Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 16 ottobre 2020, n. 6282.

Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica.

Sentenza 16 ottobre 2020, n. 6282

Data udienza 25 giugno 2020

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Ristrutturazione edilizia – Nozione – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 5082 del 2018, proposto dal Comune di Piacenza, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato El. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la signora Ga. Ar., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
la società Ca. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e la Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sede staccata di Parma, sezione prima, n. 113 del 16 aprile 2018, resa tra le parti, concernente un permesso di costruire rilasciato alla società Ca., nonché gli artt. 171.3 e 17.7 del regolamento edilizio urbanistico del Comune di Piacenza.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale della signora Ga. Ar.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2020, svoltasi in video conferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, il consigliere Nicola D’Angelo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La signora Ga. Ar. – in qualità di comproprietaria, unitamente alla madre e alle sorelle, di un immobile sito in Piacenza, via (omissis), in zona B del P.R.G. confinante con quello della società Ca. – ha impugnato dinanzi al T.a.r. per l’Emilia Romagna, sede staccata di Parma:
a) il permesso di costruzione n. 40/2017 rilasciato alla stessa società dal Comune di Piacenza il 2 ottobre 2017 per l’integrale demolizione del fabbricato e la sua ricostruzione con ampliamento del 20% dello stesso mediante la sua sopraelevazione fino a 17 metri di altezza e la sua ubicazione ad una distanza di 6,30 metri dalla parete finestrata dell’immobile della signora Ar.;
b) gli artt.171.3 e 17.7 del regolamento urbanistico ed edilizio del Comune (di seguito RUE) nella loro interpretazione difforme rispetto a quanto previsto dalla disciplina nazionale di cui al D.M. n. 1444/1968 e all’art. 2 bis del d.P.R. n. 380/2001 (di seguito TU edilizia).
1.1. In particolare, l’immobile della signora Ar. confina con un fabbricato della Ca. di tre piani, di altezza pari a 12,30 metri, posto ad una distanza di 6,10 metri dalla sua parete finestrata. Con il permesso di costruire n. 40/2017 è stato assentito un progetto di demolizione e ricostruzione dello stesso immobile con un ampliamento del 20% del volume da realizzarsi in sopraelevazione ai sensi dell’art. 171.3 e 17.7 del RUE (il fabbricato avrebbe quindi raggiunto l’altezza di 17 metri e si sarebbe posto ad una distanza di 6,30 metri dalla parete finestrata).
1.2. Il Comune ha rilasciato il titolo edilizio ritenendo sussistenti i presupposti per consentire la costruzione in deroga alle distanze legali. In particolare, ha considerato che l’art. 17.7 del proprio RUE, in applicazione dell’art. 7 ter, comma 3 bis, della legge regionale dell’Emilia Romagna n. 20/2000, consentisse che negli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti le distanze potessero essere fissate in deroga anche ai limiti di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 e che lo stesso RUE autorizzasse la realizzazione degli incentivi di ampliamento anche tramite sopraelevazione dell’edificio originario, sempre in deroga al citato D.M. n. 1444/1968, laddove fossero comunque rispettate le distanze minime tra fabbricati.
2. La signora Ar. nei primi due motivi di ricorso ha prospettato l’illegittimità del titolo edilizio rilasciato alla società Cavedi deducendo la violazione dell’art. 7 ter, comma 3 bis, della legge regionale dell’Emilia Romagna n. 20/2000, in combinato disposto con l’art. 2 bis TU edilizia, anche con riferimento all’art. 117 della Costituzione.
2.1. In sostanza, la norma regionale invocata dall’Amministrazione comunale a fondamento del permesso di costruire rilasciato in deroga ai limiti di distanza ed altezza previsti dagli artt. 8 e 9 del D.M. n. 1444/1968, non avrebbe potuto essere applicata perché relativa ai soli interventi di riqualificazione urbanistica o comunque di trasformazioni espressamente qualificate di interesse pubblico e non con riguardo a singoli e specifici interventi.
2.2. Inoltre, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 231/2016 relativa ad analoga disposizione della Regione Liguria, aveva comunque ritenuto illegittima la deroga sulle distanze legali consentita per singoli edifici dalla legislazione regionale.
2.3. Nel terzo motivo di ricorso ha poi evidenziato la violazione dell’art. 171.4 del Regolamento urbanistico ed edilizio del Comune di Piacenza, secondo cui “Nei tessuti a bassa densità l’incremento di Superficie Edilizia S.ED. del 20% verrà recuperato nell’area oggetto di intervento a fronte del recupero del 20% di spazi liberi sul lotto, in aggiunta agli spazi liberi esistenti”. Nel caso di specie non sarebbero stati incrementati del 20% gli spazi liberi sul lotto.
2.4. Infine, ha prospettato la violazione dell’art. 177.3 dello stesso regolamento in quanto il progetto non avrebbe previsto una superficie permeabile pari almeno al 30% della superficie del lotto di intervento.
3. Il Tar di Parma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso, ritenendo in primo luogo infondata l’eccezione di tardività del gravame formulata dalla società Cavedi (tale capo non è stato impugnato).
3.1. Nel merito lo stesso Tribunale ha poi ritenuto fondato il ricorso limitatamente al primo ed al secondo motivo di gravame con quali è stata dedotta la violazione dell’art. 7 ter, comma 3 bis, della legge regionale n. 20/2000 e il suo eventuale contrasto con l’art. 117 della Costituzione. In particolare, secondo il Tar le previsioni regionali, per non incorrere nella violazione del menzionato art. 117 – che riserva allo Stato l’ordinamento civile – devono essere escluse deroghe alle distanze che non riguardino spazi funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali. Per questa ragione, l’Amministrazione comunale avrebbe erroneamente applicato il citato art. 7 ter, estendendone la portata derogatoria anche a titoli edilizi adottati per singoli ed isolati interventi costruttivi.
4. Il Comune di Piacenza ha appellato la suddetta sentenza sostenendo, in quattro motivi di gravame, essenzialmente che:
– l’art. 17.7 del proprio RUE, in applicazione dell’art. 7 ter, comma 3 bis, della legge regionale n. 20/2000, consentiva interventi in deroga al regime delle distanze anche in caso di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti;
– il progetto presentato rispettava i parametri normativi nazionali, regionali e comunali, in quanto il RUE del Comune di Piacenza ha individuato delle zone del tessuto urbano in cui possono operare i permessi a costruire in deroga e, per ogni zona, vincoli e incentivi premiali mirati ma uniformi, compresa l’area in cui è ubicato l’immobile di cui è causa, qualificata “Tessuto a bassa densità “. Pertanto, in base al RUE, al pari di tutti quelli ubicati in tale contesto, si poteva, in caso di permesso in deroga, usufruire degli incentivi premiali di cui all’art. 171 del RUE, tenuto conto che il permesso riguardava la riqualificazione urbanistica derivante dalla sostituzione del patrimonio edilizio obsoleto ed il miglioramento energetico e sismico, circostanze queste ultime che rispondevano anche ad un interesse pubblico;
– non vi sarebbe stato un profilo di incostituzionalità con riferimento all’art. 117 della Costituzione nell’interpretazione data al citato art. 7 ter, comma 3 bis, in quanto la normativa della Regione Emilia Romagna e del RUE contiene una previsione analoga a quella della legge regionale ligure che è stata ritenuta esente da profili di incostituzionalità laddove ha esteso la disciplina derogatoria dei limiti di distanza anche ad interventi su singoli edifici se presente uno strumento urbanistico (nel caso di specie, il RUA).
In dettaglio – dopo aver preliminarmente contestato l’errata configurazione della situazione di fatto relativa alla posizione degli edifici che, contrariamente a quanto indicato nella sentenza, non sono addossati l’uno all’altro (l’immobile di proprietà della società Ca. è posto a 6,10 metri dall’edificio della signora Ar.) – il Comune ha prospettato i seguenti motivi di gravame.
4.1. Errata interpretazione delle norme nazionali e regionali in materia di deroghe al D.M. n. 1444/1968.
4.1.1. La legge regionale dell’Emilia Romagna n. 20/2000 all’art. 7 ter ha previsto: “In attuazione dell’art. 2 bis del D.P.R. n. 380/2001, gli edifici esistenti, che siano oggetto di interventi di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione urbana, di recupero funzionale…ovvero di ogni altra trasformazione espressamente qualificata di interesse pubblico dalla disciplina statale o regionale vigente, possono essere demoliti e ricostruiti all’interno dell’area di sedime o aumentando la distanza dagli edifici antistanti, anche in deroga ai limiti di cui all’art. 9 del Decreto Ministro dei Lavori Pubblici 2 aprile 1968 n. 1444….Gli eventuali incentivi volumetrici riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati con la sopraelevazione dell’edificio originario”.”
A completamento dell’impianto normativo regionale, l’Emilia Romagna ha poi approvato la legge n. 15/2013 che all’art. 20, comma 3, ha espressamente qualificato quali siano gli interessi pubblici, tali da giustificare un permesso a costruire in deroga (interventi di riuso; interventi di rigenerazione urbana; interventi di riqualificazione urbana; interventi di qualificazione del patrimonio edilizio esistente). Di conseguenza, secondo parte appellante, il RUE di Piacenza, approvato con deliberazioni del Consiglio comunale n. 6/2014, n. 7/2014, n. 9/2014, n. 10/2014, n. 11/2014, n. 12/2014, n. 13/2014 e n. 24/2016, avrebbe dato attuazione sia ai principi della normativa statale, sia a quelli della normativa regionale. L’art. 17.7 del RUE ha così disposto: “Per gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, le distanze potranno essere in deroga anche ai limiti previsti all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 ter L.R. n. 20/2000, come aggiornata dalla L.R. n. 17/2014. Gli eventuali incentivi di cui all’art. 171 del Rue possono essere realizzati con la sopra elevazione dell’edificio originario, anche in deroga agli artt. 7,8 e 9 del D.M. n. 1444/1968”. Per il Comune sarebbe quindi evidente che la deroga di cui all’art. 2 bis del TU edilizia non possa essere la stessa prevista dal D.M. n. 1444/1968.
4.2. Violazione dell’art. 7 ter della legge regione dell’Emilia Romagna n. 20/2000.
4.2.1. L’impianto derogatorio sopra descritto si completerebbe dunque, come espressamente richiesto dal TU edilizia, con la legge regionale n. 20/2000. Su tali norme il Tar non avrebbe eccepito in ordine alla loro costituzionalità anche per ciò che riguarda gli interventi in deroga su edifici esistenti e anche per demolizioni e ricostruzioni.
Inoltre, tenuto conto che l’art. 7 ter della legge regionale si riferisce espressamente ad edifici esistenti, secondo il Comune, deve escludersi che per la sua attuazione occorressero piani particolareggiati o lottizzazioni, evidentemente inapplicabili, alle zone del territorio già insediate. La stessa disposizione infatti ammette gli interventi derogatori “per la qualificazione del patrimonio esistente” che, ai sensi della stessa legge n. 20/2000, qualificazione di specifica competenza del RUE (art. 29 della legge regionale n. 20/2000), unico strumento urbanistico che poteva normare gli interventi sugli ambiti consolidati anche tramite intervento diretto e senza adozione del Piano operativo comunale.
4.3. Errata interpretazione dell’art. 171 del RUE del Comune di Piacenza.
4.3.1. Il permesso a costruire in deroga è stato rilasciato alla società Ca. ai sensi dell’art. 171 del RUE che prevede tale possibilità premiale a tutti gli immobili siti nei tessuti definiti nello stesso Regolamento a “bassa densità “, come individuati dal successivo art. 177. Il fabbricato oggetto di giudizio (via (omissis)) è ubicato nella zona “Città consolidata – Tessuto esistente – Tessuto a bassa densità ” per la quale non può essere escluso l’incentivo premiale qualora la ristrutturazione soddisfi gli interessi pubblici previsti dalla normativa regionale (nel caso di specie, oltre la riqualificazione urbanistica, il miglioramento energetico ambientale e sismico).
4.4. Errata interpretazione della giurisprudenza costituzionale.
4.4.1. Secondo il Comune appellante, contrariamente a quanto affermato dal T.a.r., nella giurisprudenza costituzionale sarebbe rinvenibile il principio secondo cui “la deroga alle distanze minime potrà essere contenuta, oltre che in piani particolareggiati o di lottizzazione, in ogni strumento urbanistico equivalente sotto il profilo della sostanza e della finalità ” (Corte cost., sentenza n. 41/2017). La legge regionale n. 20/2000 specificherebbe in concreto che gli strumenti urbanistici per il governo del territorio in Emilia Romagna sono il Piano strutturale comunale (PSC), il Piano operativo comunale (POC) e il regolamento urbanistico edilizio (RUE). Inoltre, anche la sentenza n. 50/2017 della Corte Costituzione avrebbe dichiarato la legittimità costituzionale della legge regionale della Liguria n. 11/2015 ove si prevedeva la possibilità di deroga alle distanze minime in quanto tale deroga “è accordata con la necessaria garanzia dell’intermediazione dello strumento urbanistico”, che, nel caso di specie, era individuato nel PUO (Progetto urbanistico operativo), asserendo altresì che “la disposizione regionale è conforme alla disciplina statale, in quanto condiziona l’operatività del suo precetto alla presenza di uno strumento urbanistico”.
5. La signora Ga. Ar. si è costituita in giudizio il 3 luglio 2018, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato un’ulteriore memoria il 16 luglio 2018.
5.1. Il 12 settembre 2018 ha poi depositato un appello incidentale condizionato, contrastando il capo della sentenza che ha respinto la domanda di annullamento delle disposizioni di cui agli artt. 171.3 e 17.7 del RUE del Comune di Piacenza ed è stato accolto il ricorso di primo grado solo per il profilo della violazione delle distanze e non per la eccepita illegittimità della sopraelevazione.
6. Il Comune di Piacenza ha anch’esso depositato ulteriori memorie il 12 luglio 2018 e il 22 maggio 2020, nonché una replica il 5 giugno 2020.
7. La signora Ar. ha per ultimo depositato una memoria il 21 maggio 2020, una replica il 1° giugno 2020 e note di udienza il 19 giugno 2020.
8. Nella camera di consiglio del 19 luglio 2018 l’esame dell’istanza incidentale di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, presentata contestualmente all’appello, è stato rinviato all’udienza di merito.
9. La causa è stata trattenuta in decisione, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, nell’udienza pubblica tenutasi in video conferenza il 25 giugno 2020 senza che le parti abbiano richiesto l’esame dell’incidente cautelare.
10. Preliminarmente, il Collegio rileva che l’erronea indicazione, da parte del Tar, che i fabbricati di cui è causa sarebbero “addossati” (in realtà, separati da uno spazio pari a 6,10 metri) non assume rilevanza ai fini della decisione della presente controversia.
11. L’appello principale non è fondato.
12. Per esaminare adeguatamente la controversia è opportuno ricapitolare sommariamente lo stato della normativa e della giurisprudenza in materia.
12.1. Innanzitutto, la nozione di ricostruzione di un edificio in passato era individuata in un intervento che fosse contenuto nei limiti preesistenti di altezza, volumetria, sagoma e area di sedime dell’edificio. Le eventuali eccedenze invece andavano considerate come nuova costruzione. Da ciò discendeva sul tema delle distanze che le nuove costruzioni dovevano essere soggette alle distanze legali, mentre per le ricostruzioni le distanze erano quelle previste per l’edificio originario (in tal senso Cass. civ., sez. II, n. 473/2019).
12.2. Tale distinzione ha fatto leva su una serie di disposizioni a partire dall’art. 31, comma 1, lett. d), della legge n. 457/1987, per passare poi all’art. 3, comma 1, lett. d), del TU edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), il quale, nella sua formulazione originaria, prevedeva che “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”. Basandosi su tale norma, la giurisprudenza ha quindi ripetutamente ribadito che si ha ricostruzione, che segue le sorti dell’edificio preesistente, quando ci si contenga nei limiti di sagoma, volumi, area di sedime di quest’ultimo, si ha nuova costruzione per ciò che eccede (cfr. Cass. civ., sez. II, n. 15041/2018).
14.3. Tuttavia, il richiamo, nella distinzione tra nuove costruzioni e ricostruzioni, all’art. 3 del TU edilizia ha dovuto fare di recente i conti con il D.L. n. 69/2013, che ha riformulato la norma. L’art. 3 ora così recita: “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”. Nella nuova formulazione per aversi una ricostruzione basta dunque rispettare la volumetria originaria, senza necessità di rispettare la sagoma (salvo per gli edifici soggetti a vincoli ambientali), l’area di sedime, le caratteristiche dei materiali della costruzione originaria. La giurisprudenza, a fronte della novella, ha preferito quindi abbandonare l’utilizzo del criterio positivo per distinguere le nuove costruzioni dalle ricostruzioni. È quindi approdata a una tecnica distintiva non diversa rispetto a quella tradizionalmente utilizzata per le distanze. Secondo questa giurisprudenza si ha ricostruzione, che segue le sorti dell’immobile originario, quando ci si contenga nei limiti preesistenti di altezza, volumetria, sagoma dell’edificio. Si ha un novum, una nuova costruzione, soggetta alle distanze vigenti, per ciò che eccede (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4728/2017 secondo cui, nel caso in cui il manufatto che costituisce il risultato di una ristrutturazione edilizia venga comunque ricostruito con coincidenza di area di sedime e di sagoma, proprio perché coincidente per tali profili con il manufatto preesistente, potrà sottrarsi al rispetto delle norme sulle distanze dal confine e/o da altri fabbricati, in quanto sostitutivo di un precedente manufatto che già non rispettava dette distanze e magari preesisteva anche alla stessa loro previsione normativa).
La disposizione dell’art. 9, n. 2, del D.M. n. 1444/1968 riguarderebbe infatti “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse; invece, nel caso in cui il manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime, come pure consentito dall’art. 30, comma 1, lett. a), del D.L. n. 69/2013, convertito nella legge n. 98/2013, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte, proprio perché esso, quanto alla sua collocazione fisica, rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare, indipendentemente dalla sua qualificazione come ristrutturazione edilizia o nuova costruzione, le norme sulle distanze (da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 5466 del 2020).
12.4. Successivamente, come già anticipato, il D.L. n. 32/2019, c.d. “decreto sblocca cantieri”, convertito nella legge n. 55/2019, è intervenuto sul tema delle distanze per le costruzioni in ragione della “straordinaria necessità e urgenza di semplificare e velocizzare i procedimenti sottesi alla realizzazione degli interventi edilizi di rigenerazione del tessuto edificatorio nelle aree urbane per consentire l’urgente ripresa dell’attività del settore, nevralgico e trainante per lo sviluppo del paese” e per una drastica riduzione del consumo di suolo, favorendo la rigenerazione del patrimonio edilizio esistente. In questo quadro ha operato una serie di modifiche agli standard urbanistici fissati dal D.M. n. 1444/1968, che aveva previsto limiti inderogabili “di distanza tra i fabbricati”, tali da vincolare i comuni nell’adozione degli strumenti urbanistici e tali da poter essere invocati, previa disapplicazione dello strumento urbanistico eventualmente difforme, nelle controversie tra privati. In particolare, con riferimento all’art. 9 che prevede: al comma 1, n. 1, le distanze per le zone territoriali A; al comma 1, n. 2, le distanze per tutte le zone diverse dalla A; al comma 1, n. 3, le distanze per la zona C. Al comma 2 le distanze minime tra fabbricati tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli. Al comma 3 che, “qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa”, salve alcune eccezioni.
12.5. I cambiamenti al D.M. n. 1444/1968 sono in concreto intervenuti mediante le modifiche apportate dal D.L. n. 32/2019 all’art. 2 bis del TU edilizia (introdotto a sua volta dal D.L. n. 69/2013), cioè con riferimento a quelle disposizione che consentivano a regioni e province autonome di adottare disposizioni derogatorie sulle distanze legali. In sostanza, il D.L. n. 32/2019 ha aggiunto i seguenti commi al citato art. 2 bis “1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.
1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo.”;
Si aggiunge anche la norma di cui all’art. 5, comma 1, lett. b) bis del menzionato D.L. n. 32 del 2019 secondo cui “le disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9” (ovvero alle zone C).
13. Discende da quanto sopra delineato che con le modifiche apportate dall’art. 5 del D.L. n. 32/2019 all’art. 2 bis del TU edilizia – in pratica riproduttive degli approdi giurisprudenziali sopra illustrati – la demolizione e ricostruzione di un fabbricato è consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo. In caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell’ambito degli strumenti urbanistici.
13.1. In aggiunta, è utile anche ricordare come la Corte costituzionale con la sentenza n. 30/2020, intervenendo su una norma regionale del Veneto che consentiva deroghe alle altezze (art. 9, comma 8 bis legge regionale n. 14/2009), abbia ribadito i principi generali espressi dalla giurisprudenza amministrativa in tema di inderogabilità dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968. E’ stato, infatti, ricordato l’indirizzo della costante giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3093/2017 e n. 2086/2017) secondo cui la disposizione contenuta nel citato art. 9, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. Tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile. La medesima disposizione tuttavia riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici o parti e/o sopraelevazioni di essi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3522/2016) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse.
13.2. D’altra parte, a voler applicare il limite inderogabile di distanza ad un immobile prodotto da ricostruzione di un altro preesistente si otterrebbe che, da un lato, l’immobile de quo non potrebbe essere demolito e ricostruito, se non “arretrando” rispetto all’allineamento preesistente (con conseguente possibile perdita di volume e realizzandosi, quindi, un improprio “effetto espropriativo” del D.M. n. 1444/1968), dall’altro lato, esso non potrebbe in ogni caso beneficiare della deroga di cui all’ultimo comma dell’art. 9 dello stesso decreto, allorquando la demolizione e ricostruzione (ancorché per un solo fabbricato) non fosse prevista nell’ambito di uno strumento urbanistico attuativo con dettaglio plano volumetrico. Anzi, la stessa circostanza che la deroga di cui all’art. 9 sia prevista per il tramite di strumenti urbanistici attuativi conferma quanto innanzi affermato, e cioè che le norme sulle distanze di cui al D.M. n. 1444 si riferiscono alla nuova pianificazione del territorio e non già ad interventi specifici sull’esistente.
14. In questo quadro va dunque esaminata la concreta applicazione al caso di specie della norma in materia della regione Emilia Romagna.
14.1. L’art. 7 ter, comma 3 bis, della legge regionale n. 20/2000, non può essere interpretato nel senso che comunque gli interventi in deroga al regime delle distanze siano sempre possibili in caso di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti. In disparte dai profili relativi ai limiti di altezza dell’edificio che si intende ricostruire (limiti che incidono anche sulle distanze), la deroga sulle previsioni del più volte menzionato art. 9 presuppone comunque per la sua applicazione il rispetto di quanto previsto dall’art. 2 bis del Testo Unico edilizia e dunque una previsione della medesima deroga all’interno della pianificazione generale di tutto il territorio o di ampie parti dello stesso.
14.2. La deroga sulle distanze, proprio in ragione delle previsioni del citato art. 2 bis sulla necessità di “orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio”, non può trovare immediata applicazione, fuori dalla pianificazione generale, per gli edifici isolati, anche se in presenza di esigenze di riqualificazione urbana o di risparmio energetico o di sicurezza sismica (cfr. Corte cost., sentenza n. 134/2014).
15. In particolare, l’art. 7 ter della legge regionale 20/2000, al comma 3 bis prevede: “In attuazione dell’articolo 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), gli edifici esistenti, che siano oggetto di interventi di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione urbana, di recupero funzionale, di accorpamento ovvero di ogni altra trasformazione espressamente qualificata di interesse pubblico dalla disciplina statale e regionale vigente, possono essere demoliti e ricostruiti all’interno dell’area di sedime o aumentando la distanza dagli edifici antistanti, anche in deroga ai limiti di cui all’articolo 9 del decreto del Ministro dei Lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, fermo restando il rispetto delle norme del codice civile e della disciplina di tutela degli edifici di valore storico architettonico, culturale e testimoniale di cui all’articolo A-9 dell’allegato della presente legge. Gli eventuali incentivi volumetrici riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati con la soprelevazione dell’edificio originario, anche in deroga agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, nonché con ampliamento fuori sagoma dell’edificio originario laddove siano comunque rispettate le distanze minime tra fabbricati di cui all’articolo 9 del medesimo decreto o quelle dagli edifici antistanti preesistenti, se inferiori”.
15.1. Tale disposizione, come detto, non può che essere letta conformemente alle previsioni dell’art. 2 bis del TU edilizia, né tantomeno avrebbero potuto sottrarsi a tale riferimento legislativo le previsioni del RUE di Piacenza.
15.2. In definitiva, la normativa regionale e le previsioni del RUE (che peraltro ha ad oggetto regole che, più in dettaglio, disciplinano l’esercizio dell’attività edificatoria prevista dagli strumenti urbanistici) non potevano consentire al Comune di derogare alle distanze per un edificio isolato, a nulla rilevando la destinazione di zona in assenza di uno strumento urbanistico vocato alla riqualificazione della stessa (in ordine a quest’ultimo profilo deve essere condivisa l’osservazione del Tar che rileva come l’eventuale sussistenza di un interesse pubblico che la legge statale individua nel diverso contemperamento tra distanze minime e volumetrie premiali non possa che essere individuata all’interno di un piano di risanamento o riqualificazione di una intera zona del territorio comunale).
16. Per le ragioni sopra esposte, l’appello principale va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
17. Di conseguenza, va dichiarato il non luogo a provvedere sull’appello incidentale, espressamente condizionato all’accoglimento di quello principale, proposto dall’appellata.
18. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate, tenuto conto della complessità e della novità delle questioni in esame alla luce dell’evoluzione normativa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta definitivamente pronunciando sull’appello (n. 5082/2018), come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dichiara il non luogo a provvedere sull’appello incidentale condizionato proposto dall’appellata.
Compensa le spese della presente fase di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2020, svoltasi da remoto in audio conferenza ex art. 84, comma 6, del decreto legge n. 18 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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