Nel settore del pubblico impiego e l’accesso ad un posto di ruolo

Consiglio di Stato, Sentenza 30 ottobre 2020, n. 6685.

Nel settore del pubblico impiego, contrattualizzato o meno, l’accesso ad un posto di ruolo può avvenire, ex art. 97 cost., solo tramite pubblico concorso a ciò espressamente destinato.

Sentenza 30 ottobre 2020, n. 6685

Data udienza 8 ottobre 2020

Tag – parola chiave: Pubblico impiego – Università – Incarichi gratuiti – Possibilità – Accesso – Modalità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6059 del 2014, proposto da
Be. Di Ri., Do. Ca. Di Gi., Em. Co. e Do. Lo., rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. Ru. e Ma. Ze., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale (…);
contro
Università degli Studi “G. D’Annunzio” Chieti – Pescara, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via (…), sono domiciliati ex lege;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Abruzzo – Pescara, n. 21/2014, resa tra le parti e concernente l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Università degli Studi “G. D’Annunzio” Chieti – Pescara e di Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2020 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti l’avvocato St. Vi., per delega degli avvocati Gi. Ru. e Ma. Ze.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I dottori Be. Di Ri., Do. Ca. Di Gi., Em. Co. e Do. Lo., hanno svolto gratuitamente, presso l’Università “G. D’Annunzio” di Pescara, attività di docenza, corrispondente a quella dei professori strutturati, in forza dei reiterati incarichi a tempo determinato loro affidati a seguito di apposita procedura selettiva.
Essendosi il periodo lavorativo protrattosi per oltre 36 mesi, i suddetti docenti hanno chiesto, con ricorso al T.A.R. Abruzzo – Pescara, il riconoscimento della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato come professore (associato o ordinario).
L’adito Tribunale con sentenza 9/1/2014, n. 21, ha respinto il gravame.
Avverso la pronuncia hanno proposto appello i menzionati ricorrenti di primo grado.
Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio l’amministrazione appellata.
Con successiva memoria gli appellanti Di Ri., Di Gi., e Lo. hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 8/10/2020 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel ritenere applicabili alla fattispecie gli artt. 25 e 100 del D.P.R. 11/7/1980, n. 382, i quali non consentirebbero di qualificare come rapporto di lavoro subordinato l’attività prestata dagli appellanti.
E invero, ex art. 3, comma 1, lett. a, del D.P.R. 21/5/1998, n. 242 (Regolamento recante norme per la disciplina dei professori a contratto), le citate norme non sarebbero applicabili alla fattispecie.
Gli incarichi per cui è causa sarebbero invece regolati dall’art. 1, comma 10, della L. 4/11/2005, n. 230, e dalle disposizioni contenute nei regolamenti di ateneo “per la disciplina dei professori a contratto” e “per l’assunzione dei ricercatori con contratto a tempo determinato”, adottati rispettivamente nel 2000 e nel 2008.
In ogni caso, sulla base dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale (sent. n. 121/1993) e dalla Corte di Cassazione (sent. 11609/1993, 4643/1992 e 176/1992), la definizione della natura di un rapporto di lavoro non potrebbe essere demandata ad astratte previsioni legislative, ma discenderebbe dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.
L’appellata sentenza risulterebbe viziata anche nella parte in cui afferma che: “Tali contratti sono normalmente retribuiti in una o due soluzioni, ma ciò non esclude che vi sia un’accettazione a titolo gratuito da parte dell’interessato…”.
Infatti, dalla qualificazione della relazione intercorsa tra amministrazione universitaria e appellanti come rapporto di lavoro subordinato, conseguirebbe il diritto di costoro a percepire, in ogni caso, un “giusta retribuzione” ex art. 36 cost.
Col secondo motivo si deduce che, il giudice di prime cure avrebbe errato a non ritenere applicabile la disciplina dei contratti a termine.
Infatti, anche escludendo la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra ateneo e appellanti, la ripetuta stipula di contratti a termine risulterebbe, comunque, illegittima per violazione degli artt. 1 e 6 del D. Lgs. 6/9/2001, n. 368 (attuativo della direttiva comunitaria 28/6/1999, n. 1999/70/CE) e 36 del D. Lgs. 30/3/2001, n. 165.
Col terzo mezzo di gravame si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel ritenere che gli incarichi assegnati agli appellanti non diano “luogo a diritti in ordine all’accesso nei ruoli delle università e degli istituti di istruzione universitaria e statali”.
E invero, sulla base della normativa nazionale di recepimento dell’accordo quadro di cui alla direttiva 1999/70/CE, e dei principi enunciati dalla giurisprudenza, sia nazionale, sia euro unitaria, il reiterato ricorso al conferimento di incarichi di lavoro a tempo determinato costituirebbe un abuso che determinerebbe la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non essendo ostativo a tale conclusione il disposto dell’art. 36, comma 2, del D. Lgs. 165/2001, che sarebbe da interpretare alla luce dei principi di derivazione euro unitaria ricavabili dalla citata direttiva 1999/70/CE.
Contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure l’accesso ai ruoli universitari non sarebbe, inoltre, precluso dalla mancata partecipazione a un pubblico concorso, atteso che gli appellanti hanno ottenuto gli incarichi per cui è causa dopo aver superato una pubblica selezione che avrebbe caratteristiche identiche a quelle previste dal D.D. 20/7/2012, n. 222, per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia.
Gli odierni istanti, quindi, avrebbero titolo a vedersi riconosciuta la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con conseguente ricostruzione della carriera in termini retributivi e contributivi e a ottenere la corresponsione dell’indennità prevista dall’art. 32 della L. 4/11/2010, n. 183.
Le doglianze così sinteticamente riassunte, che si prestano a una trattazione congiunta, non meritano accoglimento.
E invero, la tesi degli appellanti secondo cui il reiterato conferimento di incarichi di insegnamento a tempo determinato avrebbe attribuito loro il diritto a vedersi riconosciuta la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, parte dal falso presupposto che i detti incarichi configurino altrettanti rapporti di lavoro a tempo determinato.
Siffatta qualificazione giuridica è, tuttavia, nel caso di specie da escludere.
Infatti, come si ricava dalla disposizione di cui all’art. 2094 del cod. civ., uno degli elementi essenziali del rapporto di lavoro subordinato è la retribuzione, cosicché, laddove non sia previsto alcun compenso per remunerare le prestazioni svolte, non è configurabile un rapporto di lavoro.
Nel caso che occupa è incontestato che il servizio di insegnamento reso dagli odierni istanti a favore dell’Università sia stato svolto a titolo gratuito, in coerenza con quanto espressamente previsto sia nei bandi con i quali sono state indette le selezioni preordinate all’individuazione dei soggetti cui affidare l’incarico di docenza, sia dai contratti all’uopo sottoscritti.
L’attività di insegnamento da costoro svolta (disciplinata dall’art. 1, comma 10, della L. n. 230/2005 e dall’art. 23 della L. 30/12/2010, n. 240 oltre che dallo specifico regolamento di ateneo) va allora ricondotta nell’ambito di un rapporto, diverso da quello lavorativo, caratterizzato dai connotati del servizio onorario, ovvero del servizio reso “affectionis vel benevolentiae causa”.
Del resto, costituisce dato di comune esperienza – ai sensi e per gli effetti dell’art. 115 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo – la possibilità di incarichi gratuiti, in particolare, presso le Università, in considerazione dei vantaggi, professionali e di formazione scientifica, connessi all’attività di insegnamento universitario, senza che possano sollevarsi al riguardo questioni di costituzionalità, con riferimento agli articoli 3 e 36 della Costituzione (cfr. in tal senso Corte Cost., 18/1/1977, n. 41; Cons. Stato, Sez. VI, 30/9/1980, n. 796).
Né può trovare giustificazione la pretesa di una retribuzione per l’esecuzione di una prestazione didattica costituente oggetto di contratto a titolo gratuito, rilevando in tal senso solo la volontà (coerente con la normativa di riferimento) manifestata dalle parti all’atto del conferimento dell’incarico (Cons. Stato, Sez. VI, 26/1/2010, n. 277).
Alla luce delle esposte considerazioni perdono di rilevanza tutti i riferimenti alle norme e ai principi invocati dagli appellanti, concernenti l’abuso del ricorso a reiterati contratti di lavoro a tempo determinato.
La plurima reiterazione degli incarichi conferiti agli odierni appellanti non potrebbe dar luogo a un rapporto impiegatizio a tempo indeterminato, nemmeno laddove l’attività di insegnamento da costoro svolta potesse inquadrarsi nell’ambito dei rapporti di lavoro a tempo determinato.
Infatti, nel settore del pubblico impiego, contrattualizzato o meno, l’accesso ad un posto di ruolo può avvenire, ex art. 97 cost., solo tramite pubblico concorso a ciò espressamente destinato (Cass. Civ., Sez. Lav., 25/6/2020, n. 12718; 29/4/2014, n. 9385; Cons Stato, Sez. VI, 13/5/2011, n. 2927; 25/6/2008, n. 3209; 20/10/1999, n. 1508).
In coerenza con l’indicato parametro costituzionale l’art. 23, comma 4, della L. n. 240/2010 stabilisce, del resto, che “La stipulazione di contratti per attività di insegnamento ai sensi del presente articolo non dà luogo a diritti in ordine all’accesso ai ruoli universitari”, e analogamente dispone l’art. 2, comma 3, del D.M. 21/5/1998, n. 242, il cui successivo art. 3, comma 1, lett. a), ha reso inapplicabili gli articoli 25 e 100, lettera d), del D.P.R. 11/7/1980, n. 382 dall’entrata in vigore dei regolamenti di ateneo per l’assunzione dei professori a contratto.
Peraltro, la disciplina interna che nel pubblico impiego vieta la conversione dei contratti temporanei in un rapporto a tempo indeterminato, è stata ritenuta non in contrasto con la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 28/6/1999, n. 1999/70/CE (Corte Giust. UE, Sez. II, 26/1/2012, n. 586).
Col quarto motivo, prospettato per il caso in cui non potesse accogliersi la domanda rivolta a ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si chiede la condanna dell’appellata amministrazione universitaria al risarcimento dei danni derivanti dalla reiterata costituzione di rapporti a tempo determinato.
La doglianza è inammissibile ai sensi dell’art. 101, comma 1, c.p.a., in base al quale “il ricorso in appello deve, tra l’altro, contenere… l’esposizione delle specifiche censure contro i capi della sentenza gravata”.
Il giudice di prime cure si è, infatti, espressamente pronunciato sulla domanda risarcitoria affermando che “Va comunque considerato che, trattandosi di incarico gratuito, esso resta tale anche in punto di fatto e del tutto infondate sono sia le pretese risarcitorie, sia la ricostruzione di una carriera universitaria, diversa da quella documentata dai rispettivi atti d’incarico”, ma tale capo di sentenza non è stato fatto oggetto di alcuna critica.
Per identica ragione (violazione dell’art. 101, comma 1, c.p.a.) va dichiarato inammissibile il quinto motivo, con cui si rivendica, per l’appellante Di Ri., la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato quale ricercatore universitario, in forza del protrarsi, oltre il termine di cui all’art. 6 dell’apposito regolamento di ateneo, dell’attività dal medesimo svolta in qualità di ricercatore a tempo determinato.
Il giudice di prime cure, senza che il relativo capo di sentenza sia stato censurato, ha, infatti, giudicato infondata la pretesa rilevando che “L’istante, che ha avuto incarichi annuali dal 1.4.2005 al 31.3.2009, ha poi ricevuto un incarico triennale a termine, a far data dal 1.4.2009 quale ricercatore (SSD ICAR/21 Urbanistica), che non è stato mai rinnovato e, quindi, con scadenza tassativa al termine del triennio; la sua prosecuzione ulteriore rientra nel comportamento personale dell’istante, in violazione della doverosa presenza del necessario atto scritto da parte dell’Università, rappresentato dal decreto del Rettore e non certamente da delibere del CdF, che possono al più avere un valore programmatico e presupposto”.
L’appello va, in definitiva, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Dario Simeoli – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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