Nell’arbitrato l’exceptio compromissi ha carattere processuale e pertanto deve essere sollevata

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 112.

Nell’arbitrato l’exceptio compromissi ha carattere processuale e pertanto deve essere sollevata

In tema di arbitrato rituale, l’exceptio compromissi ha carattere processuale e integra una questione di competenza, pertanto deve essere sollevata, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo della parte convenuta, non potendosi assimilare la competenza arbitrale a quella funzionale sì da giustificarne il rilievo officioso ad opera del giudice, fondandosi essa unicamente sulla volontà delle parti.

Ordinanza|| n. 112. Nell’arbitrato l’exceptio compromissi ha carattere processuale e pertanto deve essere sollevata

Data udienza 7 novembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Arbitrato – Interpretazione della clausola compromissoria – Riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti e al loro comportamento complessivo – Sussistenza di dubbi – Risoluzione a favore della ritualità dell’arbitrato – Rigetto del ricorso

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro Presidente

Dott. PICARO Vincenzo Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara Consigliere

Dott. CHIECA Danilo Consigliere-Relatore

Dott. AMATO Cristina Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23387/2018 R.G. proposto da:

(…) S.R.L. (già (…) s.r.l., in precedenza denominata (…) s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in R. al viale (…) presso lo studio dell’avv. Ma.D., dal quale è rappresentata e difesa

– ricorrente –

contro

(…) LTD., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in R. alla via (…) presso lo studio dell’avv. St.Sa., dal quale è rappresentata e difesa unitamente all’avv. Ma. Ba.

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2360/2018 pubblicata l’11 aprile 2018

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 novembre 2023 dal Consigliere DANILO CHIECA

Nell’arbitrato l’exceptio compromissi ha carattere processuale e pertanto deve essere sollevata

FATTI DI CAUSA

Con contratto dell’11 maggio 2001 la (…) s.p.a., la (…) s.p.a. (di qui in avanti (…)) e l'(…) s.r.l., operanti nel settore commerciale del trasporto pubblico aereo di passeggeri a mezzo di elicotteri, costituivano un raggruppamento temporaneo di imprese per l’esecuzione in regime di appalto del servizio di elisoccorso nel territorio della Regione Lazio.

Tale contratto obbligava la (…) a mettere a disposizione delle altre imprese associate un elicottero di riserva “in stand by” per i casi di sostituzione, avaria o manutenzione ordinaria e straordinaria degli altri mezzi destinati stabilmente al servizio predetto.

In esso si prevedeva, inoltre, che le fatture emesse dalla (…) per le prestazioni rese fossero intestate alla (…), indicata quale impresa capofila del raggruppamento.

Sulla scorta di tali premesse, la (…) Ltd. (d’ora in poi (…)), nell’allegata qualità di cessionaria del credito facente capo alla (…), chiedeva e otteneva l’emissione nei confronti della (…) di un decreto ingiuntivo di pagamento della somma di 243.948,78 euro, oltre interessi, a titolo di corrispettivo delle prestazioni rese dalla cedente in adempimento del menzionato contratto dell’11 maggio 2001.

La società intimata si opponeva al decreto, eccependo, fra l’altro, in compensazione un proprio controcredito derivante da analoghe prestazioni di fornitura di un elicottero di riserva “in stand by” espletate nell’ambito del servizio di elisoccorso affidato in appalto dalla Regione Campania al raggruppamento temporaneo di imprese costituito con contratto del 17 gennaio 2001 fra le medesime società innanzi indicate e l'(…) s.r.l.; raggruppamento al cui interno il ruolo di capofila era stato, questa volta, assegnato alla (…).

Dopo la celebrazione dell’udienza di prima comparizione delle parti ex art. 180 c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis, vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 35 del 2005, convertito in L. n. 80 del 2005, l’opponente eccepiva, inoltre, che la controversia doveva ritenersi devoluta alla cognizione arbitrale in virtù della clausola compromissoria contenuta nell’art. 11 del contratto dell’11 maggio 2001.

All’esito dell’espletata istruttoria, con sentenza del 22 agosto 2011, il Tribunale di Roma respingeva l’opposizione, regolando le spese di lite secondo il criterio della soccombenza.

Rilevava il giudice capitolino: che andava affermata la natura rituale dell’arbitrato previsto dalla clausola compromissoria invocata dall’opponente; che la relativa eccezione risultava, pertanto, tardiva, in quanto non formulata nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo; che non poteva farsi luogo alla compensazione giudiziale del credito della (…) (ora della (…)) verso la (…) con quello vantato dalla seconda nei confronti della prima.

La decisione veniva impugnata dalla parte soccombente dinanzi alla Corte distrettuale di Roma, la quale, con sentenza n. 2360/2018 dell’11 aprile 2018, respingeva il gravame, condannando l’appellante alle ulteriori spese del grado.

Contro quest’ultima sentenza l'(…) s.r.l., già (…) s.p.a., ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, resistiti con controricorso dalla (…).

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Sia la ricorrente, che nelle more ha assunto la nuova denominazione di (…) s.r.l., sia la controricorrente hanno depositato memorie illustrative.

Nell’arbitrato l’exceptio compromissi ha carattere processuale e pertanto deve essere sollevata

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso vengono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1362, comma 1, c.c..

Si sostiene che avrebbe errato la Corte d’Appello di Roma nell’attribuire natura rituale, anziché irrituale, all’arbitrato previsto dalla clausola compromissoria contenuta nell’art. 11 della convenzione stipulata inter partes.

Dal tenore delle espressioni utilizzate dalle parti non era, infatti, in alcun modo evincibile la loro comune intenzione di conseguire la pronuncia di un lodo esecutivo o di una decisione secondo diritto.

Il giudice distrettuale sarebbe incorso in un ulteriore errore nell’affermare che l’eccezione di compensazione e la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96, comma 1, c.p.c. proposte dalla (…) implicassero rinuncia da parte della medesima ad avvalersi della clausola compromissoria, risultando, per contro, evidente che l’una e l’altra erano da ritenersi formulate in via meramente gradata rispetto alla sollevata eccezione di arbitrato.

Con il secondo motivo, denunciante la “nullità della sentenza ex art. 360, 1° comma, n. 4) c.p.c.”, si deduce che avrebbe sbagliato la Corte romana nel ritenere che l’eccezione di arbitrato dovesse essere sollevata dalla (…) con il suo primo atto difensivo; e ciò in quanto, trattandosi di questione preliminare di merito, il termine per la sua proposizione -puntualmente osservato nella specie- andava individuato nella chiusura della prima udienza di trattazione.

Con il terzo motivo vengono dedotte la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697, comma 1, c.c., per avere il collegio capitolino erroneamente reputato meritevole di accoglimento la domanda avanzata in via monitoria dalla (…), sebbene questa non avesse offerto idonea prova del credito vantato dalla cedente (…) nei confronti della (…).

Con il quarto motivo sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1243, comma 2, c.c., per avere la Corte territoriale a torto negato la sussistenza dei presupposti per l’operatività della compensazione giudiziale opposta dalla (…), sul semplice rilievo che il controcredito da essa fatto valere era stato contestato dalla (…).

Si obietta, sul punto, che il giudice d’appello avrebbe dovuto accertare detto credito, pur in presenza di contestazioni, essendo investito del relativo potere di cognizione.

I primi due motivi, che possono essere esaminati insieme perché intimamente connessi, sono privi di fondamento.

Nell’arbitrato l’exceptio compromissi ha carattere processuale e pertanto deve essere sollevata

Giova premettere che, allorquando viene investita di un motivo di gravame attinente alla qualificazione dell’arbitrato come rituale o irrituale, la Corte di Cassazione opera anche come giudice del fatto e ha pertanto il potere di accertare direttamente, attraverso l’esame degli atti e degli elementi acquisiti al processo, la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria.

Va, inoltre, rammentato che, per costante giurisprudenza di legittimità, la differenza fra i due istituti sta in ciò: che, mentre nell’arbitrato rituale le parti vogliono ottenere la pronuncia di un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’arbitro (o al collegio arbitrale) la soluzione di controversie esclusivamente attraverso lo strumento della determinazione contrattuale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla loro stessa volontà (cfr. Cass. n. 18973/2023, Cass. n. 25927/2022, Cass. n. 42049/2021, Cass. n. 21059/2019, Cass. n. 7189/2019, Cass. n. 23629/2015).

È stato, al riguardo, precisato che non costituiscono elementi decisivi per configurare l’arbitrato irrituale ed escludere quello rituale il conferimento agli arbitri del potere di decidere secondo equità o nella veste di amichevoli compositori -non essendo tale specificazione del criterio di definizione della controversia incompatibile con l’arbitrato rituale, nel quale ben possono gli arbitri essere investiti dell’esercizio di poteri equitativi (arg. ex art. 822, comma 1, c.p.c.)-, nè la preventiva attribuzione alla pronuncia arbitrale del carattere dell’inappellabilità -ipotizzabile anche rispetto al lodo da arbitrato rituale, ex art. 829 c.p.c.-, né tantomeno la previsione dell’esonero degli arbitri dall’osservanza di “formalità di procedura” -anch’essa non incompatibile con l’arbitrato rituale, avuto riguardo alla disciplina dettata dall’art. 816-bis, comma 1, c.p.c.-, dovendosi invece valorizzare, ai fini di una corretta lettura della volontà delle parti nel senso dell’arbitrato rituale, espressioni terminologiche congruenti con l’attività del “giudicare” e con il risultato di un “giudizio” in ordine a una “controversia” (cfr. Cass. 4315/2023, Cass. n. 21059/2019, Cass. n. 10805/2014, Cass. n. 16425/2009, Cass. n. 24059/2006, Cass. n. 2531/2005, Cass. 7520/2001, Cass. n. 833/1999).

Occorre, quindi, interpretare la clausola compromissoria con riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti e al loro comportamento complessivo, senza che il mancato richiamo nella clausola alle formalità procedurali da osservare deponga univocamente nel senso dell’irritualità dell’arbitrato, tenuto conto delle maggiori garanzie offerte dall’arbitrato rituale quanto all’efficacia esecutiva del lodo e al regime delle impugnazioni (cfr. Cass. n. 11313/2018).

Ciò posto, va osservato che la clausola compromissoria di cui trattasi risulta così formulata: “Ogni controversia tra gli associati che non possa essere risolta amichevolmente è definita con giudizio di arbitro unico scelto di comune accordo, o in difetto nominato dal Presidente del Tribunale di Roma. Il giudizio dell’arbitro, emesso senza formalità di procedura e secondo equità, definisce la controversia”.

Esaminando il contenuto di tale clausola alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale innanzi richiamato, al quale si intende dare seguito, mentre può ritenersi che la parola “giudizio” e l’espressione “definisce la controversia” meglio si addicano all’arbitrato rituale, deve, per contro, escludersi che l’avverbio “amichevolmente” e la locuzione “senza formalità di procedura e secondo equità” siano di per sé sufficienti a far propendere per la natura irrituale dell’arbitrato, in difetto di elementi certi da cui sia evincibile il comune intendimento delle parti di affidare all’arbitro la funzione del mandatario incaricato di ricercare un accordo negoziale.

Nell’arbitrato l’exceptio compromissi ha carattere processuale e pertanto deve essere sollevata

In un simile contesto, non rimane che fare applicazione del principio di diritto, espresso da questa Corte anche con riferimento alla disciplina normativa vigente anteriormente all’introduzione dell’art. 808-ter c.p.c. ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, secondo cui il dubbio sull’interpretazione dell’effettiva volontà dei contraenti va risolto a favore della ritualità dell’arbitrato (cfr. Cass. n. 21329/2023, Cass. n. 24462/2021, Cass. n. 6909/2015, Cass. n. 26135/2013).

Affermata, dunque, la natura rituale dell’arbitrato, deve a questo punto rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità, sulla scia dell’ordinanza delle Sezioni Unite n. 24153/2013, è ormai stabilmente orientata nel senso che l’eccezione di arbitrato rituale debba ricomprendersi a pieno titolo nel novero di quelle processuali.

Con il menzionato arresto, all’esito di una rivisitazione complessiva dell’essenza dell’istituto, il massimo consesso nomofilattico ha ribaltato il precedente indirizzo espresso dalle stesse Sezioni Unite con sentenza n. 527/2000, affermando che “l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, n. 5 e dal D.Lgs. n. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza”.

Il principio è stato poi ripreso dalla sentenza n. 23176/2015, la quale ha precisato che “anche prima delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 deve ritenersi che l’attività degli arbitri rituali abbia natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza”, e quindi ribadito nelle successive pronunce (cfr., ex ceteris, Cass. n. 16411/2021, Cass. n. 26810/2019, Cass. n. 29359/2018, Cass. n. 21924/2018).

Dalla riconduzione dell’eccezione di arbitrato rituale nell’alveo di quella di competenza discende che la sua proposizione debba avvenire, a pena di decadenza, con il primo atto difensivo della parte convenuta, che nel giudizio ordinario di cognizione è costituito dalla comparsa di risposta e nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo -in cui, come è noto, la posizione processuale delle parti è invertita rispetto a quella sostanziale- va invece individuato nell’atto di citazione ex art. 645, comma 1, c.p.c., equivalente sotto il profilo contenutistico a una comparsa di risposta (cfr. Cass. n. 21672/2015, Cass. n. 22528/2006).

Sovviene, sul punto, il condiviso indirizzo di questo Supremo Collegio secondo cui, in considerazione della natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale e della sua funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria, come desumibile dalla disciplina introdotta dalla L. n. 5 del 1994 e dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, l’eccezione di compromesso ha carattere processuale e integra una questione di competenza, la quale, giusta quanto stabilito dall’art. 38, comma 1, c.p.c., deve essere sollevata, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata nel termine di cui all’art. 166 dello stesso codice.

Nell’arbitrato l’exceptio compromissi ha carattere processuale e pertanto deve essere sollevata

Né in contrario può sostenersi che la competenza arbitrale sia assimilabile a quella funzionale, sì da giustificarne il rilievo officioso ad opera del giudice ex art. 38, comma 3, c.p.c., poiché essa si fonda unicamente sulla volontà delle parti, le quali -anche quando la decisione della controversia implichi la soluzione di questioni incidenti su diritti indisponibili- rimangono libere di scegliere se sottoporre la vertenza agli arbitri, e quindi anche di adottare condotte processuali tacitamente convergenti verso l’esclusione della competenza di questi ultimi, mediante l’introduzione di un giudizio ordinario, da un lato, e la mancata proposizione dell’eccezione di arbitrato, dall’altro (cfr. Cass. n. 22748/2015; id., Cass. n. 15300/2019).

Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, va osservato che la stessa ricorrente riconosce di aver proposto l’exceptio compromissi soltanto nella comparsa ex artt. 170, ultimo comma, e 180, comma 2, 2° periodo, c.p.c., testo previgente, depositata dopo la celebrazione dell’udienza di prima comparizione.

Per tale ragione, rettamente la Corte romana ha giudicato tardiva la sollevata eccezione di arbitrato, pur dovendo correggersi la motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c., nella parte in cui afferma che la suddetta eccezione “costituiva una questione attinente al merito della controversia”.

Rimane superato dai rilievi che precedono il profilo di doglianza volto a contestare l’esattezza giuridica dell’alternativa ratio decidendi spesa dal giudice distrettuale, incentrata sull’asserita incompatibilità dell’eccezione di arbitrato con quella di compensazione e con la domanda risarcitoria ex art. 96, comma 1, c.p.c. contestualmente proposte dall’odierna ricorrente.

Invero, qualora la pronuncia di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse avverso una delle suddette rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le doglianze relative alle ulteriori rationes che pure formano oggetto di contestazione, in quanto il loro eventuale accoglimento non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione impugnata (cfr., ex multis, Cass. n. 24381/2021, Cass. n. 11493/2018, Cass. n. 2108/2012, Cass. n. 20454/2005).

Il terzo motivo è inammissibile.

La violazione del precetto posto dall’art. 2697 c.c. è configurabile nella sola ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, essendo quest’ultima sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti stabiliti dal novellato art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. (cfr. Cass. n. 32923/2022, Cass. n. 25543/2022, Cass. n. 17287/2022).

Nella presente fattispecie, le critiche mosse dalla ricorrente si concentrano proprio e soltanto sull’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuto dalla Corte capitolina, onde la censura in esame, per come formulata, non può trovare ingresso.

Nell’arbitrato l’exceptio compromissi ha carattere processuale e pertanto deve essere sollevata

Il quarto motivo è anch’esso inammissibile.

La Corte d’Appello ha anzitutto escluso che la (…) sia riuscita ad offrire idonea prova del controcredito vantato nei confronti della (…), dante causa della (…).

A tale già assorbente rilievo ha aggiunto che non ricorrono, in ogni caso, i presupposti per poter operare la compensazione giudiziale eccepita dall’opponente.

Con il mezzo in disamina viene criticata soltanto questa seconda motivazione, e non anche la prima, che non risulta investita da alcuna specifica censura sussunta in uno dei paradigmi di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c..

Esso va, pertanto, incontro a una declaratoria di inammissibilità, alla stregua del consolidato insegnamento di questa Corte in base al quale, ove la sentenza di merito impugnata in sede di legittimità si fondi su una pluralità di “rationes decidendi” distinte e autonome, ognuna di per sé sola sufficiente a sorreggerla, affinché possa giungersi alla cassazione della pronuncia è indispensabile che il soccombente le contesti tutte quante in modo specifico.

L’omessa impugnazione di una di queste “rationes” rende, infatti, inammissibile, per carenza di interesse, le censure relative alle altre, il cui eventuale accoglimento, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non sottoposta a gravame, non potrebbe in nessun caso produrre l’annullamento della sentenza (cfr. Cass. n. 18403/2023, Cass. n. 3454/2023, Cass. Sez. Un. n. 10852/2022, Cass. n. 22183/2020).

In definitiva, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti della ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.

Nell’arbitrato l’exceptio compromissi ha carattere processuale e pertanto deve essere sollevata

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente (…) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, a rifondere alla controparte le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 8.700 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 7 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2024

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