come detto, avevano deciso di partecipare in a.t.i.) e il lotto 4 alla Ni.;
– stipulati i contratti ed avviata la loro esecuzione l’AGCM, in seguito ad una segnalazione proveniente da un privato cittadino, con deliberazione del 17 settembre 2014, comunicava a tutte le predette società l’avvio di un procedimento diretto ad accertare la potenziale conclusione di un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 2 l. 287/1990. In particolare l’Autorità contestava alle società aggiudicatarie: a) l’insolita circostanza che alla selezione di ciascuno dei 4 lotti messi a gara avesse sempre partecipato una impresa per volta, nonostante il possesso dei requisiti per concorrere a più di un lotto; b) la comune presentazione di offerte di poco inferiori alla base d’asta; c) la concomitante ricorrenza delle circostanze di cui alle precedenti lettere a) e b), in base alla quale sarebbe stato ragionevole concludere che l’assunzione del rischio di concorrere alla gara relativa ad un solo lotto, per giunta con ribassi minimali, sarebbe risultato spiegabile solo assumendo l’esistenza di un coordinamento strategico a monte tra le imprese predette;
– nel corso del procedimento istruttorio l’Autorità accertava che vi erano stati due incontri tra alcune delle suindicate società nel periodo intercorrente tra la pubblicazione del bando ed il termine di presentazione delle offerte (nello specifico l’11 marzo 2013 tra i legali rappresentanti di Se. e Nu. Am. e il 18 marzo 2013 tra il legale rappresentante di quest’ultima e gli omologhi delle società Ni. e Fe.), rispetto ai quali la società Fe. ricorda come essa “non ha partecipato alla determinazione del prezzo dell’offerta dell’ATI nell’ambito della gara, che è stato deciso unilateralmente da Se.” (così, testualmente, a pag. 11 dell’atto di appello);
– nondimeno l’Autorità, con nota prot. n. 36101 del 22 maggio 2015, trasmetteva la comunicazione delle risultanze istruttorie, ritenendo che “il comportamento delle parti non sarebbe risultato altrimenti giustificabile se non assumendo l’esistenza di una c.d. hard core restrictions, sicché, da una parte, spettava alle imprese, e non all’Autorità stessa, l’onere di provare la razionalità dei propri comportamenti in sede di gara nonché il motivo e l’oggetto dei citati incontri; dall’altra parte, ne conseguiva la necessaria applicabilità di una sanzione base pari ad almeno il 15% valore delle vendite dei beni o servizi oggetto, direttamente o indirettamente, dell’infrazione (c.d. entry fee)” (così, testualmente, nel provvedimento sanzionatorio impugnato).
All’esito del procedimento e nonostante le ampie controdeduzioni espresse dalle società incolpate, l’Autorità affermava:
– la natura “rilevante” del mercato coincidente con il bacino provinciale servito da Ec.;
– che le società coinvolte nella procedura non avrebbero provato né la causalità degli incontri intercorsi nel periodo di formulazione delle offerte di gara, né di aver agito in piena libertà, con decisione volte alla sola massimizzazione del proprio profitto nel rispetto del gioco concorrenziale;
– che nel corso del procedimento si era potuto acclarare come le imprese avrebbero piuttosto potuto e dovuto aspettarsi la partecipazione di più soggetti a ciascuna delle gare relative all’aggiudicazione dei lotti e, quindi, come le stesse avrebbero potuto e dovuto inoltrare ad Ec. offerte anche per lotti aventi baricentro maggiormente distante dal proprio impianto, ove necessario applicando prezzi sensibilmente più bassi rispetto a quelli medi di mercato;
– che la proroga del servizio per il secondo anno risultava “largamente anticipabile dalle imprese partecipanti, anche tenuti in considerazione i tempi tecnici per la stazione appaltante per l’indizione di una nuova procedura di gara” e, quindi, che la sanzione andava calcolata, oltre che sulla base della natura “grave” dell’intesa, sull’importo dovuto non per uno, ma per due anni di rapporto.
6. – Nel proporre ricorso al giudice di primo grado la Fe. sosteneva la illegittimità del provvedimento sanzionatorio assunto nei suoi confronti, in uno con l’incongruità dell’ammontare della sanzione inflitta, atteso che:
1) dovevano ritenersi violati sia l’art. 101 T.F.E.U. che l’art. 2 l. 287/90, oltre ad essersi manifestato il vizio di eccesso di potere nelle forme del difetto dei presupposti e travisamento dei fatti, oltre che il vizio inadeguatezza della motivazione, visto che nel provvedimento sanzionatorio adottato dall’Autorità non vi è dimostrazione alcuna, né una adeguata motivazione in tal senso, della sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’AGCM, in particolare con riferimento alla circostanza che non è stata indicata dall’Autorità la ragione del perché il mercato della F.O.R.S.U. e del verde della Provincia di Rovigo, pur costituendo il solo 0,7% del mercato nazionale di riferimento, risultasse suscettibile di essere qualificato alla stregua di una “parte rilevante” del mercato ridetto;
2) violazione degli artt. 2 e 14 l. 287/90 nonché eccesso di potere nelle forme del difetto di istruttoria, del difetto e del travisamento dei presupposti di fatto nonché del difetto di motivazione, in quanto il provvedimento impugnato, illegittimamente invertendo l’onere probatorio in materia, fonda sull’asserita assenza di ragionevoli spiegazioni alternative rispetto all’ipotesi dell’intesa oltre che sull’esistenza di due incontri, tutto ciò senza considerare i puntuali chiarimenti forniti in merito dalle società coinvolte, anche con specifico riferimento alle caratteristiche della gara e del business riguardante le ridette società nonché senza aver considerato che lo svolgimento degli incontri, nemmeno collegiali tra le parti e non eccentrici rispetto ai reciproci rapporti di collaborazione pluriennale, non assumevano alcuna rilevanza probatoria della condotta anticoncorrenziale contestata;
3) violazione dell’art. 15 l. 287/90 e delle linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità, oltre alla violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui alla l. 24 novembre 1981, n. 689 ed all’eccesso di potere nella forma del difetto e dell’illogicità della motivazione, dal momento che nel fissare l’entità della sanzione da irrogarsi l’Autorità non ha tenuto nella dovuta considerazione il fatto che, semmai, la contestata intesa non avrebbe prodotto alcun effetto apprezzabile sui prezzi del servizio messo a gara e riguardava comunque il solo primo anno di contratto, atteso che la proroga per il secondo anno non era rimessa ad una scelta discrezionale della stazione appaltante.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con la sentenza n. 11985/2017 qui oggetto di appello, ha ritenuto infondati i primi due motivi di ricorso mentre ha accolto, parzialmente, il terzo motivo di impugnazione, sotto due profili. In primo luogo ha ritenuto illegittimo il calcolo delle sanzioni per come operato dall’Autorità tenendo conto dell’intero periodo di svolgimento del servizio da parte delle società, pari ad un biennio nel quale un anno aveva avuto ad oggetto la proroga del primo anno di contratto, tenuto conto che il periodo di proroga doveva considerarsi solo “eventuale” e non pronosticabile al momento della partecipazione degli operatori economici alla selezione suddivisa in lotti. In secondo luogo il parziale accoglimento della terza censura dedotta in primo grado aveva ad oggetto il profilo con il quale era stata contestata l’applicazione dalla maggiorazione del 15% della base della sanzione nonostante che “lo scostamento tra i prezzi offerti dalle parti e quelli medi mercato è sostanzialmente contenuto”; di talché tale importo aggiuntivo andava defalcato dal calcolo delle sanzioni. Conseguentemente il primo giudice disponeva che la questione relativa al calcolo delle sanzioni fosse rimessa all’Autorità perché procedesse a quantificare nuovamente l’entità delle stesse, oltre che procedendo all’eliminazione del c.d. entry fee, tenendo conto dell’importo del corrispettivo previsto per il solo primo anno di servizio, atteso “che la mera possibilità della concessione di una proroga, solo eventuale al momento della partecipazione alla gara, non poteva essere oggetto di una consapevolezza apprezzabile in termini di responsabilità ” (così, testualmente, a pag. 15 della sentenza qui oggetto di appello).
7. – L’appello della Fe. nei confronti della decisione assunta dal giudice di primo grado è affidato ai seguenti motivi:
1) Error in iudicando della sentenza in merito alla violazione degli artt. 2 e 15 l. 287/1990 con riferimento all’onere spettante all’Autorità di dimostrare l’intesa. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, assenza di presupposti e carenza di motivazione. In particolare l’appellante sostiene di avere già rappresentato, prima all’Autorità e quindi al giudice di primo grado, senza però essere ascoltata, che nel caso di specie “non esistono elementi endogeni dai quali dedurre una coordinazione. L’esito della gara – che evidentemente il TAR ritiene non ottimale e “spiegabile” solo in ragione di un coordinamento – è in realtà il frutto di come il mercato rilevante, i.e. il contesto di gara, è stato disegnato dalla stazione appaltante. Esso è tale che, tra l’altro, un coordinamento delle condotte sarebbe stato del tutto inutile per Fe., che ha determinato le proprie condotte in modo assolutamente autonomo e seguendo esclusivamente una logica di massimizzazione del proprio profitto” (così, testualmente, a pag. 6 dell’atto di appello). Non si comprende quindi e, soprattutto, non appare giustificata, la conclusione assunta dal primo giudice allorquando ha ritenuto di rinvenire la “condizione di autonomia” e la “pratica collusiva” nel comportamento assunto dalle società nel corso della gara in questione, affermando che il mercato della F.O.R.S.U. e del verde della Provincia di Rovigo potesse rappresentare una “parte rilevante” del mercato nazionale di riferimento sulla base, delle “concrete caratteristiche della gara”, della “portata dell’accordo”, delle “conseguenze sugli esiti della procedura selettiva della pratica collusiva” e del fatto “che la gara aveva luogo in un’area connotata da ulteriori tratti di differenziazione rispetto al territorio nazionale per quanto concerne la capacità di accogliere, nei propri impianti di trattamento, i rifiuti provenienti da altre regioni”, con conseguente irrilevanza del “richiamo alla scarsa rappresentatività, sul piano nazionale, dei lavori affidati nella gara de qua” stante la “individuata specificità merceologica e geografica”. Ma soprattutto il primo giudice poi non ha considerato come l’AGCM non ha fornito una adeguata comprova della contestata intesa tra le imprese (con riferimento alla dimostrazione dell’esistenza degli elementi esogeni e della loro attinenza all’ipotizzata intesa) e, soprattutto, di una eventuale partecipazione alla stessa da parte di Fe., senza che fosse stato tenuto in alcun conto, dall’Autorità in prima battuta, di quanto si è controdedotto in sede di procedimento ispettivo;
2) Error in iudicando con riferimento alla mancata valutazione della sussistenza
Erronea pronuncia ed omessa valutazione del vizio di eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche. In particolare travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione. Erronea pronuncia ed omessa valutazione della violazione del diritto di difesa, violazione della l. 7 agosto 1990, n. 241 e della l. 287/1990. Dalle risultanze istruttorie emerge indubitabilmente che, con riferimento ai limiti quantitativi, Fe. aveva, all’epoca dei fatti, una cospicua domanda di rifiuti da smaltire e, quindi, non sarebbe stata comunque in grado di smaltire ulteriori quantità . Ciò venne chiarito fin dalle prime battute del procedimento e dichiarato ai militari della Guardia di finanza che hanno svolto le indagini e ascoltato le parti in assenza di un difensore, con evidente violazione del diritto di difesa;
8. – Nel ricorso in appello n. R.g. 1952/2018 non si è costituita in giudizio l’Autorità, pur avendo proposto anch’essa appello contro la sentenza n. 11985/2017 del TAR per il Lazio.
La parte appellante ha presentato ulteriori memorie, confermando le conclusioni già rassegnate nei precedenti atti processuali.
9. – Con il primo motivo di appello la società Fe. ha censurato il metodo di valutazione che ha condotto l’AGCM che l’ha portata ad individuare il “mercato rilevante” e quindi a dimostrare l’intervenuta intesa tra le società .
Va preliminarmente ricordato che, come è noto la prima distinzione da operare nella materia in esame è quella intercorrente fra intese restrittive “per oggetto” e “per effetto”, suscettibile di incidere, altresì, sull’oggetto della prova da acquisire nell’ambito del procedimento antitrust (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 1 ottobre 2019 n. 6565).
Al riguardo si è affermato che un accordo può qualificarsi come intesa restrittiva della concorrenza “per oggetto” ove presenti, di per sé, “un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per ritenere che non sia necessario individuarne gli effetti” (così Corte giust. U.E., sentenza 2 aprile 2020, in causa C-228/18, Gazdasá gi Versenyhivatal, punto 37): trattasi di accordi che, comportando una riduzione della produzione e un aumento dei prezzi, in considerazione del loro tenore letterale, dei relativi obiettivi e del contesto di riferimento, si caratterizzano per una scorretta allocazione delle risorse – con pregiudizio dei consumatori, producendo effetti negativi sul prezzo, sulla quantità o sulla qualità dei prodotti e dei servizi – talmente alta da ritenere inutile, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, dimostrare la produzione in concreto di effetti sul mercato.
Va infatti ricordato che il precitato paragrafo 1 dell’art. 101 TFUE così recita: “Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione; b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi”.
L’art. 2 l. 287/1990 contiene analoga disposizione.
Un accordo, invece, è qualificabile come intesa restrittiva “per effetto”, ove abbia di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo sensibile, il gioco della concorrenza: al riguardo, occorre valutare quale sarebbe stato il gioco della concorrenza nel contesto economico e giuridico di riferimento, se l’accordo non fosse stato concluso, in particolare, verificando la relativa incidenza sui parametri di concorrenza, quali il prezzo, la quantità e la qualità dei prodotti o dei servizi (cfr. in tal senso, Corte giust. U.E., 30 gennaio 2020, in causa C-307/18, Generics (UK) Ltd, punti 117 e 118).
Ne deriva, in prima analisi, che, qualora si faccia questione di intesa restrittiva “per effetto”, l’Autorità è tenuta a valutare la situazione concreta in cui l’accordo è realizzato, tenendo conto del contesto economico e giuridico nel quale operano le imprese interessate, della natura dei beni o servizi coinvolti, nonché delle condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato in esame.
10. – Premesso quanto sopra va poi rammentato che nelle ipotesi di intese restrittive della concorrenza, la definizione del mercato rilevante risulta ex se funzionale all’individuazione delle caratteristiche stesse del contesto nel cui ambito si colloca l’illecito coordinamento delle condotte d’impresa, atteso che è proprio l’ambito di tale coordinamento a delineare e definire l’ambito stesso del mercato rilevante. Vale a dire che la definizione dell’ambito merceologico, operativo e territoriale in cui si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall’illecito concorrenziale risulta funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell’illecito (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. VI, 24 luglio 2020 n. 4737).
Deve ulteriormente precisarsi che anche una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a mercato rilevante, qualora in essa abbia luogo l’incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui e, quindi, esista una concorrenza suscettibile di essere alterata, per cui in presenza di una intesa illecita, la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa, atteso che l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa medesima circoscrivono il mercato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2017 n. 598).
Richiamando i principi generali innanzi enunciati, deve ricordarsi che la individuazione del mercato, sul piano geografico e merceologico, è espressione del potere di valutazione tecnica che può essere sindacato solo quando viola il principio di ragionevolezza, seppur nei termini particolarmente penetranti innanzi ricordati.
Nella fattispecie in esame l’Autorità ha esercitato il suo potere in modo conforme a tale principio.
Invero l’Autorità, richiamando la copiosa giurisprudenza in materia, ha chiarito che “In base alle risultanze istruttorie, le imprese Fe., Ni., Nu. Am. e Se. hanno posto in essere una strategia di coordinamento che ha specificamente riguardato la partecipazione alla gara d’appalto svoltasi nel 2013 per l’affidamento del servizio di smaltimento delle frazioni “umido organico” (la cd. FORSU, Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) e “verde” derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti di tutti i comuni della Provincia di Rovigo, bandita da parte della società Ec. S.r.l. Pertanto, nel caso di specie, in aderenza al consolidato orientamento giurisprudenziale specifico in materia di intese relative a pubblici appalti, il mercato rilevante coincide con l’ambito merceologico e territoriale individuato dalla gara in cui si è riscontrata attraverso il procedimento istruttorio la concertazione anticoncorrenziale, ovvero la gara Ec. del 2013. A livello geografico, le regole del bando imponevano una precisa delimitazione territoriale dell’ambito entro il quale era possibile partecipare alla procedura ad evidenza pubblica per fornire i predetti servizi, coincidente con l’area individuata da un raggio di 60 km intorno a ciascuno dei quattro baricentri operativi dei lotti nei quali la gara era suddivisa; tale area rappresenta quindi il mercato geografico rilevante per il caso in esame” (così, testualmente, nei parr. da 134 a 36 del provvedimento sanzionatorio impugnato).
Se è vero che la individuazione del mercato rilevante si presenta quale attività funzionale alla delimitazione dell’ambito nel quale l’intesa elusiva può restringere o falsare il meccanismo concorrenziale, così che la relativa estensione e definizione spetta all’Autorità nella singola fattispecie, all’esito di una valutazione che presenta margini di opinabilità (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 maggio 2011 n. 2925) e che non è censurabile nel merito da parte del giudice amministrativo, se non per vizi di illogicità estrinseca (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. VI, 2 luglio 2015 n. 3291 e 26 gennaio 2015 n. 334), l’ampiezza del mercato rilevante va, quindi, desunta dall’esame della specifica condotta di cui si sospetti la portata anticoncorrenziale (cfr., fra le tante, oltre a quelle sopra citate, Cons. Stato, Sez. VI, 4 novembre 2014 n. 5423 e 3 giugno 2014 n. 2837).
Orbene, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, l’AGCM è pervenuta all’individuazione del mercato rilevante sulla base di una valutazione logica e congruente con i comportamenti osservati, sia in punto di definizione merceologica sia in punto di definizione geografica.
Infatti, tenuto conto delle considerazioni qui condivise dal Collegio, secondo le quali l’individuazione del mercato rilevante comporta, ordinariamente, un’operazione di contestualizzazione che implica margini di opinabilità, atteso il carattere di concetto giuridico indeterminato di detta nozione e che esso può coincidere, in concreto, con una singola gara (o con una o più gare determinate) sulla quale la condotta degli operatori economici venga ad incidere, potendo quindi coincidere anche con una parte circoscritta del mercato nazionale, va detto che nel caso di specie correttamente l’Autorità ha segnalato come il mercato rilevante (riferendosi al caso di specie) può “essere costituito anche da una porzione ristretta del territorio nazionale in cui abbia luogo l’incontro di domanda e offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui, e dove quindi esista una concorrenza suscettibile di essere alterata, principi del tutto applicabili alla gara Ec. nel caso di specie” (punto 137 del provvedimento sanzionatorio).
11. – Con riferimento al secondo profilo dedotto con il primo motivo di appello, relativo alla mancata dimostrazione da parte dell’Autorità dell’essersi verificata, nel caso di specie, una intesa anticoncorrenziale tra le società coinvolte dall’indagine di AGCM, in quanto non sarebbe possibile rinvenire nel comportamento delle società alcuna caratterizzazione idonea a configurare l’illecito loro contestato dall’Autorità, può osservarsi quanto segue.
L’Autorità ha chiarito, nel provvedimento sanzionatorio impugnato in primo grado, che nel corso dell’istruttoria si è potuto appurare:
– la indubbia caratterizzazione delle società Fe., Ni., Nu. Am. e Se. quali “fornitori storici” del servizio oggetto della gara indetta da Ec. per il territorio della Provincia di Rovigo, atteso che detti operatori economici rappresentavano i fornitori uscenti dell’appalto precedente, affidato dal Consorzio RSU mediante procedura negoziata per il periodo febbraio 2011/febbraio 2012,, rinnovabile per un anno e comunque valido fino al subentro di soggetti designati mediante nuova procedura di affidamento, sicché le predette società hanno offerto il servizio in base al precedente contratto di appalto fino al nuovo affidamento effettuato ad esito della procedura di gara Ec.;
– che gli affidamenti precedenti rispetto a quello operato da Ec. erano stati assegnati con procedure negoziate (o trattative private) e quindi quello per il quale l’Autorità ha aperto la procedura di verifica era il primo che veniva svolto con una procedura selettiva;
– come l’essere state le società in questione gli operatori economici affidatari dell’ultimo contratto ed avere potuto così verificare che i corrispettivi percepiti dalle imprese per lo svolgimento dei servizi nel periodo precedente erano significativamente superiori alle basi d’asta fissate per la gara del 2013 da Ec., che costituiscono tutti elementi per poter indirizzare l’entità dei ribassi, pervero minimi (inferiori all’1%), concordandone l’ammontare (rappresentando quindi la precedente esperienza vissuta un significativo incentivo alla concertazione). A ciò si aggiunga che l’avere previsto nella legge speciale di gara requisiti rigidi con riguardo alla distanza massima che potevano presentare gli impianti “dai baricentri dei lotti”, insieme con la previsione di una penalizzazione nell’attribuzione del punteggio provocata dalla (eventuale) maggior distanza dell’impianto, costituivano circostanze grazie alle quali le società in questione avrebbero ben potuto ragionevolmente presumere che non avrebbero concorso alla gara altre imprese di compostaggio di aree geografiche (cioè di Province e Regioni) limitrofe;
– l’ulteriore circostanza in virtù della quale, per ciascuno dei quattro lotti posti a gara e con riferimento a ciascuna delle quattro società coinvolte e partecipanti soltanto ad alcune delle selezioni per lotti (nello specifico: a) la Nu. Am. per i soli lotti 1 e 2; b) l’ATI costituita da Se. e da Fe. per il solo lotto 3; c) la Ni. per il solo lotto 4), le distanze degli impianti di ciascuna di esse dai baricentri operativi dei singoli lotti posti a gara costituivano, anche in ragione del metodo di valutazione delle offerte inserito dalla stazione appaltante nella lex specialis, elemento necessario al calcolo del punteggio tecnico e quindi (per quanto sopra specificato) facilmente predeterminabile. Di tali elementi, circostanze e conclusioni l’Autorità provvedeva a predisporre analitiche simulazioni graficamente riprodotte nel provvedimento sanzionatorio, dimostrando come sulla base del calcolo delle distanze note alle quattro società (o, comunque, facilmente conoscibili da ciascuna delle imprese), ogni partecipante alla singola selezione per lotto era nelle condizioni di “calcolare il differenziale nel punteggio dell’offerta tecnica per ciascun potenziale confronto concorrenziale instaurabile sui singoli lotti con gli altri concorrenti che avevano un impianto all’interno del raggio dei 60 km imposto dal bando di gara (e conseguentemente, attraverso opportuni calcoli matematici, formulare delle previsioni circa le offerte economiche necessarie a ciascun altro partecipante per compensare tale differenziale nel punteggio tecnico)” (così, testualmente, al punto 64 del provvedimento sanzionatorio impugnato).
12. – Fin qui con riferimento alla evidente metodologia nella predisposizione delle offerte.
A ciò si aggiunga che l’Autorità ha anche osservato nel corso dell’istruttoria (dandone conto nel provvedimento sanzionatorio) come:
– il pattern di gara mostri, inequivocabilmente, l’assenza di sovrapposizione competitiva dei partecipanti sui vari lotti oggetto di affidamento, nonostante il bando consentisse di concorrere anche contemporaneamente per più lotti e le imprese ne avessero i requisiti (si è più volte riferito, anche sopra, come le quattro società non abbiano concorso per tutti i lotti ma soltanto per alcuni di essi e mai tra di loro in concorrenza);
si registri una evidente “simmetria di comportamenti che ha portato i concorrenti a presentare offerte economiche tutte molto simili tra loro e solo di pochissimo inferiori alla base”, visto che “tutti i ribassi offerti nei vari lotti, sia per il trattamento della frazione umida che del verde, sono stati inferiori all’l% rispetto ai prezzi base fissati dalla stazione appaltante” e senza trascurare che “le offerte presentate da tutte le imprese parti sono caratterizzate da una regolarità nelle cifre decimali, identiche per l’umido e per il verde, che sarebbe plausibilmente compatibili solamente con strutture di costo sottostanti identiche tra loro” (così ai parr. 149 e ss. del provvedimento sanzionatorio impugnato in primo grado).
Non va neppure in questo contesto sottovalutata la verificata realizzazione di incontri preliminari tra rappresentanti delle imprese.
Nel corso dell’istruttoria e, in particolare, durante i sopralluoghi e per effetto del sequestro di documentazione rinvenuta negli uffici, l’Autorità ha potuto appurare che:
– vi sono stati (almeno) due incontri (segnati in due agende, una cartacea ed una elettronica, rinvenute in occasione dei sopralluoghi effettuati nella sede delle due imprese) tra i rappresentanti delle imprese medesime;
– gli incontri non hanno visto la contemporanea presenza di tutte le imprese ma sono comunque avvenuti nel periodo temporale intercorrente tra la data di pubblicazione del bando di gara da parte di Ec. e la data ultima, fissata nel medesimo bando, per la presentazione delle domande e delle offerte;
– in sede di presentazione di osservazioni e di contraddittorio procedimentale le imprese non hanno negato lo svolgimento degli incontri ma lo hanno imputato, tentando in tal modo di dequalificarne la portata dimostrativa dell’intesa con riferimento alla selezione avviata da Ec., alla necessità di trattare argomenti importanti relativi alla comune appartenenza delle imprese al Consorzio italiano compostatori, una ragione, pervero, da sola inadatta a scongiurare, per la tempestività degli incontri rispetto alla selezione bandita e per la presenza proprio delle imprese che avrebbero partecipato, peraltro non per tutti i lotti contemporaneamente, l’ipotesi per le imprese di trovare un comune accordo circa la partecipazione alla selezione;
– le indagini svolte dal personale dell’Autorità, successivamente alla scoperta dello svolgimento degli incontri, hanno permesso di non riscontrare la fondatezza delle giustificazioni prodotte dalle imprese durante l’istruttoria, a tacer del fatto che una delle imprese, la Ni., non era più da molti anni associata al consorzio, oltre al fatto che è stato invece registrato lo svolgimento di altre riunioni del consorzio, stavolta in ambito sub-territoriale (che costituisce la sede deputata a trattare di questioni comuni che riguardino i soci di un certo ambito regionale o pluriregionale), in epoca diversa rispetto al periodo in cui gli aspiranti partecipanti alla gara bandita da Ec. avrebbero dovuto predisporre le offerte al fine di parteciparvi.
V’è, infine, da aggiungere che nessun pregio possono assumere le giustificazioni addotte dalle società coinvolte, nel corso dell’istruttoria, circa le modalità insolite di partecipazione delle stesse alla gara (partecipazione con riferimento solo ad alcuni lotti e non contemporaneamente, presentazione di ribassi uniformi e estremamente modesti, ecc., sui quali si vedano specificamente nel provvedimento sanzionatorio impugnato: a) per Nu. Am. il punto 176,; b) per Fe. il punto 178; c) per Se. il punto 179; d) per Ni. il punto 180) con la circostanza che l’esecuzione dell’appalto non avrebbe condotto ad una appetibile redditività, atteso che in più fasi dell’istruttoria sviluppata dall’Autorità è emerso con evidenza come “lo svolgimento del servizio a favore di Ec. aveva una valenza strategica più che costituire una occasione di reddito e di profitto”. La circostanza di “(p)oter affermare di essere i fornitori della locale società di raccolta (era) infatti necessario per mantenere un buon rapporto con il territorio in un contesto nel quale l’attività in questione per evidenti motivi, è mal sopportata dai residenti”. Tali profili sono stati considerati puntualmente nel provvedimento sanzionatorio impugnato (si veda il par. 170).
Deve, dunque e per quanto si è sopra rappresentato, escludersi che possa trovare fondamento, nel caso di specie, la contestazione della parte appellante volta a sostenere che l’Autorità, nel corso del procedimento, abbia finito con il determinare una illegittima inversione dell’onere della prova, dal momento che tutti gli elementi probatori acquisiti nel corso dell’istruttoria sono stati attentamente e analiticamente individuati, singolarmente e nel loro complesso, ivi compreso il ruolo che ciascun elemento collegato con l’ulteriore corrispondente ha assunto nell’ambito dell’intesa contestata alle società coinvolte, il che esclude decisamente qualsiasi fondatezza di motivi impugnatori dedotti al fine di ritenere inadeguata, insufficiente o incongrua, sia l’attività istruttoria svolta dall’Autorità che la conseguente motivazione con la quale essa ha ritenuto, nel provvedimento impugnato, di avere acquisito la consapevolezza della sussistenza dei presupposti per procedere alla irrogazione delle sanzioni.
13. – Deriva da tutto quanto sopra osservato che l’appello proposto da Fe. non è fondato.
A questo punto va scrutinato l’appello proposto dall’Autorità con il ricorso n. R.g. 1803/2018, con il quale (anche) l’AGCM chiede la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I, 5 dicembre 2017 n. 11985 contestandone la correttezza con riferimento all’accoglimento di una parte delle censure dedotte dalla società Fe. in primo grado.
La sentenza del Tribunale amministrativo regionale, infatti, sebbene abbia respinto i primi due motivi di ricorso dedotti dalla Fe. in primo grado, ha però accolto, sotto due distinti profili, la terza doglianza (che si collegava alla quarta) nella parte in cui la società ricorrente aveva contestato la legittimità, nella individuazione del calcolo della sanzione inflitta con il provvedimento sanzionatorio impugnato, sia dell’avere l’Autorità preso in considerazione l’intero periodo biennale di esecuzione del contratto di servizi, ricomprendendovi anche il periodo di proroga inerente alla seconda annualità, sia dell’avere l’AGCM fatto applicazione del principio del c.d. entry fee.
Premesso che, per come si è già rammentato, alle società coinvolte nell’intesa sono state irrogate le seguenti sanzioni, Fe. euro 214.567, Ni. euro 259.733, Nu. Am. euro 639.888, Se. euro 67.328 il TAR per il Lazio ha ritenuto che:
A) illegittimamente l’Autorità ha considerato, come “valore delle vendite”, l’importo dell’intero contratto eseguito per un biennio effettivo, mentre avrebbe dovuto considerare, a tal fine (come valore delle vendite), solo l’importo oggetto di aggiudicazione della gara relativo al primo anno escludendo l’importo inerente al secondo anno, oggetto di proroga, in quanto la “possibilità della concessione di una proroga, (era) solo eventuale al momento della partecipazione alla gara (e) non poteva essere oggetto di una consapevolezza apprezzabile in termini di responsabilità ” (così, testualmente, a pag. 15 della sentenza qui oggetto di appello);
B) altrettanto illegittimamente l’Autorità ha ritenuto di poter fare applicazione, nella definizione complessiva dell’entità della sanzione inflitta a ciascuna delle società (“consorti”), l’ammontare supplementare compreso tra il 15% e il 25% del valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione che l’Autorità medesima può aggiungere all’importo base della sanzione al fine di conferire alla stessa il necessario carattere di effettiva deterrenza con specifico riferimento alle più gravi restrizioni della concorrenza (c.d. entry fee).
In particolare, con riferimento a tale secondo profilo, l’Autorità ha motivato la “opportunità ” dell’applicazione di detto aggravamento in quanto “la fattispecie accertata si configura quale restrizione particolarmente grave della concorrenza in relazione, oltre che alla natura dell’infrazione, alla tipologia del servizio interessato, il trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani, ovvero un servizio per i cittadini finali che presenta elasticità alla domanda pressoché nulla in relazione al suo carattere di necessità per la comunità ” (così, testualmente, nel provvedimento sanzionatorio) e nella sentenza qui oggetto di appello il primo giudice ha ritenuto che “Il provvedimento, sul punto, è affetto da una palese carenza motivazionale in ordine alla ricorrenza dei presupposti per l’applicazione, solo tautologicamente richiamati. Né i detti requisiti risultano in concreto sussistenti, atteso che non emerge, dalla lettura complessiva dei fatti, la necessità di un effetto deterrente ulteriore rispetto a quello connesso alla sanzione base, in considerazione del fatto che lo scostamento tra i prezzi offerti dalle parti e quelli medi di mercato è sostanzialmente contenuto” (così, testualmente, a pag. 15 della sentenza qui oggetto di appello).
Nel giudizio di appello proposto dall’Autorità si è costituita la Fe. contestando analiticamente la fondatezza degli assunti fatti propri da AGCM al fine di confortare la richiesta di riforma della sentenza di primo grado. La società chiedeva quindi la reiezione dell’appello proposto dall’Autorità .
14. – In argomento va rammentato che, ai sensi del punto 12 delle Linee guida (“Linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90”, adottate dall’Autorità nell’adunanza 22 ottobre 2014), è stabilito che “l’Autorità terrà conto in primo luogo della natura dell’infrazione. L’Autorità ritiene che le intese orizzontali segrete di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione costituiscano le più gravi restrizioni della concorrenza”.
Il punto 23 degli Orientamenti UE, prevede che “per loro stessa natura, gli accordi orizzontali di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione, che sono generalmente segreti, costituiscono alcune delle più gravi restrizioni della concorrenza”.
Peraltro, nelle stesse Linee guida (par. 34) si prevede che “le specifiche circostanze del caso concreto o l’esigenza di conseguire un particolare effetto deterrente possono giustificare motivate deroghe dall’applicazione delle presenti Linee Guida, di cui si dà espressamente conto nel provvedimento che accerta l’infrazione”.
Se è vero che, alla luce dei noti orientamenti giurisprudenziali (cfr., ad esempio, la sentenza 3 settembre 2009, C-534/07, William Prym GmbH vs. Commissione, secondo la quale “possono essere qualificate come infrazioni “molto gravi” sulla sola base della loro natura, senza che la Commissione – e le autorità antitrust nazionali – siano tenute a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato. In tale fattispecie, l’impatto concreto dell’infrazione, se misurabile, costituisce solo uno dei vari fattori che possono consentire alla Commissione di aumentare l’importo di partenza dell’ammenda oltre l’importo minimo applicabile”. Si vedano anche le sentenze della Corte di Giustizia 26 gennaio 2017, C-626/13, Villeroy & Boch Austria/Commissione, punto 90, e 27 aprile 2017, C-469/15P, FSL Holdings Cons. stato, Sez. VI, 21 dicembre 2017 n. 5998), non appare dubbio che la natura dell’intesa, qualora chiaramente finalizzata ad incidere sul livello dei prezzi o a ripartire il mercato tra i partecipanti all’accordo, costituisca un elemento prioritario al fine di considerare la gravità della sanzione sotto il profilo sanzionatorio, è altrettanto vero che, anche sulla scorta di quanto si è appena rammentato, non può essere affermato un principio di assoluta automaticità tra natura dell’intesa per oggetto e gravità della sanzione, dovendosi escludere la legittimità di una valutazione puramente formale di un accordo, completamente avulsa dal realtà del singolo caso concreto.
In altri termini, una intesa per oggetto – in base a quelli che, oltretutto, sono comunque dei meri criteri orientativi dettati dalla stessa Autorità, non assurgendo al rango di norme primarie – deve tendenzialmente considerarsi molto grave, in quanto denota inequivocabilmente l’intento illecito, manifestando la chiara volontà delle parti di porsi al di fuori del libero gioco della concorrenza; ma la corrispondenza tra intesa per oggetto e violazione molto grave non può essere elevata a regola assoluta, idonea ad obliterare ogni altro elemento che, nel singolo caso, può rilevare al fine di connotare la maggiore o minore gravità della violazione, pena il rischio di implementare un sistema sanzionatorio che nella sua applicazione concreta può rilevarsi sproporzionato ed ingiusto.
È in questo senso che deve essere letto il precedente della Sezione del 12 ottobre 2017, n. 4733, che non rappresenta affatto un caso isolato, limitandosi a ribadire, da un lato, che ai fini dell’accertamento di un’intesa per oggetto “non è necessario, perché la stessa possa essere qualificata come illecita, effettuare ulteriori valutazioni sugli effetti concreti che la stessa ha avuto sul mercato”; dall’altro, che, qualora l’Autorità disponga di elementi che consentano una stima attendibile degli effetti dell’illecito, l’analisi degli stessi “ben può incidere sulla valutazione di gravità della intesa illecita e, di conseguenza, sulla quantificazione della sanzione pecuniaria”.
Nondimeno e fermo tutto quanto sopra è stato segnalato, deve osservarsi come, nel caso di specie, l’Autorità, trovandosi al cospetto di un’infrazione dell’art. 101 del TFUE, valutata molto grave, in quanto intesa valutata hard core, vale a dire orizzontale di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione (cfr. il par. 187 del provvedimento impugnato), è correttamente giunta alla concreta determinazione degli importi in applicazione dell’art. 15, comma 1, l 287/1990 ed in conformità a quanto previsto dall’art. 11 l. 24 novembre 1981, n. 689, come richiamato dall’art. 31 l. 287/1990 e ai criteri enucleati nelle Linee Guida del 22 ottobre 2014.
E infatti, le Linee guida dell’Autorità, ai fini del calcolo della sanzione, prevedono quanto segue:
– affinché la sanzione abbia un’effettiva efficacia deterrente, è almeno necessario che essa non sia inferiore ai vantaggi che l’impresa si attende di ricavare dalla violazione;
– tali vantaggi, dipendendo dalla tipologia di infrazione posta in essere, sono funzione del valore complessivo delle vendite interessate dalla condotta illecita;
– nel valutare la gravità della violazione, l’Autorità terrà conto in primo luogo della natura dell’infrazione;
– l’Autorità ritiene che le intese orizzontali segrete di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione costituiscano le più gravi restrizioni della concorrenza;
– al riguardo, l’eventuale segretezza della pratica illecita ha una diretta relazione con la probabilità di scoperta della stessa e, pertanto, con la sanzione attesa;
– per le infrazioni da ultimo indicate la percentuale del valore delle vendite considerata sarà di regola non inferiore al 15% (cfr. par. 12).
L’attività di quantificazione della sanzione, secondo i criteri declinati dalla l. 689/1981 (espressamente richiamata dalla l. 287/1990), come già in altre occasioni è stato rilevato dal giudice amministrativo, non può evidentemente prescindere da una valutazione di adeguatezza, anche sotto il profilo della deterrenza, in relazione allo specifico al caso concreto, e deve quindi avvenire, in un caso -come quello in esame – di violazione delle norme europee di tutela della concorrenza (valore peraltro munito anche di tutela costituzionale ai sensi degli artt. 2 e 41 della Costituzione), alla stregua degli orientamenti della Commissione UE per il calcolo delle ammende, con la conseguente necessità di applicare quale parametro di partenza il “range” del 15-30% del fatturato riferito all’attività sanzionata, alla stregua della giurisprudenza della Corte di Giustizia che ritiene la oggettiva responsabilità di tutte le imprese partecipanti all’intesa restrittiva orizzontale, che viene valutata di intrinseca rilevante gravità, in quanto capace di alterare irrimediabilmente il libero gioco della concorrenza, indipendentemente dalle sue concrete ripercussioni sul mercato, come detto in precedenza (cfr., sugli argomenti appena tracciati e sull’approccio al tema della individuazione dell’entità della sanzione da irrogarsi in occasione di intese restrittive, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 12 febbraio 2020 n. 1046).
15. – Alla luce di quanto sopra riportato, gli effetti denunciati della applicazione dei sopra richiamati criteri in concreto sulla sanzione irrogata alla società appellante non appaiono censurabili sotto il profilo della proporzionalità, che appare garantito in prima battuta dalle modalità di commisurazione della sanzione sulla base delle seguenti circostanze che emergono dalla semplice lettura del provvedimento sanzionatorio impugnato:
– al momento dell’adozione di quest’ultimo gli effetti dell’intesa dovevano considerarsi temporalmente sussistenti, in quanto gli affidamenti del servizio di trattamento e smaltimento dei rifiuti organici relativi alla gara Ec. erano stati prorogati dalla stazione appaltante per la seconda annualità e quindi in “proroga tecnica”, in attesa della indizione di una nuova procedura per il successivo affidamento;
– il calcolo della sanzione ha seguito quanto indicato al punto 7 e seguenti delle più volte richiamate Linee guida, considerando quale fattore iniziale del calcolo medesimo il valore delle vendite di beni o servizi interessate dall’infrazione contestata e (per come suggerito al punto 18 delle Linee guida) considerando per ciascuna società coinvolta nell’intesa l’importo oggetto di aggiudicazione della gara interessata dalla collusione, senza necessità di introdurre aggiustamenti per la durata dell’infrazione (ciò, evidentemente e posto che l’intesa in questione è qualificabile come intesa orizzontale di prezzo, anche in ossequio all’orientamento giurisprudenziale a mente del quale la natura di consistente gravità in sé considerata di tale forma di intesa non rende necessarie ulteriori indagini sulle effettive conseguenze concrete; cfr. Corte giust. UE, 26 gennaio 2017, in C-626/13 P, Villeroy & Boch Austria GmbH/Commissione e Cons. Stato, Sez. VI, 20 ottobre 2016 n. 4374);
– va tenuto conto, ai fini del calcolo, dell’importo relativo all’intero periodo di durata del servizio, considerando non solo il periodo temporale previsto nel contratto originario ma anche quello ulteriore collegato alla “proroga” per il secondo anno giacché, vertendosi in materia di “proroga tecnica”, tale evenienza era prevista dal bando di gara ed il suo verificarsi era largamente anticipabile dalle imprese partecipanti, in considerazione dei tempi tecnici occorrenti alla stazione appaltante per l’indizione di una nuova procedura di gara, poi seguiti da una ulteriore estensione del servizio affidato, questa volta “atecnica” e solo per questa porzione temporale non anticipabile né quantificabile ex ante;
– per le due società che hanno partecipato in associazione temporanea di imprese (Fe. e Se.), l’importo oggetto di aggiudicazione è stato ripartito tra le stesse in proporzione alle effettive percentuali di espletamento del servizio, secondo quanto indicato nel corso dell’istruttoria dalle due società (e, quindi, per una percentuale pari all’82,7% da Fe. e pari al 17,3% da Se.).
Alla luce di quanto sopra si è illustrato e di quanto emerge dalla documentazione depositata, il primo dei due motivi di appello proposti dall’Autorità, sempre con riferimento a quanto sopra indicato in ordine alla correttezza del percorso istruttorio e di quello argomentativo (nella motivazione del provvedimento sanzionatorio impugnato dalla società Fe.) sviluppati dall’AGCM, va dichiarato fondato, tenuto conto dell’assenza di illogicità nella valutazione della base di calcolo effettuata dall’Autorità .
17. – Pare comunque, per completezza, opportuno rammentare che la determinazione dell’importo della sanzione costituisce espressione di un potere discrezionale dell’Autorità . Secondo la giurisprudenza, ciò esclude l’applicazione di un approccio puramente matematico e meccanicistico nella valutazione del peso da attribuire a ciascuna circostanza, poiché il valore finale della sanzione va determinato, assumendo quale principale parametro di riferimento l’effettiva idoneità del quantum della sanzione a tenere conto nel modo più adeguato possibile della specifica gravità della condotta contestata all’impresa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 maggio 2015 nn. 2513 e 2514).
Alla luce di tali precisazione, in merito alla doglianza sul computo della base di calcolo delle sanzioni, deve essere confermata la scelta operata dall’Autorità, che ha correttamente fatto riferimento all’importo oggetto di aggiudicazione (tenuto conto della relativa durata), alla luce della funzione dissuasiva della sanzione antitrust, posto che, nel caso di specie, il valore della base d’asta, utilizzato quale base di calcolo, appare comunque un indice idoneo a rappresentare il valore delle vendite rilevante ai fini sanzionatori, come pure l’importo corrispondente alla vigenza del contratto nel periodo di proroga.
La sanzione, in quanto volta ad impedire a priori una concertazione in funzione anticoncorrenziale, deve riferirsi al momento della condotta legata alla specifica fattispecie e agli elementi allora in possesso delle imprese, ivi compreso l’importo base della gara oggetto dell’accordo anticompetitivo.
Risulta, per contro, in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza il prospettabile utilizzo di altri fattori di calcolo (ad esempio il fatturato effettivamente realizzato dall’impresa per la vendita del servizio); infatti, il riferimento all’importo oggetto di aggiudicazione mira ad assumere quale base iniziale ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta ad un’impresa un importo che rifletta anche l’importanza economica dell’infrazione, con la conseguenza che “l’obiettivo perseguito da tale disposizione risulterebbe tuttavia pregiudicato se tale nozione dovesse essere intesa nel senso che ricomprenda unicamente il fatturato realizzato con le sole vendite per le quali risulti accertata la loro effettiva connessione con l’intesa stessa” (cfr., in tal senso, Corte giust. UE, Team Relocations e a. c. Commissione, C444/11 P nonché Cons. Stato, Sez. VI, 13 giugno 2014, n. 3032).
Va segnalato, con riguardo alla considerazione dell’intero periodo del servizio, ivi compreso l’anno di “proroga tecnica”, come l’Autorità abbia correttamente interpretato ed applicato i principi in materia sopra esposti, tenuto conto che, trattandosi di “proroga tecnica”, ai sensi dell’art. 106, comma 11, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (recante il Codice dei contratti pubblici):
– il periodo di proroga era noto a tutti i partecipanti che si sarebbero contesi l’aggiudicazione fin dal bando di gara;
– gli operatori economici, al momento della formulazione delle offerte economiche, avrebbero dovuto considerare, nella proposta, anche il periodo di eventuale proroga;
– l’esercizio del diritto di esercitare la clausola di proroga da parte della stazione appaltante costituisce, come è noto, una eventualità “più che probabile”, tale da far ritenere che tutti gli operatori economici che partecipano ad una gara per l’affidamento di un servizio il cui bando reca una clausola di proroga, già considerano all’atto della partecipazione il verificarsi dell’estensione del periodo contrattuale come “fatto assodato”.
Ne deriva che il motivo di appello dedotto dall’Autorità in merito alla decisione assunta dal giudice di primo grado nella sentenza qui oggetto di appello nella parte in cui ha accolto un primo profilo di censura dedotto dalla società Fe. circa la (sostenuta) illegittima considerazione, ai fini del calcolo delle sanzioni inflitte alle società, dell’intero periodo del contratto di servizi e quindi per un biennio, ricomprendendovi l’anno di “proroga tecnica”, deve essere accolto, in quanto fondato.
18. – Parimenti fondato è il secondo motivo di appello dedotto dall’Autorità con riguardo alla parte della sentenza di primo grado con la quale è stata accolta la censura dedotta dalla Fe. in merito all’applicabilità dell’istituto del c.d. entry fee.
Nella specie, inoltre, non appare violato il principio di proporzionalità, così come devono ritenersi in ogni caso rispettati i criteri di cui all’art. 11 l. 689/1981, in considerazione delle caratteristiche della pratica concordata e degli effetti che questa ha generato sull’andamento dei prezzi per il servizio in discorso. Inoltre, la sanzione risulta proporzionale alle condizioni economiche delle società ed adeguatamente commisurata alla durata dell’infrazione.
Non appare, pertanto, censurabile l’applicazione della percentuale del 15% per il livello di gravità dell’infrazione, che costituisce l’esito della valutazione che tiene conto delle peculiarità del caso, tanto più che il disvalore delle condotte accertate si apprezza ancora di più se si considera che le stesse si inseriscono nel contesto di procedure di gara ad evidenza pubblica, in applicazione del punto 14 delle Linee Guida e, soprattutto, tenendo in considerazione la rilevanza dell’effettivo impatto economico dell’illecito sulla base della dimensione dell’appalto.
19. – Per la medesima ragione, anche in relazione alla qualificazione dell’intesa come “molto grave” in ragione della sua natura e della segretezza, va condivisa la valutazione operata dall’Autorità, tenuto conto che l’intesa era qualificabile come intesa orizzontale di prezzo ossia come intesa di consistente gravità in sé considerata, senza neppure la necessità di ulteriori indagini sulle effettive conseguenze concrete (cfr. ancora, in argomento, Corte giust. UE, 26 gennaio 2017, in C-626/13, cit. e Cons. Stato, Sez. VI, n. 4374/2016, cit.); e per altro verso, in relazione alla segretezza, il supporto probatorio, fondato su contatti avvenuti all’sito di incontri non conoscibili all’esterno, evidenzia la carenza di trasparenza e pubblicità dell’accordo stesso.
Va ricordato ancora una volta che:
– l’art. 15 l. 287/1990 prevede che nei casi “di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione” si applica “una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida”;
– il successivo art. 31 l. 287/1990 precisa, poi, che “per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689”;
– l’art. 11 l. 689/1981 detta i criteri per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie stabilendo che “nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”;
– le linee guida dell’Autorità (approvate con delibera dell’AGCM 22 ottobre 2014 n. 25152), ai fini del calcolo della sanzione, prevedono, tra l’altro e per quanto è qui di interesse, che “con specifico riferimento alle più gravi restrizioni della concorrenza, indipendentemente dalla loro durata e dalla loro effettiva attuazione, l’Autorità può considerare opportuno l’inserimento nell’importo base di un ammontare supplementare compreso tra il 15 e il 25% del valore delle vendite di beni o servizi oggetto dell’infrazione”;
– la giurisprudenza (cfr. Corte giust. UE, 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch Austria GmbHc. Cit. e sentenza del 26 gennaio 2017, Mamoli Robinetteria SpA) ha specificato che l’applicazione della entry fee per le ipotesi più gravi di illecito antitrust è indipendente dalla durata dell’infrazione e dagli effetti della condotta accertata.
La giurisprudenza della Sezione ha chiarito che “In questi casi, occorre che l’applicazione di tale importo sia adeguatamente motivato” (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 2 settembre 2019 n. 6030).
Del pari la Sezione, in casi indubbiamente assimilabili a quello qui in esame ha già avuto modo di esprimersi nel senso che: “In relazione alla qualificazione dell’intesa come “molto grave” in ragione della sua natura e della segretezza va condivisa la valutazione operata dall’Autorità, dovendosi sul punto riformare la sentenza impugnata, nella duplice considerazione che, per un verso, l’intesa era orientata al condizionamento di una procedura di gara ed era dunque qualificabile come intesa di consistente gravità ” (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, 6 ottobre 2020 nn. 5883, 5884, 5885, 5897, 5898, 5899 e 5900).
Con riferimento alla segretezza in merito agli incontri, preliminari alla predisposizione delle offerte, contestati durante il procedimento e sulla rilevanza dell’intesa e dell’impatto per il mercato di riferimento si è già detto ampiamente sopra.
Ne deriva che correttamente l’Autorità aveva fatto applicazione nella specie dell’istituto del c.d. entry fee, presentandosi tale opzione adeguata alla natura ed alle caratteristiche specifiche della condotta posta in essere dalle società coinvolte che, come già sottolineato, si è consumata nell’ambito di una procedura pubblica di gara da parte di primari attori nazionali del relativo settore.
Inoltre la valutazione dell’Autorità risulta corretta, tenuto conto che la misura dell’entry fee è ampiamente giustificata dalla necessità di garantire un adeguato effetto deterrente alla sanzione, tenuto conto delle dimensioni delle imprese sanzionate e dei connotati di gravità dell’illecito.
20. – In ragione di tutto quanto si è sopra esposto con riferimento ai due appelli qui in esame, per come riuniti, va respinto l’appello proposto dalla Fe. mentre va integralmente accolto l’appello proposto dall’Autorità, trovando in quest’ultimo caso fondatezza i motivi dedotti nel corrispondente mezzo di gravame proposto, con conseguente riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui ha accolto parzialmente il ricorso di primo grado (n. R.g. 13521/2015) proposto dalla Fe. che, dunque, va integralmente respinto.
Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tra tutte le parti in lite, con riferimento agli appelli riuniti, sussistendo i presupposti di cui all’art. 92 c.p.c, per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., stante la peculiarità e la complessità, sia in punto di fatto che di diritto, delle questioni oggetto di contenzioso.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe indicati:
1) dispone la riunione del ricorso in grado di appello n. R.g. 1952 del 2018 al ricorso in grado di appello n. R.g. 1803/2018;
2) accoglie l’appello n. R.g. 1803/2018 e respinge l’appello n. R.g. 1952/2018 e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I, 5 dicembre 2017 n. 11985, respinge il ricorso di primo grado (n. R.g. 13521/2015);
3) spese del doppio grado di giudizio, per i due giudizi riuniti, compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio del 15 ottobre 2020, 28 gennaio 2021 e 15 aprile 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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